STEFANO, Veneziano detto Stefano «plebanus» di S. Agnese
Del pittore, documentato a Venezia e Pordenone dal 1369 al 1386, si conservano tre opere firmate e datate, la Madonna col Bambino del Museo Correr di Venezia («MCCCLXVIIII adi XI avosto Stef[anus] pleb[anus] S[an]c[t]e Agn[etis] p[inxit]»: cfr. Il Museo Correr di Venezia, 1957, p. 216), l’Incoronazione della Vergine delle Gallerie dell’Accademia («MCCCLXXXI Stefan[us] plebanus S[an]c[t]e Agnet[is] pinxit»: cfr. Gallerie dell’Accademia di Venezia, 1955, pp. 21 s.) e le tre tavole raffiguranti la Madonna col Bambino, s. Martino e s. Biagio, oggi inserite nella grande ancona dipinta da Giovanni d’Alemagna e Antonio Vivarini, e intagliata da Ludovico da Forlì, sull’altare maggiore della cappella di S. Tarasio nella chiesa veneziana di S. Zaccaria (Pallucchini, 1964; D’Arcais, 1992, pp. 71 s.; Lucco, 1992; Guarnieri, 2006, pp. 55 s.). Insieme a un S. Cristoforo oggi conservato al Museo Correr, esse costituivano gli elementi di un polittico smembrato proveniente dalla Scuola dei Forneri alla Madonna dell’Orto (Moschini, 1933, pp. 237 s.; Il Museo Correr di Venezia, 1957, pp. 216-218). L’iscrizione con la data e la firma («MCCCLXXXV Stefan[us] S[anctae] Agnetis pinxit hoc opus») venne rilevata alla base del trono nel 1926 da Giulio Lorenzetti (1926, 1956, p. 290), a conferma dell’acuta intuizione di Giovan Battista Cavalcaselle, che per primo attribuì l’opera al pittore ricostruendone la personalità artistica (Cavalcaselle - Crowe, 1887). La predella alla base del polittico con la figura di S. Apollinare al centro e, ai lati, tre per parte, Storie di s. Tomaso Beckett (cfr. Bisogni, 1973, p. 151, nota 10; Skerl Del Conte, 1989), per cui Michelangelo Muraro (1953) propose il nome di Stefano, è da considerarsi opera di altra mano e parte di un complesso diverso presente in S. Zaccaria ab antiquo, in considerazione del fatto che vi si conservava un’importante reliquia del santo inglese.
Al Cavalcaselle si contrappose Laudedeo Testi (1909), il quale, raccogliendo i dubbi espressi da Michele Caffi (1888) e servendosi delle considerazioni di Antonio Della Rovere (1887), giudicò apocrife le iscrizioni dei dipinti del Correr e dell’Accademia e negò la possibilità stessa di dare un volto all’attività del pittore, di cui si poteva solo certificare l’esistenza grazie a un’iscrizione raccolta da Emmanuele Antonio Cicogna con il nome di Stefano e la data 1384; tale iscrizione siglava un’ancona, oggi perduta, che si trovava nel monastero veneziano di S. Alvise (Cicogna, 1842; Caffi, 1888, p. 69). A supportare le tesi di Testi vi era poi l’elenco dei parroci di S. Agnese riportato da Flaminio Corner (1749), che citava uno Stefano con quella carica solo dal 1386. Si diffuse pertanto l’errata opinione che «plebanus» potesse significare «parrocchiano»: così interpreta il termine ad esempio Giuseppe Fiocco (1924, pp. 15 s.), che nondimeno ridisegnò il percorso artistico del maestro, rilevandone le affinità dapprima con Paolo e poi con Lorenzo Veneziano. Poche sono le altre notizie documentarie sul pittore: si segnala che nel 1382 egli, indicato nuovamente come «pievano di Sant’Agnese», è documentato nella chiesa di S. Marco a Pordenone, dove venne pagato per riparare un’ancona lignea e occuparsi dell’acquisto di una pisside (Joppi, 1894, p. 8; Goi, 1987, pp. 52 s.; Cozzi, 1993, pp. 197 s.).
Diverse aggiunte al suo catalogo sono state apportate da Evelyn Sandberg Vavalà (1930), che dedicò parte dei suoi studi sui primitivi a questo pittore, considerandolo un innovatore all’interno del panorama veneziano, precoce interprete delle prime avvisaglie del gotico cortese e maestro di Nicolò di Pietro: tra queste sono senz’altro da espungere la Madonna col Bambino della chiesa dei Gesuati, opera assai ridipinta ma da ritenersi della maturità di Paolo Veneziano, nonché la Madonna orante a cui appare Cristo benedicente, di cui si conservano due redazioni, una nella chiesa di S. Trovaso e l’altra in palazzo ducale, da riconsiderare invece all’interno del panorama veneziano di fine secolo.
