PIRANDELLO, Stefano
PIRANDELLO, Stefano. – Primogenito di Luigi e Maria Antonietta Portolano, entrambi originari di Girgenti (poi Agrigento), nacque a Roma il 14 giugno 1895.
La famiglia, accresciuta di altri due figli, Rosalia (Lietta) e Fausto Calogero (Lulù), ebbe vita travagliata per le fragili condizioni psichiche della madre, sempre più aggravate verso forme di paranoica gelosia, tanto da rendere tormentosa la convivenza e causare scissioni del nucleo familiare tra Roma e Agrigento.
Stefano, che frequentò a Roma il convitto nazionale, restò molto vicino al padre con cui iniziò anche a spartire comuni interessi culturali. Nel 1914 si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Roma, coltivando nel contempo interessi musicali, ma nel 1915 lasciò gli studi per arruolarsi volontario; fatto prigioniero dagli austriaci il 2 novembre, fu internato a Mauthausen e, dopo Caporetto, a Plan, in Boemia. In questi anni di letture e di studio, con interessi filosofici e letterari, maturò una vocazione essenzialmente drammaturgica, destinata a svilupparsi con esiti originali e poliedrici. Nel gennaio 1919, la famiglia, riunita, decise infine il ricovero di Antonietta in una casa di cura, che la accolse fino alla morte, nel 1959.
Concluso a Macerata il servizio militare e rientrato a Roma, Stefano collaborò con vari periodici, inviando articoli e racconti quasi sempre firmati con lo pseudonimo di Stefano Landi, suggeritogli probabilmente dal nome di un musicista secentesco. Il ritorno a casa segnò anche l’avvio di quel lavoro di appoggio all’attività paterna che lo vide, negli anni, svolgere un ruolo di segretario, amministratore e agente letterario, ma anche di collaboratore e coautore, con la stesura, tra l’altro, di vari soggetti cinematografici tratti dalle opere paterne. Nel marzo 1922 sposò la musicista Maria Olinda Labroca: matrimonio da cui nacquero Maria Antonietta (1923), Andrea Luigi (1925) e Giorgio (1926).
Il suo esordio teatrale, con la rielaborazione di testi risalenti agli anni di prigionia, avvenne nel maggio 1923 con il dramma in un atto I bambini, centrato sul recupero memoriale dell’infanzia da parte di quattro ergastolani; tema dell’infanzia cui si ispira anche l’atto unico L’uccelliera (edito nel 1925) in cui, in una casa-gabbia, sono in scena, sotto la tutela di una nonna, alcuni bambini privi di genitori. Seguì a giugno la messa in scena dei tre atti di La casa a due piani, commedia dai chiari richiami autobiografici nel tratteggio dell’esclusivo legame affettivo tra Federico ed Evelina e delle ripercussioni sui loro tre figli.
Nel 1924 Stefano fu tra i promotori del Teatro d’Arte o Teatro dei Dodici, diretto dallo stesso Luigi Pirandello, che scritturò come prima attrice la giovane Marta Abba, destinata a un ruolo perturbante nel contesto familiare. L’avventura del Teatro d’Arte, cui Stefano partecipò attivamente, si scontrò con gravi problemi economici e si chiuse nell’agosto 1928, con la successiva partenza di Luigi dall’Italia, prima per Berlino e poi per Parigi. Nel 1930, con alcuni scrittori e attori, Stefano progettò un Teatro dei Giovani e, in seguito alla vendita del villino romano di via Panvinio, già fonte di familiari discordie e il cui ricavato Luigi redistribuì tra i figli, poté lasciare il faticoso lavoro redazionale presso La Domenica dell’agricoltore. Da lui sollecitato, il padre tornò definitivamente a Roma e si stabilì, sul finire del 1933, nel villino di via Bosio, abitato al piano sottostante dalla famiglia di Stefano.
