Stil nuovo
Con questa formula scolastica la moderna storiografia della letteratura italiana significa i temi e i modi espressivi di un gruppo di giovani poeti toscani vissuti a cavallo dei secoli XIII e XIV, i quali, esplicitamente in loro dichiarazioni o implicitamente con la loro stessa attività letteraria, riconobbero come loro anticipatore il bolognese Guido Guinizzelli. Essi sono: Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Lapo Gianni, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi e D. in un preciso periodo della sua attività giovanile. La formula di ‛ Stil nuovo ', per quanto sia entrata nell'uso e tenda a diffondersi ulteriormente forse per la sua maggiore ampiezza connotativa o forse soltanto per la sua più comoda rapidità, deriva dall'altra di ‛ Dolce stil nuovo ', che è esatta e piena definizione dantesca appunto utilizzata come etichetta storiografica dell'attività letteraria di quel gruppo e del suo anticipatore.
La fonte, com'è noto, sta in Pg XXIV 57. Quando D. attraversa il sesto girone che è dei golosi, soffermatosi a conversare con Forese Donati e domandatogli se mai ci fosse da notar persona (v. 11) tra le anime che sì lo riguardavano, viene ad apprendere la presenza, con altre, di quella del poeta lucchese Bonagiunta Orbicciani; e costui, dopo avergli diretta una breve ma densa e piuttosto oscura profezia su misteriosi rapporti che D. avrebbe avuto con una donna di Lucca (v. GENTUCCA), gli chiede se egli non sia il poeta che fore / trasse le nove rime, cominciando / ‛ Donne ch'avete intelletto d'amore ' (vv. 49-51). D., nel rispondere affermativamente, piuttosto che allegare elementi biografici o addirittura anagrafici, preferisce formulare in breve una sorta di caratterizzante poetica, pronunziando la famosa terzina: I' mi son un che, quando / Amor mi spira, noto, e a quel modo / ch'e' ditta dentro vo significando (vv. 52-54). Bonagiunta infine replica con una sincera dichiarazione d'intelligenza, e riconosce con modestia la propria arretratezza: issa vegg'io... il nodo / che 'l Notaro e Guittone e me ritenne / di qua dal dolce stil novo ch'i' odo! (vv. 55-57).
L'espressione come tale, l'unica usata da D. per indicare quel movimento letterario, è antica; ma la sua utilizzazione a fini storiografici è più recente di quanto si possa a prima vista credere, e risale al De Sanctis e ai critici dell'ultimo Ottocento.
È da chiedersi prima di tutto qual fosse il pensiero di D. nel momento in cui egli addiveniva a quella felice formulazione, tenuto anche conto del fatto, assai importante, che Bonagiunta in lui vedeva il poeta che ‛ cominciò ' le nove rime. Che con la locuzione di dolce stil novo D. alludesse solo a sé stesso e alle proprie nove rime, quelle che traggono inizio dal cap. XVII della Vita Nuova (la canzone Donne, ch'avete intelletto d'amore si legge nel cap. XIX, ma il proposito di ripigliare matera nuova e più nobile che la passata è espresso in XVII 2), pare ipotesi difficilmente sostenibile. Non è pensabile infatti che a un gruppo rappresentativo dell'uno... stilo (ʼl Notaro e Guittone e me) venga contrapposta un'isolata persona, e sia pure della grandezza di D., come rappresentativa dell'altro stilo; e ciò per la scarsa logica della cosa in sé, per precise considerazioni di opportunità (siamo nel Purgatorio), e infine perché ipotesi siffatta è fuori della coerente e sistematica mentalità dantesca. Inoltre non si spiegherebbe il passaggio, operatosi nel parlare di Bonagiunta, dal ‛ tu ', con cui egli dapprima si rivolge a D. (ti farà piacere, v. 44; Tu te n'andrai, v. 46), al successivo ‛ voi ', pur ammettendo che un tale passaggio nell'antica sintassi, non ancora irrigiditasi negli usi pronominali di familiarità, di cortesia o di rispetto, è tutt'altro che infrequente (le vostre penne, v. 58). In questo caso infatti l'apertura dal Tu al vostre non è puramente formale ma sostanziale, perché avviene proprio nel momento in cui si precisano le norme del ‛ Dolce stil nuovo ', quasi collettivamente considerate nel loro attuarsi dinamico, tanto che le vostre penne sono contrapposte alle nostre (del Notaro, di Guittone, dello stesso Bonagiunta): che de le nostre certo non avvenne, v. 60.
Se dunque non pare verosimile che D. con la locuzione di dolce stil novo alluda solo a sé stesso e alle proprie nove rime, il poeta che più idoneamente gli si potrebbe accostare sotto il parametro della ‛ dolcezza ' è certamente Cino da Pistoia; e non solo per la moderna valutazione critica del tono predominante nelle liriche di lui e della sua tecnica espressiva, ma anche e proprio sulla base di inequivocabili affermazioni dantesche. Ci sono almeno due passi del De vulgari Eloquentia che possono valere come pezze d'appoggio. In I X 3, discettando D. sull'idioma tripharium e indicando le prerogative della lingua del sì [quæ] Latinorum est, afferma che questa si segnala primo quidem quod qui dulcius subtiliusque poetati vulgariter sunt, hii familiares et domestici sui sunt, puta Cynus Pistoriensis et amicus eius; i soli D. e Cino nel nostro volgare illustre avrebbero poetato con maggiore dolcezza e con maggiore profondità di concetti. E in I XVII 3 di nuovo i soli D. e Cino vengono nominati come modelli di una poetica che, rifiutando la rozzezza municipalistica, aspira con mirabile tensione alle forme della dolcezza espressiva: de tot rudibus Latinorum vocabulis, de tot perplexis constructionibus, de tot defectivis prolationibus, de tot rusticanis accentibus, tam egregium, tam extricatum, tam perfectum et tam urbanum videamus electum, ut Cynus Pistoriensis et amicus eius ostendunt in cantionibus suis. Senza aggiungere poi che Cino per D. è - nel così definito volgare - il più grande poeta d'amore (VE II II 9). Per conseguenza sarà da supporre che nella sua formula di dolce stil novo D. calasse almeno la propria produzione stilnovistica e quella dell'amico Cino.
