STEREOBATE (dal greco στερεοβάτης)
Termine architettonico che ha ormai solo un valore archeologico; nell'architettura greca esso designa il massiccio di fondazione dei templi o degli edifici in genere, che era quasi sempre costituito da materiale diverso e meno pregiato di quello impiegato nella parte superiore, esterna della costruzione. Il suo principale carattere era quello di rimanere nascosto alla vista, e ciò priva lo stereobate di ogni funzione decorativa, lasciandogli solamente quella portante e costruttiva, in relazione al significato del vocabolo.
I blocchi di pietra che costituivano lo stereobate servivano principalmente a eguagliare le irregolarità della roccia su cui era fondato l'edificio, e a creare talvolta anche una terrazza artificiale; essi, oltre alla normale assenza di malta, molto spesso erano privi anche di grappe, almeno negli strati inferiori. Il massiccio di fondazione era sovente svuotato internamente secondo una scacchiera di concatenazioni a pianta quadrangolare, divise da leggieri muri di blocchi, qualche volta fissati a incastro. Le concamerazioni venivano per lo più riempite di ghiaia e coperte dalle lastre del pavimento (tempio di Apollo a Delfi; tempio di Posidone a Capo Sunio, tempio di Afdia in Egina, tempio di Apollo a Figalia, ecc.). La superficie superiore dello stereobate terminava orizzontalmente secondo un piano livellato che veniva anche chiamato εὐϑυντηρία, nel quale in qualche caso (propilei di Atene, Partenone) venivano già realizzate quelle particolari irregolarità costruttive destinate a correggere le illusioni visive, che poi erano ripetute dai gradini del crepidoma, dallo stilobate e, per il tramite delle colonne, dalla trabeazione.
Bibl.: Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, IV, parte 2ª, p. 1550; J. Durm, Baukunst der Griechen, Lipsia 1910, p. 109 segg.