stent
Strumento in grado di rendere nuovamente pervi vari tipi di dotti corporei, correggendone la riduzione di calibro. Lo s. è usato sia per condotti vascolari, arterie e vene, sia per strutture tubulari quali il dotto biliare, l’esofago, il colon, la trachea, i bronchi principali, l’uretere e l’uretra. Lo s. vascolare, introdotto in clinica negli anni Novanta del secolo scorso, è una protesi endovascolare metallica, con maglie di diverso disegno: si hanno uno s. espandibile, quando è montato sopra un catetere a palloncino, e uno s. autoespandibile, quando è racchiuso in una guaina la cui retrazione ne determina l’espansione.
Un catetere introdotto attraverso una arteria del braccio (radiale, brachiale) o a livello inguinale per via femorale viene spinto con controllo radioscopico fino all’ostio delle arterie coronarie. Tramite il catetere viene iniettato nelle arterie coronarie il mezzo di contrasto, rendendo visibile la sede del restringimento vasale (stenosi). Un filo guida viene spinto, lungo il catetere, oltre la stenosi e su questo si avanza il catetere a palloncino, cavo al centro, a livello della stenosi. Il gonfiaggio del palloncino espande lo s. che viene in contatto con la parete dell’arteria, comprimendo la stenosi e ripristinando quindi la pervietà vasale. Il palloncino viene poi sgonfiato e ritirato lasciando in sede lo stent. Le maglie dello s. vengono inizialmente ricoperte da piastrine e poi da cellule endoteliali che formano uno strato di tessuto intimale.
L’impianto dello s., con la compressione e distensione della parete vasale, è un processo traumatico per il vaso, che reagisce con la proliferazione di cellule endoteliali e muscolari dello strato medio. Quando la proliferazione cellulare è in eccesso, le cellule, attraversate le maglie dello s., tendono a occludere il lume vasale, causando un nuovo restringimento chiamato ristenosi. Questa si manifesta con la ricomparsa del dolore anginoso nel 10÷20% dei pazienti entro 12 mesi dall’impianto dello stent. I principali fattori di rischio per la ristenosi sono l’età del paziente, la lunghezza della lesione trattata e dello s. impiegato, il calibro ridotto di alcuni vasi coronarici e la concomitante presenza di diabete mellito.
Per ovviare al problema della ristenosi, dai primi anni del secolo è stata introdotta una variante che consiste nel rivestimento della superficie dello s. con un polimero contenente un farmaco citostatico, il quale viene dismesso lentamente, nell’arco di 30÷45 giorni, ed è quindi in grado di sopprimere la proliferazione cellulare neointimale e la conseguente ristenosi. L’impianto dello s. medicato ha ridotto la ristenosi al 5÷10%. Questo ha permesso di estendere l’indicazione al trattamento di lesioni lunghe e complesse che con l’impianto di s. non medicati presentavano ristenosi troppo elevate.
Il nuovo problema insorto con lo s. medicato è il riscontro, anche a distanza di alcuni anni dall’impianto, di una grave complicanza: l’occlusione trombotica acuta, con conseguente infarto del miocardio e in alcuni rari casi morte, in pazienti che avevano sospeso la profilassi con farmaci antiaggreganti. La causa della trombosi è la mancata endotelizzazione della superficie interna dello s., causata dall’azione citostatica del farmaco, con conseguente adesione e aggregazione piastrinica sulla superficie metallica. La frequenza di questo evento è dello 0,6% all’anno. Questa complicanza ha indotto ad allungare a un anno la duplice terapia con farmaci antiaggreganti, aspirina e clopidogrel, al fine di prevenire l’adesione piastrinica e consentire il rivestimento dello s. con cellule endoteliali. Dopo l’anno si deve continuare la terapia con l’aspirina.
Il prossimo scenario tecnologico, già in fase avanzata (2009), è la sostituzione dello s. metallico con materiale bioriassorbibile che consenta al vaso di ritornare alla situazione fisiologica originaria, eliminando i rischi legati alla presenza di un corpo estraneo e alle conseguenti prolungate terapie antiaggreganti.