Gli inizi della carriera di Stefano sono rappresentati dalla Madonna col Bambino del Museo Correr di Venezia, datata 1369 (Il Museo Correr di Venezia, 1957, p. 216), e si legano all’ultima fase del percorso di Paolo Veneziano, dalla Madonna di Carpineta (Cesena), del 1347, al polittico di San Severino Marche (1358), ove le figure allungate e fluttuanti raggiungono vertici di estrema, sfibrata eleganza. Nel dipinto di Stefano la sagoma della Vergine, dai lineamenti affilati e dalla carnagione brunita, risulta ulteriormente snervata e risolta in superficie, le espressioni paiono intorpidite e i gesti rallentati, l’architettura del trono smentita da un tessuto fittissimo di decorazioni geometriche e floreali.
Non vi sono testimonianze di un’attività giovanile precedente la Madonna Correr, né vi sono ulteriori tasselli che coprano l’ampio arco cronologico e stilistico che separa quest’opera dall’Incoronazione dell’Accademia, datata 1381. Si ricorda tuttavia la proposta attributiva effettuata da Andrea De Marchi (1995, p. 243), riguardante una Madonna col Bambino della chiesa della Madonna degli Ulivi a Zara, dapprima riferita a Paolo (cfr. The splendour of Zadar treasuries, 1990).
La tappa successiva del percorso di Stefano è quindi costituita dall’Incoronazione della Vergine del 1381, in origine pannello centrale di un polittico smembrato, e oggi conservata alle Gallerie dell’Accademia (Gallerie dell'Accademia di Venezia, 1955), che comincia visibilmente ad assimilare forme e movenze dell’erede di Paolo, ossia Lorenzo Veneziano, attivo nella seconda metà del XIV secolo. Le figure di Cristo e della Vergine, infatti, si rinsaldano, il trono si amplia e diviene più coerente nella resa spaziale, le decorazioni si riducono e si distribuiscono con calcolata misura sui tessuti delle vesti. Ma sono soprattutto i volti che, nei lineamenti e negli incarnati teneramente schiariti, riecheggiano quelli di maestro Lorenzo, specie se si osservano le paffute figurette del coro d’angeli.
Alla stessa fase stilistica sembrano appartenere un pannello laterale sinistro di un polittico smembrato raffigurante Maria Maddalena (Parigi, Collezione Sarti) – la cui bellezza semplice ma seducente del volto, il leggero inarcamento della figura, la ricchezza decorativa dell’aureola e quella del manto trapuntato d’oro rimandano all’omonima santa dipinta da Lorenzo nel Polittico Lion delle Gallerie dell’Accademia di Venezia – nonché un Santo vescovo, di ubicazione sconosciuta, la cui riproduzione fotografica si trova nel fondo Berenson (scatola 43, SPE - SUS) presso la Fondazione Cini di Venezia.
L’ultima opera nota di Stefano è lo smembrato polittico della chiesa veneziana di S. Zaccaria, firmato e datato nel 1385, di cui rimangono i pannelli con la Vergine col Bambino, San Martino e San Biagio, e il San Cristoforo del Museo Correr. Forse di poco successivi sono i sedici Santi della Pinacoteca nazionale di Ferrara, anch’essi parti di un polittico smembrato proveniente dalla locale chiesa carmelitana di S. Paolo (Pallucchini, 1964, p. 193; R. D’Amico, 1992; Ead., 2002; Roveretto, 2005-06, tavv. LVI-LVIII). È assai probabile che al centro di questo grandioso complesso vi fosse, come suggeriva Federico Zeri in una lettera del 18 settembre 1958 indirizzata al conte Vittorio Cini, la tavola raffigurante la Madonna in trono col Bambino e coro d’angeli, già nella collezione parigina del barone Michele Lazzaroni, poi in quella veneziana di Antonio Carrer, e dal 1941 alla Galleria di Palazzo Cini (inv. VC 2048; Bacchi - De Marchi, 2016, pp. 399, 447 nota 48; Martoni, 2016). Il complesso ferrarese, nel rilievo assegnato al carattere profano e nella ricchezza esibita delle vesti delle sante martiri, così come nei lineamenti più marcati e nell’intonazione accigliata e severa dei santi più anziani, conferma l’infatuazione per Lorenzo da parte di Stefano nel corso degli anni Ottanta, nonché un suo primo avvicinamento a Nicolò di Pietro, specie nella Madonna in trono Cini. Verso la fine dell’attività di Stefano si possono inoltre collocare una serie di Santi, di qualità più modesta, provenienti da due sportelli smembrati, suddivisi tra il Fogg art Museum di Cambridge (Mass.) e il mercato antiquario (De Marchi, 1995, p. 243), nonché, in via di ipotesi (De Marchi, comunicazione orale), un trittico arbitrariamente ricomposto, ora al Museo Correr, raffigurante un Santo profeta, la Madonna annunciata e S. Michele arcangelo (Il Museo Correr di Venezia, 1957, p. 175).