Al 1932 risale il soggetto, Gioca, Pietro!, scritto da Stefano, ma firmato dal padre, per il film Acciaio di Walter Ruttmann; nel 1934 lavorò all’organizzazione del Convegno Volta sul teatro drammatico presieduto dal padre. Subito dopo uscì da Bompiani il romanzo, da tempo in gestazione, Il muro di casa (Milano 1935), inizialmente intitolato Liberazione: storia, sospesa tra dimensione lirica, allucinata e memoriale, del travagliato ritorno in Italia da un campo austriaco di un gruppo di prigionieri di guerra. Il romanzo vinse nell’estate il premio Viareggio, ex aequo con Uomo solo di Mario Massa. Tra gennaio e giugno del 1936 andò in scena, fra Torino, Milano e Roma, con esiti altalenanti, la commedia Un padre ci vuole, drammatizzazione di un rapporto rovesciato in cui il figlio, Oreste, a scapito della propria identità, tutela un padre coinvolto, dopo una tragedia familiare, in una nuova passione amorosa.
Dopo la morte di Luigi, il 10 dicembre 1936, si ebbe la messa in scena a Firenze nel giugno 1937, a opera di Renato Simoni con la collaborazione di Stefano, degli incompiuti Giganti della montagna, la cui traccia finale Stefano aveva ricostruito su indicazioni del padre. Gli anni successivi, nei quali continuò anche a seguire la pubblicazione delle opere paterne, videro un intensificarsi della sua attività drammaturgica, il versante più problematico e sperimentale della sua attività. Nel novembre 1938 andò in scena a Milano la commedia Il falco d’argento: rimodulazione, in chiave politico-sociale, di un tema paterno, quello del falco che si abbatte su un nido familiare per impadronirsi dei figli, qui usando la seduzione del denaro, miraggio e idolo di una società borghese aspramente denunciata nella sua aspirazione a «vivere gratis», amaro ideale del secolo.
Il tema dei rapporti familiari, proiettati da una dimensione privata al palcoscenico storico-sociale, si afferma centrale nella poetica di Stefano, tornando, in vesti storiche o mitiche, nelle due tragedie rappresentate tra il gennaio e il giugno 1939: L’innocenza di Coriolano, dove l’assenza dalla scena di Coriolano lascia intero lo spazio alla virile figura della madre Volumnia (sul nome adottato da Shakespeare), anaffettiva creatrice del suo destino, e Icaro, in cui il rapporto tra l’artista creatore Dedalo e il «fidente» figlio Icaro adombra quello tra Luigi e Stefano. A dicembre fu rappresentata la commedia In questo solo mondo, sintesi di più tematiche: dal nido insidiato dalla calata del falco sul figlio conteso (in questo caso tra due sorelle) all’antitesi tra creatività imprenditoriale e servile assoggettamento al capitale, fino al ribaltamento dei ruoli indotto dalla guerra nella figura di Ebe, donna-padre e pugnace imprenditrice.
Nel 1940 Stefano fondò a Roma con vari amici, come Corrado Alvaro, Leo Longanesi, Mario Pannunzio, Corrado Pavolini, Cesare Zavattini e altri, la Autori associati, per la produzione di sceneggiature e soggetti cinematografici. In maggio, a Genova, andò in scena la commedia in tre atti Prove d’amore, poi rifiutata dall’autore. Nel febbraio 1941 fu richiamato sotto le armi, ma, giudicato inidoneo, fu congedato definitivamente.
Nel marzo andò in scena a Roma l’atto unico Qui s’insegna a rubare, demistificazione del cinico rapporto fra padrone e servo (con un’autobiografica proiezione del rapporto padre-figlio), e a Firenze il dramma Ciro, scritto con Pavolini e già edito da Bompiani (Milano 1940). Nel 1941 uscì nella rivista Il Dramma l’atto unico, di registro onirico, Ciò che non si dice e nel maggio 1942 al teatro Manzoni di Milano, oltre all’Orestiade di Eschilo, ridotta da Stefano insieme a Cesare Vico Lodovici, andò in scena con successo la sua commedia Un gradino più giù: moderno approccio a una diversità (un figlio ritardato), a cui difesa si instaurano, tra suocero e nuora, equilibri affettivi di segno trasgressivo. Sempre in quell’anno fu pubblicata da Bompiani la raccolta lirica Le forme (Milano 1942), modulata su tematiche esistenziali, religiose e autobiografiche e che, nel recupero di costruzioni sintattiche tradizionali, volle proporsi quale voce fuori dal coro.
