STRADA (lat. strata da stratus, part. pass. di sternere "pavimentare, lastricare")
Storia. - Si può studiare la strada nel suo periodo embrionale e nei suoi primordî osservando l'evolversi dei sentieri che ancora oggi nascono spontanei e si moltiplicano in reti intorno a ogni gruppo di abitazioni, per quanto piccolo e temporaneo. Lievi tracce sul terreno, che talvolta solo un occhio esercitato riesce a distinguere dalla campagna circostante, esse costituiscono l'unica via dei popoli primitivi e formano le esili remote propaggini di quel complesso sistema stradale di cui è stata posta in chiaro l'intima armonia e la somiglianza, nelle origini e nelle trasformazioni, con il sistema idrografico dei ruscelli, dei torrenti e dei fiumi. Il sentiero, mobilissimo nelle grandi pianure erbose per ovvie ragioni, si fa meno vagante nella montagna e in genere dove la configurazione del suolo determina molti punti obbligati di transito. I trasporti su queste imperfettissime vie, atte alla sola circolazione pedonale, sono lenti e molto costosi. Con il progredire della civiltà e con il crescere degli scambî aumenta l'importanza attribuita all'economia di tempo e di lavoro; s'introducono gli animali da soma e più tardi i veicoli, che, quantunque rudimentali, realizzano un vantaggio enorme sul trasporto a spalle d'uomo o a dorso di quadrupede.
Sorgono contemporaneamente le prime strade mulattiere e carreggiabili a fondo naturale. Sovente però su queste strade il traffico si svolge occupando una larga zona intorno a un asse mutevole. S'incomincia a costituire una rete di tronchi carrettieri isolati, che poi tendono a estendersi e a collegarsi. Dopo che l'affermarsi del diritto di proprietà ha obbligato a una sede fissa, l'impiego di una massicciata robusta, disposta sulla sede stessa, permette di ridurre la larghezza della via a quanto è necessario per le esigenze del carreggio e della costruzione di opere d'arte (ponti, gallerie, muri di sostegno). L'adozione di razionali curve di ritorno e di movimenti di terra, libera dal servile adattamento agli ostacoli del suolo e mantiene le pendenze entro i limiti compatibili con le necessità dei commerci.
Ogni popolo, si può dire, fino dagli albori della sua civiltà, ha costruito vie di questa natura. Intorno a queste strade antichissime si hanno però notizie vaghe e sommarie. Minore oscurità regna sulle vie greche e su quelle romane. Nelle vie greche si ebbero talvolta due o quattro scanalature parallele, nelle quali si venivano a impegnare le ruote dei veicoli, scanalature che si ritiene corrispondano a un primo rozzo e imperfetto tentativo di ottenere quell'intimo legame cinematico tra il veicolo e la via che verrà poi raggiunto nelle strade ferrate.
Omero parla di strade "ben pavimentate", e commento alle sue parole offrono alcune strade di Cnosso, di Troia e di altre località fiorite in età minoico-micenea. A Cnosso, su una fondazione di blocchi di pietra, annegati in una malta di gesso e argilla, era uno strato di terra, sopra il quale veniva a posare il rivestimento esterno: due file di basoli nel mezzo per i carri, e pezzi più piccoli di calcare ai lati.
Rispetto alle strade di questo periodo rappresentano una decadenza le strade dei Greci, i quali assai spesso si contentavano di facilitare il movimento dei carri spianando o incastrando nel terreno, soprattutto se di natura rocciosa, le due guide per le ruote, e lasciando il resto della pista allo stato naturale o al più livellandolo alla meglio con ghiaia o sabbia.
Per superare forti pendii non era raro il caso di strade-scale (κλίμακες), alcune volte tagliate nella roccia, altra volta costruite con piccole pietre. Più tardi invece, quando poterono, i Greci evitarono di fare strade diritte in salita: giravano piuttosto intorno alla collina che era da superare, cercando di ridurre al minimo la pendenza della strada. A passare tratti di terreno paludoso usarono dighe di terra. Qualche cosa di analogo sembra facessero anche i Cartaginesi, dei quali alcuni tardi eruditi dicevano, a torto, che avevano per primi conosciuto le strade pavimentate.
Fuori del mondo classico, nella Mesopotamia, quando le strade avevano una pavimentazione, e ciò avveniva piuttosto di rado, questa era fatta o di mattoni cotti un ti con bitume, o di lastre di calcare.
I più sapienti costruttori di strade nell'antichità furono peraltro i Romani.
Con le frasi viam sternere, struere, instituere, munire, i Romani indicavano la costruzione di una strada, tenendo presente soprattutto la sua pavimentazione.
I Romani, finché ebbero un territorio ristretto, lasciarono le vie a fondo naturale, o tutto al più usarono imbrecciate di ghiaia; e le tracciarono di preferenza a dorsale di collina, in modo da avere un displuvio naturale per le acque e di ridurre al minimo la manutenzione, secondo i principî che avevano forse appreso dagli Etruschi.
Tuttavia, fra le vie etrusche e quelle romane esiste una differenza sostanziale: le prime seguono di preferenza le quote del terreno, salendo le colline a zig-zag e tagliandole soltanto nei punti più aspri, dove il fondo naturale era costituito dalla roccia viva; le seconde invece mirano ad abbreviare il percorso il più possibile.
Esse, infatti, s'inerpicano con pendenze fino al venti per cento (Via Trionfale al Monte Cavo) su per i terreni montuosi, con lo scopo di mantenere la linea retta, guadano i fossi e s'incuneano nelle valli, contendendo il passo ai fiumi (Via Flaminia lungo il corso del Metauro, Via Salaria lungo il Tronto e Via Claudia-Valeria lungo l'Aterno).
Dove occorreva girare le colline a mezza costa, i Romani non seguivano di solito il sistema etrusco d'incassare la via fra due sponde di roccia, ma preferivano di incidere un gradino nel fianco del colle e sostenerlo a valle con poderose mura. La Via Appia, nei pressi di Terracina, offre in questo l'esempio migliore; né va dimenticata la Via Valeria-Flacca, tra Sperlonga e S. Agostino, esempio arditissimo di una strada tagliata in una parete quasi a picco, in età contemporanea o di poco posteriore alla Via Appia. Gli esempî si moltiplicano nell'età imperiale, specialmente per opera di Traiano, che fu il più grande restauratore e riorganizzatore delle vie romane, non solo in Italia, ma in molte parti dell'impero e soprattutto nelle nuove provincie dell'Arabia e della Dacia: sulla sponda destra del Danubio, presso le Porte di Ferro, egli tracciò quella via mirabile che conserva ancora in un cartello inciso il suo nome (tabula Traiana).
Il pavimento di una strada su fondo normale si componeva di tre o quattro strati sovrapposti, che ne assicuravano la perfetta stabilità, anche sotto un traffico intenso: si cominciava col tracciare due piccoli fossi paralleli (sulci), alla distanza corrispondente alla larghezza della via, e in questi si ponevano delle pietre per alto, più o meno squadrate, che formavano le crepidines o marciapiedi. Lo spazio intermedio (agger) si scavava per una profondità variabile da 60 cm. a un metro (raramente di più) fino a raggiungere il terreno sodo, e su questo si poneva un primo strato (statumen) di pietre dure, spezzate in frammenti abbastanza grandi e talvolta uniti con calce; al disopra di questo si deponeva un secondo strato (rudus o ruderatio) di pietre più piccole, pezzi di coccio e calcinaccio, che veniva solidamente battuto; quindi venivano adagiati i grandi massi quadrangolari di calcare o i poligoni di selce, avendo cura che le giunture combaciassero esattamente fra loro; poiché solo la superficie estema era levigata e le altre erano lasciate grezze, fra la ruderatio e il summum dorsum veniva interposto uno strato di sabbia fine, detto nucleus, che permetteva ai massi di allettare perfettamente sulla fondazione.
Questo sistema descritto da Vitruvio (V. II, 1, 1 segg.) per i pavimenti degli edifici, era adoperato nelle viae silice stratae, mentre le viae glarea stratae, in luogo dei grandi blocchi di pietra avevano una massicciata formata di breccia e sassi uniti con calce e deposti direttamente sulla ruderatio, senza il nucleo sabbioso di allettamento. Il primo caso è quello delle grandi vie consolari, o viae publicae, in Italia e in qualche altra regione, mentre il secondo si trova usato di preferenza nelle provincie e in Italia stessa per le vie di secondaria importanza.
In Etruria nelle vie incassate nelle colline, e nella parte a monte di esse, si trova spesso una fossa per raccogliere l'acqua piovana ed evitare che le vie si tramutassero in torrenti; nelle vie romane questo pericolo era eliminato mediante uno studio più accurato del percorso e con l'inclinazione della pavimentazione sui due fianchi. Quando una via attraversava un terreno paludoso, come ad esempio l'Appia nelle Paludi Pontine, la Ostiense presso Ostia, e la Traiana in molti punti della costa adriatica, si procedeva dapprima alla costruzione di una palizzata per tutta la parte esposta alle inondazioni, con fiancate di salda opera quadrata, sulle quali poggiavano poi i margines, e nel mezzo si eseguiva la pavimentazione descritta più sopra. Non è raro il caso di pavimenti rifatti due o tre volte, lasciando gl'inferiori come fondazione, in seguito a cedimento del terreno o ad innalzamento del livello esterno.
Per evitare che i carri montassero dall'agger sulle crepidines s'incastravano in queste, alla distanza di 3 0 4 metri, delle pietre più alte, dette gomphi, di forma conica (paracarri). L'agger aveva una larghezza variabile, anche in una stessa via, a seconda dell'intensità del traffico: generalmente questa era considerata per due carri in senso opposto, cioè m. 2,35, oltre m. 0,60 per ogni marciapiede; poteva però aumentare fino a 4 carri (m. 4,70), ma solo sui ponti, nelle voltate più brusche e nei punti di riposo delle bestie. La Via Appia solo raramente sorpassa la larghezza di m. 3,60, che corrisponde a 12 piedi e serve al passaggio di tre carri insieme, oltre ai margini di m. o,90 ciascuno. In salita poi la carreggiata diminuiva fino a m. 1,75, per le vie vicinali e provinciali, e a poco di più per le vie consolari.
Un lungo periodo di stasi e poi di regresso s'inizia con la caduta dell'impero d'occidente e con le invasioni dei barbari. La mancanza di un potere centrale, rispettato, forte e riconosciuto, l'anarchia e le continue guerre imperversanti in tutta Europa mantengono e aggravano questo infelice stato di cose e frustrano i ripetuti tentativi dell'impero e della Chiesa per porvi un riparo, salvo in qualche località, dove l'azione veniva integrata dalle iniziative delle città e dei comuni tendenti a favorire con sicure e comode comunicazioni l'accesso ai loro mercati.
La tradizione dei costruttori stradali romani si smarrisce nel Medioevo, lasciando qualche rara traccia nelle disposizioni di carattere legale e amministrativo. Il tracciato delle strade peggiora in modo sensibile. Le opere d'arte invece, superato un transitorio periodo di decadenza nei bassi tempi, migliorano in modo continuo e divengono sotto qualche aspetto superiori a quelle romane. È stato costruito fra il 1370 e il 1378 quel meraviglioso ponte di Trezzo con un solo arco di 72 m. di corda, che è rimasto fino quasi ai giorni nostri esempio insuperato di arditezza.
I veicoli, rozzi e rudimentali per buona parte del Medioevo e poco usati nel trasporto delle persone, migliorano alquanto verso la fine di quest'era. Le nozioni teoriche intorno al carreggio si estendono e si rischiarano alquanto. Leonardo da Vinci nel Codice Atlantico riconosce l'esistenza dell'attrito volvente. Alcune pagine dello stesso Codice sono dedicate ai movimenti di terra; vi sono elencati i varî mezzi di trasporto (paleggio, barelle, carriole, carri e congegni funicolari); e vi è discusso il paleggio con larghezza e con molto acume.
"La crisalide della farfalla moderna", come ha scritto il Curti-Pasini, s'inizia però soltanto con il sec. XVII, e cioè dopo una parentesi di mille e quattrocento anni circa di quasi letargo di tutta la viabilità terrestre. Fra il 1600 e il 1650 si costruiscono i primi nuovi tipi di carrozze. Con i primi anni del sec. XVIII le vetture diventano migliaia; incominciano i primi servizî postali; nascono i primi regolamenti per la circolazione; si attuano i primissimi perfezionamenti stradali. Nel 1716 viene organizzato in Francia da J.-R. Peronnet il corpo degl'ingegneri di ponti e strade. Nel sessantennio che sta a cavallo fra il Settecento e l'Ottocento operano gl'ingegneri P.-H.-J. Trésaguet, J. L. Mac-Adam e Th. Telford, i grandi tecnici e riformatori della viabilità francese e inglese. E Napoleone, come già altri antichi famosi capitani, ha lasciato la sua impronta anche nelle costruzioni stradali.
Nel sec. XIX i trasporti terrestri ricevono un forte impulso dagli sviluppi delle industrie, dal rifiorire dei commerci e dalle nuove invenzioni; ma più che le strade ne traggono vantaggio i traffici fluviali e marittimi e soprattutto i nuovissimi traffici ferroviarî. Nel 1807 appaiono i primi battelli mossi dal vapore; nel 1825 viene inaugurata in Inghilterra la prima rudimentale ferrovia in servizio pubblico, e nella seconda metà dell'Ottocento le ferrovie si sviluppano in Europa e in America in modo grandioso. Le strade invece sono neglette per un lungo periodo. Ma poi tornano a rifiorire. Tra il 1890 e il 1900 appare e comincia ad affermarsi vittoriosamente l'automobile, a cui la strada deve il suo attuale splendore. Nei primi anni del sec. XX lo sviluppo della trazione meccanica sulle strade è un po' lento; ma durante e dopo la guerra mondiale assume un ritmo assai rapido. Con la trazione meccanica che si aggiunge alla trazione animale sulle strade sorgono molti problemi tecnici e s'impongono miglioramenti particolarmente nella soprastruttura. È tutto un rifiorire di studî sulla vecchia strada, che si avvia a prendere una parziale rivincita sulla ferrovia, sviluppatasi anch'essa moltissimo. In Italia lodevole opera pioniera in favore del miglioramento stradale è svolta, a partire dal 1900, dal Touring Club. Il primo Congresso internazionale della strada fu inaugurato alla Sorbona a Parigi nell'ottobre del 1908. Le conquiste della tecnica stradale appartengono tutte al sec. XX. Negli Stati Uniti, il Bureau of Public Roads viene fondato nel 1897, ma incomincia a funzionare seriamente soltanto dopo la legge del 1916. In Italia la costituzione dell'Azienda autonoma statale della strada è del 1928. Quale azione abbia prontamente sviluppata l'azienda stessa dicono le condizioni attuali delle strade di grande comunicazione italiane ammirate da tutto il mondo. E il lavoro prosegue senza soste, con nobile gara, anche nelle provincie e nei comuni. La tradizione romana illumina e sospínge. Ad essa sono indubbiamente legate nello spirito le recenti autostrade e le recentissime camionabili, di origine e di sviluppo prettamente italiani.
