Storia comparata
La storia comparata consiste nell'analizzare sistematicamente, alla luce di determinate problematiche, le analogie e le differenze tra due o più fenomeni storici, al fine di fornire una descrizione e una spiegazione il più possibile accurate e di pervenire a interpretazioni più generali di eventi, esperienze, strutture e processi storici.
Poiché l'individuazione delle analogie e delle differenze che emergono dal confronto tra almeno due casi costituisce la caratteristica essenziale degli studi comparati, questi di solito vengono distinti dai lavori dedicati all'analisi e alla descrizione di un unico fenomeno o contesto storico, per quanto ampio esso sia. L'approccio transnazionale o transculturale caratterizza numerose ricerche storiografiche, ma ciò non è sufficiente a conferire loro lo status di studi comparativi.
L'analisi comparativa, così come l'abbiamo definita, non va confusa con lo studio dei processi di trasmissione interculturali (v. Espagne, 1994), il cui obiettivo primario non è quello di individuare le differenze e le analogie tra le unità oggetto d'indagine, bensì quello di metterne in luce le interrelazioni. Sebbene nella prassi della ricerca storiografica gli studi comparativi siano spesso associati alle analisi delle influenze e delle interrelazioni, sul piano concettuale è opportuno tenere distinti i due tipi di indagine. Gli studi comparativi in senso stretto vanno inoltre tenuti distinti da quelli in cui la comparazione ha un ruolo marginale o implicito - ad esempio attraverso accenni di un confronto tra passato e presente. Si tratta di una forma di protocomparazione che si incontra assai di frequente. La storia comparata per contro è caratterizzata da un confronto condotto in modo sistematico: la comparazione ne costituisce la strategia centrale.
Il metodo comparativo è utilizzato in molte discipline. La storia comparata non è dominio esclusivo degli storici; anche gli esponenti di altre discipline - in particolare della sociologia, della scienza politica e dell'etnologia - si muovono sul terreno della storia comparata. Ciò che conferisce una dimensione storica alla comparazione è piuttosto la collocazione dell'oggetto d'indagine in uno specifico contesto spazio-temporale.
Le comparazioni storiche possono essere distinte in base ai loro scopi euristici. Al livello più generale, esistono due tipi fondamentali di storia comparata: da un lato un approccio incentrato sui contrasti e sulle differenze, che mira a una descrizione e a una conoscenza più esatte dei singoli casi oggetto del confronto (o di uno solo di essi), dall'altro un approccio che privilegia le affinità e le analogie, allo scopo di formulare generalizzazioni e di fornire una descrizione di contesti globali.
La distinzione tra questi due tipi di comparazione si incontra costantemente nella letteratura sull'argomento. Già John Stuart Mill (v., 1881, pp. 221-233) aveva contrapposto il "method of difference" al "method of agreement". Nel 1928 Marc Bloch affermava che la storia comparata ha come scopo la determinazione delle analogie e delle differenze e per quanto possibile la loro spiegazione (v. Bloch, 1963, p. 17). Analogamente, Otto Hintze osservava nel 1929 che la comparazione può essere finalizzata all'individuazione di un carattere generale che sta alla base dei fenomeni oggetto del confronto, oppure può mirare a distinguerli e coglierli nella loro individualità (v. Hintze, 1964, p. 251). In anni più recenti, Theda Skocpol e Margaret Somers (v., 1980) hanno distinto due tipi di comparazione storica e sociologica, il primo basato sul parallelismo (parallel demonstration) e il secondo sul contrasto (contrasting type), pronunciandosi poi a favore di un metodo intermedio che associa entrambi, l'"analisi macrocausale". Charles Tilly, dal canto suo, ha contrapposto ad una "comparazione individualizzante" una "comparazione universalizzante", introducendo altre due forme intermedie, la "comparazione inclusiva" (encompassing comparison) e quella mirata all'"individuazione di variazioni" (variation-finding comparison; v. Tilly, 1984, pp. 82 ss.). Definizioni analoghe sono state fornite da altri autori (v. ad esempio van den Braembussche, 1989).
Tuttavia, nella prassi della ricerca in genere non viene operata una netta distinzione tra la comparazione generalizzante e quella individualizzante. Gli studiosi per lo più utilizzano entrambi gli approcci, pur dando a ciascuno un peso diverso. Mentre gli storici di norma privilegiano l'individualizzazione, sociologi e politologi sono più interessati alla generalizzazione, sebbene quasi sempre circoscritta nel tempo e nello spazio. Si tratta comunque solo di una distinzione di grado.
Dal punto di vista euristico la comparazione consente di individuare questioni e problematiche che risulterebbe difficile se non impossibile riconoscere o formulare senza far ricorso a tale metodo. Un esempio di questa funzione è offerto da Marc Bloch. Dopo aver analizzato il fenomeno delle enclosures inglesi dal XVI al XIX secolo valutandone le funzioni, egli formulò l'ipotesi che processi analoghi potessero essersi verificati anche in Francia, sebbene gli studi locali non li avessero ancora evidenziati. Proponendosi quindi di appurare l'esistenza di esperienze francesi analoghe o equivalenti a quelle inglesi, Bloch scoprì che in Provenza tra il XV e il XVII secolo si erano avute trasformazioni simili, sebbene non identiche, nella struttura della proprietà agraria, e contribuì in questo modo ad una revisione della storiografia relativa a tale regione. Alla base della ricerca di Bloch vi era la convinzione che le società agrarie delle due sponde della Manica avessero problemi analoghi per i quali si dovettero trovare soluzioni analoghe, seppure non identiche, affinché potessero aver luogo gli sviluppi simili osservabili in retrospettiva - in questo caso la nascita di una economia agraria di stampo capitalistico (v. Bloch, 1963, pp. 20 ss.).