Il dopoguerra, di là da qualche impegno registico, segnò una pausa creativa, fino alla tragedia Sacrilegio massimo, ispirata al dramma delle Fosse Ardeatine e andata in scena, con il recuperato nome di Stefano Pirandello, il 18 febbraio 1953 al Piccolo Teatro di Milano per la regia di Giorgio Strehler: il mancato successo lo lasciò profondamente deluso e influì sul suo appartarsi, fino al 1966, in una villa a Grottaferrata.
Negli anni Cinquanta-Sessanta, Stefano rielaborò molte delle sue opere, tra cui varie commedie, e condusse a termine racconti nuovi o rivisitati e monologhi di ispirazione femminista affidati alla voce di Paola Borboni (Figli per voi; Fine di giornata; Donna inviolata; La voce della Terra). Nel novembre 1955 andò in scena l’atto unico Visita di mattina, meditazione sull’amore affidata al dialogo tra due voci femminili. Nel 1962 il terzo programma radiofonico della RAI, per la regia di Vittorio Sermonti, trasmise alcuni dei trentaquattro dialoghi di animali de L’uomo cattivo (quando parla attraverso la bestia), scritti dagli anni Venti fino al dopoguerra, poi in nuova edizione radiofonica per la regia di Luciano Mondolfo. Nel marzo 1968, sempre per il terzo programma della RAI, Il Beniamino infelice chiuse l’attività drammaturgica di Stefano, con la denuncia della tragica guerra affaristica del petrolio fomentata dall’Occidente e destinata a scardinare e travolgere ogni possibile equilibrio politico nel mondo arabo. Morì a Roma il 5 febbraio 1972.
Opere. A riaccendere l’interesse sulla figura e sull’opera di Pirandello sono state le edizioni, presso Bompiani, di Tutto il teatro (Milano 2004) e del suo romanzo di lunga gestazione Timor sacro (Milano 2011), testo metanarrativo sulla travagliata elaborazione negli anni di un romanzo impostato su un gioco di doppi: lo scrittore Simone Gei (doppio di Stefano) si specchia nell’allegorica storia dell’italianizzato Selikdàr, sottratto, dopo la prima guerra mondiale, a una selvaggia Albania legata a vendette di sangue e approdato al successo nell’Italia fascista. Attorno a loro, ruota una serie di riconoscibili personaggi, pubblici e privati, nel quadro politico-culturale tra le due guerre: ultima testimonianza di una voce appartata ma agguerrita, intesa da sempre a fare polemici conti con la contemporaneità.
Con lo pseudonimo di Stefano Landi sono editi il primo romanzo, Il muro di casa (Milano 1935) e la raccolta lirica Le forme (Milano 1942). Sotto il nome di Stefano Pirandello sono stati raccolti i diciannove testi di Tutto il teatro, I-III, a cura di S. Zappulla Muscarà - E. Zappulla, Milano 2004 (3ª ed., Milano 2009), ed edito il romanzo postumo Timor sacro, cit., a cura di S. Zappulla Muscarà.
Fonti e Bibl.: Una dettagliata biografia di Pirandello è presente nel primo volume di Tutto il teatro, cit., pp. 43-414; tra gli album iconografici pirandelliani, si veda, in particolare, I Pirandello. La famiglia e l’epoca per immagini, a cura di S. Zappulla Muscarà - E. Zappulla, Catania 2013. Per i carteggi: Caro Bompiani. Lettere con l’editore, a cura di G. D’Ina - G. Zaccaria, Milano 1988; Il figlio prigioniero. Carteggio tra Luigi e il figlio Stefano durante la guerra 1915-1918, a cura di A. Pirandello, Milano 2005; L. Pirandello - S. Pirandello, Nel tempo della lontananza (1919-1936), Caltanissetta-Roma 2008 (1ª ed., ibid., 2005). Per la bibliografia critica, oltre alla bibliografia degli articoli e dei saggi presente nel primo volume di Tutto il teatro, cit., pp. 415-426 e alle introduzioni dei curatori alla stessa opera, e della curatrice a Timor sacro, cit., si vedano: G. Manitta, S. P. e altri contemporanei, Castiglione di Sicilia 2007; P. Milone, Padri e figli. La vita ardente di Luigi e S. Pirandello, in Pirandelliana, 2007, n. 1, pp. 97-125.