Tecnica della costruzione stradale odierna. - Tracciato. - Il tracciato di una strada, ovvero il suo andamento planimetrico e altimetrico, è studiato in base a considerazioni geometriche e a considerazioni d'ordine diverso, indipendenti affatto dalla geometria. Di qui, spesso, la difficoltà della risoluzione del problema.
In generale sono fissati i punti obbligati del tracciato stesso, cioè i punti per i quali la strada deve passare. Nel caso più semplice possono essere due soli: l'inizio e la fine.
Evidentemente per lo studio occorre la conoscenza del terreno nella zona interessata dalla strada. Tale conoscenza va intesa nel senso generale. Occorre cioè conoscere l'andamento della superficie del terreno, ossia l'andamento del suolo, e anche il soprasuolo e il sottosuolo. Non vi sono difficoltà a conoscere e rilevare il soprasuolo. Problema assai delicato invece è la conoscenza del sottosuolo, alla cui natura sono legate tutte le condizioni di stabilità delle opere costituenti il corpo e la sede stradale. Per tale conoscenza possono valere le induzioni geologiche, ma per i lavori più importanti e per le deduzioni più sicure si ricorre agli assaggi diretti, ossia alle esplorazioni del sottosuolo mediante pozzi, sondaggi e trivellazioni, allo scopo di accertare le effettive qualità dei terreni da attraversare coi lavori e di proporzionarne quindi tutte le modalità costruttive. Particolare importanza assumono tali accertamenti rer le opere di fondazione in genere, per le grandi trincee, per le gallerie e per le opere di consolidamento, soprattutto per queste ultime nei terreni franosi. La tecnica dei sondaggi e delle trivellazioni ha assunto, sotto questo punto di vista, dal principio del secolo attuale, importanza assai notevole.
La necessità della conoscenza dell'andamento della superficie del terreno nella zona dove si dovrà costruire la strada, porta allo sviluppo di tutte le operazioni topografiche e geodetiche di rilevamento per ottenere la rappresentazione geometrica del terreno stesso, alla quale sono legati tutti i problemi geometrici del tracciato. Tale rappresentazione del terreno si può fare per mezzo del piano quotato, che è in generale il risultato del rilievo celerimetrico, per mezzo di un piano a curve di livello, piano dove sono segnate le curve risultanti dalle intersezioni della superficie del terreno con piani orizzontali equidistanti, oppure per mezzo di un profilo longitudinale, secondo un asse, e di una serie di sezioni o profili trasversali opportunamente scelti. Attualmente il piano a curve di livello orizzontali, ottimo e sempre usato per lo studio di massima dei tracciati, può essere ottenuto, anziché dal piano quotato rilevato o celerimetricamente o con metodo misto (celerimensura e topografia elementare), direttamente dai rilievi fatti a mezzo della fotogrammetria e dell'aerofotogrammetria, i quali si vanno sempre più diffondendo.
Il piano quotato (in scala di 1 a 500, di 1 a 200 o di 1 a 100) serve soprattutto per studî di dettaglio.
Il piano a curve di livello (in scala di 1 a 25.000, come nelle carte dell'Istituto geografico militare, ma più comunemente nella scala di 1 a 10.000, di 1 a 5000, e specialmente nella scala di 1 a 2000 e di 1 a 1000 con curve di livello equidistanti solitamente e rispettivamente di 25, 10, 5, 2 e 1 metro) serve sempre per i progetti di grande massima o di massima.
La rappresentazione a profilo longitudinale e sezioni trasversali serve soprattutto per i progetti definitivi o esecutivi. Essa è quella che meglio si presta a definire geometricamente una zona di terreno molto estesa in senso longitudinale e poco o pochissimo in senso trasversale, com'è quasi sempre quella che interessa un tracciato stradale. Il profilo longitudinale viene comunemente disegnato con scala di 1 a 2000 o di 1 a 1000 per le ascisse e in scala decupla per le ordinate (1 a 200 o 1 a 100). Le sezioni trasversali sono solitamente disegnate nella scala di 1 a 200, di 1 a 100 o di 1 a 50.
Per studiare il tracciato di una strada su una planimetria a curve di livello orizzontali (caso più comune) è necessario fissare preventivamente, in relazione alle esigenze locali soprattutto, i valori da assegnarsi alle pendenze e ai raggi delle curve.
Si distinguono solitamente tre categorie di strade: di pianura, di collina e di montagna. I valori delle pendenze aumentano e i raggi delle curve diminuiscono con l'aumentare delle accidentalità del terreno. Per strade comuni (di larghezza variabile, secondo il tipo e le necessità locali, da m. 4 a m. 8) la pendenza massima in pianura può essere in generale del 3% (3 m. di dislivello su m. 100 di sviluppo orizzontale); in collina del 5%; in montagna del 7% e anche del 9%. I raggi minimi delle curve rispettivamente di metri 50, m. 20 e m. 10. Nulla di assoluto nei valori indicati, i quali servono solo a fissare alcuni dati medî. Occorre subito avvertire che non devono mai coesistere nel tracciato, per ovvie ragioni, le pendenze massime con i raggi minimi.
Stabiliti i punti obbligati del percorso, fissati i limiti delle pendenze e dei raggi delle curve, il problema geometrico della determinazione del tracciato su un piano a curve di livello è facile. Si tratta soprattutto, nei casi di dislivelli notevoli fra i punti obbligati, di determinare, in base alla pendenza ed al dislivello, lo sviluppo occorrente. Tale sviluppo è dato evidentemente dal rapporto tra il dislivello e la pendenza. Lo sviluppo stesso viene segnato sulla planimetria con una serie di rettilinei e di curve circolari, che seguono, per quanto è possibile, l'andamento del terreno. Quando si tratta di salire o di scendere in estesi versanti a notevole pendio si hanno naturalmente sviluppi con molte curve di ritorno o serpentine o tourniquets.
E chiaro che il problema non ha un'unica soluzione in generale, ma ne ha molte. Il progettista deve scegliere la migliore o una delle migliori, tenendo presenti tutte le condizioni e i dati del caso. Il problema stesso, come si è avvertito, non è però unicamente geometrico. Talvolta le soluzioni geometriche debbono subire variazioni planimetriche e altimetriche notevoli per speciali ragioni, ad es. per l'attraversamento non a raso di altre strade o di ferrovie, per la migliore ubicazione di un'importante opera d'arte, per evitare terreni cattivi o franosi, per avere la migliore esposizione, per evitare le livellette orizzontali prolungate nelle trincee e per tante altre ragioni di ordine locale che il progettista deve considerare caso per caso, modificando, dove e come occorre, il tracciato geometrico. In quest'ordine di idee si appalesano spesso le difficoltà maggiori per la buona determinazione del tracciato.
Stabilito il tracciato stesso sulla planimetria a curve di livello, come si è supposto, individuatone cioè l'andamento planimetrico (con la planimetria) e l'andamento altimetrico (col profilo longitudinale) si riporta sul terreno con i metodi della topografia l'asse studiato, picchettandolo, e si procede ad eventuali varianti o spostamenti che risultano opportuni, rilevando poi direttamente sul terreno il profilo longitudinale definitivo e tutta la serie dei profili o sezioni trasversali necessarî per individuare il terreno stesso in relazione agli studî e ai computi per il progetto esecutivo, secondo il metodo di rappresentazione già accennato.
Talvolta per costruzioni economiche (ad es., per strade comunali e forestali) o per costruzioni di carattere urgente (ad es., strade militari) l'asse del tracciato viene fissato direttamente sul terreno anziché sulla planimetria a curve di livello, usando anche strumenti particolari quali i clisimetri o clisigonimetri e le livellette speciali del Genio militare. Risulta chiaro che così facendo lo sviluppo degli studî si può semplificare. Il problema potra risultare risolto con approssimazione minore, ma sempre sufficiente allo scopo.
L'asse definitivo di una strada moderna di qualche importanza viene attualmente perfezionato in corrispondenza alle curve e ai cambiamenti di livelletta. Particolarmente per le forti velocità consentite dalla trazione meccanica che dànno notevoli forze centrifughe sulle curve, il passaggio da un rettilineo a una curva circolare avviene con l'interposizione di una speciale curva di raccordo a raggio di curvatura variabile gradualmente. Per di più la piattaforma stradale viene in corrispondenza convenientemente rialzata verso l'esterno. E così anche nei cambiamenti di livelletta viene interposto un raccordo, che può essere parabolico, per ovviare agli inconvenienti derivanti dal passaggio brusco da una livelletta all'altra a forte velocità. Tutte queste disposizioni richiamano quelle che erano già prima state introdotte per le strade ferrate.
Le forti velocità, in relazione ai veicoli correnti sulla strada nei due opposti sensi, hanno imposto anche condizioni limiti di visibilità, particolarmente per le curve più ristrette. Tali condizioni sono sempre assicurate nelle nuove costruzioni e si sono ottenute anche su molte strade vecchie con speciali provvedimenti di sbancamento verso l'interno e di creazione di banchine di visuale libera.
Dal punto di vista del tracciato si può dire che le strade meno importanti, per le quali sono consentite pendenze forti e piccoli raggi di curvatura, sono quelle che meno si scostano sull'asse dall'andamento del terreno, tanto che in alcuni casi l'asse può quasi sposare il terreno stesso. Per queste sono ridotti al minimo i lavori e movimenti di terra e piccola importanza hanno in generale le opere d'arte. All'aumentare per contro dell'importanza della strada (e cioè passando, ad es., dal caso d'una modesta strada comunale di montagna ad una strada statale di grande traffico o addirittura ad una camionale o ad un'autostrada) aumentano inevitabilmente, e per le pendenze più miti e per i grandi raggi, gli scostamenti dell'asse dal terreno e quindi i movimenti di terra e l'importanza delle opere d'arte (muri di sostegno, ponti, gallerie).
Talvolta si presentano come buone parecchie soluzioni per il tracciato e non si può decidere subito sulla scelta della preferibile. Sorge allora il problema del confronto dei tracciati, che può essere risolto tenendo presenti le rispettive spese di costruzione, di manutenzione e di esercizio. I principî fondamentali fissano che il migliore tracciato è quello che dà luogo alla minima somma per le indicate spese. Non è facile la risoluzione del problema dal punto di vista generale, soprattutto in quanto non è facile stabilire preventivamente l'entità del traffico presumibile per la strada da costruire. Qualora si tratti di strade di limitata importanza, a piccolo traffico, prevale evidentemente nel confronto la spesa di costruzione e si sceglie fra i diversi tracciati (con limiti pressoché uguali di pendenze e di curve) quello che comporta la minore spesa di costruzione. Quando invece si tratta di strade molto importanti a grande traffico, il confronto delle soluzioni diverse può portare alla valutazione per le spese di esercizio delle lunghezze virtuali, analogamente a quanto si fa per le strade ferrate, ossia alla determinazione della lunghezza ideale rettilinea e orizzontale equivalente per l'esercizio nel complesso, o per il lavoro dinamico o per le resistenze, ecc., a quella di ognuno dei tracciati da confrontare. Evidentemente si sceglierà il tracciato di lunghezza virtuale minore. Da questo punto di vista si ricorda, ad esempio, che si hanno nei manuali degl'ingegneri dati per calcolare la lunghezza virtuale delle strade in pendenza agli effetti del consumo di combustibile degli autoveicoli industriali.
Sede o corpo stradale. - La strada nel complesso va considerata nelle sue due parti, che si denotano l'una come corpo o sede stradale, l'altra come soprastruttura e che è costituita essenzialmente dalla pavimentazione. Tutte le opere della prima parte rientrano nelle cinque categorie seguenti: . lavori di terra; 2. opere di sostegno; 3. ponti e opere d'arte affini e speciali (tombini, acquedotti, ponticelli, ponti, viadotti, cavalcavia, sottovia, ecc.); 4. gallerie; 5. opere di difesa e di consolidamento.
Per la sede o corpo stradale, eccettuata l'influenza esercitata dal fatto che i veicoli a trazione meccanica sono più pesanti e molto più veloci degli antichi, si può ritenere che non siano intervenute nella costruzione radicali modificazioni rispetto alle costruzioni antiche, a parte l'adozione del cemento armato e non armato nelle opere murarie. L'influenza dei maggiori carichi e delle maggiori velocità non cambia però essenzialmente il problema della costruzione di una sede stradale.
Le modificazioni radicali che si sono imposte e che vanno sempre più imponendosi col diffondersi della trazione meccanica riguardano la seconda parte della strada, e cioè la soprastruttura o pavimentazione, come sarà esposto più innanzi.
Lavori di terra. - Riguardano essenzialmente nelle strade l'apertura delle trincee e la costruzione dei rilevati. Per formare il corpo stradale comune si ricorre cioè ai lavori di terra, che consistono nello scavare la terra in tutte quelle zone nelle quali la piattaforma stradale è inferiore alla superficie del terreno, oppure in apposite cave di prestito, per trasportarla suceessivamente in tutte quelle altre zone nelle quali la piattaforma stradale è invece superiore alla superficie del terreno. Due sono quindi le fasi che i lavori di terra comportano in ogni circostanza, e cioè l'escavazione e il trasporto.
L'escavazione della terra si può fare a mano o, qualora la qualità e la quantità della terra lo permettano, mediante apposite macchine.