Dal punto di vista descrittivo l'obiettivo principale della storia comparata è quello di definire con maggior precisione i singoli casi analizzati, talvolta anche un solo caso che riveste particolare interesse.
Ad esempio, l'ipotesi che il movimento operaio tedesco e il partito corrispondente si siano affermati relativamente presto come forza autonoma acquista plausibilità soprattutto attraverso il confronto con i movimenti operai di altri paesi, ad esempio dell'Inghilterra, della Francia e dell'Italia. Il carattere patrizio-urbano della nobiltà dell'Italia centrosettentrionale, la sua debolezza politica nel XIX e nel XX secolo e il suo stretto legame con la borghesia colta e abbiente - per quanto non particolarmente attiva economicamente - rappresentata dai notabili, si possono cogliere solo attraverso la comparazione con il ceto aristocratico degli altri paesi europei, ad esempio con la nobiltà prussiana, potente e compatta, che rimase strettamente legata al potere statale sino al XX secolo, e si distanziava assai più nettamente di quella italiana dalla borghesia in ascesa (cfr. Meriggi, in Kocka e Banti, 1989, pp. 161-185). Le peculiarità di determinati fenomeni storici si possono cogliere con particolare chiarezza istituendo un confronto tra casi simili sotto molti aspetti, ma che si diversificano sotto il profilo al centro dell'indagine. A seconda delle unità d'analisi prescelte, emergono caratteristiche diverse nell'oggetto di indagine.
Sotto il profilo analitico la comparazione diventa uno strumento insostituibile per spiegare determinate situazioni storiche. Da un lato, attraverso la comparazione è possibile individuare nessi causali specifici di un determinato contesto spazio-temporale - ad esempio l'analisi comparata della protesta sociale in diverse società del XIX e del XX secolo consente di istituire un collegamento tra determinate forme di potere statale e l'emergere di una protesta sociale (v. Tilly e altri, 1975). Dall'altro lato, la comparazione può costituire uno strumento critico per mettere in discussione alcune pseudo-spiegazioni correnti. Un esempio illuminante in proposito è offerto ancora una volta da Marc Bloch. Una volta rilevato che l'intensificarsi della pressione della nobiltà terriera tra il tardo Medioevo e la prima età moderna nella maggior parte dei paesi europei avvenne quasi contemporaneamente, seppure in forme diverse, non si può che restare scettici, secondo Bloch, di fronte alle spiegazioni puramente locali offerte dagli storici di una determinata regione, e si cercheranno piuttosto spiegazioni valide per tutta l'Europa - in questo caso il declino delle rendite fondiarie e le sue cause (v. Bloch, 1963, p. 26). Le pseudo-spiegazioni possono assumere altresì il carattere di generalizzazioni indebite, e anche in questo caso l'analisi comparativa può metterne in luce l'illegittimità. Si può citare come esempio al riguardo l'annoso dibattito sul rapporto tra capitalismo e fascismo. Contrariamente a quanto si è sostenuto talvolta, la crisi del primo non causò l'ascesa dei movimenti fascisti in generale, ma solo in determinate condizioni storiche che si verificarono non già in tutte le società industrializzate moderne, bensì solo in alcune di esse. È quanto emerge, ad esempio, dalla comparazione tra la società americana e quella tedesca (v. Kocka, 1982). In termini più generali, si può affermare che le comparazioni possono svolgere la funzione di esperimenti indiretti, consentendo la verifica di ipotesi. Ad esempio, quando si ricollega la comparsa di un fenomeno A in una data società alla condizione o alla causa B, si può verificare tale ipotesi ricercando l'esistenza di società in cui A sussiste in assenza di B, oppure in cui B è presente senza che si verifichi A - per consolidare l'ipotesi in questione in attesa di ulteriori conferme, oppure per differenziarla ulteriormente (v. Sewell, 1967). Questo metodo peraltro ha limiti piuttosto ristretti, poiché a differenza di quanto accade negli esperimenti scientifici, nella comparazione di società storiche la condizione 'ceteris paribus' può essere presupposta solo in casi assai rari.
Sotto il profilo paradigmatico la comparazione spesso ha un effetto di estraniamento, in quanto alla luce delle alternative osservate la propria storia nazionale perde il carattere autonomo che sembrava possedere in precedenza. La comparazione dischiude allo sguardo altre costellazioni, e fa apparire il caso specifico di volta in volta al centro dell'interesse solo come una possibilità tra tante. Ciò è particolarmente importante per lo storico, in quanto nelle storiografie nazionali domina in generale la tendenza a privilegiare la storia locale o regionale. La comparazione può servire a 'sprovincializzare' la prospettiva. Essa influenza dunque l'atmosfera e lo stile della ricerca storiografica e sociologica, spesso anche il modo in cui vengono utilizzati i concetti fondamentali prescelti dal ricercatore, mettendone in luce la specificità storico-culturale. Per una valutazione critica dei concetti più generali risulta utile la comparazione con culture assai diverse, ad esempio quelle extraoccidentali o del lontano passato (v. Müller, 1993, pp. 11-19).
