storia del pensiero economico
Il contributo italiano
Gli autori italiani si sono distinti per i rilevanti apporti sia alla cultura sia all’analisi economica.
Riguardo alla cultura economica, gli umanisti italiani del 15° sec. furono i primi a proporre alcuni concetti-base moderni, derivanti dallo sviluppo del basso Medioevo. Contro le idee antiche e medievali, essi affermarono la nobiltà del lavoro, compreso quello artigiano e commerciale (per es., L. Valla); il carattere positivo della ricchezza (C. Salutati, L. Bruni, L.B. Alberti); la liceità del profitto e dell’interesse per sé (➔ dottrina sociale della Chiesa) (M. Palmieri, e sopra tutti P. Bracciolini). Nello stesso secolo, alcuni religiosi – sulle orme del provenzale P. Olivi – difesero l’interesse monetario e l’investimento (Bernardino da Siena, Antonino da Firenze, il cardinal Gaetano).
Con la decadenza economica dell’Italia, anche il pensiero economico decadde. Nella prima parte dell’età moderna emergono solo alcuni grandi autori isolati, che non influenzarono la cultura nazionale. B. Davanzati svolse un’efficace analisi della circolazione del denaro, e propose l’idea del valore basato sulla rarità. G. Botero e A. Serra furono i due grandi mercantilisti italiani, attenti alla crescita della produzione manifatturiera. Il primo, che ebbe una forte influenza sul mercantilismo spagnolo, eliminò definitivamente l’idea bullionista del tesoreggiamento del denaro. Il secondo svolse un’acuta analisi della dipendenza economica del Regno di Napoli, che importava manufatti, esportava prodotti agricoli, e delegava ai mercanti settentrionali tutto il commercio e la finanza.
Dopo quella stagione di studi, il pensiero italiano tornò al livello dei Paesi più avanzati (Francia, Inghilterra, Olanda) solo nel periodo dell’Illuminismo e propose, in genere, un approccio più completo, attento anche alla realtà specifica.
Nel gruppo milanese, P. Verri (➔) e C. Beccaria (➔) prospettarono uno sviluppo fondato sull’investimento e la parsimonia, criticando lo spreco aristocratico del lusso di ostentazione. G. Ortes delineò l’analisi, molto originale, di un’economia chiusa perfettamente statica.
A Napoli, A. Genovesi (➔), che tenne in quella Università la prima cattedra di economia in Europa, tracciò una visione dello sviluppo come incivilimento e parte dell’evoluzione umana; approfondiva, inoltre, l’analisi dell’arretratezza del Sud, delle sue cause e dei suoi rimedi. Egli educò un gruppo di intellettuali che proseguirono lo studio del Mezzogiorno d’Italia (G.M. Galanti, G. Palmieri, F. Briganti ecc.). F. Galiani, scrisse un trattato che riassume il pensiero tradizionale sulla moneta, e un brillante pamphlet antifisiocratico che suscitò l’ammirazione di tutta la Francia.
Nel periodo della scuola classica (➔ classica, economia), il pensiero italiano tornò a eclissarsi. Ma i pensatori originali, M. Gioia, F. Fuoco, G. Romagnosi (➔) e, più tardi, A. Scialoja, F. Lampertico, L. Luzzatti e molti altri conservarono la visione globale dell’economia come scienza sociale, di derivazione illuminista, aggiungendovi la specificità italiana dell’attenzione alla realtà empirica. Di questo periodo vanno anche ricordati A. Messedaglia, fondatore del metodo statistico in Italia; e il liberista classico F. Ferrara (➔).
Negli ultimi vent’anni del 19° sec. riprese la presenza internazionale dell’Italia. A. De Viti De Marco (➔), poi seguito da L. Einaudi (➔), inaugurò la grande tradizione italiana di scienza delle finanze, che sarà per decenni punto di riferimento mondiale. Negli anni tra i due secoli, M. Pantaleoni (➔), V. Pareto (➔ Pareto, ottimo di p) ed E. Barone diediero contributi originali alla giovane scuola neoclassica (➔ neoclassica, economia). In particolare Pareto, che è forse il più famoso economista italiano, introdusse i concetti ormai canonici di utilità ordinale, sovranità del consumatore e ottimo paretiano (➔), portando l’approccio neoclassico a un rigore esemplare. Della prima metà del 20° sec. vanno ricordati G. Del Vecchio (➔) e C. Bresciani Turroni (➔), che rinnovarono la tradizione italiana di un approccio teorico più comprensivo e di maggiore attenzione alla realtà fattuale.
Al centro del 1900 domina la figura di P. Sraffa (➔). Già distintosi negli anni 1920 per una critica incalzante all’equilibrio parziale di A. Marshall (➔), e nei decenni successivi per una grande edizione critica dell’opera di D. Ricardo (➔), negli anni 1960 Sraffa propose una nuova versione dell’analisi classica, basata sulla produzione del sovrappiù (➔), con il calcolo del costo di produzione in termini di capitale materiale. Esso fa a meno del concetto di valore-lavoro e di quello di capitale come entità omogenea; sostiene l’esistenza del ritorno delle tecniche e l’effettiva indipendenza della variabile ‘salario’. Nella seconda metà del 1900, l’approccio neoricardiano di Sraffa ha dominato, soprattutto in Europa, nel campo dell’economia non neoclassica, combattendo quella neoclassica e contribuendo alla crisidel pensiero marxista. In tale ambito, hanno avuto una forte presenza internazionale P. Garegnani, continuatore ideale di Sraffa, e L. Pasinetti, il quale ha proposto un modello di sviluppo inclusivo dell’aumento dei consumi dei lavoratori.
Il pensiero italiano sull’arretratezza e il sottosviluppo, incentrato sul Sud d’Italia, pur avendo una grande originalità, è stato ingiustamente trascurato. Dopo Serra, Genovesi e i suoi allievi, il pensiero economico meridionalista ebbe un forte sviluppo subito dopo l’unificazione d’Italia. Autori come F. Franchetti, S. Sonnino, G. Fortunato, F.S. Nitti, ma anche G. Salvemini, A. Gramsci (➔) e tanti altri, che si esprimono soprattutto attraverso scritti politici e polemici, sono un modello di intreccio tra analisi economica, storica, della struttura sociale, della cultura e delle politiche economiche di un Paese. Queste elaborazioni vanno in senso opposto alla crescente formalizzazione e astrattezza del pensiero economico ufficiale del 20° secolo. Esse suggeriscono che i problemi dello sviluppo e del sottosviluppo diventano incomprensibili senza un’impostazione globale.
Tale approccio di grande complessità, che approfondisce la tradizione empirica italiana, venne continuato a partire dal secondo dopoguerra, fra gli altri da M. Rossi Doria (➔), P. Saraceno, F. Compagna, A. Graziani, per lo studio del Mezzogiorno, e da G. Fuà, G. Becattini e P. Sylos Labini per l’analisi economica generale.