Nell'escavazione a mano si ricorre alla pala in presenza di terreni sabbiosi o sciolti, e alla zappa oppure al piccone in presenza di terreni dotati di una certa coesione (quali possono essere le argille asciutte, le marne, talune brecee tenere, ecc.). Per le rocce fessurate si può invece ricorrere al cuneo, alla mazza e alla leva, mentre per le rocce compatte l'unico mezzo pratico di cavatura è sempre quello delle mine. Dalla necessità di ricorrere ad uno di questi utensili piuttosto che a un altro, deriva anzi una classifica delle terre, in terre da paleggio, terre da zappa, terre da piccone e terre da mina. In un'ora un operaio può scavare allo scoperto da 0,2 fino a quasi 2 mc. di terra; la prima cifra si riferisce a rocce compatte, mentre la seconda si riferisce a sabbie sciolte e asciutte; se si tratta di lavori in galleria queste cifre limiti vanno divise per 2 e anche per 3, a causa delle disagiate condizioni nelle quali il lavoro si svolge.
L'escavazione a mano è quindi un'operazione piuttosto lenta e costosa, che impiega molta mano d'opera, e che in genere non risulta opportuna per ingenti cavature. Per lavori di una certa importanza, quali si possono avere nella costruzione di autostrade, di ferrovie, di canali di bonifica, ecc., risulta pertanto più opportuna l'escavazione meccanica, a mezzo degli escavatori a benna, degli escavatori a cucchiaia o delle draghe (v. escavatrici, macchine).
Con l'escavazione le terre perdono parte della loro coesione e aumentano di volume. Questo aumento, che è quasi insignificante per le sabbie, risulta del 10÷20 per cento per le terre da zappa, e sale sino al 40÷50 per cento per le rocce frantumate. Nei rilevati la coesione perduta, anche sotto la sola azione della gravità e delle acque d'infiltrazione, tende a ripristinarsi; l'altezza di un rilevato è quindi soggetta a diminuire col tempo da 1/10 a 1/20 e, qualora si voglia evitare o ridurre il cedimento, è necessario ricorrere a particolari avvertenze, quali la costruzione del rilevato per piccoli strati successivi ben pilonati, lo scarto delle materie meno idonee, l'interposizione di speciali diaframmi di muratura a secco, ecc.
Dopo l'escavazione, come già s'è avvertito, la terra deve essere trasportata a formare i rilevati del corpo stradale. I mezzi possibili di trasporto sono molti, e sulla loro scelta influiscono quattro fattori: il volume di terra da trasportare, la distanza media del trasporto, la pendenza della via da percorrere e il tempo concesso per l'adempimento del lavoro. Per ordine crescente di potenzialità questi mezzi sono il paleggio, il trasporto con ceste, gerle o con barelle, il trasporto mediante carriuole, il trasporto con carrette a mano, il trasporto con carri trainati da cavalli, il trasporto con camioncini a cassa ribaltabile, e i trasporti su binarietti e mediante vagoncini Decauville.
Il paleggio serve bene per piccole distanze di trasporto, come accade, per es., in tutti quei casi di sezioni a mezza costa nei quali della terra scavata a monte debba essere trasportata a valle nel senso trasversale all'asse della strada. Un operaio può paleggiare in un'ora, a uno sbraccio, circa due metri cubi di terra sciolta; lo sbraccio orizzontale è di circa tre metri; e la convenienza del paleggio è limitata a massimi di 3÷4 sbracci. Il paleggio può servire bene anche per trasporti in senso verticale, nel qual caso però lo sbraccio si riduce a circa m. 1,60. I trasporti con ceste o con barelle sono generalmente caduti in disuso. Resta invece la carriuola, la cui capacità è in Italia di 40 litri e che un manovale può spingere, in piano, e su terreno discretamente sistemato, a velocità medie di 2,5÷3 km./ora. In cantieri aventi uno spazio limitato, per volumi di terra modesti e soprattutto per distanze non troppo grandi (e si può precisare sino ai 50÷60 m.), la carriuola può rendere ancora utilissimi servizî, come pure li possono rendere, per valori un po' più importanti, le carrette a mano e i carri a trazione animale, con i quali ultimi si può arrivare economicamente sino a distanze di qualche centinaio di metri. Negli ultimi anni, l'alto costo della mano d'opera e il relativo basso costo delle macchine, accoppiati con la grandiosità crescente dei lavori di terra e con la necessità di eseguirli nel più breve tempo possibile, hanno contribuito a sviluppare in tutti questi lavori l'uso dei trasporti meccanici con autocarri leggieri e con i binarietti Decauville. Gli autocarri hanno di solito casse metalliche ribaltabili automaticamente, con portate da 15 a 40 q. (pari a volumi da 1 a oltre 2 mc.), e velocità massime di 50 km./ora; in Italia, però, non risultano generalmente più economici della trazione animale, ma rispetto ad essa presentano il vantaggio di poter trasportare a parità di tempo, appunto perché più veloci, una maggiore quantità di terra, ovvero, come si dice, di avere una più grande prestazione giornaliera. I vagonetti delle ferrovie Decauville hanno invece più di frequente uno scartamento di 600 mm. e capacità di 0,50-0,75 mc.; per volumi di circa 30 mila mc. conviene già far rimorchiare i vagonetti, in treni di 20÷30 unità, da locomotori a olio pesante della potenza di 10÷20÷35 cav.; per volumi minori e per distanze non eccessive, la trazione dei vagonetti si può fare più semplicemente a braccia d'uomo o a cavalli e con treni di sole 2÷3 unità. Il trasporto su binarietti, appena il lavoro di terra sia di una certa importanza, costituisce il sistema di gran lunga più economico e spedito; esso richiede però una opportuna installazione delle rotaie e una pendenza appena sentita (con il 30 per mille l'economia del trasporto è già notevolmente ridotta). Gli autocarri e i carri a trazione animale hanno per contro possibilità più libere di percorso e sono meno sensibili ai valori della pendenza su cui il trasporto si deve effettuare.
Negli Stati Uniti, dove i carburanti costano assai meno che in Europa e dove la mano d'opera è assai più cara, i lavori di terra si eseguiscono anche con congegni di tipo modernissimo, come sono, per es., gli elevating graders e ball wagons, i quali nei terreni incoerenti provvedono contemporaneamente o quasi, a rimorchio di un trattore, tanto a scavare che a caricare e a trasportare la terra.
A ogni modo, per tutti i trasporti eseguiti su binarî provvisorî di tipo Decauville, l'escavazione della terra nelle trincee deve essere organizzata con cura, allo scopo di accrescere al massimo il rendimento delle operazioni di carico e di manovra dei treni, i quali non possono spostarsi che sulla rigida linea della sede metallica predisposta. I sistemi più noti di organizzazione di questi cantieri di escavo sono tre: quello dell'attacco in cunetta, quello dell'attacco in superficie o laterale e quello dell'attacco mediante pozzi verticali (noto anche con il nome di sistema inglese; fig. 3 in A, B, C rispettivamente).
Nel primo sistema si scava prima la cunetta S1, posta al centro della trincea e spinta sino alla profondità della piattaforma stradale, e poi, collocato nel fondo della cunetta il binario Decauville, si provvede all'abbattimento successivo dei volumi S2, S3, S4, ecc., caricando la terra sui vagoncini rispettivamente nei punti 2, 3, 4, ecc. Nel secondo sistema la trincea, anziché sulla sola fronte, viene ad essere attaccata in tutta la sua lunghezza, impiantando dapprima il binarietto nella posizione S1 e facendo luogo all'escavo S2; rimosso poi il binario, con lo spostarlo a mezzo di leve da S1 in S2, si scavano i volumi S3 e S4; quindi si fa luogo a un secondo spostamento del binario da S2 a S3, dopo di che si continua a procedere nel modo già descritto sino all'esaurimento di tutta la sezione trasversale. Infine, con il terzo sistema, si predispongono come prima cosa un cunicolo, di sezione sufficiente per il transito della Decauville e per il movimento degli operai, e nel piano verticale del cunicolo una serie di pozzi verticali, e successivamente, allargando i pozzi dall'alto, si determina lo scoscendimento delle terre lungo i pozzi e il caricamento automatico dei materiali nei sottostanti vagoncini. L'attacco in cunetta è conveniente per trincee di profondità inferiore ai 3÷4 metri; l'attacco in superficie o laterale si presta alla formazione di cantieri molto estesi, ma presenta l'inconveniente dei continui spostamenti del binario; per ultimo l'attacco mediante pozzi non ha più tale inconveniente, ma, data la delicata e costosa predisposizione del cunicolo e dei pozzi, si dimostra prudente ed economico solo per certe determinate qualità di terre molto omogenee e per sezioni d'escavo molto grandi.
Concettualmente, gli stessi principî informatori valgono anche per la formazione dei rilevati, i quali si possono dunque eseguire mediante scarichi frontali, mediante scarichi laterali oppure mediante scarichi da ponti ai servizio fissi o mobili. Pure all'incirca eguali sono le considerazioni sull'opportunità di servirsi di un sistema piuttosto che d'un altro. Di tali sistemi ci si limiterà perciò a fornire le semplici delucidazioni grafiche (fig. 4 in A, B, C e D). I ponti mobili di cui in D, per la loro stessa forma, sono stati battezzati sui cantieri con il nome assai noto di balene. Resta soltanto da osservare che, rispetto alla stabilità dei rilevati, uno dei sistemi più opportuni sembra essere quello dei ponti fissi, che rimangono annegati nel corpo della strada e che gli Americani hanno applicato per altezze superiori anche ai 30 metri. Con siffatto sistema non si hanno nel corpo del rilevato quei piani di scorrimento, longitudinali o trasversali, che con gli altri metodi derivano talvolta dai successivi versamenti delle terre; ma si è peraltro costretti, per la costruzione dei ponti fissi, a un supplemento di spesa che può essere in genere accettato soltanto nei paesi molto ricchi di legname.
Nella formazione dei rilevati, il suolo che costituisce la base dev'essere dapprima accuratamente preparato, liberandolo dalle erbe, dai cespugli e da ogni altra specie di vegetazione. Se il terreno è pianeggiante o quasi, la superficie su cui poggia il rilevato dovrà poi essere arata, affinché il corpo stradale s' immedesimi meglio con il terreno. Nei casi di una certa inclinazione trasversale, il terreno dovrà invece essere preparato a gradoni alti circa 30 cm. e aventi una declività opposta a quella del terreno.
In sede di progetto, per il computo metrico dei volumi di terra si segue quasi sempre il metodo approssimato delle sezioni ragguagliate, il quale metodo, se è applicato con accorgimento, conduce a valori assai prossimi ai reali. L'approssimazione dei risultati globali è in generale per eccesso, e l'errore si può contenere facilmente al disotto del 5 per cento. Il corpo stradale progettato viene rappresentato dapprima con una serie di sezioni trasversali opportunamente scelte e collocate a distanze variabili, per es., da 10 a 20 e più metri. Disegnate le sezioni trasversali nella scala di 1:100 oppure di 1: 200 e calcolatene le aree con metodi geometrici o tabellari o grafici o meccanici, l'applicazione della regola delle sezioni ragguagliate può dar luogo a cinque casi distinti. Il caso più semplice è che le due sezioni contigue siano omogenee, ossia che entrambe siano in sterro oppure che entrambe siano in riporto. In tale circostanza, se indichiamo con A1 e A2 le aree delle due sezioni e con d la loro distanza orizzontale misurata sempre in corrispondenza dell'asse, il metodo delle sezioni ragguagliate ci fornisce il volume V del corpo stradale compreso fra le due sezioni con la seguente formula:
A questo si possono poi ricondurre gli altri quattro casi, che contemplano la cubatura di un tronco stradale compreso fra due sezioni eterogenee.
Per la stima dei lavori di terra, oltre al computo metrico dei volumi è poi necessario talvolta anche lo studio della distribuzione delle terre, la quale può comprendere in generale dei compensi trasversali, dei compensi longitudinali, dei depositi e dei prestiti, a seconda che il movimento delle terre dalle zone di escavo alle zone di riporto avvenga rispettivamente in direzione normale o parallela all'asse della strada, oppure fra il corpo stradale e talune zone a esso estranee. Lo studio suddetto conduce a fissare i cantieri di lavoro, e per ogni cantiere il volume di terra da trasportare e il valore della distanza media a cui la terra va trasportata: elementi, questi ultimi, che sono poi sufficienti, insieme a talune speciali analisi, a precisare il costo di qualsiasi movimento di terra.
Tale studio sulla distribuzione delle terre può essere svolto in modo veramente elegante ricorrendo a un metodo grafico, il quale conduce al tracciamento di due classici diagrammi: il diagramma delle masse e il diagramma dei momenti. Data però la complessità dell'indagine, l'applicazione del metodo non si è generalizzata nella pratica che per brevi e importanti tronchi.
Più di frequente le pubbliche amministrazioni sogliono stabilire un prezzo unico per metro cubo di terra scavata, caricata e trasportata, senza tener conto né delle diverse qualità del terreno né dei mezzi di trasporto, la scelta dei quali ultimi viene lasciata interamente libera alle imprese. Le imprese sono poi portate a valutare meglio i diversi fattori così trascurati, nell'offrire i ribassi d'asta. Qualche altra volta, invece, i prezzi base stabiliti dalle stazioni appaltanti sono due: uno per le terre da scavare e uno per i rilevati da costituirsi con materiali provenienti dall'apertura di cave di prestito.
Opere di sostegno. - Spesso per ragioni di stabilità e di economia a causa della forte pendenza trasversale del terreno e anche per altre ragioni sono accoppiate ai lavori di terra le opere murarie di sostegno, sotto la forma dei muri di sostegno propriamente detti, dei muri di sottoscarpa e dei muri di controripa.
Per tali costruzioni, v. muro: Muro di sostegno.
Ponti e opere d'arte affini e speciali. - Per tali costruzioni, v. ponte.
Si ricorda qui solo l'importanza che hanno per le strade anche le modeste opere (tombini, acquedotti, ecc.), di luce spesso inferiore al metro, a lastroni, a vòlta, talora a tubo di cemento, ecc., per lo scarico da monte a valle delle acque che si raccolgono nelle cunette.
Si ricorda ancora che talvolta la costruzione stradale può richiedere opere speciali, quali, ad es., viadotti ciechi (a pilastri e archi spinti contro il terreno) in luogo di muri di sostegno, tombe a sifone per speciali attraversamenti di fiumi o di canali, ecc.
Gallerie. - Per tali opere, v. galleria.