D'altra parte, il passo di Pg XXIV 55-57 va doverosamente accostato all'altro, di analogo argomento, di Pg XXVI 97-99, che lo illumina e lo integra; là dove, solo due canti dopo il colloquio con Bonagiunta, D. incontra Guido Guinizzelli e riconosce in lui, com'egli scrive, il padre / mio e de li altri miei miglior che mai / rime d'amor usar dolci e leggiadre. Qui la parola dolci, riferita espressamente a rime d'amor, richiama la stessa caratterizzazione tecnica che è in dolce stil novo e nel dulcius predetti (e altro si potrebbe addurre); e la locuzione de li altri miei miglior, significando in miei D. stesso e la sua produzione stilnovistica di ascendenza guinizzelliana (padre), postula (a parte dunque D.) l'esistenza di un gruppo, indica una collettività d'interessi e di persone, e perciò esclude che in Pg XXIV 57 con dolce stil novo D. volesse intendere la vicinanza e l'affinità di un solo poeta con lui, e sia pure il da lui tanto lodato Cino da Pistoia.
Se dunque, secondo il giudizio di D., egli stesso e Cino hanno toccato il più alto livello nella poetica delle dolci rime d'amore, non furono tuttavia i soli. Soccorre ancora il De vulgari Eloquentia, là dove, in situazione del tutto analoga, all'aspra condanna dei volgari di Toscana e del municipalismo linguistico di Guittone e dei guittoniani viene contrapposta la lode dei nuovi poeti, i quali furono capaci di attingere l'eccellenza dell'arte: nonnullos vulgaris excellentiam cognovisse sentimus, scilicet Guidonem, Lapum et unum alium, Florentinos, et Cynum Pistoriensem (I XIII 3). E quasi gli stessi nomi si leggono nell'ampio catalogo dantesco di canzoni composte nel ‛ gradus constructionis excellentissimus ' (eccelso risultato della capacità di conoscere in che consista ‛ vulgaris excellentia '), allorquando ai poeti di lingua d'oil e di lingua d'oc seguono quelli che usarono la lingua del sì, e cioè (dopo il siciliano Guido delle Colonne) Guinizzelli, Cavalcanti, Cino e l'amico suo D., con accanto la rispettiva allegazione dei testi (II VI 6). E se a dolcezza di stile si attribuisce la precisa significazione tecnica indicata da D., di una sintassi lineare, regolata e composta, di un lessico privo d'asprezza, di una musicalità raffinata e consapevolmente perseguita in toni ora melodici e gracili, ora più potenti e robusti (e D. stesso dette l'esempio del contrario o almeno del radicalmente diverso, per esempio, nella canzone Così nel mio parlar voglio esser aspro, sempre in lirica di argomento amoroso), attuarono con estrema perfezione la ‛ dolcezza ' nelle loro rime non soltanto il D. stilnovista (quello delle rime della lode e anche l'altro) e Cino, bensì Guinizzelli e Cavalcanti e Lapo (sempre nel giudizio di D. e stando alle sue affermazioni), nella duplice fondamentale tematica, che pur si riscontra nei loro componimenti, dello psicologismo dolente e angoscioso e della sublimazione catartica. Non soltanto l'idealizzazione, la lode angelicata, l'aspirazione a Dio possono essere espresse in rime tecnicamente ‛ dolci ', ma anche la malinconia e il sentimento della morte, l'angoscia e la paura d'amore; uno dei più alti esempi di ‛ dolcezza ' espressiva è, per esempio, la ballata famosa di Guido Cavalcanti, Per ch'i' no spero di tornar giammai.
Con un alto grado di approssimazione si possono fissare i modi nei quali D. intendeva che si verificasse la tecnica espressiva della ‛ dolcezza ', qualora si tenga da una parte l'occhio attento alla produzione stilnovistica di lui e a quella dei suoi compagni di poetica, e dall'altra si tolga a misura ciò che è esplicitamente trattato in VE II VII a proposito della scelta delle parole in relazione al volgare illustre, allo stile tragico e al più alto grado di costrutto; senza tuttavia dimenticare che nel trattato, specialmente in talune sue parti, i confini stilistici sembrano allargarsi e le zone di ricerca in qualche modo mescolarsi nei confronti, per esempio, dello stile della lode nella Vita Nuova, perseguito con un rigore addirittura intransigente.
Più soggetto a discussione pare oggi invece l'esatto significato della parola novo, contenuta anch'essa nella espressione dantesca di dolce stil novo.
