STIPE (stips)
Designa lo scarico di oggetti di varia natura offerti alla divinità e raccolti in cumulo o giacenti sparsi entro uno spazio limitato di terreno. In origine stips equivale a moneta coniata (asse librale) (Festo 297.3, 313.17; Suet., Aug., 91) e secondo Varrone (De ling. Lat., v, 182) il nome deriverebbe dal cumulo di notevoli quantità di monete entro un ripostiglio (in aliqua cella stipare). S. è il denaro offerto alla divinità, le collette dei fedeli per doni o feste religiose (Liv., xxvii, 37; xxii, 1) e con tale significato la formula ex stipe, de s., s. conlata è usata nelle epigrafi e dagli autori classici; in senso lato è anche la somma destinata ad usi profani (elargizioni imperiali: Tac., Ann., xiv, 15). S. designa dunque una certa quantità di monete ed in realtà le offerte in denaro accompagnano spesso, in maggiore o minore quantità, i doni offerti alla divinità. L'uso di gettare monete nelle fonti e nei fiumi (stipem iactare) è documentato dai rinvenimenti (sorgenti dei Bagni di Pervalle: circa 8oo monete) e dai testi letterarî (lacus Curtius: Suet., Aug., 57); ma è da supporre che la maggior parte delle offerte in denaro, soprattutto quando si trattava di metalli pregiati, venisse depositata nella cassa del tempio. Una tipica s. monetale è stata rinvenuta presso Roma, sulla via Tiberina: entro la fondazione di un edificio (tempietto?) erano 113 bronzi di età repubblicana (IV-II sec. a. C.) depositati in una fossa scavata nel terreno vergine. I più cospicui depositi monetali rinvenuti insieme con le comuni offerte votive provengono da Vicarello (oltre 5ooo monete) e da Carsoli (oltre 700); la destinazione votiva è spesso indicata dalla ubicazione del deposito, come nel pozzetto del III sec. a. C. scoperto a Pompei presso l'ara del tempio di Giove.
La s. è un prezioso indizio dell'esistenza di un culto nel sito dove venne deposta; sovente ne è l'unica testimonianza sopravvissuta ed aiuta a determinare la durata in attività del culto e a individuarne la divinità per mezzo delle dediche e delle caratteristiche degli ex voto (s. di Ercole Vincitore a Superaequum, di Giunone Lucina a Norba, di Minerva Medica a Roma). Le offerte non potevano essere gettate via, perciò quando la quantità diventava eccessiva si provvedeva periodicamente, oppure in occasione di restauri del tempio, ad allontanare i donarî di minore valore intrinseco per far posto ai nuovi; il materiale veniva scaricato nelle immediate vicinanze del luogo di culto entro una fossa appositamente scavata e sepolto affinché non venisse profanato o riutilizzato. La fossa era talvolta rivestita di muratura, costruita a guisa di cisterna o di cella sotterranea anche nell'interno del tempio, e in tal caso prendeva il nome di favissa (Gell., Noct. Attic., ii, 10). I depositi si rinvengono mescolati od alternati a strati nerastri con residui di ceneri e di ossa animali del sacrificio. Gli oggetti che comunemente si trovano nelle s. sono - oltre il vasellame, spesso simbolicamente ridotto a modellini di recipienti in proporzioni minuscole - le statuette, busti e teste in terracotta di offerenti o delle divinità venerate, arule, figurine di animali, "pesi da telaio", lucerne, ornamenti personali (fibule, pendagli, armille, anelli) di bronzo, più raramente di metalli pregiati, monete, oggetti varî (chiodi, armi, ecc.), dediche su cippi o su vasi, oggettini simbolici (piccole focacce e ciambelle in terracotta, ecc.). Gli umili ex voto fittili venivano ovviamente ripetuti in centinaia di esemplari per corrispondere alle richieste dei fedeli, e sovente si raccoglie nello scavo il prodotto di matrici stanche e consumate. Non mancano tuttavia vere opere d'arte, come i pìnakes di Locri, le teste e i busti fittili tardoellenistici dell'Ariccia e di Frascati. Nel mondo etrusco-italico le teste fittili, soprattutto, rispecchiano fedelmente l'ambiente artistico in cui vengono prodotte e ne seguono il gusto, con tratti fisionomici talora così evidenti da averle fatte ritenere veri e proprî ritratti.
In Grecia - dove la fossa votiva corrispondente alla favissa italica è il bòthros (v.) - mentre i doni di maggior valore venivano custoditi nei thesauròi, il cumulo delle offerte modeste veniva depositato entro apposite trincee presso l'altare, dentro o fuori del tèmenos; s. di tal genere si trovano già in età micenea in alcuni santuarî cretesi (depositi presso Petsofà, Psychrò e ad Haghìa Triada) e nel tempio di Apollo a Delfi, nel periodo arcaico ed in età storica a Corcyra, ad Elatea, a Praisos (Creta; fossa rettangolare limitata da muri), a Tegea. Attorno all'altare di Artemide Orthìa a Sparta si rinvennero migliaia di figurine di piombo, frammenti di vasi ecc. che testimoniano un culto continuato dall'arcaismo fino a tarda età; così pure ad Olimpia, attorno al grande altare. Un'interessante s. arcaica (vasellame, statuette ed oggetti votivi vari del VII-VI sec. a. C.) è stata recentemente messa in luce nel santuario di Solygeia presso Corinto. L'Asklepieion di Atene ha dato molto materiale votivo, ed oggetti riproducenti parti del corpo umano e strumenti chirurgici sono elencati negli inventari del santuario; ma il più cospicuo complesso votivo di tal genere scoperto in Grecia è quello dell'Asklepieion di Corinto.