Opere di difesa e di consolidamento. - Sono le opere stradali in genere più difficili a studiare e ad eseguire. Vengono talora costruite in parte anche dopo l'apertura all'esercizio della strada per poter vedere il comportamento delle altre opere a cui si applicano, trattandosi con esse particolarmente di difendere e di consolidare altre parti del corpo stradale.
Le opere di difesa riguardano soprattutto le strutture che hanno lo scopo di difendere altre opere dall'azione delle acque correnti, dalla eaduta di massi, dalla caduta di valanghe, dalla neve, ecc. Per il primo intento servono specialmente le gettate o scogliere a massi naturali o a massi artificiali, i gabbioni di rete metallica riempiti di ciottoli o pietrame, ecc. Per raggiungere gli altri intenti si costruiscono muri paramassi con cunettone a monte, gallerie artificiali, muri paraneve, ecc.
Le opere di consolidamento possono riguardare lavori di terra, fondazioni, muri, rivestimenti di gallerie, ecc. Le più comuni si riferiscono alle trincee e ai rilevati e hanno lo scopo di ovviare agl'inconvenienti derivanti dall'azione dell'acqua meteorica, che deve essere per la buona conservazione della costruzione stradale sempre prontamente raccolta e allontanata. Tale azione può essere superficiale e interna. Per la prima si può provvedere abbastanza facilmente raccogliendo nel modo migliore l'acqua stessa (nelle cunette di guardia al ciglio delle trincee, nelle cunette sulle banchine intermedie per scarpate molto estese, nelle cunette della piattaforma stradale, ecc.), stabilendo opportune pendenze per le scarpate e soprattutto eseguendo rivestimenti sulle scarpate stesse, rivestimenti fra i quali sono in generale da preferirsi quelli vegetali, cioè fatti con zolle erbose o meglio ancora con piantagioni di robinia, ecc. Si hanno talora anche rivestimenti in struttura muraria (muri di rivestimento).
L'azione più pericolosa e talvolta assai più difficile a vincere è quella interna. L'acqua che, attraverso a strati permeabili superiori, penetra nel sottosuolo può dar luogo a fenomeni talvolta imponenti. Tali sono, ad es., i noti fenomeni carsici, che portano alla creazione di cavità, anche grandissime, nel sottosuolo, cavità che possono compromettere la stabilità della sede stradale. Tali condizioni sono però di frequenza assai limitata. Sono invece molto diffuse, particolarmente nelle zone dell'Appennino, quelle che risultano dall'azione dell'acqua giunta su uno strato impermeabile d'argilla, passando attraverso strati permeabili superiori. L'argilla si rammollisce e si crea alla superficie dello strato impermeabile un piano di scorrimento, sul quale può scivolare il materiale soprastante anche in volume assai considerevole, dando luogo ai cosiddetti movimenti di massa.
Siamo cioè nel caso dei terreni franosi, vale a dire nelle condizioni peggiori per ottenere la stabilità della sede stradale. È chiaro che le opere di consolidamento assumono allora la maggiore importanza. È necessario definire con cura il piano di scorrimento nei suoi elementi: profondità, estensione e inclinazione. Ciò si può fare con trivellazioni. Il principio fondamentale per lo studio dei consolidamenti nei terreni franosi (da evitarsi per quanto è possibile nella scelta del tramiato stradale) è: eliminare l'azione indicata delle acque. Il che vuol dire raccogliere le acque stesse al disopra o al limite dello strato impermeabile mediante una rete di fognature e drenaggi (canaletti, pozzi, piccole gallerie, ecc.) ed allontanarle. È un lavoro difficile, arduo e talora di esito incerto, particolarmente quando il piano di scorrimento non è unico. Si tratta di problemi dove prevale di gran lunga l'intuito dell'esperto costruttore sulle considerazioni del calcolo.
Nelle indicate condizioni non è possibile pensare di lottare contro i movimenti di massa con opere di sostegno che si oppongano alla discesa della massa stessa. Il provvedimento principe è dato dalle fognature. Vi sono dei casi però in cui per ragioni diverse (limitata estensione del piano di scorrimento, ecc.) si ricorre anche a speciali opere di sostegno, e cioè ai banchettoni di materie aride (pietrame, ghiaia, sabbia, ecc.) sempre di notevoli dimensioni. Spesso si accoppiano anche i due provvedimenti.
Le condizioni dei terreni franosi possono talvolta essere tali da obbligare a sostituire a una trincea consolidata una galleria artificiale a sezione circolare, oppure a un rilevato un viadotto che sia fondato sul terreno buono sottostante al piano di scorrimento, ecc. Si debbono talora costruire rilevati con terreni poco buoni (parzialmente argillosi, ad es.), dovendo naturalmente utilizzare il materiale locale. Speciali provvedimenti di drenaggio e altri debbono essere in tal caso adottati per il rilevato.
Si ha in questo campo della tecnica dei consolidamenti tutta una serie di speciali provvedimenti fissati dall'esperienza. L'ingegnere ha sempre qui la conferma della grande importanza da attribuirsi alla conoscenza del sottosuolo e all'azione dell'acqua.
Soprastruttura (pavimentazione, ecc.). - Formato il corpo stradale, occorre poi provvedere alla costruzione della soprastruttura, che ha lo scopo di fornire al traffico un idoneo piano viabile. Si è già accennato (v. sopra) ai criterî adottati dai costruttori romani per la soprastruttura stradale.
Le soprastrutture dei Romani raggiunsero spessori considerevolissimi (di un metro circa, e anche più) e spese di costruzione assai ingenti; e fu appunto per quest'ultimo motivo che la tecnica dei Romani si dovette rivedere allorquando, ai tempi della rivoluzione francese, i bisogni della viabilità ritornarono ad affacciarsi su scale assai vaste e inadeguate ai mezzi finanziarî. Già nel 1774, il francese P. M. J. Trésaguet aveva pensato di alleggerire gli antichi strati di fondazione riducendoli ad un'unica struttura costituita da una serie di ciottoloni affiancati e disposti in modo da poter lavorare come un arco anziché come una trave; e successivamente, intorno al 1820, l'inglese J. L. MacAdam dimostrò come in taluni casi si potesse, ancor più economicamente, rinunciare alla stessa fondazione del Trésaguet, confezionando lo strato superiore con speciali avvertenze e con materiali appositamente predisposti.
L'avvento dell'automobilismo diede poi alla tecnica delle soprastrutture un nuovo e formidabile impulso. La trazione meccanica su strada differiva dalla vecchia forma di trazione animale sia per la maggiore velocità, sia per il fatto che le ruote dei veicoli, dovendo esse stesse trasmettere alla strada lo sforzo di trazione, venivano a sollecitare il piano viabile in un modo ben diverso da quello che avevano fatto fino allora le ruote a cerchioni metallici. E infatti, mentre le ruote dei carri trasmettevano forze puramente verticali, le ruote motrici degli autoveicoli venivano a trasmettere alla superficie della strada, oltre a tali forze verticali, anche forze orizzontali le quali erano appunto la causa del formarsi e sollevarsi della polvere, e delle nuove deformazioni in forma di buche anziché in forma di ormaie. Fu anzi la storica "Lega contro la polvere", costituitasi nel principato di Monaco intorno al 1901, che contribuì a stimolare i primi studî sull'evoluzione delle soprastrutture stradali, studî che ebbero un pioniere nell'ing. Rimini della provincia di Ravenna e che nel dopoguerra furono ovunque accelerati dallo sviluppo vertiginoso della trazione meccanica. Oggi la tecnica delle soprastrutture rappresenta il capitolo più arduo e importante dell'ingegneria stradale, e innumerevole è anzi la varietà dei tipi che da questa tecnica sono scaturiti.
Una buona soprastruttura di tipo moderno deve innanzi tutto soddisfare a molteplici requisiti d'indole tecnica, costruttiva ed economica. Dal punto di vista tecnico la soprastruttura deve infatti avere possibilmente una superficie regolare e a basso coefficiente di trazione, di colore chiaro ma non abbagliante, scabra e non scivolosa, e poco usurabile; dal punto di vista costruttivo la soprastruttura deve essere invece di facile e spedita esecuzione e manutenzione; e in quanto all'economia deve poi, oltre che adoperare materie prime preferibilmente nazionali ed anzi in massima parte locali, richiedere un costo iniziale accessibile, avere lunga durata e presentare spese di manutenzione piuttosto modeste. Sono appunto tutte queste esigenze, spesso contrastanti fra loro, che rendono la tecnica delle soprastrutture particolarmente difficile e che giustificano anzi quella grande varieta di forme alle quali abbiamo già sopra accennato. Compito dell'ingegnere progettista o direttore dei lavori diviene pertanto quello di saper scegliere per ogni strada, in rapporto alla composizione del traffico controllato a mezzo delle statistiche o presumibile, e in rapporto alla pendenza longitudinale, all'esposizione, all'ambiente (se rurale o urbano) e alle esigenze specifiche della costruzione e della manutenzione, il tipo di struttura che meglio si conviene, discriminando per ciascuna pavimentazione il pro e il contro.
In funzione dei materiali impiegati, possiamo distinguere le soprastrutture in soprastrutture a legante idraulico (ossia con l'impiego di calci e cementi di vario tipo), in soprastrutture a legante idrocarburato (ossia con l'impiego di catrami, bitumi e asfalti) e in pavimentazioni in pietra (ossia con l'impiego di lastre naturali di granito, di porfido, di calcare, oppure di cubetti di porfido o basalto). In funzione della durata possiamo invece parlare di trattamenti superficiali o periodici, di pavimentazioni semipermanenti e di pavimentazioni permanenti: nomenclatura, però, che ha dato luogo a numerosi equivoci e che tende oggi ad essere sostituita da un'altra classificazione, che ha per base la resistenza meccanica che le soprastrutture presentano alle azioni logoranti del traffico. Secondo quest'ultima classificazione le soprastrutture si distinguerebbero infatti in pavimentazioni a bassa, a media e ad alta resistenza. Infine, un'altra classificazione, che è stata introdotta di recente in un Capitolato speciale tipo per appalti di lavori stradali edito dal Servizio tecnico centrale del Ministero dei lavori pubblici e che qui seguiremo, è quella che distingue le soprastrutture in massicciate semplici, in massicciate trattate e in massicciate rivestite.
Una massicciata semplice s'indentifica con il vecchio macadam all'acqua (detto così dal nome del suo inventore, e dall'unico materiale fluido impiegato per favorire l'assestamento e il collegamento degli elementi lapidei). Questa massicciata deve riposare su un terreno di sufficiente consistenza, oppure, qualora il terreno non risulti tale, sopra un sottofondo, collocato in uno speciale cassonetto e formato con scapoli di pietrame o ciottoloni di altezza non inferiore a 20÷-25 cm., bene assestati fra loro e con gl'interstizî serrati a forza mediante scaglie. Il terreno, oppure il sottofondo, devono avere la sagoma trasversale parallela a quella che sarà la sagoma superficiale definitiva della massicciata; questa sagoma, costituita da due rette raccordate al centro con un arco di cerchio, ovvero da una parabola, deve avere una monta (o rapporto fra la freccia e la larghezza del piano viabile) compresa fra 1/40 e 1/50. La massicciata è poi costituita da uno strato di 12÷15÷20 cm. di ghiaia o meglio di pietrisco delle dimensioni comprese fra 5 e 7 cm., assestato direttamente dal traffico oppure a mezzo di apposita cilindratura effettuata con rulli compressori a motore. In quest'ultimo caso, che è oggi il più importante, il rullo compressore deve avere un peso di almeno 16 tonnellate e una velocità uniforme non superiore ai 3 km./ora. La cilindratura si deve iniziare dai margini della strada per proseguire gradatamente verso la zona centrale e anche la compressione risulti completa e sicura non si devono mai cilindrare strati di materiale superiori ai 12 cm. di altezza misurata sul pietrisco soffice appena sparso. Durante la cilindratura si deve far uso di acqua e si può ricorrere anche allo spargimento di sabbione o aggregante, sempre allo scopo di favorire la chiusura completa dei vuoti della ganga. Il numero dei passaggi del rullo compressore dev'essere spinto sino al completo costipamento dello strato, ma non deve in ogni caso risultare inferiore a 120. Il comportamento di un macadam all'acqua, oltre che dall'esecuzione, dipende poi molto anche dalla specie della ghiaia o del pietrisco, le cui attitudini vengono perciò saggiate nei laboratorî sperimentali mediante apposite prove, fra le quali v'è, per es., quella notissima di Deval, che porta a stabilire per il materiale un "coefficiente di qualità".
Il macadam all'acqua ha il pregio di poter essere eseguito con mezzi tecnici ed economici limitatissimi; ma, per contro, molto limitata è anche la sua resistenza, specie sotto l'azione delle ruote motrici degli autoveicoli. Oltre alla polvere e al fango, queste massicciate hanno quindi, se appena il traffico meccanico è di una certa importanza, una vita assai breve e tale da annullare la medesima convenienza della bassa spesa d'impianto. Tecnicamente ed economicamente più consigliabili appaiono pertanto in simili casi le massicciate trattate, le quali comprendono i trattamenti superficiali, le semipenetrazioni e le penetrazioni a base di catrame o di bitume, ovvero le penetrazioni a base di cemento. In queste massicciate la ganga lapidea risulta così sottratta all'azione diretta del traffico e delle acque meteoriche o d'infiltrazione, e risulta anche più robustamente collegata. D'altra parte il basso costo dei leganti e la semplicità dei procedimenti contengono la spesa in limiti sempre molto accessibili. Ecco perché le massicciate trattate comprendono tutte quelle soprastrutture che hanno ricevuto negli ultimi anni le applicazioni più estese.
