LANDI, Stefano
Nacque a Roma da Matteo di Antonio Mattei, calzolaio senese, e Cecilia di Fabio Landi, e fu battezzato il 26 febbr. 1587 nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini. Rimasto giovanissimo orfano del padre, il L. assunse molto presto il cognome della madre, probabilmente in attuazione di una disposizione testamentaria del nonno materno Fabio Landi (Panofsky-Soergel, pp. 74-76).
Fabio Landi, originario di Padova ma residente a Roma almeno dalla metà del Cinquecento, era un noto "antiquario" e fonditore di medaglie; coniò 37 medaglie per l'inaugurazione della torre del palazzo del Senatore in Campidoglio e altre 200 per la fondazione del nuovo oratorio dell'Arciconfraternita del Ss. Crocifisso di S. Marcello. Membro di questo sodalizio, nel 1561 fu eletto dai suoi confratelli quale "deputato" alla costruzione del nuovo oratorio, progettato e realizzato dall'architetto Giacomo Della Porta; quest'ultimo fu testimone di nozze nel 1579 dei genitori del L. (Henneberg, pp. 16-18; Panofsky-Soergel, p. 75). Le vicende della progettazione e delle fasi costruttive della fabbrica dell'edificio furono poi rievocate da Fabio Landi nel suo interessante manoscritto Trattato come fu fatto l'oratorio della Compagnia del Ss. Crocifisso (Arch. segreto Vaticano, Arciconfraternita del Ss. Crocifisso di S. Marcello, P.XIX.51), autenticato da una scritta del L., "musico della cappella di N.S. Urbano [VIII] e chierico beneficiato della basilica di San Pietro, a dì primo gennaro 1639". Altre due figlie di Fabio Landi si sposarono con due artisti: Chiara con il francese Enrico Cousin (Cugino) e Anastasia con il fiammingo Carlo Oldradi (Karel Oldrago; Henneberg, pp. 16-18; Panofsky-Soergel, pp. 100-102).
L'8 maggio 1595 il L. fu ammesso come "putto soprano" nel Collegio germanico di Roma; nel contratto, sottoscritto dalla madre, fu stabilito che "detto collegio in evento che a detto Stephano li mancasse overo mutasse la voce, non lo possino mandare via subito ma darli tempo che detto Stefano si possa provedere" (Culley, p. 58), ed è presumibile che vi sia rimasto per quattro o cinque anni, e vi abbia studiato con l'allora maestro di cappella Asprilio Pacelli (Leopold, p. 23). Il L. intraprese poco dopo la carriera ecclesiastica: il 28 ott. 1599 fu promosso alla prima tonsura nell'oratorio di S. Maria in Vallicella. Nei primi passi della sua carriera fu determinante l'appoggio offertogli dai Cesi, duchi di Acquasparta; Fabio Landi, infatti, aveva intrattenuto stretti rapporti con il cardinale Pier Donato Cesi, che collezionava marmi e medaglie antiche (Panofsky-Soergel, p. 77). Nel 1602, "ad istanza" del cardinale Bartolomeo Cesi, del duca Federico Cesi e della loro madre, la duchessa Beatrice Caetani, il L. fu ammesso nel Seminario romano, dove completò i suoi studi nel 1607, discutendo una tesi in filosofia, le cui conclusioni furono dedicate al cardinal G. Pamphilj, vicario e protettore del seminario (Casimiri; Leopold, pp. 24-26). Alla luce di questi elementi biografici, si rafforza l'ipotesi di identificare il L. con lo "Stefano" che cantò nella parte di Anterote nell'Amor pudico, favola in musica fatta rappresentare nel 1614 dal cardinale A. Peretti Montalto per le nozze del fratello Michele Peretti con Anna Maria Cesi dei duchi di Acquasparta (Hill, pp. 50-52).
La carriera di musicista del L. iniziò a S. Maria in Trastevere, dove fu organista per soli due mesi nell'aprile-maggio 1610 (cfr. Dixon); non casualmente, poi, il L. risulta lavorare per la Confraternita del Ss. Crocifisso di S. Marcello, da cui nel 1611 ricevette 30 scudi da distribuire "alli musici che hanno cantato li venerdì di quaresima nell'oratorio" (Alaleona, p. 337). Successivamente fu maestro di cappella a S. Maria della Consolazione negli anni 1614-17, e forse ancora nel 1621 (Lionnet, 1986, pp. 158-160), e poi alla Madonna dei Monti (1624).