La comparazione stimola la riflessione sul linguaggio e di conseguenza sulla collocazione culturale del ricercatore. Nella misura in cui una disciplina resta ancorata al contesto nazionale e percepisce tutto ciò che è estraneo come semplice variazione di un modello di sviluppo immutabile, un ampliamento sia geografico che contenutistico del quadro di comparazione può portare a metterne in discussione gli assunti fondamentali. In questo modo la comparazione può assolvere un ruolo importante per quanto riguarda la determinazione del punto di vista e lo sviluppo delle singole discipline (v. Matthes, 1992).
La formulazione di una problematica è un elemento essenziale della comparazione: due o più fenomeni possono essere confrontati sempre e soltanto sotto un determinato profilo, in relazione a un terzo (tertium comparationis). Per effettuare un confronto occorrono altresì concetti chiari e ben definiti atti a designare le analogie rilevanti alla luce della problematica considerata, per poi procedere su questa base ad individuare le differenze tra le unità d'analisi. Per fare un esempio, chi concepisse il nazionalsocialismo unicamente come hitlerismo, considerandolo un fenomeno sui generis cui non possono essere applicati concetti generalizzanti quali 'fascismo' o 'totalitarismo', si precluderebbe la possibilità di un'analisi comparativa. Solo con l'aiuto di tali concetti infatti il nazismo può essere oggetto di una comparazione con una serie di altri fenomeni, che variano a seconda del concetto prescelto. Sulla base di un concetto differenziato di fascismo si possono analizzare ad esempio le differenze e le analogie tra il nazismo tedesco, il fascismo italiano e altri movimenti o sistemi politici della prima metà del XX secolo, e si può altresì cercare di spiegare perché in alcuni paesi i movimenti fascisti rimasero deboli o furono del tutto assenti. Con l'ausilio di un concetto di totalitarismo differenziato si può operare un fecondo confronto tra il nazionalsocialismo e altre forme di dittatura, ad esempio quella staliniana nell'Unione Sovietica e quelle di altri sistemi comunisti. Entrambi gli approcci comparativi sono legittimi, e la scelta tra di essi dipende dall'interesse euristico specifico. In base alla scelta del concetto e del contesto di comparazione l'analisi è in grado di far luce su altre caratteristiche del nazismo: nel caso dell'approccio incentrato sul fascismo, emergono in primo piano le condizioni e le funzioni sociali del nazismo, nel caso dell'approccio focalizzato sul totalitarismo, per contro, acquistano maggior rilievo le peculiarità del sistema di dominio e dell'ideologia dittatoriale.
Alle problematiche guida e ai concetti centrali si riconnette la scelta delle unità di comparazione. Sino ad oggi la ricerca, perlomeno nell'ambito della storia contemporanea, ha privilegiato la comparazione tra Stati nazionali (comparazione internazionale), sia per mettere in luce analogie e differenze sotto determinati profili tra diverse società nella loro globalità, sia per effettuare comparazioni parziali - è questo il caso, ad esempio, della storia sociale comparata della avvocatura in Germania, in Italia e in Svizzera (v. Siegrist, 1996). Di fatto numerosi elementi depongono a favore della scelta di unità di comparazione nazionali: molte strutture, processi, esperienze, azioni ed eventi che meritano una comparazione storica nell'epoca moderna sono definiti dalla loro appartenenza nazionale - lingua, cultura e politica statale proprie di un determinato contesto nazionale. Pertanto le fonti e i dati cui fa riferimento la ricerca empirica per la storia contemporanea nella maggior parte dei casi sono disponibili in una forma nazionale specifica. Ciò vale sia per le statistiche di cui si serve la comparazione quantitativa, sia per i documenti linguistici che possono rendersi necessari per la comparazione delle esperienze belliche, nonché per le testimonianze dei gruppi professionali, indispensabili nella ricerca storica sulla professionalizzazione, e naturalmente per le leggi e le costituzioni. La dimensione nazionale, infine, caratterizza anche le problematiche e i contesti in cui operano i ricercatori contemporanei, i quali si rivolgono altresì ad un pubblico per il quale la storia nazionale e di conseguenza la comparazione internazionale rivestono un interesse particolare. Anche in futuro la comparazione internazionale avrà un ruolo significativo.