Nei trattamenti superficiali la massicciata semplice deve essere dapprima accuratamente lavata, in guisa da mettere a nudo il musaico delle pietre e cacciare ogni particella di polvere, e poi deve essere fatta asciugare perfettamente. Sulla superficie così approntata viene allora sparso il bitume (o il catrame) riscaldato preventivamente in apparecchi che permettono il controllo della temperatura, la quale deve essere portata a non meno di 180° per il bitume e di 120° per il catrame. Lo spandimento, che si effettua di solito a mezzo di speciali macchine a pressione, deve risultare uniforme e deve commisurarsi sulla base di circa 2 kg. di legante per metro quadrato di massicciata per la prima mano, e di circa 1,2 kg. per le mani successive. Subito dopo, il legante deve essere saturato con lo spandimento di una graniglia di opportune dimensioni e proveniente dalla frantumazione di rocce molto dure; la graniglia viene poi di solito distribuita nelle proporzioni di 1÷1,5 mc. per ogni 100 mq. di superficie trattata e viene talvolta ancorata alla massicciata anche a mezzo d'una leggiera cilindratura, che il traffico completa in seguito per proprio conto. Il catrame dev'essere distillato per ridurlo a una composizione costante e ormai ben definita dalla tecnica stradale; e così pure a determinati requisiti deve corrispondere il bitume. Uno degli aspetti più caratteristici di quest'ultimo materiale è definito dalla penetrazione o grado di consistenza che è l'affondamento espresso in decimi di millimetro compiuto in 5 secondi da un ago-tipo del peso di 100 grammi, quando la temperatura del legante sia di 25°. Per i trattamenti superficiali s'impiegano bitumi molli aventi penetrazioni intorno a 200; penetrazioni più basse, di 30÷50, hanno invece i bitumi duri, che s'impiegano in miscela per la formazione dei conglomerati.
Anziché a caldo, i trattamenti superficiali si possono eseguire anche a freddo, ricorrendo alle emulsioni bituminose che contengono il 55% circa di bitume puro mantenuto disperso nell'acqua con l'aggiunta di speciali saponi, oppure ricorrendo ai catrami liquidi o alle emulsioni di catrame. Le modalita dell'esecuzione rimangono le stesse; l'esecuzione diventa più semplice per la mancanza del riscaldamento preventivo e si può fare anche durante le stagioni umide e piovose, ma i risultati si dimostrano in media inferiori ai precedenti. In luogo dei materiali bituminosi o catramosi si può adoperare negli stessi trattamenti a freddo la polvere d'asfalto, materiale del quale l'Italia ha in Sicilia e in Abruzzo giacimenti la cui potenzialità totale supera il miliardo di tonnellate e la cui utilizzazione fu in tale forma tentata per la prima volta nel 1932 per iniziativa dell'Azienda autonoma statale della strada, alla quale spetta quindi il vanto di essere riuscita per questa via a ridurre l'uso dei materiali bituminosi d'importazione. Per tali applicazioni la polvere d'asfalto deve però avere, a seconda delle provenienze, un tenore in bitume di almeno il 9÷12%, e assieme alla polvere necessita impiegare anche dell'olio minerale, proveniente anch'esso dalla distillazione di rocce asfaltiche o bituminose, la cui presenza è ad ogni modo essenziale per rinvigorire le proprietà leganti del bitume contenuto nell'asfalto, per far aderire la polvere al macadam semplice o già in precedenza trattato, e per garantire al tappeto un certo grado di plasticità. Inoltre nell'esecuzione dei trattamenti occorre attenersi a dosaggi scrupolosi e a un'idonea manipolazione degl'ingredienti. Si deve procedere sempre dapprima all'oleatura del piano viabile, cospargendolo con un quantitativo d'olio che, a seconda delle circostanze, può variare da 1 a 4 decilitri per mq., successivamente allo spandimento uniforme della polvere d'asfalto (8÷15 kg. per mq.), poi allo spandimento della graniglia, che, a diversità dei casi precedenti, dev'essere anch'essa precedentemente oleata, quindi alla cilindratura di assestamento e infine alla sigillatura del tappeto con un tenue velo della stessa polvere.
Se la massicciata con trattamento superficiale deve essere eseguita interamente ex novo, conviene invece, a differenza di quanto sopra, arrestare la cilindratura della massicciata prima del solito tempo, dopo cioè solo 80 passaggi all'incirca e limitare tanto l'innaffiamento quanto l'aggiunta del materiale d'aggregazione in modo da avere una massicciata di tipo parzialmente aperto, nella quale il tappeto bituminoso o catramoso superficiale possa ancorarsi più efficacemente. E questa una tecnica messa a punto negli anni 1930-35 dall'Azienda autonoma statale della strada e che permette altresì di avere superficie più scabre e meno scivolose. Le massicciate di questa specie rientrano nelle semipenetrazioni, e vengono anche chiamate a trattamento superficiale ancorato.
Più resistenti ancora sono le massicciate a penetrazione, nelle quali la cilindratura preliminare deve essere eseguita completamente a secco e senz'alcuna aggiunta di materiali di saturazione. Il pietrisco deve essere durissimo, preferibilmente siliceo, e deve essere sparso, sopra un sottofondo ben consolidato, in uno strato dello spessore uniforme di cm. 10. Dopo una leggiera rullatura, si versano a mezzo d'innaffiatoi, o di spanditrici a pressione, sopra allo strato, gradatamente e in modo uniforme, 5 kg. per mq. di bitume riscaldato a 170°÷180° (oppure di catrame riscaldato verso i 120°). Quindi si sparge sulla massicciata uno strato di pietrischetto (a elementi di 20 mm.) che, sempre a mezzo del compressore, si fa penetrare a forza negl'interstizî. Infine, la massicciata viene completata eseguendovi sopra, con le stesse modalità prima descritte un trattamento superficiale di prima mano (legante e graniglia).
Massicciate simili si ottengono anche cilindrando il pietrisco già rivestito di bitume leggermente oleato o di catrame, a mezzo di apposite macchine mescolatrici, e poi lasciato stagionare per alcuni giorni. Tale pietrisco rivestito acquista una viscosità superficiale che ne permette il trasporto, lo spandimento e la cilindratura. Si hanno così dei manti che prendono il nome di asphaltmacadam, se preparati col bitume, oppure tarmacadam, se preparati col catrame.
Le penetrazioni si possono fare ricorrendo anche alla malta di cemento. Si hanno allora i cosiddetti macadam cementati o macadam mortier, che impiegano da 10 a 25 kg. di cemento per mq. di massicciata, ma le cui applicazioni non sono state sinora né molto vaste né troppo persuasive. Di grande importanza sono invece per il cemento le applicazioni in miscela, con le quali entriamo però già nella categoria delle massicciate rivestite: categoria che comprende tutte le pavimentazioni ad alta resistenza o di tipo permanente (ossia con durata di circa 15-20-30 anni).
La pavimentazione in calcestruzzo di cemento rappresenta per il traffico automobilistico uno dei migliori piani viabili, tanto che negli Stati Uniti esistono già oltre 200 mila km. di strade aventi questa soprastruttura, la quale, convenientemente armata, può essere fatta riposare anche direttamente sul terreno che costituisce il corpo stradale, senza l'intemezzo né di fondazioni né di altre massicciate. Essa consta di un rivestimento fatto con lastre monolitiche dello spessore variabile a seconda delle circostanze da 16 a 18 e a 20 cm. Più di frequente, sulle strade ordinarie a traffico misto (ossia con veicoli a ruote cerchiate sia di gomma sia di ferro), le lastre vengono formate con due strati di diversa composizione, e cioè con uno strato di base costituito da un calcestruzzo comune dosato a 200÷250 kg. di cemento per mc. d'impasto in opera, e con uno strato d'usura formato da materiali durissimi e bene assortiti impastati con 400÷500 kg. di cemento per mc. di conglomerato. I due strati vengono gettati contemporaneamente, in modo da saldarsi fra loro e da formare un tutto unico. Il rivestimento viene suddiviso in lastre a mezzo di una serie di giunti longitudinali e di giunti trasversali, i quali servono ad impedire la formazione di fessurazioni, lasciando il manto libero di contrarsi e di dilatarsi sotto l'influenza delle variazioni di temperatura. Dopo la gettata, che nei cantieri di una certa importanza richiede tutta una serie di appositi macchinarî per il costipamento e per il finimento delle lastre, la pavimentazione in calcestruzzo deve ancora essere fatta stagionare per almeno una settimana sotto un velo d'acqua, oppure sotto uno strato di terra o di paglia, tenuto costantemente umido.
Ottimi rivestimenti sono pure i lastricati, fatti con piccole lastre di granito, di porfido, o di calcare dello spessore costante di circa 15 cm., e disposti in file parallele oppure a spina di pesce o a disegno: rivestimenti che hanno il vantaggio (utilissimo nelle città dove si ha a che fare con la manutenzione dei servizî sotterranei e dove si hanno anche numerose inserzioni di linee tramviarie) di poter essere scomposti e ricomposti con estrema facilità. Altrettanto si può dire dei selciati alla romana, fatti con elementi di basalto, in forma di piramide tronca, posati su letto di sabbia, e dei musaici in cubetti di porfido (provenienti dalle cave di Bronzolo, in Alto Adige, ecc.), i quali vengono invece posti in opera ad archi contrastanti, per modo che l'incontro dei cubetti di un arco con quelli degli archi contigui avvenga sempre ad angolo retto. I cubetti di porfido hanno dimensioni più sovente di cm. 6÷8 di lato, oppure cm. 8÷10, 10÷12 e 14÷16, e i loro giunti, dopo qualche settimana di apertura della strada al traffico, vengono oggi correntemente sigillati con bitume a caldo, in ragione di 3 kg. per mq. di superficie. I cubetti si possono posare con l'intermezzo di uno straterello di sabbia, tanto sul macadam quanto sopra un sottofondo di calcestruzzo magro.
Molto usate nelle città, per la continuità del manto e la loro facile pulizia, sono anche le pavimentazioni in asfalto compresso sopra sottofondo di calcestruzzo, in asfalto colato sopra sottofondo in macadam, e in conglomerato bituminoso tipo Topeka (a due strati, uno di collegamento con il sottofondo in macadam, e uno di usura) oppure tipo Bitulite (a strato unico, con sigillatura superficiale di bitume).
Le pavimentazioni in asfalto compresso sono formate da uno strato di 5 cm. (pari a 100 kg. per mq.) di roccia calcare asfaltica finemente macinata, e poi riscaldata e compressa all'atto dell'impiego. La roccia asfaltica deve contenere dal 9 al 10% di bitume; la fondazione rigida in calcestruzzo di cemento dello spessore di 15÷20 cm. è poi richiesta dalla fragilità del rivestimento che ha l'unico inconveniente di essere, per il traffico automobilistico, e specie quando sia umido e quando non sia perfettamente pulito, alquanto sdrucciolevole.
Si riportano per finire questo rapido sguardo alle soprastrutture, anche i costi unitarî di alcuni dei tipi più importanti:
Dall'esame dei suddetti prezzi è facile rendersi conto come anche le strade più modeste finora descritte costino di sola soprastruttura parecchie diecine di migliaia di lire per chilometro, e di conseguenza come per i paesi in via di sviluppo e per i paesi privi di materiali lapidei, siano assurte a notevole importanza le ricerche di nuove e sempre più economiche soluzioni del problema delle soprastrutture, soluzioni che in seguito agli studî del prof. C. M. Terzaghi e di numerosi Americani hanno condotto a soddisfacenti risultati, particolarmente con le cosiddette strade in terra stabilizzata, le quali usufruiscono dello stesso terreno che costituisce il corpo stradale e ne migliorano le capacità di resistenza tutt'al più con lievi dosi di correttivi o di leganti. Teoricamente un ammasso di terra si ridurrebbe ad un insieme di particelle di diametro diverso e raggruppabili convenzionalmente in due tipi, che avrebbero il primo (col nome di sabbia) particelle di diametro compreso fra 2 e 0,1 mm., e il secondo (col nome di argilla) particelle di diametro compreso fra 0, 1 e 0,0002 mm. Inoltre il gruppo sabbia sarebbe caratterizzato da particelle di forma sferica, da una limitata percentuale di vuoti, da una coesione nulla e da una contrazione per essiccamento anche nulla; mentre il gruppo argilla sarebbe caratterizzato da particelle di forma tendenzialmente lamellare, da una percentuale di vuoti assai forte, da una grande coesione specie allo stato asciutto, da forti contrazioni per essiccamento e da altri più complessi fenomeni di natura colloidale. Attorno ad ogni particella del gruppo argilla si riscontrerebbe poi perennemente dell'acqua, distinguibile dal punto di vista fisico in acqua libera e in acqua adsorbita, e dalla quale acqua dipenderebbero rispettivamente le proprietà lubrificanti e le proprietà coesive che in particolar modo caratterizzano questo gruppo. Ora, affinché un terreno riesca adatto a fungere da carreggiata, ossia a sopportare determinati sforzi di usura, di compressione e di taglio, gli studî e la pratica hanno dimostrato essere sufficiente che la sua costituzione granulometrica risponda a certi determinati requisiti o, in termini meno rigorosi ma forse più evidenti, che un giusto rapporto interceda fra i due gruppi sopra accennati. E infatti è ovvio che se un eccesso di sabbia fornirebbe facilmente una carreggiata elastica allo stato umido ma disgregabile allo stato asciutto, un eccesso di argilla condurrebbe per contro a una carreggiata dotata di grande coesione allo stato asciutto ma impraticabile per eccessiva plasticità allo stato umido. La composizione granulometrica ideale della terra a tal fine è oramai ben nota, talché il problema concettuale delle strade in terra si riduce soltanto a far sì che il terreno carreggiabile si avvicini ad essa il più possibile. Se il terreno non ha tale composizione per natura propria, la tecnica deve quindi tendere a creargliela con piccole aggiunte di materiali idonei. In speciali casi, oltre alle aggiunte di sabbia nei terreni argillosi, o di argilla nei terreni sabbiosi, si possono avere anche aggiunte di sostanze chimiche deliquescenti (quali il cloruro di calcio o il cloruro di sodio), di sostanze agglomeranti e insolubili (quali i cementi Portland, i bitumi, i catrami, ecc.), e di sostanze basiche (quali la calce idrata, la polvere di calcare, ecc.). In pratica, poi, per realizzare queste correzioni della natura fisico-chimica del terreno, le mescolanze vengono eseguite generalmente in posto (secondo proporzioni rigorosamente prestabilite, ovvero per tentativi successivi), usufruendo di macchine delle quali l'industria americana ha già saputo creare vari tipi, formati o da specie di spartineve ad un'unica lama obliqua o da una serie di coltelli circolari ed opportunamente caricati. Si calcola che gli Stati Uniti abbiano attualmente una rete di ben oltre 120 mila km. di strade in terra "stabilizzata"; e si ritiene che una di queste strade possa smaltire giornalmente qualche centinaio di veicoli leggieri, presentandosi solida, dura, regolare ed esente da polvere, e, allo stato umido, ancora molto ben transitabile.
