MACONI, Stefano
Figlio di Corrado di Leoncino di Squarcialeone e di Giovanna di Stefano Bandinelli, nacque, con tutta probabilità a Siena, intorno al 1350.
Nel 1411, in occasione del "processo castellano", l'indagine voluta dal vescovo di Castello F. Bembo per appurare la liceità della devozione nei riguardi di Caterina da Siena, egli affermò di aver poco più di sessant'anni ("elapsis, iam annis sexaginta et ultra", ed. Processo, p. 262), un'età questa che coincide con quanto sostenuto qualche anno più tardi, nel 1417, da uno dei più prossimi amici del M., Tommaso di Antonio da Siena (Tommaso Caffarini), il quale nel Libellus de supplemento qualificava il M. come "mihi coetaneus, utpote ut ego annorum sexaginta septem" (p. 397).
Il M. apparteneva a una nobile famiglia discendente dai conti Ugurgieri della Berardenga; in un membro della sua casata è ravvisato il Lapo ricordato fra gli scialacquatori nella Commedia dantesca (Inf., XIII, 115-123). Di fede ghibellina, la famiglia Maconi risiedeva nel terzo di S. Martino: diversi suoi esponenti ricoprirono nel corso del governo dei Nove, il reggimento oligarchico che resse la città dal 1287 al 1355, eminenti ruoli nella vita cittadina e proprio a tale visibilità istituzionale si deve la loro inclusione nella legislazione antimagnatizia del 1377-79.
Il M. probabilmente seguì un corso di studi nelle pubbliche scuole di Siena. Nel 1376, coinvolto in contese di fazione all'interno della città, stando quanto egli stesso afferma nel Processo, si rivolse alla giovane Caterina (comunemente nota come Caterina Benincasa), che aveva già intrapreso la sua azione per il rinnovamento della società e della Chiesa, affinché svolgesse un ruolo di mediazione fra le parti in lotta. L'incontro con Caterina, che lo accolse "non ut verecunda virgo [(] sed affectuosissima caritate, veluti si germanum a remotis partibus redeuntem" (ed. Processo, p. 259), cambiò la vita del M. che scelse di non essere più coinvolto in tali discordie.
Il topos agiografico (l'abbandono della vita violenta dopo l'incontro con la futura santa) si colora qui di precisi riferimenti storici viste le tensioni cittadine presenti in Siena e per lo stretto coinvolgimento della famiglia del M. in tale frangente. Lo stesso Tommaso di Antonio nel ricordare l'avvenimento sottolinea come il M. fosse coinvolto "licet non ratione sui, sed genitoris et aliorum eiusdem sue domus" (Libellus de supplemento, p. 398).
In seguito a questo incontro il M. entrò a far parte della "famiglia" di Caterina, come la Benincasa soleva chiamare la sua cerchia. Al pari degli altri compagni, la maggior parte senesi e di nobile origine, fra i quali Neri Pagliaresi e Francesco di Vanni Malavolti, il M. iniziò a svolgere la funzione di segretario, trascrivendo per conto di Caterina le lettere che gli venivano via via dettate. Quando la Benincasa, nel giugno di quello stesso anno, si recò ad Avignone presso la corte di Gregorio XI, il M. fece parte del gruppo dei suoi accompagnatori.
Molteplici, stando a Dupré Theseider (1979), le finalità di questo viaggio: la crociata, la pacificazione delle città italiane, in primis Firenze, colpita da interdetto per la sua opposizione al Papato, il ritorno del papa a Roma e la riforma della Chiesa, scopi che "si condizionano l'un l'altro in modo intricato" (p. 365). Proprio da Avignone Caterina si rivolgeva alla madre del M. invitandola a lenire il dolore e la contrarietà provati per la partenza del figlio.
La permanenza di Caterina ad Avignone è ricordata dal M. nel Processo castellano: in particolare egli fu testimone delle estasi e dei digiuni che costituiscono uno degli aspetti caratterizzanti l'esperienza di Caterina, nonché degli incontri che questa ebbe con il pontefice. Verso la fine di settembre la piccola comitiva ritornò in Italia; giunta a Genova soggiornò per circa un mese presso la nobildonna Orietta Scotti. In seguito la Benincasa e la sua schiera si diressero a Pisa, da dove il M. fece subito ritorno a Siena.