Tradizionalmente essa è stata intesa nel suo significato più letterale e comune, come genericamente indicativa della novità della poetica e della poesia del gruppo, senza più; ma ultimamente essa è stata caricata di un valore simbolico, scritturale, quasi biblico e, per così dire, rivelazionale (" Cantate Dominum canticum novum "; " Canticum novum hominis novi est ", ecc.). Questo arricchimento semantico, quanto mai opportuno e persuasivo quando lo si riferisca all'intero complesso della poetica, della quale vale a sottolineare adeguatamente certi aspetti quasi religiosi e rituali nel loro vigoroso simbolismo morale ed escatologico (si pensi alla Vita Nuova di D., per esempio, e non a essa soltanto), appare piuttosto discutibile - sempre in riferimento all'esatto pensiero di D. - entro il peculiare contesto della formula di dolce stil novo, a sua volta inserita nella più larga ma anche ben precisamente intessuta trama dell'episodio bonagiuntiano, della quale strettissimamente fa parte. E innanzi tutto è da notare che la frase dolce stil novo si richiama senza possibilità di dubbio all'altra trasse le nove rime; e per D. la novità delle proprie nove rime consisteva espressamente nella materia e quindi nello stile, come si evince da Vn XVII 1-2 che c'introduce nel cuore del giovanile libello, anzi proprio alla lettura della canzone Donne, ch'avete intelletto d'amore, citata da Bonagiunta (convenne ripigliare matera nuova e più nobile che la passata. E però che la cagione de la nuova matera è dilettevole a udire...). E prima di dare inizio alla composizione di quella canzone, D. narra di essere dimorato alquanti dì con disiderio di dire e con paura di cominciare (XVIII 9), verbo, quest'ultimo, al quale par davvero che si riallacci il cominciando di Pg XXIV 50 (trasse le nove rime, cominciando), che chiarisce più che a sufficienza il pensiero di D.: di dare inizio cioè a qualcosa che prima non esisteva (e a conferma si ricordi Vn XXX 1 E questo dico... quasi come entrata de la nuova materia che appresso vene), a qualcosa di nuovo appunto nell'ambito della propria attività lirica (nove rime) e per conseguenza, per quanto finora si è detto, nell'ambito della poetica del gruppo (dolce stil novo). Inoltre ha pure un suo particolare peso che sia proprio Bonagiunta a pronunziare la formula di dolce stil novo, considerato che proprio lui, fra l'altro, aveva indirizzato al Guinizzelli il polemico sonetto Voi ch'avete mutata la mainera, interpretando appunto il nuovo corso della lirica italiana come un mutamento di maniera e rifiutandolo per l'incomprensibile (per lui) novità di contenuti poetici e di tecniche espressive. Nell'aggettivo novo della formula fissata da D., ma pronunziata da Bonagiunta, si riflettono questo atteggiamento e questa valutazione da parte del poeta lucchese; tanto più che il giudizio di costui in Pg XXIV 55-62 non è astratto e fine a sé stesso, ma è calato nella storia come termine di contrapposizione al vecchio stile. Da una parte il Notaro e Guittone e Bonagiunta, dall'altra i componenti del ‛ Dolce stil nuovo '; da una parte le vostre penne strette dietro al dittatore, dall'altra le nostre penne che non lo furono altrettanto; onde la considerazione finale (e qual più a gradire oltre si mette, / non vede più da l'uno a l'altro stilo, vv. 61-62), nella quale la contrapposizione ha il carattere del suggello conclusivo. Sostenere che questa contrapposizione sia esclusivamente stilistica e come tale elettivamente extratemporale, non pare legittimo; che anzi essa nel vivo del contesto s'incarna in una successione ben chiaramente cronologica, motivata (come tante altre volte in D.) da una forte tensione storiografica: a una tradizione ormai logora e in crisi è subentrata l'ancora fiorente e robusta poetica dell'Amore che ditta dentro; ai siciliani e guittoniani gli stilnovisti (simbolicamente anche qui ha tolto l'uno a l'altro Guido / la gloria de la lingua, Pg XI 97-98).
In questa prospettiva può assumere valore almeno di favorevole testimonianza anche l'uso moderno di Pg XXVI 113 (Li dolci detti vostri, / che, quanto durerà l'uso moderno, / faranno cari ancora i loro incostri). Dove i dolci detti non possono essere che guinizzelliani e insomma stilnovistici, e moderno detto di uso non può avere altro significato dal letterale.
In conclusione, nella formula del dolce stil novo, quale appare nel suo specifico luogo di Pg XXIV 55-57, il termine novo non può valere se non " diverso dal vecchio ", " non ancora esistente ", " non prima elaborato " e simili, proprio secondo l'interpretazione tradizionale; onde consegue il valore tecnico di " non ancora tentato in arte " (cfr. VE II XIII 12 nisi forte novum aliquid atque intentatum artis hoc sibi preroget). Del resto, la stessa cosa accade col titolo di Poetria nova nel campo della retorica, o con l'indicazione di Ars nova nel campo della logica e della tecnica musicale del tempo. E perciò con l'aggettivo novo, aggiunto a dolce stile, D. voleva nell'episodio di Bonagiunta mettere adeguatamente in rilievo la consapevolezza della novità che ispirava e accompagnava l'operosità degli stilnovisti, sotto l'integrale profilo dell'arte e del pensiero, nei confronti della tradizione ormai logora e risecchita.
Questa spinta verso il nuovo fu vivamente sentita dal gruppo dei poeti stilnovisti, che amarono quasi rinchiudersi in un loro raffinato isolamento, differenziandosi e caratterizzandosi. I legami che reciprocamente li unirono furono quelli di un'amicizia intesa come sostanziale affinità di scelte ideologiche e stilistiche. Ne sono segno le vicende spiritualmente e intellettualmente avventurose tra Guido e D.; la lunga fedeltà di Cino a D. dalla canzone Avvegna ched el m'aggia più per tempo, scritta in morte di Beatrice, all'altra Su per la costa, Amor, de l'alto monte, composta in morte di D. (anche se gravano sull'ultima attività giuridico-politica del Pistoiese fondati sospetti di deviazionismo); i sonetti, ora dolci e soavemente musicali, ora sorridenti e aristocraticamente scherzosi nei quali è implicata la figura di Lapo: Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io di D. al Cavalcanti, e alla risposta S'io fosse quelli che d'Amor fu degno a D. di Guido Cavalcanti, che Lapo direttamente o indirettamente coinvolse anche nei sonetti Se vedi amore, assai ti priego, Dante, e Dante, un sospiro messaggier del core (e l'altro sonetto probabilmente dantesco Amore e monna Lagia e Guido ed io, che con questi sembra far corpo); e ancora lo scambio, non privo di un certo facile lepore, tra l'Alfani (Guido, quel Gianni ch'a te fu l'altrieri) e il Cavalcanti (Gianni, quel Guido salute), che secondo l'Alfani era maestro a tutti, com'egli afferma ai vv. 19-20 della ‛ ballatetta dolente ': " Po' fa sì ch'entri ne la mente a Guido, / perch'egli è sol colui che vede Amore " (il solo Dino Frescobaldi rimane un po' in ombra entro questi vivi rapporti di gruppo, al quale egli però con ogni diritto appartiene sia per la produzione letteraria, sia per la sua contemporaneità ideologica e cronologica). Ma lo dimostrano anche, e per contrapposto, le polemiche intercorse tra gli stilnovisti e coloro che non lo erano, polemiche colorite, vivacissime talora e ben caustiche, che tracciano una ben netta linea di demarcazione tra il gruppo dei poeti nuovi e gli altri che più o meno rappresentavano la stanca tradizione cortese. Guittone non penò a levare l'indice moralmente accusatore, tanto gli sembrava fuori luogo certa esagerata sublimazione della bellezza femminile; ma contro di lui indirizzò un violento sonetto Guido Cavalcanti (Da più a uno face un sollegismo), ripetendo in altro modo il ben noto e ostile e negativo giudizio a più riprese espresso da D. contro la di lui poesia, giudicata rozza e municipalistica. Si è già detto che Bonagiunta Orbicciani da Lucca rinfacciò al Guinizzelli di aver " mutata la mainera / de li plagenti ditti de l'amore " per puro esibizionismo culturale, a suo dire, degenerato in incomprensibile oscurità (e che cosa egli avrà mai pensato eventualmente della canzone cavalcantiana Donna me prega?), provocando così una pensosa e meditata, ma nel suo fondo piuttosto velenosa, risposta del Bolognese (Omo ch'è saggio non corre leggero). E ancora Bonagiunta in altro sonetto si divertì forse a deridere i " malvagi spiriti " cavalcantiani (Con sicurtà dirò, po' ch'i' son vosso).