Le strade urbane, spesso di notevole larghezza, possono avere infine nelle diverse zone diversa destinazione (per i veicoli comuni, per i marciapiedi, per le sedi tramviarie, per i viali alberati, per i salvagente, ecc.). Tali zone sono solitamente anche in piani diversi, con moderato dislivello fra di loro. Le più comuni disposizioni sono rappresentate in sezione trasversale nella figura 10.
Prove sui materiali stradali. - La manutenzione di una massicciata semplice o con trattamento superficiale costa in media dalle 6 alle 12 mila lire per anno e per chilometro. D'altra patre il costo elevato delle pavimentazioni di tipo permanente, o ad alta resistenza, implica sempre il dispendio di somme fortissime. Gli enti amministrativi e tecnici hanno quindi avvertito, nell'epoca moderna, la necessità di assicurarsi sulle qualità dei materiali impiegati nella costruzione delle soprastrutture e sulle loro rispondenze ai bisogni particolari della circolazione. Negli ultimi lustri sono venuti così precisandosi molte prove dirette a tale scopo, e che in Italia vengono oggi eseguite particolarmente dal laboratorio dell'Istituto sperimentale stradale del Touring Club Italiano e del Reale Automobile Club d'Italia, con sede a Milano.
Le prove si eseguiscono sui materiali rocciosi per lastricati e per massicciate, sulle sabbie, sugli agglomeranti idraulici, sui conglomerati cementizî, sui bitumi, sulle emulsioni, sui catrami, sulle rocce asfaltiche e sui conglomerati bituminosi. Ogni prova si svolge poi secondo modalità precise e rigorosamente costanti, allo scopo di renderne i risultati fra loro comparabili. Citiamo qui appresso, a titolo di esempio, alcune delle più importanti prove.
Per i materiali rocciosi le prove che si eseguiscono sono dirette a determinare il peso specifico, la gelività, il coefficiente di assorbimento, la resistenza alla compressione, la resistenza all'urto, la resistenza all'usura per attrito radente, il coefficiente di qualità, il potere legante, il coefficiente di frantumazione, la durezza e la composizione chimica.
Per i bitumi le prove determinano invece il peso specifico, la penetrazione, il punto di rammollimento, il punto di sgocciolamento, il punto di indurimento, il galleggiamento, la viscosità, la duttilità, il punto d'accensione, la volatilità, la solubilità, la presenza di catrame, il carbonio fisso, la paraffina, lo zolfo e la quantità di ceneri.
Per le emulsioni le prove hanno dato luogo a molti studî e non sono ancora ben precisate; a ogni modo esse tendono a determinare le percentuali di bitume e di acqua, le sostanze emulsionanti, la viscosità, la stabilità, il potere agglomerante; per le emulsioni si fa poi anche luogo all'esame microscopico.
Innumerevoli sono le prove che si eseguiscono sugli altri materiali e in particolare sui cementi, sui catrami e sugli asfalti; la conoscenza dei loro risultati è però sempre di grande utilità pratica e economica.
Autostrade. - (v. V, p. 589).
Camionali. - La strada camionale, o anche. "autocamionale", è un tipo di recentissima strada moderna tale da poter soddisfare particolarmente bene alle esigenze dei traffici lenti e pesanti, i quali sono appunto i traffici in prevalenza costituiti dagli autocarri, o camions, e dagli autotreni per il trasporto delle merci. Le caratteristiche geometriche di una di queste arterie si possono così precisare: larghezza utile di carreggiata, almeno 9 metri; pendenza massima, intorno al 25 per mille ed eccezionalmente sino al 40 per mille; raggio minimo delle curve, 100 metri, ed eccezionalmente, in terreni molto difficili, anche 80 metri. La larghezza di 9 metri acconsente il comodo esercizio di due correnti di traffico, e dev'essere integrata con frequenti piazzuole di ricovero per gli autotreni che avessero necessità di arrestarsi lungo il tragitto. Le pendenze massime del 25÷40 per mille acconsentono poi di non ridurre eccessivamente le velocità e l'entità dei carichi trasportati. Le velocità massime degli autotreni moderni possono raggiungere i 40÷50 km./ora, mentre i carichi utili, complessivamente trasportati dalla motrice e dal rimorchio, possono arrivare a una ventina di tonnellate. Per traffici di prevedibile grande sviluppo, si può progettare una autocamionale anche con due carreggiate a senso unico, della larghezza singola di m. 7,50÷8, separandole fra loro con una zona a verde larga m. 5, come è stato fatto, per es., in Germania nella grandiosa rete di autostrade attualmente in costruzione.
Per favorire l'economia dei trasporti, una strada camionale può presentare in regioni montuose anche abbassamenti artificiali di quote a mezzo di gallerie, le quali devono però avere, almeno tutte le volte in cui si voglia evitare la costosa e complessa ventilazione artificiale, lunghezze limitate e sezioni piuttosto ampie.
Una buona strada camionale non deve avere nessun attraversamento a livello, e deve poi essere possibilmente completata da un impianto d'illuminazione e da vasti piazzali di sosta e di rifornimento degli autoveicoli.
La prima camionale si può dire che è stata la Genova-Valle del Po, ideata e voluta da Mussolini, per superare, più agevolmente di quello che non facesse la strada statale N. 35, il baluardo appenninico, che ha il 9 per cento di pendenza massima, curve di soli 14 m. di raggio e sopra 53 km. di sviluppo corre per 23 km. nell'interno di numerosi abitati. Decisa dal Capo del governo con lettera autografa del febbraio 1932, indirizzata al prefetto di Genova, la suddetta camionale è stata costruita in tre anni, fra il 1932 e il 1935. L'arteria ha uno sviluppo di 50 km., 11 gallerie (di cui la massima ha lo sviluppo di m. 909), 30 ponti e viadotti, 329 ponticelli sovrapassaggi e sottopassaggi, e 11 case cantoniere. A Genova l'arteria termina con un piazzale di 50.000 metri quadrati, ricavato dallo sbancamento della collina di S. Benigno, e ch'è stato posto in diretta comunicazione con le nuove e le vecchie calate del porto a mezzo di un viadotto a rampa elicoidale, manufatto di concezione modernissima. Il costo dell'arteria e delle opere complementari è risultato di 210 milioni. Nel 1933 il traffico medio giornaliero fra Genova e la Valle del Po arrivava quasi ai 400 autotreni.
Con la costruzione delle autostrade e delle camionali l'ingegneria italiana ha posto veramente una pietra miliare e si è ricollegata spiritualmente alla grande tradizione dei costruttori romani.
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Diritto.
Nel campo giuridico le strade vengono in considerazione in quanto esse, come tutto ciò che è rivolto alla soddisfazione degli umani bisogni e si trova in quantità limitata, rientrano nella categoria dei beni, e sono causa, come tali, di rapporti giuridici. Le strade possono appartenere così allo stato e ad altri enti pubblici, particolarmente le provincie e i comuni, come ai privati: però, dato il carattere pubblico e generale del fine, a cui più comunemente esse servono, la prima ipotesi è indubbiamente la più frequente e quella che presenta per il diritto il maggior interesse.
Fra i beni degli enti anzidetti, le strade fanno parte di quella categoria di beni che si dicono pubblici o demaniali, in contrapposto a quelli patrimoniali, ossia privati, secondo la distinzione contenuta nell'art. 426 del codice civile italiano. I primi, dal punto di vista economico, sono nella magaor parte destinati all'uso pubblico e, sotto l'aspetto giuridico, sono oggetto di un vero diritto di proprietà, sebbene qualificato in senso pubblicistico, degli enti pubblici a cui appartengono. Il carattere pubblico di questa proprietà fa sì che essa, sia nei rapporti interni (godimento, amministrazione e conservazione della cosa), sia in quelli esterni (difesa di essa verso i terzi), abbia un regime prevalentemente pubblicistico, che, mentre esclude alcuni principî proprî della proprietà privata (l'alienabilità, la possibilità d'ipoteca e di prescrizione), importa poi una serie di mezzi di tutela pubblicistica, costituenti nel loro complesso la polizia della cosa pubblica. Fra i beni demaniali le strade costituiscono la parte più importante del cosiddetto demanio accidentale, cioè di quel demanio che non è di origine naturale, ma si forma per volontà dell'amministrazione e attraverso un'attività di essa rivolta alla costruzione delle cose che lo costituiscono. Le strade, inoltre, sono i soli beni demaniali che trovano corrispondenza in beni di eguale aspetto e di analoga destinazione appartenenti ai privati.
Le strade pubbliche ordinarie vengono distinte in tre categorie: nazionali (o statali), provinciali e comunali, secondoché appartengono all'uno o all'altro dei tre enti territoriali. L'assegnazione delle strade a ciascuna delle tre categorie è determinata dalla diversa importanza che esse assumono nel traffico generale: sono, perciò, nazionali le strade aventi uno scopo esclusivamente militare; le grandi linee stradali che nel loro corso congiungono direttamente le primarie città del Regno o queste con i porti più importanti; quelle che allacciano le precedenti alle grandi linee commerciali degli stati limitrofi; nonché le grandi strade che attraversano le principali catene delle Alpi e degli Appennini. Sono provinciali, le strade che servono alla più diretta comunicazione tra i capoluoghi di provincie limitrofe; quelle che dal capoluogo di una provincia conducono alle principali città in essa comprese o ai porti marittimi importanti; quelle che sono riconosciute di grande importanza per le relazioni industriali, commerciali e agricole della provincia o della maggior parte di essa. Sono, infine, comunali le strade necessarie per porre in comunicazione il maggior centro di popolazione di un comune con quello dei comuni contigui; quelle che sono nell'interno dell'abitato; quelle che dai maggiori centri di popolazione di un comune conducono alle rispettive chiese parrocchiali o ai cimiteri, o mettono capo a ferrovie o porti, sia direttamente sia collegandosi ad altre strade esistenti; quelle che servono a riunire fra loro le più importanti frazioni di un comune. I tronchi delle strade nazionali e provinciali compresi nell'interno delle città e dei villaggi sono sempre comunali (legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, sui lavori pubblici, articoli 9, 10, 13, 16, 22). Ciascuno dei tre enti territorial deve formare e pubblicare gli elenchi ufficiali delle rispettive strade: per lo stato, tali elenchi sono approvati con decreto reale proposto dal ministro dei Lavori pubblici; per la provincia e per il comune, sono deliberati dalle relative amministrazioni e approvati rispettivamente con decreto del ministro dei Lavori pubblici o del prefetto. Tali elenchi fanno prova in materia di strade per tutti gli effetti di legge: hanno tuttavia efficacia puramente dichiarativa, per cui la legge attribuisce all'autorità giudiziaria ogni questione relativa alla proprietà e alla demanialità del suolo (art. 20 della legge citata).
Presenta grande importanza l'argomento dell'onere della manutenzione delle strade pubbliche. Per ciascuna categoria di strade l'onere doveva gravare sull'ente rispettivamente proprietario: il sistema, però, presentò inconvenienti, specialmente nei riguardi delle strade provinciali e comunali, a causa della ristrettezza finanziaria di tali enti. Per i comuni, si cercò di ovviare alla difficoltà favorendo la formazione di consorzî intercomunali, autorizzando i comuni a imporre prestazioni personali ai proprî componenti (fino a un massimo di quattro giornate all'anno per ogni uomo atto al lavoro), nonché speciali contributi in denaro per la conservazione delle strade (legge sui lavori pubblici: articoli 39-50; legge 30 agosto 1868, n. 4675). Lo stato, inoltre, intervenne con varî provvedimenti legislativi per favorire la viabilità comunale: legge 8 luglio 1903, n. 312; 15 luglio 1906, n. 383; decreti-legge 19 agosto 1915, n. 1371; 8 maggio 1919, n. 877; legge 20 agosto 1921, n. 1177, ecc. Più grave fu il problema delle strade provinciali, sia perché le provincie non ottennero i mezzi e gli ausilî concessi ai comuni, sia perché la rete stradale provinciale andò rapidamente estendendosi nella seconda metà del secolo passato e più ancora successivamente, in conseguenza del principio contenuto nell'art. 11 della legge sui lavori pubblici, secondo il quale la costruzione di una strada ferrata nella stessa direzione di una strada nazionale importava il passaggio di quest'ultima nel novero delle strade provinciali. Per tutto questo, la condizione in cui si trovavano per la maggior parte le strade italiane all'avvento del regime fascista, esigeva un decisivo cambiamento nel sistema legislativo relativo alla ripartizione degli oneri per i servizî di viabilità. A questo fine furono rivolti due provvedimenti fondamentali: il r. decr. 15 novembre 1923, n. 2506, e la legge 17 maggio 1928, n. 1094.
Il citato decreto stabilì una nuova classificazione delle strade, ai soli effetti dell'onere della manutenzione, in cinque categorie: le due nuove classi corrispondono, da un lato, alle strade militari, che furono distinte dalle altre strade nazionali al fine di chiamare i comuni a contribuire alle relative spese, nel caso in cui esse siano aperte all'uso pubblico; dall'altro, alle strade provinciali di maggiore importanza, alla cui manutenzione avrebbe per l'avvenire contribuito anche lo stato. Le provincie e i comuni, poi, oltre che provvedere alle rispettive strade, debbono contribuire le prime alle spese per le strade nazionali, i secondi a quelle per le strade provinciali.