Nelle colonie occidentali la s. mantiene caratteristiche affini a quelle della madrepatria: nel santuario della Malophòros a Selinunte si rinvennero in enorme quantità (oltre 12.000) terrecotte figurate (VI-V sec. a. C.), stele in più ordini sovrapposti, oggetti vari, vasellame, modelli di edicole e di tràpezai sacre che giacevano nel tèmenos in uno strato compatto misto al terriccio nero dei sacrifici; ad Agrigento, nel santuario di Demetra (busti di Persefone, lucerne) ed in quello dei Dioscuri, dove si rinvennero fosse ripiene di ex voto la cui datazione è compresa fra il VII ed il III sec. a. C. (v. bothros). Di notevole interesse la s. arcaica della sorgente sulfurea di Palma di Montechiaro, che ha conservato tre xòana lignei di tipo dedalico. A Grammichele la s. (vasellame, busti femminili con pòlos, chiodi bronzei) era deposta sotto ai resti di una costruzione quadrata (m 6 × 6) con frammenti di statue di terracotta e marmo. S. si può definire anche il deposito di ex voto (cippi e stele, in prevalenza; vasellame, avori, scarabei, piccoli bronzi) che furono sepolti con cura nel vecchio tèmenos dell'Athenaion di Siracusa quando venne costruito il nuovo tempio. Varie s. - oltre quella del santuario di Demetra a Bitalemi - sono state rinvenute recentemente a Gela: deposito rituale di via Fiume, S. di Mulino a Vento (VII-VI a. C., entro una fossa artificiale), della Madonna dell'Alemanna e le S. di Feudo Nobile, scaricate sulla nuda terra con i resti del sacrificio (ceneri ed ossa di animali). Per l'abbondanza di vasellame arcaico d'importazione, insieme con le consuete figurine e centinaia di maschere fittili, è importante la s. del santuario di Demetra a Catania. La s. costituita da terrecotte figurate (statuette, busti o teste, maschere) è assai diffusa anche in Magna Grecia; notevoli quelle di Reggio Calabria (V-IV sec. a. C.) comprendenti figurine di animali e piccolo vasellame votivo. A Rosarno Medma una lunga fossa ellittica (m 33 × 3,50) conteneva, in due strati, migliaia di fittili ed oggetti metallici del VI-V sec. a. C. Notevole il deposito scoperto a Locri nella grotta di una fonte sacra: la s., costituita da oltre mille pezzi fittili (ciotoline, edicolette, statuette, modelli di fonti rupestri) era deposta a strati regolari coperti e circondati da tegoloni; ad una s. apparteneva il grande deposito dei pìnakes dedicati a Persefone (v. locri), poiché anche i pìnakes dedicati al culto tarantino dei Dioscuri vennero trovati in una s. con il vasellame. Taranto ha dato inoltre un enorme deposito (circa 30.000) di terrecotte votive. Un particolare interesse presenta la s. di Lucera, destinata probabilmente al culto ctonio di Persefone: l'abbondante materiale fittile, deposto in una fossa coperta da uno strato di tegole, conteneva molti pezzi riproducenti parti del corpo umano (gambe, mani, seni, uteri, falli, ecc.), elementi che sono caratteristici delle s. dell'Italia centrale e denotano un potere medicale attribuito alla divinità (cfr. la s. dell'Asklepieion di Atene e quella di Minerva Medica a Roma). I pezzi "anatomici" sono sovente associati ai comuni ex voto, tuttavia s. in cui questo carattere è notevole, se non prevalente, sono quelle di: Casamari, Terracina, Velletri, Lanuvio, Nemi (dove la s. di Diana - IV-I sec. a. C. - era deposta entro favisse), via Prenestina (12° km), Veio, Falerii Veteres (tempio maggiore di Vignale), Saturnia, Piansano e Marsiliana d'Albegna.