F. Corner, Ecclesiae venetae antiquis monumentis nunc etiam primum editis illustratae ac in decades distributae, Venezia 1749, dec. VII, p. 155; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, V, Venezia 1842, pp. 506 s. nota 2; G.B. Cavalcaselle - J.A. Crowe, Storia della pittura in Italia dal secolo II al secolo XVI, IV, Firenze 1887, pp. 296-306; A. Della Rovere, Dell’importanza di conoscere le firme autografe dei pittori, in Archivio Veneto, XVII (1887), 34, pp. 311-322; M. Caffi, Pittori veneziani nel Milletrecento, in Nuovo Archivio Veneto, XVIII (1888), 35, pp. 57-72; V. Joppi, Contributo quarto ed ultimo alla storia dell’arte nel Friuli ed alla vita dei pittori, intagliatori, scultori, architetti ed orefici friulani dal XIV al XVIII secolo, Venezia 1894, p. 8; L. Testi, La storia della pittura veneziana. Le origini, I, Bergamo 1909, pp. 303-307; [G. Fiocco], Le Regie Gallerie dell’Accademia di Venezia, Bologna 1924, pp. 15 s.; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Venezia 1926 (ed. postuma Roma 1956, p. 290); E. Sandberg Vavalà, Maestro Stefano und Nicolò di Pietro, in Jahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen, LI (1930), pp. 94-109; V. Moschini, Alcuni dipinti nei depositi demaniali di Venezia, in Rivista di Venezia, XII (1933), pp. 231-244; M. Muraro, Nuova guida di Venezia e delle sue isole, Firenze 1953, p. 232; Gallerie dell’Accademia di Venezia. Opere d’arte dei secoli XIV e XV, a cura di S. Moschini Marconi, Roma 1955, pp. 21 s.; Il Museo Correr di Venezia. Dipinti dal XIV al XVI secolo, a cura di G. Mariacher, Venezia 1957, pp. 175, 216-218; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Trecento, Venezia-Roma 1964, pp. 190-194; F. Bisogni, Un polittico di Cristoforo Cortese ad Altidona, in Arte illustrata, VI (1973), 53, pp. 149-151; P. Goi, Tesoro e tesori. Indagini sui preziosi delle chiese cittadine, in Il tesoro del Duomo di Pordenone (catal.), a cura di G. Ganzer, Pordenone 1987, pp. 43-54; S. Skerl Del Conte, Stefano plebano di S. Agnese e le storie di Tomaso Beckett, in Arte in Friuli – Arte a Trieste, XI (1989), pp. 57-71; The splendour of Zadar treasures. Religious art in the archidiocese of Zadar 4th-18th centuries (catal.), Zagreb 1990, p. 325, n. 139; R. D’Amico, in La Pinacoteca Nazionale di Ferrara. Catalogo generale, a cura di J. Bentini, Bologna 1992, pp. 19 s.; F. D’Arcais, Venezia, in La pittura nel Veneto. Il Trecento, a cura di M. Lucco, I, Milano 1992, pp. 17-87; M. Lucco, ibid., II, Milano 1992, pp. 549 s.; E. Cozzi, La decorazione ad affresco del Trecento e dell’inizio del Quattrocento, in San Marco di Pordenone, a cura di P. Goi, Fiume Veneto 1993, pp. 183-223; A. De Marchi, Una tavola nella Narodna Galeria di Ljubljana e una proposta per Marco di Paolo Veneziano, in Gotika v Sloveniji. Atti del Convegno internazionale di studi, … 1994, a cura di J. Höfler, Ljubljana 1995, pp. 241-256; R. D’Amico, in Paolo Veneziano. Il Trecento adriatico e la pittura tra Oriente e Occidente (catal., Rimini), a cura di F. Flores D’Arcais - G. Gentili, Cinisello Balsamo 2002, pp. 212 s., n. 56; D. Roveretto, Stefano “Plebanus” di Sant’Agnese: un pittore veneziano della seconda metà del Trecento, tesi di laurea, Università degli Studi di Udine, a.a. 2005-06; C. Guarnieri, Per un corpus della pittura veneziana del Trecento al tempo di Lorenzo, in Saggi e memorie di storia dell’arte, XXX (2006), pp. 1-131; A.Bacchi - A. De Marchi, Vittorio Cini collezionista di pittura antica. Una splendida avventura, dal castello di Monselice alla dimora veneziana, da Nino Barbantini a Federico Zeri, in La Galleria di Palazzo Cini. Dipinti, sculture, oggetti d’arte, a cura di A. Bacchi - A. De Marchi, Venezia 2016, pp. 388-453; A. Martoni, in Capolavori ritrovati della collezione Vittorio Cini. Crivelli, Tiziano, Lotto, Canaletto, Guardi, Tiepolo (catal.), a cura di L.M. Barbero, Venezia 2016, pp. 24 s.