A una più completa sistemazione della materia ha provveduto la successiva legge del 1928: con essa lo stato ha assunto direttamente la gestione delle strade provinciali più importanti, che in tal modo sono passate nella categoria di quelle nazionali; abbandonato poi ogni criterio generale per la determinazione di queste ultime, è stato fissato dalla legge stessa l'elenco ufficiale delle strade statali. L'elenco comprende 137 grandi arterie, per una lunghezza complessiva di km. 20.700 (nel 1911 la rete stradale dello stato non superava i km. 8300). Nonostante l'approvazione legislativa, l'elenco può essere modificato con decreto reale in forza della successiva legge 24 giugno 1929, n. 1138. Per la gestione delle strade di questa categoria la legge in esame istituì un'apposita Azienda autonoma statale della strada, la quale, come altre analoghe, pur non avendo personalità giuridica, presenta una particolare autonomia funzionale e finanziaria entro l'amministrazione dei lavori pubblici, di cui fa parte. L'azienda è presieduta dal ministro e ha un proprio consiglio di amministrazione e un direttore generale; sono organi periferici di essa gli uffici dipartimentali per la viabilità, il cui numero e le cui circoscrizioni furono stabilite con r. decr. 1° giugno 1928, n. 1199. I proventi dell'azienda sono costituiti da un contributo annuo di 180 milioni corrisposto dallo stato, nonché dai proventi dei tributi speciali in materia di strade, dalle tasse per l'affissione lungo le strade statali o in vista di esse, dalle tasse per le concessioni sul demanio stradale e dalle penalità pecuniarie riscosse per contravvenzioni alle norme di polizia stradale. Oltre al fine principale, per cui l'azienda è costituita, essa deve provvedere alla vigilanza sull'esercizio delle autostrade e all'attuazione di tutte le leggi e i regolamenti in materia di polizia stradale. A quest'ultimo fine l'azienda provvede, oltre che a mezzo dei proprî organi locali, attraverso l'opera della milizia della strada
Le provincie e i comuni conservano la gestione delle rispettive strade con gli oneri stabiliti dal citato decreto del 1923: tuttavia, alle provincie, private di una quantità delle proprie strade ed esonerate dall'obbligo di contribuire al mantenimento di una parte di quelle statali, è stato imposto un contributo annuo a favore dello stato di 70 milioni di lire, ripartito fra tutte le provincie in proporzione dell'estensione della rispettiva rete stradale.
I rapporti giuridici, che a causa delle strade si stabiliscono fra gli enti pubblici e i privati, si possono ridurre a due massime categorie, secondo che rientrano nella materia della polizia stradale o in quella dei contributi a favore dei servizî di viabilità.
a) Le norme di polizia stradale, già contenute in pochi articoli della legge sui lavori pubblici, sono andate via via estendendosi e complicandosi attraverso successivi atti legislativi, oggi raccolti nel testo unico approvato con r. decr. 8 dicembre 1933, n. 1740. Tali norme comprendono, da un lato, un complesso di divieti, di limitazioni e di servitù, diretti alla tutela del suolo stradale e alla sua più completa utilizzazione, dall'altro, numerose regole dirette a disciplinare l'uso delle strade, particolarmente la circolazione. Rientrano nel primo fine: il divieto di qualunque azione che possa recar danno alla strada, alle opere, piantagioni, cartelli e pilastri indicatori a essa pertinenti; quello di far pascolare il bestiame lungo i cigli e sulle scarpate delle strade; di condurre a strascico legnami ancorché sorretti da ruote; di piantare e di lasciare estendere gli alberi lateralmente alle strade, in modo da ridurne l'ampiezza d'impedire il libero deflusso delle acque nei fossi laterali. Sono fra le servitù demaniali a favore delle strade quella di lasciare scorrere le acque dalle medesime sui terreni sottostanti; quella per cui è vietato di aprire canali o fare altra escavazione a distanza minore della loro profondità; di fabbricare a distanza di tre metri, salvo che si tratti di strade nell'interno degli abitati; di non piantare alberi o siepi, se non alle distanze variamente stabilite dalla legge (art. 1 del citato testo unico).
L'uso delle strade, come in genere quello di qualunque bene demaniale, si distingue in ordinario, in quanto conforme alla destinazione della cosa, ed eccezionale, costituente, cioè, una limitazione al primo. L'uso ordinario, a sua volta, comprende quello comune, ossia consentito a tutti indistintamente, e quello speciale, lecito solo a chi ha ottenuto un'apposita autorizzazione. L'uso comune è rappresentato dalla circolazione, la quale è dichiarata libera, salvo la facoltà del prefetto, e in alcuni casi dell'amministrazione comunale, di sospenderla per gravi motivi di sicurezza pubblica o per la tutela del patrimonio stradale (art. 23 del testo citato): complesse e numerose sono le norme rivolte a regolare la circolazione così dei pedoni, come dei veicoli e degli animali. Gli usi speciali ed eccezionali possono essere praticati solo in forza di licenze o di concessioni dell'autorità amministrativa: per le strade dello stato, le prime sono di competenza del capo del dipartimento della viabilità, le seconde del ministro dei Lavori pubblici; per le strade provinciali e comunali, così le licenze come le concessioni appartengono al capo della rispettiva amministrazione (art. 5-10). Sono atti sottoposti a licenza le opere e i depositi anche temporanei sul suolo stradale, l'apertura di nuovi accessi sulle strade pubbliche, la costruzione di abbeveratoi lungo le medesime; sono soggetti a concessione: lo scarico di acque nei fossi laterali delle strade e le costruzioni permanenti sul suolo stradale (art. 2-4, 11-12).
Tutte le norme sulla polizia stradale sono sanzionate con pene pecuniarie applicabili dall'autorità giudiziaria penale: il contravventore può evitare il procedimento mediante l'oblazione, sia in via breve, pagando cioè una somma determinata nelle mani dell'ufficiale o agente che accertò la contravvenzione, sia in via ordinaria, con versamento negli uffici del registro o nelle casse dell'ente (art. 1-14 segg.). Il provento delle pene pecuniarie è devoluto all'ente proprietario della strada sulla quale la contravvenzione fu accertata, con le limitazioni e le modalità di che all'art. 119.
b) I tributi che gli enti proprietarî possono imporre per l'uso delle strade, prescindendo dalle tasse dovute in occasioni di licenze e di concessioni, sono i pedaggi e i contributi di utenza stradale. I primi, vere tasse da pagarsi per ogni atto di uso della strada, furono aboliti per le strade nazionali fino dalla legge sui lavori pubblici (art. 31): i comuni e le provincie, invece, possono essere autorizzati alla loro applicazione per il recupero delle spese di costruzione o sistemazione. I contributi sono dovuti dalle persone, enti e società che, in dipendenza di una loro industria o commercio, col transito dei veicoli, sono causa principale del logorio del suolo stradale. Uno di tali contributi riguarda solo gli autoveicoli ed è stabilito a favore dell'Azienda autonoma statale della strada (r. decr. 30 dicembre 1923, n. 3228); un secondo concerne ogni altra specie di veicoli ed è riscosso dai comuni (testo unico 14 settembre 1931, n. 1175, art. 214-224); infine, un contributo integrativo di utenza stradale si riferisce così ai veicoli a trazione meccanica come a quelli a trazione animale ed è ripartito fra l'Azienda, le provincie e i comuni (testo unico citato, art. 225-235).
Oltre che agli enti pubblici territoriali, le strade possono appartenere ad altri enti morali e ai privati: ciò avviene quante volte tali soggetti costruiscano vie di comunicazione nell'interno delle loro proprietà; la condizione giuridica di tali strade non differisce da quella dei fondi di cui fanno parte. Avviene, però, frequentemente, che le strade private siano aperte all'uso del pubblico in forza di una corrispondente servitù costituita a favore del comune dal quale il pubblico è rappresentato. Ciò si verifica di solito per quelle strade private, che si dicono vicinali, in quanto mettono in comunicazione tronchi di strade pubbliche, casolari e borgate sparse nella campagna; però, anche nell'interno dei luoghi abitati si possono avere strade, vicoli, piazze, soggetti alla servitù di uso pubblico (art. 19, 22 della legge sui lavori pubblici). L'origine della servitù può essere un negozio giuridico a titolo gratuito od oneroso; più spesso, il diritto si fonda sopra la prescrizione trentennale o immemorabile, la cui efficacia in questo campo è largamente ammessa dalla giurisprudenza. Le strade private di uso pubblico sono soggette alla vigilanza del podestà, che può esercitare poteri di polizia a tutela della servitù pubblica. La conservazione e manutenzione di tali strade è a carico di coloro che ne fanno uso per recarsi alle loro proprietà: il comune può essere tenuto a contribuire nella spesa, in quanto titolare del diritto reale di uso. Il podestà può convocare annualmente gli utenti per deliberare intorno alle opere e al reparto delle spese; può anche riunire i medesimi in consorzio, qualora il comune concorra in dette spese ovvero intervenga la domanda di un numero di proprietarî che rappresenti il terzo dell'ammontare delle medesime (legge sui lavori pubblici, art. 51-54; decr. luog. 1° settembre 1918, n. 1446). Contro tali provvedimenti è ammesso il ricorso di legittimità e di merito alla giunta provinciale amministrativa (testo unico giugno 1924, n. 1158, art. 1, n. 5).
V. tavv. CXIX e CXX.
V. anche: autostrada; demanio; ferrovia: Legislazione delle ferrovie; servitù.
Bibl.: O. Ranelletti, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, in Riv. it. per le scienze giur., 1899; G. Giorgi, La dottrina delle persone giuridiche, Firenze 1900, III, n. 149 segg.; IV, n. 135 segg.; E. Echstruth, Der öffentliche Weg, Lipsia 1903; H. Schelcher, Der öffentliche Weg, in Fischers Zeitschrift, 1906; Rabany e Monsarrat, Traité pratique de la voirie vicinale rurale et urbaine, Parigi 1910; S. Romano, Principî di dir. amministrativo, Milano 1912, p. 501 segg.; C. Corradini ed E. Peronaci, Le strade ordinarie, in V. E. Orlando, Trattato di dir. amm., VII, parte 1ª, ivi 1914; D. Schmidt, Grundbegriffe des Wegerechts, in Fischers Zeitschrift, 1918.
Circolazione stradale.
Si può definire: l'insieme - sulle strade ordinarie - dei movimenti e dei rapporti degli uomini e relativi mezzi di trasporto agli effetti dei loro spostamenti da luogo a luogo.
Dei popoli antichi, il romano fu certamente quello che comprese meglio, e di gran lunga, l'importanza della strada e della circolazione, realizzando per primo una legislazione organica in materia. La circolazione, e specialmente quella di Roma, era disciplinata da norme dettate da appositi magistrati.
Nel Medioevo viabilità e circolazione decaddero e occorre arrivare al sec. XVIII o all'epoca napoleonica per rilevare una ripresa notevole anche in questo campo, così indicativo, del resto, del grado di progresso, non soltanto economico, delle popolazioni.
Tuttavia si trattava ancora di provvedere al transito di masse veicolari normalmente limitate.
Ma quella che si potrebbe chiamare l'esasperazione, tutta moderna, del fenomeno circolatorio (che tenderebbe a fare della strada una successione sempre più pericolosa di "passaggi a livello aperti e incustoditi" così per i veicoli come per i pedoni) si è maturata in seguito all'avvento dei mezzi meccanici di trasporto, economicamente alla portata di strati sempre più larghi di utenti, donde l'enorme aumento della popolazione veicolare stradale negli ultimi decennî; questi mezzi sono poi dotati di velocità e masse profondamente diverse fra loro e da quelle del pedone e della vettura e del carro di un tempo, donde profonde, radicali modificazioni del regime e delle caratteristiche della circolazione e delle sue sedi; queste velocità sono poi praticamente affidate alla discrezione del singolo e non (come, p. es., in ferrovia) a regole stabilite agli effetti della sicurezza, in base alle caratteristiche del materiale mobile e fisso, da cui l'affacciarsi sulla strada di tendenze individualistiche molto più numerose, pericolose e complesse che nel passato e pertanto di complesse reazioni educative, di assecondamento e di disciplinamento. Nel contempo permangono, specie nei centri degli abitati, strade inadeguate, per disposizione e larghezza, al sempre più imponente numero e alle sempre più invadenti caratteristiche dei nuovi veicoli, specie a motore, per cui sorge il bisogno di migliorare, nel limite del possibile, la viabilità dei centri cittadini; d'altra parte, le suddette crescenti masse meccaniche tendono ognor più a togliere alla circolazione il carattere patriarcale, quasi esclusivamente locale, che aveva mantenuto nel passato per conferirgliene uno sempre più vasto (regionale, nazionale, internazionale), derivandone la necessità che le regole, le norme, i segni e le provvidenze in fatto di circolazione abbiano - per potersi rivolgere efficacemente al pubblico di utenti sempre più vasto che deve rispettarle - basi e aspetti sempre più semplici, chiari e unificati, psicologicamente ben valutati e definiti.
La popolazione veicolare nel mondo si valuta a centinaia di milioni per le biciclette e a decine di milioni per gli autoveicoli.
Le provvidenze principali atte a migliorare la rapidità e la sicurezza della circolazione stradale moderna si possono riassumere come segue:
Circa lo sviluppo delle sedi stradali e della tecnica costruttiva di esse, si tende in generale a sedi sempre più comode e adeguate al genere di circolazione che hanno da sostenere; a strade a compartimenti separanti non solo le sedi pedonali (marciapiedi, banchine, ecc.) dalla sede veicolare (platea stradale) ma anche i veicoli fra loro e in base alle caratteristiche, specie di velocità, delle singole categorie (carri, biciclette, autopesanti, autovetture, motociclette); a strade separanti, ancora come in ferrovia, e in modo sempre più accentuato (dalle strisce o dai risalti di mezzeria giungendosi ormai a larghe aiuole con siepi o alberi o muri) le correnti di traffico ascendenti da quelle discendenti, e ciò pure nelle strade extraurbane, anche per attenuare le conseguenze del non ancora soppresso e pericoloso abbagliamento reciproco dei fari fra autoveicoli affacciati in corsa, quando non si provveda addirittura - sempre a questo scopo - all'illuminazione notturna in intere autostrade extraurbane, a strade con superficie presentanti il minor attrito alle ruote gommate dei veicoli, e quindi molto levigate, per quanto la ricerca di pavimentazioni lisce e nello stesso tempo antisdrucciolevoli anche nei riguardi delle forti velocità in tempo di piogge, ghiaccio e neve sia tuttora intensissima e incerta, tentandosi anche l'impiego della gomma; a grandiosi ampliamenti degl'incroci più percorsi, con larghe curve di raccordo; all'istituzione di zone spartitraffico sopraelevate, di sotto- e soprapassaggi veicolari e pedonali, di salvagente con passaggi pedonali a raso, opportunamente segnalati con strisce bianche e nere, di giorno, e con luci gialle, di notte; alla formazione di banchine per i ciclisti, la facilità e la sicurezza della cui circolazione in genere non si possono dire ancora sufficientemente assecondate, ecc.