Anche Onesto da Bologna, tenzonando con Cino, rimproverava alla nuova scuola l'impoverimento e il progressivo tecnicizzarsi del linguaggio poetico, il frequente e stucchevole ricorso ai modi espressivi del sogno e della visione, l'ostentato e oscuro dottrinarismo, e infine la presunzione e l'antipatica sufficienza degli stessi poeti (" ver quel de l'omo ogni pondo è soave ", Mente ed umile 12); e Cino rispondeva allegando testi ovidiani e non, richiamandosi alle ragioni dell'interiorità, prospettando esigenze di rinnovamento di linguaggio (Amor che vien). E un filosofo-poeta come Cecco d'Ascoli, per altro assai amico di Cino, nel suo poema contestava al Cavalcanti, ormai da tempo defunto, l'asserito influsso di Marte sulla genesi della passione d'amore, e a D. la possibilità di un mutamento in siffatta passione, soggetta invece a immutabile influsso. E si potrebbe continuare. Dunque, la poetica degli stilnovisti e la loro produzione lirica dettero un salutare e sensibile scossone alle ancor salde, ma ormai inerti e depauperate strutture del contemporaneo establishment letterario. Quei giovani poeti ne ebbero chiara consapevolezza e perseguirono con una loro sostanziale coerenza la propria verità lirica, sorta da quella cultura nuova e da quella nuova storia (la comunale), di cui costituirono la componente letteraria più adeguata e pregnante.
Tuttavia non basta costituirsi in gruppo perché si verifichi in modo concreto quel rinnovamento che è nei programmi e nelle intenzioni. Il poeta provenzale Guglielmo di Montanhagol, che operò in epoca tarda e dal quale, secondo taluni, gli stilnovisti avrebbero mutuato certe loro novità di principio e talune caratteristiche immagini, manifestò la volontà di perseguire " noel dig de nova maestria "; ma un'attenta lettura delle sue poesie persuade che quel suo proposito si vanificava e dissolveva nei modi della tradizione. Anche Lanfranco Cigala, Bartolome Zorzi e Sordello, che furono additati come preparatori e precursori dello Stil nuovo, rientrano pienamente nell'esperienza del passato; e se qualche immagine o qualche formulazione teorica in loro è possibile reperire che sia disegnata o suoni in modo affine allo stilnovistico, qualora venga riportata rispettivamente nel contesto particolare e generale da cui fu isolata, quasi sempre risulta di tutt'altro significato e valore. La tesi secondo la quale talune novità del gruppo degli stilnovisti provengono tal quali direttamente dai tardi poeti provenzali di Provenza e d'Italia, non par che regga fino in fondo.
D'altra parte, la poetica dello Stil nuovo è tutt'altro che profondamente rivoluzionaria; le strutture tradizionali di un certo discorso lirico vi persistono ancora, e non solo in quelle zone marginali nelle quali, quando è stanca la più vitale ispirazione poetica, più palesemente compaiono le frange di atteggiamenti provenzali, siciliani o siculo-toscani, ma anche in quelle centrali, vive d'impegno nuovo. I riscontri risultano puntuali ed evidenti: gli occhi messaggeri del cuore, la servitù e il ‛ servizio ' d'amore, la bellezza della donna e l'umiltà gecchita del poeta, gli sdegni, i timori, il' gabbo, i maldicenti. Perfino l'immagine della donna-angelo è ben reperibile nella tradizione; la si trova già nei provenzali, e anche in Guittone, in Pucciandone Martelli, in Mazzeo di Ricco, in Monte Andrea. E Iacopo da Lentini dice della sua donna che è "Angelica figura... / nata - d'afinata - gentileze " (Angelica figura 1-4). Ma a parte puntuali riscontri di lessico, di immagini, di idee sull'amore (archetipo comune Andrea Cappellano, ben noto agli stilnovisti), c'è l'innegabile realtà che tutto lo Stil nuovo nel suo aspetto più strettamente retorico resta nell'alveo delle Artes dictandi, emerge dalla scuola delle Poetriae, là dove per via di schematiche e sistematiche transumptiones, a una donna-inferno è opposta una donna-paradiso, secondo una distinzione letterariamente manichea che si perpetuerà nei secoli spesso risolvendosi in pura accademia.