Tuttavia le esperienze attuali e i nuovi centri di gravità della ricerca storiografica portano in misura crescente a mettere in discussione la focalizzazione esclusiva sulla storia nazionale e sulla comparazione internazionale. Molte problematiche possono essere affrontate in modo più adeguato attraverso la comparazione di unità regionali di minori dimensioni. Si pensi alla recente ricerca sull'industrializzazione, in cui la regione è emersa come lo spazio privilegiato delle trasformazioni economiche, o alla nuova storia culturale, che indaga mentalità e identità e deve quindi servirsi di comparazioni a livello regionale, sebbene per lo più in connessione con la dimensione nazionale (v. Tacke, 1995). Qualora si estenda l'indagine ai paesi centro-orientali e ai paesi balcanici, ci si trova di fronte a società e Stati che solo con grande ritardo si sono adattati ad un modello nazionale: un modello di insediamento ad alta densità, il pluralismo etnico e un passato di dipendenza da imperi sovranazionali pongono seri limiti alla comparazione storica nazionale e internazionale in queste regioni europee. Ciò vale a maggior ragione per la storia del Medioevo e della prima età moderna, che può essere ricostruita solo in misura molto limitata in termini di storia nazionale. Molte problematiche richiedono un approccio sovranazionale. Nella ricerca storiografica sulle migrazioni, sulla delimitazione dei confini e sulle espulsioni il contesto nazionale resta un fattore rilevante, e tuttavia si rende necessario un ampliamento in direzione sovranazionale. Le regioni montuose interne, i territori di confine e i litorali non attribuibili ad una specifica società nazionale hanno attirato recentemente l'attenzione dei ricercatori. I limiti della comparazione incentrata sulle nazioni e sulle società organizzate in nazioni emergono in modo ancora più evidente quando si tratta di ampliare la prospettiva a tutto il continente europeo o all'intero mondo occidentale. La storia comparata di culture e civiltà a livello mondiale appare particolarmente impegnativa (per un panorama sulla problematica e la letteratura v. Osterhammel, 1996; v. Kaelble, 1997, pp. 47-54). Se in passato al centro della ricerca vi era la comparazione nazionale, in futuro occorrerà ampliare gli orizzonti, creando nuove forme di comparazione.Anche la scelta tra comparazione sincronica e comparazione diacronica non può essere effettuata a priori, ma dipende dallo specifico interesse euristico. Dal punto di vista antropologico - ad esempio per quanto riguarda il problema del modo in cui le comunità affrontano la memoria delle proprie sconfitte o delle proprie colpe - risulta preferibile la comparazione tra epoche entro archi di tempo più estesi, ad esempio tra l'antichità classica (Grecia, Roma) e l'Europa moderna. Anche la storia della città occidentale invita a questo tipo di comparazioni intertemporali di ampio respiro (cfr. Meier, in Haupt e Kocka, 1996, pp. 239-270). Per chiarire se e in che modo società diverse abbiano risolto problemi identici, può rendersi necessaria una comparazione tra situazioni dislocate nel tempo. Se, ad esempio, alla luce delle esperienze inglesi e tedesche, si volesse indagare il rapporto tra la prima industrializzazione, l'ineguaglianza sociale e la sua percezione e la nascita delle organizzazioni sindacali, occorrerà comparare la situazione dell'Inghilterra tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX e quella della Germania dopo gli anni venti dell'Ottocento. Molte altre problematiche, per contro, richiedono una comparazione sincronica.La scelta delle unità di confronto rappresenta uno dei passi più difficili della storia comparata. Tale scelta, decisiva per il risultato della ricerca, deve essere preceduta da approfondite riflessioni teoriche, e il più delle volte comporta una certa dose di decisionismo, in quanto nella realtà storica non si danno in genere quei confini netti che occorre peraltro presupporre allorché si vogliono accertare le analogie e le differenze tra unità di comparazione chiaramente definite. Non esistono soluzioni a priori: il ruolo decisivo spetta sempre alla problematica.
Le comparazioni vengono utilizzate in argomentazioni di vario tipo e per scopi alquanto diversi. Accenneremo qui ad alcuni di questi impieghi, senza peraltro pretendere di darne un quadro completo.
Spesso lo studio di altri paesi, società, villaggi o aree del mondo può essere utile per una migliore comprensione della propria storia. Si ha in questo caso una variante asimmetrica della comparazione per contrasto, che racchiude interessanti possibilità per la ricerca ma comporta anche notevoli rischi. Un esempio significativo al riguardo è offerto dall'indagine di Max Weber sullo sviluppo della civiltà occidentale. Al fine di comprendere in virtù di quali fattori il mondo occidentale abbia visto la nascita di un'economia capitalistica, di città autonome, di Stati territoriali burocratici, di una cultura secolarizzata, di una scienza moderna e di altre manifestazioni di "razionalizzazione dell'esistenza", Weber istituì un confronto con le civiltà asiatiche, chiedendosi perché in esse non si fossero sviluppati fenomeni analoghi. Da una prospettiva occidentale, alla luce di problematiche e concetti formulati in base al modello occidentale, Weber effettuò un'analisi comparata delle culture non occidentali, senza dubbio al fine di comprenderne le caratteristiche distintive, ma anche - indirettamente - per gettare luce sul percorso di sviluppo proprio dell'Occidente. Per quanto avvertita sul piano concettuale e feconda sul piano scientifico, l'indagine comparata di Weber ha per certi versi il carattere di una strumentalizzazione, in quanto finalizza l'analisi di una realtà estranea alla conoscenza della propria realtà (v. Weber, 1920-1921; v. Kalberg, 1994). La tematica della peculiarità dell'Europa o dell'Occidente in generale dopo Weber ha alimentato un ricco filone di studi comparati. Il problema dei fondamenti storici di una identità europea ha acquistato una nuova rilevanza dacché ha preso corpo il progetto di una unificazione politica ed economica dell'Europa (v. Kaelble, 1987 e 1997, pp. 47-54).
