STIPULAZIONE
. È contratto formale in largo uso nel commercio romano per la costituzione di un rapporto obbligatorio. La forma consisteva in un'interrogazione del futuro creditore (reus stipulandi) e nella congrua risposta del futuro debitore (reus promittendi), fatte anticamente con le parole spondes? spondeo, e la stipulazione si diceva sponsio, ed era iuris civilis, accessibile ai soli cittadini romani. Più tardi sotto l'influenza dello ius gentium accanto alla sponsio si collocò la stipulatio con domanda e risposta così formulate: dabis? dabo; promittis? promitio; fidepromittis? fidepromitto; fideiubes? fideiubeo; facies? faciam, o anche utique, sane, quidni? Non importò neppure che fossero formulate in latino. Questa stipulatio iuris gentium era accessibile anche ai peregrini.
L'origine della stipulatio è disputata: chi la fa derivare dallo ius sacrum e dal giuramento (P. F. Girard, S. Perozzi); chi dalla malleveria processuale (L. Mitteis, L. Wenger, a cui si accosta P. Bonfante). La stipulatio antica, nella forma della sponsio, aveva varie applicazioni: nel diritto pubblico era usata per conchiudere paci e alleanze; nel diritto familiare per promettere la figlia in matrimonio. Contratto verbale, non si può naturalmente conchiudere tra assenti, sordi e muti. Soccorreva la rappresentanza necessaria dei filiifamilias e dei servi.
Quando la stipulatio era complessa, redatta in scritto con tutte le sue clausole, veniva letta dal futuro stipulante al futuro promittente e conchiusa con la domanda: ea quae supra scripia sunt, promittis? alla quale il promittente rispondeva: promitto. L'essenza della stipulatio anche così, contrariamente a ciò che da qualcuno (S. Riccobono) si pensa, era pur sempre e tutta nella solennità orale e rimase sempre tale, da Cicerone a Ulpiano.
I requisiti formali della stipulazione andarono soggetti nel diritto postclassico a una progressiva diminuzione, per modo che nel diritto giustinianeo il contratto verbale può dirsi svanito. Fra domanda e risposta doveva esservi nel diritto classico perfetta corrispondenza: non si poteva promettere una somma diversa dalla richiesta o aggiungere condizioni non proposte. Nel diritto giustinianeo questo rigore è abbandonato: la stipulazione è valida fin dove l'accordo sussiste; una risposta condizionata, purché accettata dallo stipulante, non vizia l'atto. Tra domanda e risposta nel diritto classico non doveva esservi interruzione (unitas actus); nel diritto giustinianeo un modicum intervallum è tollerato. Più profondamente agirono sull'istituto le dirette influenze elleno-orientali. La pratica, d'uso costante, di redigere in scritto ciò che le parti avevano stipulato per disporre di un comodo mezzo di prova, finì per essere concepita come essenziale: il documento, per l'innanzi semplicemente probatorio, assunse valore dispositivo. Una costituzione dell'imperatore Leone (472 d. C.) ridusse l'essenza della stipulazione al consenso delle parti presenti: Giustiniano indebolì anche il requisito della presenza stabilendo che facesse piena prova un documento in cui fosse scritto che la stipulazione era avvenuta, a meno che risultasse che durante il giorno indicato le parti o una di esse non erano assolutamente sul luogo.
Ciò che distingue la stipulazione dal patto nel diritto giustinianeo è ormai solamente l'intenzione delle parti: l'animus stipulandi, anziché l'animus paciscendi.
Si distinguono stipulazioni convenzionali e necessarie: le prime, quelle contratte liberamente; le seconde, imposte dal magistrato o dal giudice, che, siccome mirano solitamente a garantire contro danni e turbative, si dicono stipulationes cautionales o cautiones (es., cautio damni infecti, cautio dominum rem ratam habiturum).
La stipulatio, ammessa dapprima per i debiti di denaro, fu poi estesa a ogni dazione di cosa certa; infine si usò a rendere giuridica l'obbligazione avente per oggetto un incertum, prestazione di fatti o servigi. Corrispondentemente si distinguono tre azioni a garanzia della stipulazione: actio certae creditae pecuniae, se l'oggetto è una somma di denaro; condictio triticaria, se l'oggetto è un'altra res certa; actio ex stipulatu, se l'oggetto è un incertum.
Originariamente la stipulatio era un contratto formale nel senso più assoluto, cioè la sua causa non si ricercava. Al tempo di Cicerone, contro le conseguenze inique della stipulazione furono concesse actio doli e exceptio doli: le costituzioni imperiali introdussero l'exceptio non nuimeratae pecuniae.
Bibl.: F. Liebe, Die Stipulation, und das einfach Versprechen, Brunswick 1840; R. Gneist, Die formellen Verträge des neueren röm. Obligationenrechts, Berlino 1845; R. Schlesinger, Die Lehre von den Formalkontrakten, Lipsia 1858; Ph. Huschke, Die Lehre des röm. Rechts vom Darlehn, Stoccarda 1881; F. Schupfer, Singrafe e chirografi, in Riv. it. per le scienze giurid. VII (1889), p. 356 segg.; S. Schlossmann, Stipulari, in Rheinisches Museum, LIX (1904), pp. 346-372; F. Brandileone, Origine e significato della traditio chartae, in Atti Accad. scienze Torino, XLII (1907), pp. 339-63; L. Mitteis, Herkunft der Stipulation, in Aus röm. u. bürger. Recht, Weimar 1907; S. Riccobono, Stipulatio e instrumentum nel diritto giustinianeo, in Zeitschr. d. Sav.-St. f. Rechtsg. (röm. Abt.), XXXV (1914), p. 214 segg., XLIII (1922), p. 262 segg.; id., La forma della stipulazione, in Bull. ist. dir. rom., XXXI (1920), p. 29 segg.; S. Perozzi, Dalle obbligazioni da delitto alle obbligazioni da contratto, in Mem. Acc. scienze di Bologna, s. Iª, X (1916), pp. 43-120; id., Ist. di diritto rom., 2ª ed., Roma 1928, II, p. 203 segg.; P. Bonfante, Ist. di dir. rom., 9ª ed., Milano 1932, pp. 447-452.