STOVIGLIE (fr. poterie, vaisselle; sp. ollería, vajilla; ted. Töpferware, Küchengeschirr; ingl. pots and pans)
È l'insieme del vasellame per uso di tavola e di cucina. Benché la voce indichi più l'uso che la materia, oggi, ovviamente, di ceramica si fa la maggior parte del prodotto. Si può dire che l'arte dello stovigliato, avendo dovuto soddisfare alle elementari necessità della vita, ha un'origine delle più remote. La letteratura di ogni paese ce ne dà ricordo.
Per quanto concerne la preistoria, l'archeologia, l'etnografia. v. argento; arredamento; attici; vasi; calice; ceramica.
Nella ceramica romana, benché scarsa, possiamo notare due grandi classi di stoviglie; la più rozza e comune, destinata agli usi di cucina e di cantina (opus doliare) e la più fina (opus figlinum) in argilla depurata (creta figularis, da cui l'ars cretaria; v. anche aretini, vasi; caleni, vasi).
Plinio avverte che fra la seconda e la terza guerra punica si cominciò a sostituire gli antichi vasellami di coccio con oggetti di metallo nobile. Nelle grandi case questo lusso passò poi anche agli usi di cucina. L'uso dei metalli più o meno nobili e della ceramica nelle stoviglie fu determinato nei varî tempi dal lusso e dalle condizioni economiche. Basti ricordare, lasciando le notizie aneddotiche, che fino al Rinascimento le stoviglie da tavola erano poche, e i piatti si sostituivano anche con fette di pane.
Piatti e ciotole di legno, del resto, formavano l'arredamento delle tavole povere; le classi medie avevano stoviglie di peltro e di stagno, le cui sagome vennero poi imitate dai maiolicari quattrocenteschi italiani (scodelle peltrine); soltanto le classi privilegiate vantavano argenterie e anche vasi d'oro che venivano esposti sulle credenze.
Le stoviglie di stagno ebbero grande diffusione in Francia. In Italia, il grande e sollecito impiego della ceramica fece sì che anche le grandi case straniere se ne procurassero servizî decorati con stemmi e ornamenti intenzionali, dipinti anche da artefici eccellenti (v. maiolica) e le botteghe italiane ne fornirono a signori francesi e tedeschi e alle stesse corti di Francia e di Spagna. Col finire del Cinquecento, e più ancora nel secolo successivo, venne in credito l'opinione che le stoviglie di coccio fossero da preferirsi a quelle d'argento e di stagno, perché, come dice il Montaigne, "più gustevoli per lo mangiare" (v. piatto); e lo confermò poi l'Aldrovandi nel suo Museum metallicum (II, 1648, p. 236). Certamente le stoviglie maiolicate italiane erano infinitamente migliori della consimile produzione degli altri paesi, che, per di più, costava moltissimo. Assai più costò quella nuova forma di lusso che fu la prima porcellana. Alla fine del regno di Luigi XIV, sei tazze e sei piattini di Saint-Cloud (v. porcellana) valevano 120 franchi; un servizio da tè 1400 franchi.
Il vasellame d'uso (a parte i recipienti più proprî alla cucina) consisteva principalmente in piatti di più fogge, tazze, scodelle, "impagliate" (v. scodella), boccali, bottiglie, rinfrescatoi, saliere, bottiglie gemine da olio e aceto, ecc., le cui fogge vediamo riprodotte in opere di pittura, ecc.
Con l'introduzione del caffè (ai primi del Seicento) e, mezzo secolo più tardi, della cioccolata, si mutarono anche le forme dei recipienti; si ebbero così le cuccume e le tazze che, insieme con l'altro arredo di mensa, seguirono nelle fogge lo stile del tempo, dal Barocco e dal Rococò alle linee frigide e severe dell'Impero, spesso con palese imitazione dei corrispondenti servizî d'argento.