Un secondo esempio di comparazione per contrasto finalizzata primariamente a cogliere meglio le peculiarità del proprio caso è dato dal dibattito sulla cosiddetta 'via tedesca' alla modernizzazione. Qui gli sviluppi della Germania nel XIX e nel XX secolo vengono posti a confronto con i corrispondenti processi in uno o più paesi occidentali (talvolta con l'Occidente nel suo complesso). Alla base di tali comparazioni vi è perlopiù una interpretazione critica della storia tedesca, di cui vengono messi in rilievo gli aspetti negativi - parlamentarizzazione tardiva, debolezza del liberalismo, Stato autoritario, predisposizione al fascismo (v. Kocka, 1988). Un'impostazione analoga caratterizza il dibattito sull''eccezionalità americana' nonché su altri percorsi di sviluppo specifici di determinate aree (v. Zolberg, 1986). Anche in questo caso, la comparazione per contrasto ha lo scopo di arrivare a una migliore comprensione di un dato fenomeno - di regola la propria storia - con intenti di volta in volta celebrativi, autocritici, oppure ambivalenti, di distanziamento obiettivo. Di solito la comparazione viene solo accennata, e il paese scelto come termine di confronto resta nello sfondo, senza che ne venga offerta un'analisi approfondita. Più che di vere e proprie comparazioni si tratta quindi di indagini sulla propria storia nazionale in una prospettiva comparata. Anche in questa forma riduttiva, peraltro, il metodo comparativo può rivelarsi assai fruttuoso, e presenta il vantaggio di una maggiore fattibilità. Resta però il pericolo che la storia del paese utilizzato come termine di confronto venga eccessivamente semplificata, illegittimamente omogeneizzata e talvolta addirittura sistematicamente fraintesa. È questa ad esempio la critica rivolta alla tesi di una 'via tedesca' alla modernizzazione. Le comparazioni di questo tipo rischiano di restare ancorate a quei 'controconcetti asimmetrici' con cui le nazioni, le classi o i gruppi etnici si sono definiti, stereotipizzati e separati dagli altri (v. Koselleck, 1979). Sussiste quindi il pericolo che la comparazione si limiti a riprodurre l'autoimmagine culturale, gli stereotipi e le ideologie del passato anziché analizzarli criticamente. Oltre a ciò, in questa forma di caratterizzazione comparata di una nazione, di una società o di un gruppo i risultati dipendono in misura notevole dalla scelta del termine di confronto - scelta che di solito non avviene esclusivamente sulla base di criteri scientifici.
Quando la comparazione deve sfociare nella definizione di una tipologia, si rende necessario introdurre almeno tre casi di confronto relativamente omogenei. Un esempio di questo procedimento è offerto dalla ricerca di Theodor Schieder sullo sviluppo dello Stato nazionale nei paesi dell'Europa occidentale, centrale e orientale. Confrontando i movimenti nazionali europei del XIX secolo, Schieder perviene a una tipologia tripartita: i movimenti nazionali nell'Europa occidentale poterono svilupparsi sui fondamenti di Stati territoriali preesistenti, nell'Europa centrale - ad esempio in Germania e in Italia - gli Stati nazionali nacquero dall'associazione di unità territoriali di dimensioni più ridotte e nell'Europa orientale dalla lotta di queste ultime contro imperi sovranazionali preesistenti. A ciò si riconnettono profonde differenze nell'orientamento ideologico-programmatico e nella collocazione temporale dei movimenti nazionali europei, che possono essere messe in evidenza attraverso una comparazione sistematica (v. Schieder, 1966).
Un altro tipo di classificazione si ottiene quando si analizzano i diversi processi di formazione della nazione. È quanto ha fatto ad esempio Miroslav Hroch, il quale nella sua ricerca sulle piccole nazioni dell'Europa centrale, orientale e settentrionale individua diverse cesure a seconda dello strato sociale portatore delle idee nazionaliste e del loro grado di diffusione, e distingue tre fasi sino alla formazione di movimenti di massa (v. Hroch, 1968). Entrambi gli approcci partono dal presupposto che nel XIX secolo la formazione dello Stato nazionale fosse un fenomeno comune, presentandosi peraltro a seconda del contesto sociale in forme assai diverse le quali trovano riflesso in una molteplicità di tipi e in una varietà di sviluppi cronologici.In un contesto ancora più generale si collocano gli studi dedicati alle crisi della modernizzazione del XIX e del XX secolo. Come esempi si possono citare i lavori di Reinhard Bendix sulle peculiarità della 'modernizzazione politica' dell'Europa occidentale raffrontata alla situazione di Russia, Giappone e India (v. Bendix, 1964). Nonostante le critiche rivolte alla teoria della modernizzazione, questa si rivela particolarmente adatta a stimolare ricerche storico-sociologiche di ampio respiro. Negli ultimi anni l'interesse si è andato incentrando in misura crescente sui mutamenti di regime politico, in particolare sulla transizione da forme statali di tipo totalitario-dittatoriale o autoritario a democrazie parlamentari. Gli studi comparati sugli sviluppi nell'Europa meridionale hanno focalizzato l'attenzione in particolare sul ruolo e sull'importanza di singole istituzioni (ad esempio l'esercito), classi sociali (ad esempio la borghesia) o ideologie in questo processo di mutamento (v. Linz e Stepan, 1996).