Ma quando si passa dalla donna-paradiso delle Poetriae o dalle ‛ angeliche figure ' dei siciliani e guittoniani alla donna angelicata che compare nel Guinizzelli o negli stilnovisti, si ha la sensazione netta dello svolgersi di una civiltà. Le parole vecchie vanno assumendo colore e significato diversi, le immagini tradizionali diventano forme di più attuali istanze, e l'eterna scenografia (donna-amante-Amore) è mossa da una dinamica nuova. Lo Stil nuovo è la poesia di quel momento della civiltà e della storia italiana e toscana, in cui operarono Tommaso d'Aquino e Bonaventura da Bagnorea, Taddeo Alderotti e Pietro d'Abano; in cui Egidio Romano compose il De Regimine principum e fiorì lo studio di Aristotele anche nell'interpretazione averroistica; in cui al diffondersi della letteratura romanzesca e cavalleresca, favorito dalla nuova ricca borghesia che vi si riconosceva, corrispose il laicizzamento della cultura e il logorio dei magnanimi ideali della Chiesa e dell'Impero. Ora, la donna-angelo del Guinizzelli, non più comparazione ma identificazione analogica, costituisce nervatura di tutta una struttura rinnovata dall'interno, né si risolve più, come avveniva in precedenza, nel semplice giuoco dell'ornamento retorico; essa, identificandosi con l'‛ Intelligenza del cielo ', a causa di un amore che è gentilezza si pone al centro di tutto un sistema di caposaldi interagenti, che danno nuovo contenuto all'eterna vicenda d'amore. Certo, lo Stil nuovo non è una filosofia, ma neanche un'innovazione puramente tecnica e linguistica; non ha suoi fondamenti filosofici, ma poggia su alcuni basilari principi, nei quali si rispecchiano la cultura e il sentimento del tempo.
Intanto, la donna-angelo (non ‛ bella come un angelo '), cioè la donna-Intelligenza motrice, fa in modo che la virtù dell'uomo si celebri nelle azioni della sua vita. Le donne-angelo diventano così una sorta di decimo coro angelico, il più basso, e assolvono una funzione mediatrice (come le Intelligenze) tra il cuore dell'uomo, che esse ‛ muovono ', e Dio, agendo beneficamente sul cuore di lui. Si aggiunga la valutazione della vicenda d'amore, anche se questa si svolge nei modi tradizionali (amore nasce nel cuore per la contemplazione della bellezza femminile ed è causa di una profonda trasformazione dell'uomo), poiché negli stilnovisti gli effetti del sentimento d'amore vigono solo entro confini morali, mentre nella tradizione sono di gran lunga preminenti se non esclusivi gl'interessi sociali, mondani, nella direzione di una perfetta cortesia e cavalleria. Per amore lo stilnovista aristotelicamente e tomisticamente attua nella vita morale il bene potenziale che ha in sé. E ancora: l'identità tra amore e gentilezza. Amore resta pur sempre una ‛ passione ', un tramenìo dell'appetito sensibile, ma nello Stil nuovo esso stimola una ferma volontà di annobilimento nella conoscenza e nella sapienza, si tramuta in ansia metafisica e brama d'assoluto. La parola Amore nello Stil nuovo si apre alle più alte e ardite significazioni; sicché Amore può diventare l'asse intorno a cui gira l'universo intero, la forza che spira nel cuore di tutte le creature per la loro perfezione. E solo in questo Amore sta la vera nobiltà. La letteratura feudale e cavalleresca, pur ammettendo la superiorità della nobiltà dei costumi su quella del sangue, non esclude quest'ultima nella sua specifica accezione biologica e razzistica, mentre attribuisce alla nobiltà dei costumi un contenuto tipicamente sociale, secondo la misura di quelle virtù che restano pur sempre mondane e cavalleresche, quali la liberalità, la prodezza nelle armi, la cortesia, ecc. Gli stilnovisti respingono totalmente invece il concetto di una nobiltà di stirpe e di sangue; la vera e unica nobiltà, secondo loro, è gentilezza, cioè - si è visto - amore e dunque ansia verso la perfezione dell'essere, alta vita intellettuale ed esercizio di virtù morali.
Sono queste in fondo le idee-forza degli stilnovisti; e non si compongono certo in organico pensiero filosofico, pur se è facile cogliervi il segno della cultura del tempo, bensì costituiscono le nervature di una concezione dell'amore che s'identifica in una nobile e altamente etica concezione della vita, nella quale l'appello all'interiorità è determinante. Di qui nasce la suggestività della famosa professione dantesca: I' mi son un che, quando / Amor mi spira, noto, e a quel modo / ch'e' ditta dentro vo significando (Pg XXIV 52-54); Amore è l'ansiosa aspirazione che conduce alla virtù e al trascendente, è una solenne e tragica passione che in poesia va espressa adeguatamente nell'eccellenza del volgare, nei modi della canzone e nelle forme dello stile più alto. In quelle idee-forza affondano le loro radici il dottrinarismo degli stilnovisti, al quale si ribellavano i vari Bonagiunta e Onesto, col suo compatto, ma talora incoerente e complicato linguaggio d'elezione filosofica (anima, cuore, mente, intelletto, essenza, figura, ecc.); i loro modi espressivi delle visioni, dei sogni, delle irreali immaginazioni, nei quali si celano influssi agiografici e scritturali; il loro talora acerbo e approssimativo simbolismo degli " spiriti " e " spiritelli " o delle " persone in figura di... ", delle immagini femminili cariche di una sovrarealtà metafisica, nel quale operano con la tecnica del correlativo oggettivo la mentalità " figurale " e insieme la tendenza al concreto tipica degli scrittori medievali. Da esse infine par che si ingenerino, nei versi di quei poeti, l'atmosfera primaverile, il senso gioioso e compiaciuto di un'avventura letteraria, il moto quasi ascensionale e anagogico di una condizione intellettuale e di un'aspirazione spirituale, tutti fusi come in un giovanile entusiasmo di rinnovamento integrale, negli spiriti e nelle forme, alle radici stesse dell'essere. E allora davvero la parola novo negli stilnovisti si arricchisce di un sentimento trepido e insieme vibrante, atto a significare la singolarità e l'irripetibilità dell'esperienza, in linea con taluni aspetti della letteratura mistica, ma che non è riscontrabile certo, come si è