STRANIERI
(XXXII, p. 817; App. II, II, p. 915; III, II, p. 853)
Varie sono le figure che possono essere compendiate nel termine straniero (''immigrato'', ''rifugiato'', ''profugo'', ''apolide''), la cui nozione, in mancanza di una precisa definizione nell'ordinamento italiano, può desumersi dalla sua contrapposizione allo status di cittadino.
La qualifica d'immigrato si riferisce alla persona che ha fatto ingresso in Italia per soggiornarvi per motivi di lavoro, studio e famiglia, generalmente proveniente da paesi extraeuropei.
Quella di rifugiato è attribuita a colui che abbandona il proprio paese perché discriminato o perseguitato per ragioni politiche, ideologiche, religiose, razziali, e che non si avvale della protezione governativa della nazione di appartenenza (per tale motivo è detto anche ''apolide di fatto''), ma che a differenza dell'emigrante non lascerebbe mai spontaneamente il proprio paese spinto dalla prospettiva di assicurarsi un futuro migliore sotto il profilo economico. Sul piano internazionale l'Italia ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 con la l. 24 luglio 1952 n. 722, e al Protocollo di New York relativo allo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967 con la l. 14 febbraio 1970 n. 95, impegnandosi a concedere a tali individui il trattamento previsto da questi atti; ma con alcune significative limitazioni, che a lungo ne hanno ridotto in modo rilevante la portata (la riserva geografica per cui la qualifica di rifugiato era riconosciuta soltanto ai profughi provenienti dai paesi europei e quella apposta all'accesso dei rifugiati al lavoro subordinato e all'esercizio di attività autonome), ponendosi in contrasto con il dettato costituzionale improntato a una visione più ampia (art. 10, 3° comma Cost., che riconosce il diritto di asilo a tutti coloro cui sia impedito nel proprio paese l'esercizio delle libertà democratiche garantite dalla nostra Costituzione). Limitazioni ora abolite dalla l. 39/1990, che non contempla il diritto di asilo come istituto autonomo, benché nella sua intestazione si parli di "asilo politico", e non contiene alcuna disposizione specifica che lo disciplini in quanto tale.
Quella di profugo o displaced person si rileva, invece, per l'individuo costretto a lasciare il proprio paese per eventi bellici, occupazione straniera, calamità naturali, violazioni permanenti dei valori fondamentali della persona umana, e a riparare negli stati confinanti nella speranza di trovarvi temporaneo rifugio; la mancanza di una pratica discriminatoria adottata nei loro confronti dagli stati di appartenenza differenzia questa categoria da quella dei rifugiati, ma, mentre il rifugiato-perseguitato dopo il suo ingresso in Italia diviene un richiedente asilo ed è soggetto alla disciplina speciale vigente in materia, il rifugiato-profugo può ottenere soltanto un permesso di soggiorno in deroga alle procedure previste dalle disposizioni vigenti, generalmente concesso per motivi umanitari e di lavoro. Per il rimanente viene equiparato agli altri immigrati e assoggettato alla disciplina a essi applicabile, salvo che con la cessazione degli eventi bellici che ne hanno causato l'ingresso nello stato straniero il permesso di soggiorno concesso venga revocato e il profugo debba immediatamente ritornare in patria. È questo il caso di cittadini appartenenti all'ex Iugoslavia e alla Somalia.
Accanto a queste figure si rileva quella degli apolidi che, pur non avendo la cittadinanza di alcuno stato, sono sottoposti alla disciplina dello stato italiano e, per meglio dire, sono titolari di alcuni diritti civili generalmente riconosciuti soltanto ai cittadini (ex art. 16 delle preleggi) e correlativamente destinatari di taluni obblighi. Va poi rilevato che la recente normativa sulla cittadinanza, dettata dalla l. 5 febbraio 1992 n. 91 e completata dal decreto presidenziale 18 aprile 1994 n. 362 contenente il "Regolamento recante la disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana", ha ridisegnato l'istituto dell'acquisto della cittadinanza "per beneficio di legge" considerandolo il modo di acquisto della cittadinanza per eccellenza riservato allo s. o all'apolide il cui padre o madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini italiani per nascita; e ha, nello stesso tempo, ridefinito la figura dell'apolide (artt. 4 e 16). Lo stesso provvedimento contiene, inoltre, una disposizione relativa agli effetti dell'adozione sulla cittadinanza per i minori stranieri e apolidi (art. 3).
Al di fuori di questa classificazione, ma non per questo meno rilevante, va collocata la categoria degli irregolari, costituita da immigrati clandestini che riescono a evitare l'esecuzione dei provvedimenti di espulsione a loro carico e a eludere i controlli operati dalle autorità di polizia e dai presidi posti ai valichi di frontiera. Si tratta solitamente di soggetti che sono in grado di provvedere al proprio sostentamento grazie a datori di lavoro pronti ad assumerli in violazione delle vigenti norme sul lavoro.