Queste tipologie, che si collocano in un ambito intermedio tra la 'politica comparativa', la sociologia storica e la storiografia, sollevano talvolta, agli occhi degli storici, notevoli problemi. Negli approcci di questo genere infatti i processi storici vengono concepiti come 'tipi', come fenomeni caratterizzati da un decorso e da una direzione tipici, e di conseguenza la multidimensionalità, il carattere contingente e aperto delle situazioni storiche vengono in certa misura sottovalutati. Infine, in alcuni studi tipologici emerge la tendenza a porre determinati sviluppi o strutture come 'norma': ad esempio l'industrializzazione inglese, la democrazia anglosassone o la formazione rivoluzionaria dello Stato nazionale in Francia. Questi casi vengono utilizzati come modelli di riferimento per la classificazione di altre situazioni nazionali o regionali, che appaiono di conseguenza come deviazioni deficitarie dalla via normale o meri ritardi. Ciò può risultare problematico.
Le tipologie storiche, peraltro, non portano necessariamente a tali semplificazioni. All'assunto che istituzioni, sistemi economici, società o intere civiltà seguano modelli di sviluppo omogenei e siano quindi sostanzialmente affini (v. Toynbee, 1934-1961; v. Rostow, 1960) il metodo tipologico contrappone l'idea che di regola a dominare sia il pluralismo. Invece di privilegiare determinate soluzioni considerandole 'normali', gli approcci tipologici si basano sul concetto di 'equivalenza funzionale', presupponendo cioè - come ipotesi da verificare - che esistano diverse soluzioni egualmente valide per uno stesso problema, e che diversi elementi abbiano eguale importanza per una medesima totalità. Arnold Heidenheimer, ad esempio, ha messo in luce le differenze in termini di ritmo e di portata nella costruzione dello Stato sociale in Francia e in Germania, dimostrando peraltro che la pace sociale e il consenso delle masse che in Germania si sarebbero dovuti ottenere con l'ausilio dello Stato sociale, in Francia vennero perseguiti con un sistema educativo aperto sul piano sociale e organizzato su basi meritocratiche (v. Heidenheimer, 1973).
Assai ambizioso e impegnativo è il tentativo di utilizzare la comparazione come elemento centrale di sintesi analitiche. Ci riferiamo qui alle analisi comparate di un contesto globale di tipo storico-sistematico, forti di una solida base empirica e nel contempo guidate da un preciso impianto teorico, il cui ambito di applicazione è però delimitato sul piano tematico e spazio-temporale. Si può citare come esempio la sintesi dello sviluppo industriale in Europa offerta da Alexander Gerschenkron che, sebbene risulti superata sotto certi aspetti, nella sua struttura resta tuttora ineguagliata. Al centro del lavoro di Gerschenkron vi è una comparazione tra i processi di industrializzazione nelle diverse nazioni europee, basata su una serie di analogie di fondo e di differenze significative identificate soprattutto con l'ausilio del concetto di 'equivalenti funzionali'. Ma Gerschenkron non si ferma qui; partendo da questa comparazione, egli concepisce i casi oggetto d'indagine come parti di un sistema globale dell'industrializzazione europea, le cui differenze vengono spiegate da un lato in base alla loro diversa posizione all'interno del sistema complessivo ("relativa arretratezza") e ai loro sfasamenti temporali, dall'altro sulla base delle loro influenze reciproche, e dunque a partire dalla storia dei loro rapporti (v. Gerschenkron, 1962).
La sintesi analitica di Gerschenkron offre un quadro a grandi linee dell'industrializzazione europea, una cornice per ulteriori monografie e ricerche focalizzate. Come esempio di analisi comparata approfondita e globale di una problematica complessa si può citare il magistrale studio di Barrington Moore sulle diverse vie alla modernizzazione di Inghilterra, Francia, Stati Uniti, Cina, Giappone e India dal punto di vista della nascita di democrazia e dittatura. Descrizione, analisi delle condizioni e interpretazione delle conseguenze dei diversi sviluppi, nonché accenni di storia delle influenze reciproche, sono tutti elementi presenti nel lavoro di Moore, ma è la comparazione il motore centrale dell'argomentazione teorico-empirica complessiva (v. Moore, 1966).
La storiografia come disciplina specialistica per lungo tempo non ha dimostrato una particolare inclinazione per la comparazione. Il confronto tra culture diverse tuttavia ricorre spesso negli storici e nei sociologi dell'età illuministica, come dimostrano le opere di Montesquieu, Adam Smith e Johann Heinrich Gottlob Justi. Nell'ambito dell'illuminismo scozzese e francese si affermò l'idea di una storia universale articolata in stadi di sviluppo, e da qui nacque un 'metodo comparativo', basato sul presupposto che le società sviluppate di un'epoca potessero studiare il proprio passato osservando i popoli contemporanei 'arretrati', ossia fermi ad uno stadio di sviluppo precedente. Questa idea trovò la sua espressione più compiuta nella filosofia della storia dialettica ed evoluzionistica del XIX secolo - ad esempio in Karl Marx (v. Osterhammel, 1996, pp. 277-278).