Nel complesso dell'Italia peninsulare il deposito votivo abbraccia un ampio orizzonte cronologico - dall'Età del Bronzo e del Ferro a quella imperiale - con un massimo sviluppo che, in ambiente etrusco-italico, corrisponde al periodo ellenistico. La notevolissima quantità di s. finora note costituisce un elemento di primaria importanza per la conoscenza dei culti locali nelle singole regioni italiane. Un aspetto particolare presentano le s. votive preistoriche, generalmente collegate a culti di fonti sacre (s. della Panighina, presso Bertinoro). I depositi dell'Età dei Bronzo (caverna di Latronico) trovano la loro naturale continuazione nel periodo del Ferro (s. di Matera, Montecassino, Valvisciolo,Velletri [tempio volsco], Nemi, Falerii Veteres) ed in piena età storica (s. della dea Manca a Minturno; S. di Tivoli, Vetulonia, S. Maurizio presso Bolzano). Oggetti caratteristici di queste s. sono i vasetti minuscoli, gli idoletti e statuette di terracotta o di bronzo trattati più o meno sommariamente. Talune di queste s. corrispondono alle caratteristiche delle stipes iactatae, come quella delle Aquae Aponenses (S. Pietro Montagnon) di epoca paleoveneta, raccolta nei depositi lacustri delle sorgenti calde. Maggiore abbondanza di oggetti metallici - soprattutto statuette di bronzo e le caratteristiche laminette figurate o ritagliate - offrono le s. preromane della regione veneta (Este: S. di Rethia [Fondo Baratela] e di Colle del Principe) e dell'Italia centrale (idoletti del santuario di Nocera Umbra). Anche in Gallia varie s. collegate con il culto delle acque medicali hanno restituito abbondante materiale: l'esempio più notevole è il santuario celtico di Sequana alle sorgenti della Senna, con centinaia di ex voto riproducenti parti anatomiche (talvolta deformate da malattie) ritagliate in fogli di bronzo o fuse a tutto tondo, e le S. di Moritasgus ad Alesia, di Vindonnus ad Essarois, di Mont Bouy (ex voto intagliati in legno di quercia). Una stips iactata ricca di oltre 4000 monete romane è stata rinvenuta in un pozzo a Bourbonne-les-Bains.
Tra le numerose s. risalenti ad epoca storica rinvenute in Italia sono particolarmente da ricordare: la grande s. ellenistica comprendente migliaia di pezzi (piccole teste e statuette di offerenti), rinvenuta nello Heraion alla foce del Sele fuori dalle favisse contenenti gli ex voti più antichi (v. bothros); in ambiente campano, la s. del Fondo Patturelli di Capua (molte statue in tufo rappresentanti una dea kourotròphos). Ad una divinità matronale è probabilinente dedicata anche la s. di Bomarzo in cui, accanto alle riproduzioni di bimbi in fasce ed ai consueti busti femminili e parti anatomiche varie, compaiono simboli sessuali. Notevoli ancora, nell'Italia centrale, la s. del tempio di Diana a Norba e quelle di Segni, Anxur (i cui curiosi ex voto in piombo imitanti in proporzioni minuscole mobili e stoviglie erano destinati al culto di Giove fanciullo), Satricum (s. arcaica del VII-VI sec. a. C., e recente del IV-II sec. a. C. - quest'ultima entro una fossa circolare limitata da muretti - dedicate alla Mater Matuta), Frascati, Ariccia (splendide sculture di terracotta: busto e teste muliebri), Carsòli. A Roma, oltre la già ricordata s. del tempio di Minerva Medica, ne sono state raccolte nell'isola Tiberina (culto di Esculapio), davanti a S. Maria della Vittoria (fossa votiva rivestita di muratura, con vasellame arcaico, vasetti minuscoli e modellini di focacce: VI-IV sec. a. C.), al Niger Lapis nel Foro Romano (vasetti, pesi, idoletti arcaici di bronzo, dadi, astragali dentro uno strato con residui di sacrificio), nel pozzo repubblicano di Vesta (statuette, fibule, vasetti e ciotolette), nella cella del tempio di Cibele sul Palatino (statuette, riproduzioni di coccole di cipresso [?] e curiose piccole trottole di terracotta). Un particolare interesse storico presenta la s. di Lucus Feroniae che da Livio (xxvi, 11) sappiamo devastata dai Cartaginesi nel 211 a. C. La s. della dea Northia a Bolsena era depositata in pozzetti scavati nel terreno. Ancora in Etruria sono da ricordare: la s. del tempio di Mercurio a Falerii Veteres, l'abbondantissima s. di Cerveteri (varie migliaia di fittili), la fossa con i residui del sacrificio e le offerte dei fedeli (fibule, anellini, oggetti d'ornamento del VI-V sec. a. C.) rinvenuta al centro dell'altare nel santuario d'Apollo a Veio, la s. della Fonte Veneziana ad Arezzo, ricca di ex voto di bronzo. La tarda s. di Vulci ha restituito - con le consuete statuette di bimbi con bulla, frequenti in ambiente etrusco, di neonati in fasce e figurine varie - anche modellini di edifici (portico, tempio, torre) secondo un'usanza non insolita in ambiente etrusco-italico (Satricum, Velletri) probabilmente di tradizione ellenica (cfr. s. di Rosarno Medma, Locri, ecc.).
In Sardegna, la s. del santuario agreste del nuraghe Lugherras è un esempio tipico di continuità di culto (dal V sec. a. C. al tardo Impero); essa mantiene inalterata attraverso i secoli anche la forma tradizionale punica di taluni oggetti votivi che sono, in prevalenza, lampade ed incensieri in forma di bustini femminili.
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