strano (istrano)
L'aggettivo, di modesta frequenza, è assente nel D. lirico (compresa la Vita Nuova) e nel Detto. Era già copioso di esempi nel Duecento.
Alcune volte si trova impiegato col valore di " straniero ", " forestiero ": Cv I V 9 se coloro che partiron d'esta vita già sono mille anni tornassero a le loro cittadi, crederebbero la loro cittade essere occupata da gente strana, per la lingua da loro discordante; XI 15 non è sanza loda d'ingegno apprendere bene la lingua strana; If XXII 9 con cose nostrali e con istrane. Più di frequente nel Fiore: XXVIII 3 ridottava uomini strani; LVI 2 cercando terra istrana; CLV 5 e CCXXV 13 per la ‛ iunctura ' (i)stran paese.
Nella sfumatura peculiare " che si strania dal mondo o si dedica alla vita monastica ", in un luogo isolato del Fiore (CX 6 non vuol che l'uon faccia sale o mura, / de le limosine, alle genti strane), ove il sintagma finale si oppone esattamente a gente umane (v. 7), coloro che invece affrontano i rischi del mondo, nella polemica di Falsembiante contro gli ordini mendicanti.
Sulla stessa linea (ma attraverso " remoto " o simili) si perviene a " misterioso ", " allegorico ", in If IX 63 la dottrina che s'asconde / sotto 'l velame de li versi strani. Qui tuttavia - in rapporto alla definizione dell'allegoria (Cv II I 3) come veritade ascosa sotto bella menzogna - s. potrebbe anche significare " fuori della norma ", " diverso dal consueto " (cfr. Pagliaro, Ulisse 481), quindi " di rara, unica vaghezza "; e con ciò si verrebbe ad avallare l'opinione un po' estrosa del Momigliano (" Di strano, nei versi di Dante, agli occhi nostri non c'è proprio nulla ").
Con analogo trapasso, orientato però in altra direzione psicologica, non verso l'‛ enigmatico ' o il ‛ bello ' ma verso il ‛ pauroso ' - " eccezionale ", dunque " terrificante " - nei due residui luoghi della prima cantica: If XIII 15 fanno lamenti in su li alberi strani (detto delle Arpie nella selva dei suicidi): dove molti commentatori spiegano per iperbato " lamenti lugubri, tremendi ", dato l'avallo esterno dell'esemplare virgiliano (" magnis clangoribus " e " vox dira ") che rende ai loro occhi poco probabile la resa faciliore con sintagma a contatto, " alberi mostruosi " (il Grabher, addirittura, in su li alberi: strani; ma, a evitare ogni ambiguità, basterebbe interpungere lamenti, in su li alberi, strani). Non molto differisce il significato di s. nell'ultimo passo (If XXXI 30), in cui Virgilio rivela a D., prima di procedere, come quelle torri siano in realtà dei giganti, per prevenire o attutire la sua istintiva paura, acciò che 'l fatto men ti paia strano. Vi si conferma ancora una volta (a onta di molti interpreti o lessicografi) la maggiore potenzialità di s. in antico e tanto più nel linguaggio dantesco, rispetto alle accezioni moderne ferme o arretrate alla semplice fase " diverso dalla norma ", " insolito ", senza ulteriori progressi a livello drammatico o sentimentale.
Conforme invece a quella più intensa carica semantica la gamma che si percepisce nel Fiore in un'orbita d'implicazioni culturali (‛ per oppositum ') con un alto e ormai tramontato ideale di vita, fra " estraneo a ogni maniera cortese ", " bizzarro ", " villano ", " crudele ": in funzione sostantivale (cfr. v. 7 quel villan) in VII 12 tutto ciò m'ha fatto quello strano; o in parallelo col costrutto già rilevato per ‛ stranezza ' (v.) in XIII 10 non sie sì strano al su' sergente, e XXIV 13 sì de' esser a ciascuno strano, / e 'l diavol sì l'ha ora incortesito (ove la contrapposizione fra s. e ‛ cortese ' non potrebbe essere meglio evidente, nonostante il degradato registro farsesco).