visto, nella specifica condizione polemica e storiografica dalla quale affiora, e proprio sulla bocca del vecchio Bonagiunta, la formula del dolce stil novo, nel preciso contesto di Pg XXIV 55-57. A questa poetica D. s'ispirò per un preciso periodo della sua giovinezza, dalle forme ancora acerbe e irrequiete della canzone La dispietata mente che pur mira a quelle solenni e allegoriche della canzone Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete. Poco meno di un decennio d'attività, preceduto dalla guittoniana tenzone con Dante da Maiano, e seguito (secondo la più accreditata cronologia) dall'altra tenzone con Forese Donati, emblematica del superamento della poetica stilnovistica, ormai pienamente usufruita. La ricerca stilnovistica dantesca sembra dapprima rispondere a una certa febbre di curiosità, tanti sono i suoi modi e tante sono le variazioni psicologiche del dominante sentimento d'amore. Basterebbe forse porre il sonetto Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io accanto alla canzone E' m'incresce di me sì duramente; il sonetto Sonar bracchetti e cacciatori aizzare accanto alla canzone Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete, per sentire il divario, e perfino lo stridore, esistente fra questi vari atteggiamenti di psicologia e di stile. Entro questa cornice di sperimentalismo ricco di fermenti vanno riportate le più antiche rime della Vita Nuova, per restituirle alla loro origine di documento di un'esplorazione volta alla conquista di una peculiare epifania nell'ambito di una precisa poetica; sicché il panorama dell'attività dantesca, all'incirca fra il 1285 e il 1290, apparirà ancor più ricco e variato.
Palese balza l'influsso del Cavalcanti drammatico, che se da una parte giovò a D. nell'avviarlo a una prima rigorosa disciplina d'arte, poté tuttavia inizialmente tenerlo lontano dalla sua innata vocazione. Canzoni come E' m'incresce di me sì duramente e Lo doloroso amor che mi conduce, assai importanti come momento critico dell'esperienza stilnovistica dantesca, mostrano, insieme con altre rime, anch'esse d'influsso cavalcantiano e inserite poi nella prima parte della Vita Nuova (O voi che per la via d'Amor passate; Piangete, amanti, poi che piange Amore; Morte villana, di pietà nemica; ecc.) o comunque più o meno segnate di linguaggio e d'immagini cortesi e tradizionali (Ballata, i' voi che tu ritrovi Amore; Con l'altre donne mia vista gabbate; ecc.) un'ampia acquisizione tecnica e letteraria, una sicura capacità assimilatrice e rielaboratrice, oltre al resto; ma sembra che conservino al loro fondo qualcosa di greve, d'immobile, d'inerte, specie se le paragoniamo non diciamo alla canzone Donne, ch'avete intelletto d'amore, nata press'a poco nello stesso tempo e comunque fuori del contesto psicologico e narrativo del giovanile libello del quale tuttavia inizia le nove rime, ma anche ai componimenti ispirati a uno stilnovismo madrigalesco, leggiadramente galante, raffinatamente musicale, dal sonetto Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io alle ballate Per una ghirlandetta e Deh, Violetta, che in ombra d'Amore e altre. Questi anzi sembrano i versi più felici del D. stilnovista di generica tendenza; e per essi più che al Cavalcanti di Fresca rosa novella o delle " foresette " o della " pastorella ", si penserebbe al tante volte delicato ed elegante Lapo, invocato da D. insieme col secondo Guido proprio nel famoso sonetto del vasello, come segnacolo d'ideale amicizia e verosimilmente di predilezione culturale. La prima poesia stilnovistica di D. vi prende corpo attraverso una calligrafia decorativa e stilizzata di un gotico amabile ed elegante. Ma è proprio accanto alle ‛ Ghirlandette ', alle ‛ Violette ', alle ‛ Lisette ' che nascono la figura e il mito di Beatrice, ben presto impegno integrale del giovane poeta in una definitiva scelta di ascendenza remotamente guinizzelliana. Impossibile distinguere in questo processo di formazione della prima personalità poetica di D. successivi momenti cronologici; certo è che egli affronta ed esaurisce in quegli anni in un'ideale contemporaneità i motivi più profondi della tematica e della poetica stilnovistica: l'amore-passione cantato particolarmente dal Cavalcanti; l'amore stilnovisticamente cortese e madrigalescamente galante proprio di Lapo e, in parte, dello stesso Cavalcanti; e l'amore beatificante, colto nel Guinizzelli, alle origini del nuovo stile. Nata nel fervore di un curioso e appassionato sperimentalismo, Beatrice va via via liberandosi dai residui cortesi, dalle movenze decorative e calligrafiche (e si veda la prima parte della Vita Nuova), per assumere infine l'emblematico valore dell'assoluto. Il momento nevralgico di questa trasfigurazione sta nella morte di lei (fissata all'8 giugno 1290), che rappresenta anche l'avvenimento più importante della storia psicologica dello Stil nuovo dantesco, iniziandosi con essa un supremo idealizzamento della figura, per sua natura proteso verso il simbolo e l'allegoria. Il tema dell'amore beatificante si rivela in tal modo il più consono al genio dell'Alighieri, al suo già fermo e sicuro moralismo posto a base della loda; e le rime nuove si sublimano in luminosa mitologia nelle immagini di una fede conosciuta, vissuta e contemplata, ond'esse segnano il concludersi dello sperimentalismo dantesco entro lo Stil nuovo, nla momento in cui il poeta le trasceglie per farne il centro delle Vita Nuova. Così egli ne mette bene in rilievo il peculiare valore, ne sottolinea consapevolmente il potere catartico, e v'insiste a posteriori, affidandosi anche all'acutezza del suo giudizio critico e alle sollecitazioni della sua coscienza storica. In quelle rime si tocca il culmine dello Stil nuovo dantesco, e forse dello Stil nuovo in generale, almeno nelle sue prospettive più intensamente religiose; sicché è solo per esse se il titolo di Vita Nuova suona non soltanto come indicazione anagrafica e cronachistica (e cfr. Pg XXX 115), ma anche come indicazione simbolica e misticheggiante: vita rinnovellata da un amore che è principio di virtù e rivelazione di assoluto.