Circa le modifiche del regime della circolazione si nota una crescente limitazione della libertà di azione del singolo utente della strada allo scopo di realizzare una crescente disciplina d'insieme che consenta il massimo sfruttamento delle strade, anche inadeguate, a disposizione. Una crescente serie di doveri stradali e di corrispondenti diritti è - o meglio, si auspica che sia - gradualmente imposta al singolo, nel proprio interesse, dal buon senso e dalla legge: donde, p. es., la necessità del rispetto assoluto della propria "mano" (oggi, in tutta Italia, unificata: la destra); ai segnali a colori (verde, via libera; rosso, via impedita; giallo, attenzione) dei semafori elettrici, efficacissimi, o ai "gesti" dei vigili urbani, negl'incroci stradali; all'uso degli attraversamenti pedonali obbligati (con strisce o chiodi) e dei provvidi "dispositivi di convogliamento" dei pedoni; ai segnali di "senso unico", di "sosta" di "parcaggio" e simili nell'abitato, così come si esige nelle strade extraurbane il rispetto dei segnali di "svolta pericolosa", di "dosso", di "cunetta" e simili; al principio essenziale che i conducenti debbono procurare di essere sempre "padroni della velocità" dei proprî veicoli, principio che, tradotto in pratica, eviterebbe - come vedremo più innanzi - circa il 60% degl'infortunî e dei danni dovuti alla circolazione stradale. Analogamente, le disposizioni contro l'uso eccessivo dei segnali acustici tendono giustamente a sopprimere quel lato dannoso della circolazione nei riguardi di coloro che lavorano o riposano nei centri urbani.
Quanto al miglioramento della viabilità nei centri degli agglomerati urbani vi si provvede con "sventramenti", limitati però molto spesso dal necessario rispetto di opere monumentali, e con la creazione di strade di circonvallazione per ridurre al minimo il transito di veicoli nei centri abitati stessi.
Infine l'opera di congressi e conferenze, nazionali e internazionali, per definire e unificare, nei "codici della strada" dei varî stati, regole, norme, segni e provvidenze in fatto di circolazione stradale tende a renderne sempre più pratico e sicuro l'impiego da parte dei disparati utenti, mentre d'altro canto la propaganda che di dette regole, norme, segni e provvidenze vien fatta, anche nelle scuole, col cinematografo e con altri mezzi, ha un'importanza fondamentale per cercare di "lubrificare" sempre meglio, anzitutto negl'intelletti, il complesso congegno della circolazione stradale moderna mediante sempre maggiore consapevolezza, senso di responsabilità e spirito di collaborazione degli utenti.
Infortunî e danni dovuti alla circolazione stradale. - La circolazione uccide attualmente sulla strada circa 60.000 persone all'anno e ne ferisce qualche milione. Si rileva una continua tendenza all'aumento di queste cifre. Una scienza moderna, la "psicotecnica", studia la maniera di rimuovere le cause psichiche che, specie nella condotta degli autoveicoli, determinano tante soppressioni o inefficienze dolorose e antieconomiche (si calcola a dieci miliardi di lire all'anno l'attuale perdita dovuta a infortunî stradali nel mondo) di vite umane e di beni. Una recente statistica americana così precisa le cause degl'infortunî stradali mortali dovuti agli autoveicoli (1933):
Da queste statistiche risulta dunque che l'eccesso di velocità è, direttamente, la causa determinante di un terzo del totale degli infortunî mortali della circolazione. Ma alcune altre delle cause sopraindicate hanno un evidente rapporto con il grado di velocità dell'autoveicolo. Ad es.: veicoli fuori strada (18,95%); imprudenza del conducente (8,84%); strada sbarrata (1,98%).
Sembra pertanto potersi obiettivamente dedurre che il grado di velocità influisce sul 60% degl'infortunî mortali della circolazione stradale, fatto del resto intuitivo - e che appositi studî hanno ora definitivamente confermato - perché è evidente che numero e gravità degl'infortunî circolatorî dipendono dalle forze vive in atto, forze vive che sono proporzionali al quadrato della velocità. La nemica della circolazione stradale è dunque la velocità eccessiva.
Due dottrine tendono a combatterla.
Una dottrina, che chiameremo della disciplina e della prevenzione, partendo dai principî: che la velocità terrestre stradale, obbligata alla quasi unidimensionalità della sede stradale praticamente riportabile a una linea, deve svolgersi nei due sensi fra ostacoli continui noti e ignoti, prevedibili e imprevedibili, che richiedono ai conducenti e alle macchine una tensione ininterrotta e debilitante; che, forse a causa degl'immediati riferimenti alle cose ferme vicine, la velocità stradale è più facilmente "avvertita" e "gustata" offuscando il retto giudizio e disordinando la tempestività delle manovre; che la moderazione della velocità stradale è ancora praticamente un'astrazione per coloro che usano la strada e che son quindi chiamati a praticarla o ad assecondarla, sostiene: che, almeno negli abitati, la velocità debba essere dosata con limiti massimi capaci di creare "un ambiente di velocità meno favorevole agl'infortunî" e passibili di ritocchi in aumento a mano a mano che la psiche degli utenti della strada e la tecnica delle strade e degli autoveicoli lo permettono; che la velocità così dosata debba essere controllata (ad assicurare che il suaccennato "ambiente" sia davvero mantenuto) e notificata mediante appositi dispositivi che, posti esternamente sugli autoveicoli, rendano noto direttamente e continuamente a tutti sulla strada se i limiti suddetti sono o no rispettati, il che equivale a creare un'educazione, una consapevolezza generale, oggi sconosciute, circa i doveri e i diritti di ciascuno e di tutti verso le velocità consentite da rispettare o da assecondare, cioè equivale, agli effetti della rapidità e della sicurezza della circolazione, a realizzare un'effettiva collaborazione fra utenti della strada sulla caratteristica più bella, e più insidiosa, della moderna circolazione.
L'altra dottrina, che chiameremo della repressione, partendo dai principî: che la velocità stradale è una "conquista" alla quale non si debbono porre pastoie; che in certe località e con determinate condizioni atmosferiche si può correre più rapidamente che in altre località e con altre condizioni atmosferiche; che il fissare limiti di velocità suggerisce al pubblico l'idea che tali velocità siano permesse ovunque, donde un pericolo per la sicurezza della circolazione - sostiene: che la velocita deve essere libera, cioè che si debba lasciare alla discrezione dei singoli, anche nell'abitato, l'impiego della velocità più opportuna in ogni circostanza (facendosi così anticipato assegnamento sull'educazione e sul senso di responsabilità stradale di conducenti e pedoni tutti) e che si puniscano gravemente i responsabili degl'infortunî stradali.
Questa dottrina repressiva, attribuisce all'esistenza di località e momenti in cui si deve procedere a velocità ancora inferiori a quelle limiti un valore controindicativo agli effetti dell'istituzione, del controllo e della notificazione dei limiti massimi, mentre invece il principio della "padronanza della velocità" dovrebbe naturalmente restare anche quando detti limiti fossero attuati.
L'altra dottrina, preventiva, cerca la soluzione nel mantenere determinati livelli di velocità, livelli praticamente noti a tutti e dai quali sia impedito di emergere così agli utenti della strada coscienziosi e responsabili come agli altri. Considerando che, almeno negli abitati, il risparmio di tempo che si realizza con scatti a velocità eccessive è meno che trascurabile in confronto ai pericoli mortali cui può dar luogo, mentre, fuori dell'abitato, è ancor meno ragionevole far dipendere la propria vita e quella di altri dallo scoppio di un pneumatico, o dalla rottura di un qualsiasi altro organo o di un filo elettrico (che, ad es., spenga improvvisamente i fari), si può osservare che - almeno per il 60%, dovuto alle velocità eccessive - le stragi della circolazione stradale non solo si possono evitare, ma sono ormai, per la maggior parte, ingiustificabili.
Quanto alle altre cause, si può osservare che i sorpassi si possono effettuare con tanta maggior sicurezza quanto più ragionevole è la velocità del veicolo da sorpassare; che, analogamente, le conseguenze degli errori o delle omissioni di segnalazione come pure dell'aver proceduto non avendo via libera o sulla mano sbagliata saranno più o meno gravi a seconda della velocità.
Disciplina della circolazione stradale. - È affidata in Italia alla Milizia nazionale della strada (M. N. S.) istituita con decreto 26 novembre 1928 come organo esecutivo di vigilanza dell'Azienda autonoma statale della strada (A. A. S. S., v. sotto), e costituì un reparto speciale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, venendo in tal modo a far parte delle forze armate dello stato. A questa specialità spettano: la tutela e la difesa del patrimonio stradale, la disciplina della circolazione, la sorveglianza sulle segnalazioni stradali, gli accertamenti sulle violazioni fiscali e sulle infrazioni alle leggi in materia di trasporti per via ordinaria, le informazioni sulla percorribilità delle strade e sui più utili itinerarî, il soccorso agli utenti della strada comunque infortunati.
Nel 1935 furono contestate dalla M. N. S. 267.520 contravvenzioni (fra autoveicoli, veicoli ordinarî e pedoni) per un importo di L. 7.174.573; vennero apportati soccorsi in 2094 casi d'infortunio; s'impiantarono 295 nuove segnalazioni.
Oltre a tali compiti, che si riferiscono alla polizia stradale, questa milizia è tenuta a concorrere, in tempo di pace, e nell'ambito della propria giurisdizione, ai servizî di polizia militare; in tempo di guerra i militi disimpegnano i servizî loro attribuiti dallo Stato maggiore dell'esercito.
La M. N. S. ha: a) un comando centrale a Roma; b) 4 ispettorati di zona con sedi a Milano (per Lombardia, Piemonte e Liguria, Toscana, Sardegna), Bologna (per Emilia, Romagna, le tre Venezie), Roma (per Lazio, Umbria, Marche, Abruzzi, Campania, Molise), Bari (per Puglie, Lucania, Calabria, Sicilia); c) 19 reparti (numerati dall'I al XIX) con sedi a Roma, Perugia, Firenze, Torino, Genova, Milano, Bolzano, Padova, Bologna, Ancona, Aquila, Caserta, Bari, Catanzaro, Palermo, Catania, Cagliari, Potenza; più un reparto (XX) costituito nel marzo 1936 all'Asmara. Da ogni reparto dipende un certo numero di distaccamenti che possono essere fissi o provvisorî. Si hanno in totale 32 distaccamenti.
Ogni reparto è dotato di un'officina completamente attrezzata per riparazioni autoveicoli.
Il comandante della M. N. S. studia e propone di propria iniziativa al Ministero dei lavori pubblici tutto ciò che può agevolare il servizio di polizia stradale, la vigilanza e la tutela della strada e la circolazione, ed emana istruzioni e norme per il servizio tecnico e amministrativo dei reparti, coordinandone l'azione secondo le direttive del predetto ministero. Gl'ispettori esercitano il controllo in modo permanente su un determinato numero di reparti, ma possono essere incaricati dovunque d'ispezioni straordinarie.
I comandanti di reparto vigilano il servizio nella zona loro affidata, provocano dal comando della M. N. S. i provvedimenti atti ad assicurare la disciplina, la speditezza e la maggiore e ficacia del servizio, dispongono per l'impiego dei mezzi motorizzati messi a disposizione dal reparto, oltre alle altre attribuzioni inerenti alla loro qualità di comandanti, per quanto ha tratto con la disciplina e l'addestramento del personale.
Con decreto 10 febbraio 1936 è stata conferita ai sottufficiali e militi della M. N. S. - nell'esercizio delle attribuzioni inerenti al loro servizio - anche la qualifica di agenti di pubblica sicurezza.
Manutenzione delle strade. - È affidata in Italia all'Azienda autonoma statale della strada (A. A. S. S.), istituita con legge 17 maggio 1928, alla dipendenza del ministro dei Lavori pubblici, col compito di: assumere la gestione delle strade statali (20.000 km. circa), curandone la manutenzione ordinaria e straordinaria e provvedendo alla loro sistemazione; controllare l'esercizio delle autostrade definitivamente ultimate e collaudate; presiedere all'attuazione delle leggi e dei regolamenti di polizia per quanto concerne la tutela del patrimonio delle strade statali, e la circolazione sulle strade e sulle aree pubbliche.
Sono organi dell'A. A. S. S.: il consiglio di amministrazione; il direttore generale; gli uffici compartimentali per la viabilità, dai quali dipendono i compartimenti (14) comprendenti ciascuno più provincie.
I compartimenti hanno la cura delle strade statali. Propongono i provvedimenti necessarî per la manutenzione ordinaria e straordinaria della strada; compilano i progetti riguardanti i lavori di sistemazione e di manutenzione; dirigono i lavori dati in appalto, provvedono all'esecuzione dei lavori in economia, esercitano l'alta vigilanza sulla circolazione stradale, provvedono all'istruttoria di ogni pratica connessa ai compiti dell'azienda.
È data facoltà all'azienda di affidare alle provincie o a consorzî di provincie la manutenzione ordinaria e le opere straordinarie di sistemazione e di riparazione di tutte o di parte delle strade statali dei rispettivi territorî.
L'approvazione dei progetti da parte del Ministero dei lavori pubblici equivale a dichiarazione di pubblica utilità dell'opera. Anche le espropriazioni occorrenti all'esercizio di cave di materiali impiegabili in lavori stradali sono di competenza dell'azienda.
L'azienda sopporta le spese occorrenti per il personale e l'amministrazione; per la manutenzione ordinaria, per la vigilanza e per la disciplina delle strade statali; per riparare o prevenire danni di forza maggiore; per la dotazione del materiale; per la sistemazione progressiva delle strade e per opere singole di carattere patrimoniale.
Le entrate dell'azienda sono costituite: dalla tassa di circolazione sugli autoveicoli; dal contributo di miglioramento stradale a carico degli autoveicoli; da un contributo fisso annuo del tesoro dello stato; dai canoni per la concessione di occupazione e di attraversamento delle strade; dal contributo integrativo dell'utenza stradale da parte di aziende industriali e di trasporti che usino di strade statali; dai proventi di contributi di miglioria imposti in dipendenza dell'esecuzione di opere sulle strade affidate all'azienda. Il bilancio di previsione delle entrate e delle spese dell'A. A. S. S. è presentato all'approvazione del parlamento.