Il massiccio afflusso di s. in Italia nell'ultimo decennio, caratterizzato da un lato dalla diminuzione della presenza dei cittadini dei paesi industrializzati e degli stati membri della CEE e dall'altro dal costante aumento dei cittadini dei paesi in via di sviluppo, è divenuto un fenomeno di vaste e significative proporzioni con rilevanti conseguenze di carattere sociale, economico e politico, soprattutto sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica (v. immigrazione, in questa Appendice). Per la condizione dello s. delineata dalla legge fondamentale (art. 10 Cost.), vincolante il legislatore ordinario, l'interpretazione giurisprudenziale della Corte Costituzionale in ordine a situazioni soggettive riconosciute o desumibili dalla Costituzione ha notevolmente contribuito all'individuazione e alla determinazione delle modalità e delle garanzie di esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali collegate all'ingresso e al soggiorno degli s. in Italia. A sua volta la legislazione sull'ingresso e sul soggiorno degli s. è stata in questi anni oggetto di profonde modificazioni che, mediante una nuova formulazione delle norme in materia, hanno cercato di realizzare una riforma organica che disciplinasse compiutamente la condizione dello s. nel nostro ordinamento.
La rilevante presenza di s. ha, infatti, evidenziato lacune e carenze della vecchia normativa in vigore (il T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, cioè il R.D. 18 giugno 1931 n. 773 e il relativo regolamento di esecuzione, approvato con R.D. 6 maggio 1940 n. 635, risalente a un'epoca in cui il problema dell'ingresso e del soggiorno degli s. era considerato esclusivamente in termini di tutela dell'ordine pubblico), alle quali, dopo diverse iniziative legislative succedutesi nel tempo, si è cercato parzialmente di sopperire con la l. 30 dicembre 1986 n. 943 ("Norme di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine"), successivamente modificata dalla l. 16 marzo 1988 n. 81, che ha regolarizzato situazioni pregresse di lavoro. Nel quadro degli impegni presi in sede internazionale dall'Italia (Convenzione di Ginevra del 24 giugno 1975 n. 143, approvata con l. 10 aprile 1981 n. 158) si sono, infatti, inserite la l. 943/1986 e 39/1990 che hanno riconosciuto, almeno formalmente, agli s. regolarmente residenti sul territorio italiano parità di trattamento con i lavoratori nazionali. È stato così previsto sia il lavoro subordinato, previa iscrizione nelle liste di collocamento, sia il lavoro autonomo, tramite lo svolgimento di attività commerciali, previa iscrizione presso le Camere di commercio, e la costituzione di società cooperative. Ai lavoratori subordinati è applicabile il trattamento più favorevole previsto in generale per i cittadini (in particolare lo Statuto dei lavoratori di cui alla l. 300/1970) nonché il regime di assistenza sanitaria pubblica.
Altri elementi connessi alla condizione dello s. come l'ingresso, il soggiorno, il lavoro autonomo, lo status di rifugiato, ecc., sono stati, invece, disciplinati dalla l. 28 febbraio 1990 n. 39 (cosiddetta ''legge Martelli''). Questo provvedimento, nel dettare una nuova disciplina in materia d'ingresso e di soggiorno degli s. extracomunitari, ha inciso anche su alcuni aspetti della normativa in tema di circolazione e di trattamento dei cittadini di stati membri della CEE, ai quali devono essere applicate le norme più favorevoli in esso contenute.
Malgrado la grande importanza di tale provvedimento che ha avuto il merito di delineare un quadro di certezze giuridiche e di indirizzi di comportamento, numerose sono tuttavia le lacune e le carenze che la l. 39/1990 ha dimostrato di avere anche di fronte ai numerosi problemi che scaturiscono dall'arrivo in massa di profughi provenienti da paesi vicini, come l'Albania e la ex Iugoslavia, e dalla continua immigrazione clandestina. Diversi sono i punti della ''legge Martelli'' per i quali si è rilevata la necessità di modifiche, come quello relativo alle esecuzioni di provvedimenti di espulsione (previa emanazione di un decreto motivato da parte del ministro dell'Interno e l'accompagnamento dello s. alla frontiera per i casi più gravi, o semplice intimazione da parte del questore di abbandonare il territorio italiano entro quindici giorni per quelli più blandi), che sono stati portati a termine solo in minima parte (circa il 2% di quelli irrogati) con dannose ripercussioni sull'ordine pubblico e con incremento della criminalità. Tutto ciò naturalmente non ha mancato di riflettersi negativamente sullo status dei cittadini extracomunitari in posizione regolare, nei cui confronti lo stato non riesce a garantire quanto è assicurato a livello formale, dato che la mancata o scarsa esecuzione dei provvedimenti di allontanamento finisce per vanificare i principi ispiratori della legge e per alterare il meccanismo dei flussi di entrata.