Lo storicismo classico del XIX secolo segnò la scomparsa quasi totale della comparazione dalla storiografia.In primo luogo si affermò difatti tra gli storici la convinzione che le indagini e le rappresentazioni storiche debbano essere il più possibile vicine alle fonti per poter essere considerate autentiche e valide. La storiografia comparata per contro deve spesso rinunciare ad una ricerca documentaria intensiva, accontentandosi di informazioni di seconda mano, in particolar modo quando i casi oggetto di confronto sono molteplici.
In secondo luogo, si affermò l'idea che la continuità, l'individualità e la dipendenza dal contesto costituiscano i principî guida della riflessione, della ricerca e della descrizione storiche. Di conseguenza si riteneva che per comprendere i fenomeni storici fosse necessario interpretarli nel loro contesto sincronico e diacronico, come parte di uno sviluppo (dimensione diacronica) e di una totalità più ampia (dimensione sincronica). La storia, pertanto, non consisterebbe in una successione di eventi che possono essere considerati esemplificazioni di leggi generali. La comparazione, per contro, presuppone che i fenomeni oggetto del confronto siano svincolati in larga misura dal loro contesto diacronico e sincronico al fine di studiarne le analogie e le differenze. Quando si effettua una comparazione, i fenomeni studiati non sono concepiti, perlomeno non esclusivamente, come individualità, bensì come casi simili sotto certi aspetti e differenti sotto altri. Non è possibile confrontare i fenomeni nella loro totalità complessa - come individualità nella loro compiuta interezza - ma solo sotto determinati aspetti. La comparazione presuppone dunque selezione e astrazione.
In terzo luogo, l'affermarsi della storia come disciplina scientifica, come materia di insegnamento nelle scuole e come orientamento intellettuale del pubblico colto era strettamente legato all'interesse per la propria storia, nella fattispecie la propria storia nazionale. L'attenzione per realtà al di fuori dei propri confini non aveva dunque alcuna priorità.
Si spiega così perché nell'epoca dello storicismo, che contribuì all'affermarsi di tali principî, la storiografia nutrisse sostanziali riserve nei confronti della comparazione. Gli storici dell'Ottocento e dei primi del Novecento consideravano la comparazione uno strumento di pertinenza dei linguisti e degli studiosi della religione, degli antropologi e degli etnologi, dei geografi, dei rappresentanti della scuola storica dell'economia politica e soprattutto della nascente sociologia. I padri fondatori di questa disciplina - Max Weber, Émile Durkheim, Marcel Mauss - furono decisi sostenitori della storia comparata, e non mancarono di esercitare una certa influenza su alcuni storici, tra cui Otto Hintze, Marc Bloch, Henri Pirenne, Fernand Braudel e Joseph Needham, sinologo e storico della scienza inglese.
Nel secondo dopoguerra le comparazioni storiche vennero privilegiate dai sociologi di orientamento storico, o vennero effettuate in contesti interdisciplinari - citiamo come esempio la rivista "Comparative studies in society and history", pubblicata a partire dal 1958 (cfr. Grew, in Atsma e Burguière, 1990, pp. 323-334). Sull'onda delle teorie della modernizzazione il concetto di stadi di sviluppo restò in auge, e influenzò numerosi studi nel campo della 'politica comparata', della sociologia storica e della storia dell'economia basata su metodi quantitativi (v. ad esempio Rostow, 1960). Nell'ambito della storiografia, per contro, la comparazione continuò ad avere un ruolo del tutto marginale sino all'inizio degli anni settanta.
Solo quando la disciplina andò ampliando il paradigma storicistico tradizionale, cominciò ad avvalersi di metodi analitici e manifestò una certa apertura nei confronti delle scienze sociali (tale 'svolta analitica' della storiografia, che ebbe alcuni precursori negli anni cinquanta, avvenne fondamentalmente tra gli anni sessanta e settanta; v. Iggers, 1984), gli studi comparati vennero sentiti come un'esigenza e furono anche concretamente realizzati. Soprattutto nel campo della storia sociale, che ha conosciuto una rapida espansione negli ultimi cinquant'anni, la comparazione internazionale ha avuto un notevole impulso. Oltre all'incremento delle ricerche storico-sociali in generale e alla svolta analitica della storiografia menzionata in precedenza, un contributo fondamentale in questa direzione è stato dato dal crescente intreccio internazionale della storiografia e di altre discipline, nonché della ricerca e della vita intellettuale in generale. Ancora una volta la motivazione principale è costituita dall'interesse per la propria identità: la speranza di comprendere meglio il proprio percorso di sviluppo attraverso il confronto con quello di altre nazioni, i successi e i limiti della propria modernizzazione attraverso il confronto con percorsi alternativi, la peculiarità dell'Europa attraverso una comparazione a livello mondiale - in una prospettiva a volte critica, a volte celebrativa, spesso improntata al distacco analitico. Sinora la ricerca comparata internazionale ha privilegiato la storia moderna e contemporanea, trascurando le epoche passate. Nella storia sociale ed economica e nella demografia storica le comparazioni internazionali ricorrono più di frequente che non nella storia politica e culturale, mentre sono quasi del tutto assenti negli studi di orientamento microstorico sulla vita quotidiana. Nella storiografia tedesca la comparazione internazionale nel suo complesso ha avuto maggior diffusione che non in quella inglese e francese. In proporzione al numero degli studiosi, le ricerche di storia comparata condotte in Svizzera, in Svezia e in Austria rappresentano un corpus relativamente consistente. Il contributo dell'Europa meridionale in questo campo, per contro, resta di scarso rilievo sia sul piano del numero degli studiosi, sia sul piano delle tematiche affrontate, mentre quello dei paesi dell'Est è appena agli inizi. La letteratura americana si segnala per una maggiore apertura geografica, in quanto le comparazioni vengono effettuate sia con i paesi latino-americani, asiatici e americani, sia con quelli europei (v. Kaelble, 1997, pp. 94-107; v. Rossi, 1990, pp. IX-XXV e 243-287; v. Salvati, 1992; v. "Passato e presente", 1993, pp. 19-51; v. Fredrickson, 1980).