Rincontratisi di nuovo nel 1377, in occasione del soggiorno di Caterina a Siena e nel suo contado, il M., rispondendo agli inviti di questa, la raggiunse nella primavera del 1378 a Firenze, dove la Benincasa si era recata ai primi di quello stesso anno al fine di contribuire alla risoluzione del conflitto, noto come guerra degli Otto santi, che opponeva la città toscana al pontefice.
Con tutta probabilità proprio in occasione di questo viaggio verso Firenze, egli fu preso "a latronibus comitatus Florentie" (cfr. Leoncini, 1991, pp. 59, 82) e il padre dovette sborsare per la sua liberazione 400 fiorini d'oro. Il M. fu vicino a Caterina per tutto il periodo della sua permanenza fiorentina e si trovava con lei quando questa fu assalita, poco prima di lasciare Firenze, da un gruppo di uomini armati, comunemente individuati come rivoltosi del tumulto dei ciompi.
Di ritorno a Siena, tra l'estate e i primi mesi dell'autunno del 1378, la Benincasa dettò al M. la maggior parte del suo Dialogo della divina provvidenza (o Libro della divina dottrina); egli non la seguì quando, nel corso dell'ottobre-novembre di quello stesso anno, Caterina si recò a Roma dove, dopo la morte di Gregorio XI, si era ormai pienamente aperto lo scisma d'Occidente, per la duplice elezione a papa di Bartolomeo Prignano con il nome di Urbano VI e di Roberto di Ginevra con il nome di Clemente VII.
Il M. rimase a Siena e da qui mantenne stretti contatti con Caterina e con alcuni appartenenti alla famiglia, fra i quali spicca il già ricordato Neri Pagliaresi.
Proprio a quest'ultimo il M. riconfermò, in una lettera del 15 genn. 1379, la totale dedizione della città di Siena alla fazione urbanista. Descrivendo all'amico l'arrivo in città di un legato di Clemente VII, il M. racconta di essersi reso disponibile presso le autorità cittadine affinché fosse fra "i' primai che gli ponessero le mani addosso" (ed. Grottanelli, pp. 82 s.). Identico sostegno traspare in una successiva lettera (22 giugno 1379) nella quale, oltre a rallegrarsi per l'esito della battaglia di Marino dove le schiere di Clemente VII erano state sconfitte da Alberico da Barbiano, delinea il suo operato in favore di Urbano VI presso i reggitori senesi costretti in quel periodo a premunirsi con ingenti esborsi dal pericolo delle scorrerie dei venturieri (ibid., pp. 85-92). Il clima di tensione e di violenza presente nella città di Siena e nei dintorni traspare anche in una lettera di Caterina in risposta a una missiva del M., nella quale egli racconta della sua cattura da parte delle schiere di "Guglielmotto bretone" (ed. Misciatelli, p. 313; per una diversa datazione, al giugno 1378, cfr. Leoncini, 1991, p. 59). La stessa lettera ci informa delle difficoltà affrontate dal M. per poter venire a Roma e degli ostacoli che ancora la famiglia contrapponeva al suo desiderio di raggiungere Caterina, la quale lo invitava a non opporsi al volere dei genitori ("bene l'avrei avuto molto caro che tu fussi venuto e che tu venissi senza scandalo. Ma con scandalo e turbazione del padre e della madre, no, insino che lo scandalo fusse necessario", ed. Misciatelli, p. 319). Ancora molto forti, quindi, in questo periodo le pressioni familiari sul M., di cui sono noti anche tre fratelli, Battista, Ivo e Leoncino; ma è anche probabile che il M., per la rete di rapporti che in qualità di membro della famiglia Maconi poteva gestire con i reggitori cittadini, abbia svolto un importante ruolo di tramite fra la Benincasa e le autorità senesi, come è testimoniato in diverse occasioni dall'epistolario cateriniano.
