stendere [part. pass. stenduto]
Vocabolo di uso limitato al Convivio e alla Commedia; ricorre una volta anche nel Fiore.
Per If VIII 40 il Petrocchi (cfr. ad l.) accoglie la lezione Allor distese al legno ambo le mani in luogo di quella stese adottata dalla '21 e dal Casella. L'unico esempio di s. usato come transitivo, nelle opere canoniche, resta perciò quello di Pg XXII 75 perché veggi mei ciò ch'io disegno, / a colorare stenderò la mano, per il quale il testo del Petrocchi concorda con il Casella, ma non con la '21 che ha invece distenderò; il verbo indica qui l'atto di " avvicinare " la mano al disegno " allungando " il braccio; la locuzione ha però valore metaforico, in quanto Stazio vuole esprimere il suo proposito di chiarire con nuovi argomenti quanto ha già detto (v. DISTENDERE).
Il participio passato ricorre con schietto valore verbale in Fiore CCX 9 lo [il Diletto] mise giù tutto stenduto, con un colpo lo fece cadere " disteso in terra ".
In tutti gli altri esempi compare come riflessivo o come intransitivo pronominale.
Con il valore di " allungarsi " compare nella similitudine del palombaro che, riaffiorando alla superficie, 'n su si stende e da piè si rattrappa (If XVI 136), cioè con la parte superiore del corpo " si protende " lanciando le braccia in avanti, mentre da piè ritira a sé le gambe; analogamente, dei beati dell'ottavo cielo, i quali si protendono verso l'alto con la loro fiamma, dietro Maria: Pd XXIII 124 ciascun di quei candori in sù si stese / con la sua cima (dove all'accezione del verbo serve di puntuale preludio la similitudine dei vv. 121-122 come fantolin che 'nver' la mamma / tende le braccia).
Quale intransitivo pronominale, è sinonimo di " estendersi ", che in D. non ricorre mai (ma v. oltre). Con questo valore indica verso quale direzione sia sviluppato un corpo nel senso della lunghezza (Pd XV 19 dal corno che 'n destro si stende / a piè di quella croce corse un astro, da interpretarsi " l'estremità del braccio destro della croce [Casini-Barbi; Sapegno] piuttosto che " il braccio destro " [Scartazzini-Vandelli; Chimenz]), quale sia l'area di un territorio (Cv IV IX 2 la natura universale di tutto, tanto ha giurisdizione quanto tutto lo mondo, dico lo cielo e la terra, si stende) o entro quali limiti spaziali è diffuso un determinato fenomeno (I III 4 per le parti quasi tutte a le quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato). In senso estensivo, ricorre in relazione all'intensità con la quale si manifesta un fenomeno fisico; così, descrivendo l'esperienza dei tre specchi, Beatrice osserva a D. che ben che nel quanto tanto non si stenda / la vista più lontana... / convien ch'igualmente risplenda (Pd II 103), gli fa cioè notare come egli vedrà nitidamente riflessa l'immagine del lume in tutti e tre gli specchi: grande allo stesso modo nei due più vicini; di più limitata estensione nel più lontano; ma in questo e in quelli di una stessa lucentezza e vivezza.
Quando è usato in senso figurato delimita il valore dal quale risulta condizionata l'entità o l'estensione di un'attività, di una facoltà, di un comportamento o di una proprietà caratteristica: Cv IV IX 1 pertanto, oltre quanto le nostre operazioni si stendono tanto la maiestade imperiale ha giurisdizione (altri due esempi ai §§ 7 e 9); XIX 3 se nobilitade vale e si stende più che vertute, [vertute] più tosto procederà da essa. La qual cosa ora in questa parte si pruova, cioè che nobilitade più si stenda (altro esempio al § 8); e così al § 6 (tante sono le sue stelle, che [n]el cielo si stendono, che certo non è da maravigliare se molti e diversi frutti fanno ne la umana nobilitade) il valore del verbo rimane lo stesso in quanto, per metafora, le stelle sono le virtù che si dispiegano nel cielo della nobiltà. Analogamente, in Pg XV 71 [Dio] Tanto si dà quanto trova d'ardore; / sì che, quantunque carità si stende, / cresce sovr'essa l'etterno valore, il verbo sta a significare che " quanto più grande e intensa " è la carità con cui l'anima si rivolge a Dio, tanto più cresce il bene divino che a essa si comunica; si stende è la lezione adottata dalla '21 e dal Petrocchi in luogo di si estende del Witte e del Moore.
Per dire che nella prescienza divina è presente ogni evento futuro contingente, che è proprio del mondo terreno, Cacciaguida ricorre a una metafora (Pd XVII 38 La contingenza, che fuor del quaderno / de la vostra matera non si stende, / tutta è dipinta nel cospetto etterno) analoga a quella del volume (XV 50) da lui già usata per indicare Dio; l'interpretazione del passo è ormai concorde: " la contingenza è propria ed esclusiva dell'universo fisico e fenomenico, in cui vivono gli uomini " (Mattalia); alcuni commentatori trecenteschi (Lana, Ottimo, Anonimo) ritennero invece che Cacciaguida alludesse all'impossibilità per la scienza umana di conoscere il corso degli eventi contingenti.