Per tutte le considerazioni fin qui esposte non pare accettabile l'opinione di coloro che, identificando il ‛ Dolce stil nuovo ' con le nuove rime dantesche, contrappongono un generico ‛ Stil nuovo ' a un dantesco ‛ Dolce stil nuovo ', oppure un generico ‛ Dolce stile ' a un dantesco ‛ Dolce stil nuovo ', pure riconoscendo che la fallace distinzione nasce dall'esigenza sostanzialmente giusta di caratterizzare le nove rime della lode nell'ambito della comune poetica. Neppure l'episodio di Bonagiunta da Lucca (Pg XXIV 49-63), di solito addotto come documento probante, permette siffatta identificazione, poiché D., conversando con lui, passa da notazioni di carattere privato e autobiografico (trasse fuori le nove rime cominciando) ad altre di carattere teorico e storiografico, e perciò collettive, onde (lo abbiamo visto) nello svolgersi dell'episodio si passa dal ‛ tu ' al ‛ voi '. Nella terzina di Amore che ditta dentro, D. spersonalizza, per così dire, la singolarità della propria esperienza poetica, adeguandola umilmente all'esperienza poetica del gruppo (I' mi son un che..., come se dicesse: " Io sono uno di coloro che... "). Le nove rime sono il tipico modo di D. di essere stilnovista; così com'è riconoscibile, nel cerchio dei comuni interessi letterari, un tipico modo di Guinizzelli, di Cavalcanti, di Cino e perfino dei minori (vedi alle varie voci), ognuno di essi conservando insomma, più o meno, una sua propria fisionomia, anche se i contorni di essa sfumano nei margini della comune attività. Né D. ha usato formula diversa da quella, unica e organica, di dolce stil novo.
L'importanza del momento stilnovistico nella successiva ideologia e nella generale poetica di D. è assai notevole. Basti accennare al legame ideale che unisce la Vita Nuova al poema nel nome e nella realtà di Beatrice (e nei discussi episodi di XIX 8 27 che dirà ne lo inferno, e di XLII 1 apparve a me una mirabile visione); all'apparizione di Beatrice e al suo colloquio con D. in Pg XXX e XXXI; alla sistemazione teorica di tanta parte della tecnica stilnovistica nel De vulgari Eloquentia; alla prospettiva spirituale e stilistica entro la quale è posta la Vita Nuova in Cv I I 16-17, nonché in II II 1 e II XII 4; all'indiretta esaltazione di Beatrice ancora in vari luoghi del Convivio, seppur in rivalità con la Donna gentile, cioè con madonna Filosofia (per esempio in II VII 6); ecc. E nonostante che D. con la Vita Nuova avesse sostanzialmente concluso il suo periodo stilnovistico per volgersi a un'arte più realistica (tenzone con Forese e rime ‛ petrose ') e integralmente impegnata anche su un piano civile oltre che morale (rime allegoriche e dottrinali; e intanto il poeta scendeva a partecipare alla vita politica), quell'esperienza tornerà a riaffiorare insistentemente per tutto l'arco della sua attività poetica. Lo provano non solo la duplice citazione di Guido Cavalcanti (If X 63 e Pg XI 97), i ricordati episodi di Bonagiunta (Pg XXIV 49-63) e di Guinizzelli (Pg XXVI 94-126), significativi piuttosto sul piano teorico, ma anche la rappresentazione di Beatrice in If II 55-57 (Lucevan li occhi suoi più che la stella...), la teorica dell'amore posta sulla bocca di Francesca in If V 100-106 (Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende...), la soave raffigurazione di Matelda sull'incantevole sfondo della selva in Pg XXVIII 1-69, più significativi sul piano dello stile. E così via fino all'ultima loda (Pd XXX 17) di Beatrice e fino all'ultima rievocazione dell'inobliabile esperienza definitivamente assunta ai valori dell'assoluto: Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso / in questa vita, infino a questa vista, / non m'è il seguire al mio contar preciso; / ma or convien che mio seguir desista / più dietro a sua bellezza, poetando, / come a l'ultimo suo ciascuno artista (vv. 28-33).
Bibl. - I testi dei poeti stilnovisti (esclusi i danteschi) in Rimatori del " Dolce stil novo ", a c. di L. Di Benedetto, Bari 1939 (questa edizione toglie validità alla precedente dello stesso Di Benedetto, con identico titolo e sobriamente commentata, apparsa a Torino nel 1925). Quei testi furono riprodotti da C. Cordié nel suo Dolce stil novo, Milano 1942, con ampia introduzione e molto sommarie note. Nuova cura del testo e ricco e prezioso commento nella larga antologia di poeti stilnovisti contenuta nei Poeti del Duecento, a c. di G. Contini, Milano-Napoli 1960, II 443-690. L'edizione più completa: Poeti del " Dolce stil nuovo ", a c. di M. Marti, Firenze 1969, ampiamente commentata, con introduzioni, lessico e rimario (ma neanche in questa compaiono i testi danteschi).