Il M. giunse finalmente a Roma verso la fine del 1379 e rimase a fianco di Caterina fino alla morte di questa, avvenuta il 29 apr. 1380.
Fu lo stesso M., come ricorderà anni dopo, a curarne la sepoltura nella chiesa di S. Maria sopra Minerva: "diem felicissime clausit extremum in presentia mea, quam etiam propriis manibus ad Minervam detuli tumulandam" (ed. Processo, p. 261).
Ritornato a Siena alla fine di quello stesso anno, il M. entrò a far parte, nella primavera seguente, della comunità certosina di Pontignano, nei pressi di Siena, di cui divenne poco tempo dopo priore, come sappiamo da una lettera indirizzata all'amico Pagliaresi il 30 maggio 1381.
Al pari di tutti gli ordini religiosi, anche quello certosino era in quel momento diviso in due fazioni facenti rispettivamente riferimento all'obbedienza avignonese e a quella romana; il M. divenne ben presto un esponente di rilievo di quest'ultima e, forse anche in virtù dei legami avuti con Caterina, fu eletto, come già detto, priore.
Nel frattempo mantenne stretti contatti con alcuni dei più fedeli devoti di Caterina; nel breve corpus epistolare a noi noto spicca il nome di Neri Pagliaresi, ma è indubbio, alla luce degli eventi successivi, che rimase in relazione anche con Tommaso di Antonio e con Raimondo Della Vigna. È proprio durante il suo priorato a Pontignano che, inoltre, egli si adoperò a trascrivere e raccogliere le lettere di Caterina, primo nucleo della cosiddetta "raccolta Maconi", formata nel corso di tutta la sua vita e indagata dagli editori delle lettere della Benincasa (cfr. Dupré Theseider, 1933).
La carica di priore a Pontignano fu mantenuta fino al 1389 quando il M., per insistenza di Gian Galeazzo Visconti che si rivolse in tal senso alla autorità senesi, fu destinato alla certosa di Garegnano. Negli anni successivi il M. fu anche visitatore delle case della provincia lombarda dell'Ordine; proprio in occasione di una visita compiuta a Genova, nell'autunno del 1391, egli ebbe modo di rivedere i suoi compagni di un tempo, Raimondo Della Vigna e Tommaso di Antonio, nonché Orietta Scotti.
I legami intrattenuti da Gian Galeazzo e da sua moglie Caterina Visconti con l'Ordine certosino erano destinati a rafforzarsi con la fondazione della certosa di S. Maria delle Grazie a Pavia, uno dei più significativi atti intrapresi dal Visconti nel quadro dei suoi accorti rapporti con le istituzioni ecclesiastiche lombarde. Il M. seguì l'avvio della fondazione della nuova certosa, avvenuta il 27 ag. 1396, e fu senz'altro il principale fautore della nomina di Bartolomeo da Ravenna, legato anch'egli a Caterina, quale priore della nuova casa.
Nell'autunno 1398 fu eletto dal capitolo tenutosi a Seitz, all'epoca casa generalizia dei certosini di obbedienza romana, priore e generale dell'Ordine stesso. Il M. si stabilì perciò nella certosa austriaca, dalla quale non si sarebbe allontanato per tutto il periodo del suo priorato, tranne nel 1408 quando Gregorio XII lo convocò presso di sé.
È probabile che in questa occasione la canonizzazione di Caterina non sia stata, come sostiene Scala, l'unico argomento affrontato e che il M. abbia anche illustrato al pontefice i problemi che, in qualità di generale della corrente "romana", intendeva affrontare in vista di una riunificazione dell'Ordine stesso. In tal senso egli si era del resto già impegnato nel 1401 quando si era rivolto al generale della fazione clementina, Guglielmo Rainaldi, in una lettera nella quale lo invitava a una comune azione per l'unione dell'Ordine e della Chiesa (ed. Scala, pp. 148-155); e anche successivamente, nel 1409, egli indirizzò al successore di Rainaldi, Bonifacio Ferrer, una lettera dello stesso tenore (ibid., pp. 185-188).