La storia comparata è in via di trasformazione. Gli studi di tipo principalmente quantitativo sono rari, e si va affermando la tendenza ad integrare la comparazione di strutture e processi con quella di esperienze e modelli di azione. L'ambito di indagine della storia comparata si va estendendo alle mentalità, alle pratiche culturali e al mondo dei simboli. A differenza di quanto accadeva in passato, il metodo comparativo viene praticato soprattutto dagli storici, i quali tendono a restringere il confronto a pochi casi, spesso solo due, e seguono il principio generale di limitare per quanto possibile l'astrazione privilegiando la dimensione concreta, il riferimento al contesto e la vicinanza alle fonti. Il procedimento per contrasto tende ad essere preferito alla generalizzazione, e di solito all'individuazione di analogie e differenze si accompagna un'attenzione per la storia dei rapporti e delle influenze. Solo di rado gli storici si avventurano sul terreno della comparazione tra intere culture e civiltà; le loro comparazioni restano il più delle volte circoscritte nello spazio e nel tempo.
Per le scienze sociali di orientamento storico l'analisi comparata resta uno degli strumenti più preziosi. Gli economisti non si sono ancora riallacciati alla loro grande tradizione passata di ricerca storico-comparativa - che ebbe il suo culmine con la scuola storica tedesca dell'Ottocento e dei primi del Novecento (v. Schefold, 1995). Importanti contributi giungono per contro dall'etnologia e dall'antropologia (v. Schweizer, 1988²), dalla sociologia (v. Immerfall, 1994) e dalla scienza politica (v. Collier, 1993). Jürgen Osterhammel (v., 1996, pp. 285-291) ha individuato cinque grandi problematiche della sociologia storica. In primo luogo, istituzioni e pratiche sociali che si ripresentano in molte parti del mondo e quindi sostanzialmente non sono specifiche di una determinata cultura si prestano a un'analisi universale delle varianti. Ad esempio, le forme specifiche e i tratti universali di istituzioni come la famiglia, la comunità di villaggio, la città o lo schiavismo vengono analizzate in una prospettiva interculturale, sulla base di un gran numero di casi e non di rado con l'impiego di tecniche quantitative (nel 1966 Patterson ha analizzato il sistema schiavile in 66 società). In secondo luogo, lo studio delle forme statuali premoderne dal punto di vista della storia universale apre importanti prospettive teoriche. In terzo luogo, una storia sociale comparata del sapere e dei problemi scientifici costituisce uno dei compiti più importanti della comparazione transculturale (v. ad esempio Nakayama, 1984). In quarto luogo, si ripropone la questione, già affrontata da Max Weber, delle cause della peculiarità dello sviluppo europeo (più precisamente dell'Europa occidentale) rispetto al resto del mondo (v. Jones, 1981). Infine, la comparazione con i paesi extraeuropei analizza 'vie alternative alla modernità' che hanno avuto successo. Con una felice associazione di elaborazione teorica e di concretezza storica, gli studi dedicati a questa tematica (v. Moore, 1966; v. Mann, 19861993; v. Goldstone, 1991) abbandonano la prospettiva incentrata sull'Europa e sul mondo occidentale, nella convinzione che la modernità assuma una pluralità di forme. Pur prestando attenzione alle differenze, gli autori di tali studi cercano di pervenire a spiegazioni storiche universali, anche sulle cause generali dello sviluppo.La comparazione contribuisce a modernizzare la storiografia (cfr. Cafagna, in Rossi, 1990, pp. 379408). Gli storici che adottano l'approccio comparativo utilizzano concetti ben definiti, metodi analitici e teorie sociologiche. Attraverso la comparazione la storiografia si apre alle altre discipline sistematiche, mentre dal canto loro la sociologia, la scienza politica e l'antropologia si riallacciano alla storia (cfr. Cavalli, in Rossi, 1990, pp. 409-421). La storia comparata si dimostra un terreno di incontro per i rappresentanti di molteplici indirizzi di ricerca, configurandosi come spazio ideale per una ricerca transdisciplinare (v. Rossi, 1990, p. XVI). L'ampliamento di prospettive delle scienze sociali è all'ordine del giorno, e la comparazione apre una strada importante in questa direzione. (V. anche Comparativo, metodo; Storia, teorie della; Storiografia e società).
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