Sullo Stil nuovo in generale: G. Salvadori, Il problema storico dello " Stil novo ", in " Nuova Antol. " I ottobre 1896 (ora in Liriche e saggi, a c. di C. Calcaterra, Milano 1933, II 155-166); C. De Lollis, Sul Canzoniere di Chiaro Davanzali, Torino 1898 (supplemento n. 1 del " Giorn. stor. "); V. Cian, I contatti letterari italo-provenzali e la prima rivoluzione poetica della letteratura italiana, Messina 1900; L. Azzolina, Il Dolce stil nuovo, Palermo. 1903; K. Vossler, Die philosophischen Grundlagen zum " süssen neuen Stil ", Heidelberg 1904; C. De Lollis, Dolce stil novo e " noel dig de nova maestria ", in " Studi Medievali " I (1904) 5-23 (rist. insieme con l'altro studio già citato, in Scrittori d'Italia, a c. di G. Contini e V. Santoli, Milano-Napoli 1968, rispettivamente pp. 21-56 e pp. 119-142); V. Rossi, Il " Dolce stil novo ", in Le opere minori di D.A., Firenze 1906, 33-97 (poi, ampliato e corredato di appendici, in Scritti di critica letteraria, I, Saggi e discorsi su D., ibid. 1930, 19-90; e cfr. E.G. Parodi, in " Bull. " XIII [1906] 241-270, ristampate poi in parte col titolo di Il " Dolce stil nuovo ", in Poesia e storia nella Divina Commedia, Napoli 1921; rist. Venezia 1965, 135-146); P. Savy-Lopez, Il Dolce stil novo, in Trovatori e poeti, Palermo 1906, 9-54; G. Bertoni, Il Dolce stil nuovo, in " Studi Medievali " II (1907) 352-408 (il Bertoni ritornò poi ancora sull'argomento con Elementi artistici della poesia del Dolce stil nuovo, in Poesie, leggende e costumanze del Medioevo, Modena 19272, 119-141; La lingua della poesia italiana delle Origini e il linguaggio dei poeti dello " Stil nuovo ", in Lingua e pensiero, Firenze 1932, 45-64; nonché col cap. Il Dolce stil nuovo, nel suo Duecento, Milano 19603, 279-305); L. Pastine, Poesia brettone e Dolce stil nuovo, in " Giorn. dant. " XXV (1922) 110-122 (e Sul Dolce stil nuovo, ibid. XXXVII [1934] 67-91); L. Di Benedetto, Coi rimatori del Dolce stil novo, Chieti 1923; ID., Ancora coi rimatori dello Stil novo, Salerno 1924; L. Valli, Il linguaggio segreto di D. e dei Fedeli d'Amore, Roma 1928; A. Ricolfi, Studi sui Fedeli d'Amore, I, Città di Castello 1933; Il, ibid. 1940; F. Figurelli, Il Dolce stil novo, Napoli 1933 (recens. di A. Casella, in " Studi d. " XVIII [1934] 105-126, il quale scrisse poi il cap. sullo Stil nuovo nella Storia illustrata della letteratura italiana, a c. di vari professori, Milano 1942, 93-116); M. Apollonio, Stil nuovo, in Uomini e forme nella cultura italiana delle Origini, Milano 1934 (lbid. 19432, 261-320); A. Schiaffini, Lo Stil nuovo e la " Vita nuova ", in Tradizione e poesia nella prosa d'arte italiana dalla latinità medievale al Boccaccio, Genova 1934 (Roma 19692, 89-112); N. Sapegno, Il " Dolce stil novo ", nel suo Trecento, Milano 1934, 11-64 (ove confluiscono gli studi precedenti, in particolare Dolce stil novo, in " La Cultura " IX [1930] 331-341; Sulla scuola poetica del " Dolce stil novo ", in " Archivum Romanicum " XIII [1929] 272-309); C. Bonnes, Il Dolce stil novo, Modena 1939; B. Nardi, La filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in D., in D. e la cultura medievale, Bari 1942 (19492, 1-92); A. Roncaglia, Laisat estar lo gazel, in " Cultura Neolatina " IX (1949) 67-99; E. Eberwein-Dabcovich, Das Wort " novus " in der alt-provenzalischen Dichtung und in Dantes " Vita nova ", in " Romanistisches Jahrbuch " II (1949) 171-195; D. De Robertis, Definizione dello " Stil novo ", in " L'Approdo " III (1954) 59-64; E. Bigi, Genesi di un concetto storiografico: " Dolce stil novo ", in " Giorn. stor. " CXXXII (1955) 333-371; U. Bosco, Il nuovo stile della poesia dugentesca secondo D., in Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di B. Nardi, I, Firenze 1955, 77-101 (poi in D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 29-54); A. Del Monte, " Dolce stil novo ", in " Filologia Romanza " III (1956) 254-264 (poi in Civiltà e poesia romanze, Bari 1958, 113-126); G. Favati, Contributo alla determinazione del problema dello Stil nuovo, in " Studi Mediolatini e Volgari " IV (1956) 57-70; S. Pellegrini, " Quando Amor mi spira ", ibid., VI-VII (1959) 157-167 (poi in Saggi di filologia italiana, Bari 1962, 113-124); G. Petrocchi, Il Dolce stil novo, in Storia della letteratura italiana. Le Origini e il Duecento, Milano 1965, 729-774; A. Roncaglia, Precedenti e significato dello " Stil novo " dantesco, in D. e Bologna nei tempi di D., Bologna 1967, 13-34; I. Bertelli, I fondamenti psicologici e letterari del " Dolce stil novo ", in Cultura e poesia, Milano 1969, 7-48; M. Marti, Storia dello Stil nuovo, Lecce 1973.
Sulle questioni testuali e in genere filologiche: M. Barbi, Studi sul Canzoniere di D., Firenze 1915; D. De Robertis, Il Canzoniere Escorialense e la tradizione " veneziana " delle rime dello Stil novo, Torino 1954, suppl. n. 27 del " Giorn. stor. "; ID., L'Appendix aldina e le più antiche stampe di rime dello Stil novo, in " Giorn. stor. " CXXXI (1954) 464-500; e l'apparato critico contenuto in Contini, Poeti II 891-914.
Per la bibliografia stilnovistica più strettamente dantesca, cfr. le voci Rime; Vita Nuova.