La sua azione, volta a ricomporre l'unità dei certosini, si concretizzò nel 1410, nel corso del capitolo della Grande-Chartreuse, svoltosi in aprile. In tale occasione il M. rassegnò le sue dimissioni e fu così possibile, per la contemporanea dimissione del Ferrer, procedere a un nuovo e unico priore, nella persona di Giovanni di Griffenberg.
Richiamato subito dopo alla certosa di Pontignano, nella quale si reinsediò con la carica di priore, il M. fu nominato visitatore della provincia di Lombardia nonché vicario in Italia del priore generale, carica che ricoprì anche nel 1411, 1412 e 1413. Nel marzo 1411 il M. fu chiamato alla guida della certosa di Pavia, i cui lavori di costruzione stavano subendo diverse battute d'arresto.
Sempre nel 1411, in occasione del processo castellano, il M., sollecitato dall'amico Tommaso di Antonio, vero artefice di questa raccolta testimoniale, rilasciò da Pavia, il 26 ottobre, un'ampia e articolata testimonianza della sua esperienza di vita con Caterina da Siena e con il resto della famiglia di questa. La deposizione del M. costituisce, insieme con quella di Tommaso di Antonio, una fonte preziosa per conoscere la vita della Benincasa e ha avuto, prima dell'edizione completa del Processo castellano, una sua autonoma tradizione editoriale. Essa è infatti presente negli Acta sanctorum, subito dopo la Legenda di Tommaso da Capua (cfr. Acta sanctorum, Aprilis, III, Parisiis-Romae 1866, coll. 969-973), ma già la versione latina del Dialogo di Caterina, edita a Brescia nel 1496 (Gesamtkatalog der Wiegendrucke [GW], VI, 6223), premetteva all'opera la deposizione del M.; mentre una traduzione italiana di questa testimonianza è presente nelle prime pagine dell'edizione veneziana delle Lettere di Caterina, curata nel 1500 da A. Manuzio (GW, 6222).
I rapporti con Tommaso di Antonio furono in quel periodo molto intensi; il legame si corroborò fra l'altro con la traduzione della cosiddetta Leggenda minore, opera dello stesso Tommaso. La traduzione del M., esemplata sulla prima delle due versioni della Leggenda a noi note (per l'intera questione cfr. E. Franceschini, Leggenda minore di s. Caterina da Siena, Milano 1942, pp. 83-117), fu realizzata dal M. intorno agli anni 1415-17, allo scopo di favorire una maggiore diffusione del culto cateriniano ("ipse de latino in sermonem vulgarem reduxerat pro solatio laicorum", cfr. ed. Libellus de supplemento, p. 340) ed è stata edita da F. Grottanelli (Leggenda minore di s. Caterina da Siena e lettere dei suoi discepoli, in Collezione di opere inedite o rare, XXVI, Bologna 1868).
L'impegno del M. in favore di Caterina si esplicò anche nel sollecitare la traduzione della Legenda di Della Vigna. A un anonimo piacentino, infatti, il priore certosino si rivolse, nel 1391, affinché redigesse una nuova versione della Legenda a completamento e integrazione di quanto aveva svolto in quel torno di anni l'amico Neri Pagliaresi, nel frattempo deceduto. Oltre a revisionare la versione latina del Dialogo di Caterina, curata da Cristoforo Guidini, il M. approntò egli stesso una propria traduzione dell'opera della Benincasa, come attestano alcuni manoscritti (cfr. Fawtier, 1921-30, I, p. 109; II, pp. 340-342).
Il M. mantenne l'incarico di priore fino al 1421; dopo tale data continuò a vivere nella certosa pavese dove morì il 7 ag. 1424.
Abbastanza documentata è l'iconografia del M. che è stato ravvisato nel devoto certosino presentato da Caterina alla Vergine, opera di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone conservata presso la pinacoteca milanese di Brera (cfr. Laurent; ma anche, di parere contrario, Musei e gallerie di Milano, Pinacoteca di Brera, Scuola lombarda 1300-1535, Milano 1988, pp. 86 s.; altre indicazioni sull'iconografia del M. in Ferretti e in Leoncini, 1991, pp. 92 s.).
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