In considerazione della necessità di un suo superamento, dato il carattere di "provvedimento di emergenza", nel 1993 il ministro per gli Affari sociali ha costituito una commissione di esperti, fra cui alcuni esponenti del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL), che per alcuni mesi hanno lavorato alla riforma della legge Martelli. Questa commissione ha redatto una "carta dei diritti e dei doveri" degli immigrati per un totale di 172 articoli da tradursi in legge. Tale proposta −che fa chiarezza sulla condizione giuridica degli s., sull'accesso al lavoro, sulla tutela del diritto alla salute − prevede il voto amministrativo per i residenti da oltre cinque anni, delinea nuovi strumenti per rendere realmente esecutiva l'espulsione, disciplina il diritto di asilo prevedendo permessi d'ingresso per motivi umanitari e garantisce l'accesso alla scuola ai minori s. anche nel caso in cui i genitori siano clandestini.
Per fronteggiare il massiccio fenomeno dell'immigrazione clandestina il governo ha istituito l'Alto Commissario per i problemi dell'immigrazione e ha dato vita a un Comitato per la tutela dei minori stranieri, presieduto dal ministro per gli Affari sociali e la famiglia, di cui fanno parte rappresentanti dei ministeri degli Esteri, Interni, e Grazia e Giustizia. Diverse sono le proposte di modifica alla l. 39/1990 avanzate nel corso della xii legislatura riguardanti in particolare le modalità d'ingresso e di espulsione degli s. in Italia e oggetto di acceso contrasto tra i diversi schieramenti politici.
Bibl.: Cfr. in generale B. Nascimbene, Lo straniero nel diritto italiano, Milano 1988, e Appendice di aggiornamento (le nuove norme sull'ingresso, soggiorno e asilo), ivi 1990; G. D'Orazio, Lo straniero nella Costituzione italiana (Asilo - condizione giuridica - estradizione), Padova 1992; Id., Straniero (condizione giuridica dello), in Enciclopedia Giuridica, xxx, Roma 1993; G. De Vergottini, Multiculturalismo, minoranze linguistiche e immigrazione, in Cittadinanza e diritti nelle società multiculturali, a cura di T. Bonazzi e M. Dunne, Bologna 1994; E. Calò, Il principio di reciprocità, Milano 1994; S. Scolaro, Lo straniero nei servizi di stato civile, anagrafe e leva: problematiche, in Diritto di famiglia, 23 (1994), 4, pp. 1448-73. In particolare sulla l. 39/1990, cfr. E. Cannizzaro, La nuova disciplina dell'ingresso del soggiorno e dell'allontanamento dello straniero, in Rivista di diritto internazionale, 1990, pp. 71-92; G. Strozzi, Rifugiati e asilo politico nella legge n. 39 del 1990, ibid., pp. 93-104; A. Adinolfi, Aspetti innovativi in tema di soggiorno e di trattamento di cittadini di Stati membri della Comunità europea, ibid., pp. 105-13; E. Nizzi, Norme in materia di asilo politico, di ingresso e di soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato, in Rivista amministrativa della Repubblica italiana, 1990, pp. 579-84; P. Dell'Anno, Sulla espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, in Cassazione penale, pt. i, 1990, pp. 1417-21; G. Gaggiano, Asilo, ingresso, soggiorno ed espulsione dello straniero nella nuova legge sull'immigrazione, in La Comunità internazionale, 1990, pp. 31-50; M. Forti, Due anni dopo. Un bilancio della legge Martelli, in Politica ed Economia, 1992, pp. 68-76; G. D'Orazio, Società democratica e limiti della condizione dello straniero, in Iustitia, 1993, pp. 114-28. Inoltre, sulla l. 91/1992 cfr. S. Arena, La cittadinanza nella nuova normativa italiana, Bologna 1992; B. Barel, L. 5 febbraio 1992, n. 91. Nuove norme sulla cittadinanza. Commento all'art. 3 e all'art. 4, in Le nuove leggi civili commentate, 1993, pp. 20-22 e 23-26; C. Fioravanti, L. 5 febbraio 1992, n. 91. Nuove norme sulla cittadinanza. Commento all'art. 5, ibid., pp. 26-29; B. Nascimbene, L. 5 febbraio 1992, n. 91. Nuove norme sulla cittadinanza. Commento all'art. 16, ibid., pp. 86-92.