Un singolare episodio segnò gli esordi della carriera del L. come maestro di cappella nelle chiese romane: nell'aprile 1615, la Compagnia di S. Maria dell'Orazione e Morte gli aveva affidato l'incarico di organizzare la musica per la solenne processione del giovedì santo. Fra i musicisti ingaggiati per il solenne rito figurava il tenore della cappella pontificia G.D. Puliaschi, al tempo al servizio del cardinale Scipione Borghese. Per una questione di rango, Puliaschi pretese di dirigere lui stesso la musica e il L., dopo aver provato a resistergli, dovette cedergli. Tale comportamento, tuttavia, costò caro al L., poiché i cantori pontifici deliberarono che non avrebbero più cantato sotto la sua direzione; l'interdizione, però, fu annullata l'anno seguente dopo reiterate sollecitazioni del L. (Lionnet, 1986, p. 159).
Più ancora degli incarichi ricevuti presso alcune chiese romane, nel contesto della biografia del L. assumono maggiore importanza le relazioni che il musicista seppe intrattenere con la più alta aristocrazia. Il L., infatti, ebbe l'abilità e la fortuna di riuscire a collocarsi sempre nell'orbita di cardinali o nobili famiglie che, a ogni cambio di pontefice, salivano alla ribalta della corte romana, riuscendo così a promuovere la propria carriera sia come musicista sia come ecclesiastico.
Alcune di queste relazioni emergono dalle dediche che accompagnano le sue opere date alle stampe, e in qualche caso sono suffragate anche da altri documenti. Al vescovo di Padova Marco Corner, al cui servizio si trovava in qualità di maestro di cappella, il L. dedicò i suoi Madrigalia cinque voci. Libro primo (Venezia 1619); l'origine patavina della famiglia del L. ebbe forse una parte nel favorire i suoi rapporti con il vescovo Corner. In quegli stessi anni si scorgono i tentativi compiuti dal L. per entrare nell'entourage dei Borghese, la famiglia del regnante pontefice Paolo V. Il L., infatti, dedicò a monsignor Alessandro Mattei, chierico di Camera del papa, la "tragicomedia pastorale" La morte d'Orfeo (Venezia 1619), su libretto anonimo ma che, interpretando alcune parole della dedica firmata dal L. stesso, potrebbe essere attribuito al musicista (cfr. Vatielli), di cui si conoscono le pretese - peraltro censurate da un intellettuale contemporaneo - di essere "un gran letteratazzo […] come fosse il protofonasco di Parnaso" (Ziino).
Non si hanno notizie di una rappresentazione de La morte d'Orfeo collegabile alla stampa della partitura. L'assenza di un prologo di circostanza o di encomi e riferimenti a personalità o fatti del tempo lascia supporre che l'opera non fosse stata rappresentata prima della stampa e che l'iniziativa di pubblicarla fosse forse legata alle aspirazioni cardinalizie del Mattei, come si evince dal sonetto in lode del prelato stampato nell'opera, in cui l'autore, Francesco Pona "medico et filosofo veronese", auspica che "in breve fia, d'ostro t'ammante le tempie Roma". È possibile, tuttavia, che l'opera fosse stata in seguito eseguita in onore di Cristina di Francia, moglie del principe ereditario di Savoia Vittorio Amedeo, dopo il 1624 e prima del 1627, quando il L. si trovava al servizio del cardinale Maurizio di Savoia. Il brano "O di gloria chiara prole", che apre Il secondo libro d'arie musicali… ad una voce (Roma 1627), dedicato alla principessa, reca la didascalia "Teti cantò in scena in lode di Sua Altezza Serenissima" (e non "in Siena", come riportato in Bibliografia della musica italiana, n. 1377, p. 875; cfr. Mioli, pp. 271-273). Teti, "regina del mare nel fiume Ebro", è infatti il personaggio che compare nella prima scena dell'atto primo de La morte d'Orfeo; l'aria non è presente nella partitura stampata nel 1619, ma è ipotizzabile che sia stata appositamente scritta e inserita con funzione di prologo encomiastico in onore della principessa in occasione di una recita della Morte d'Orfeo. Modellata sotto diversi aspetti sull'Eumelio di A. Agazzari, alla cui rappresentazione nel Seminario romano (1606) il L. doveva avere assistito, La morte d'Orfeo è articolata in cinque "quadri" che raccontano le vicende di Orfeo, seguite alla morte di Euridice, che conducono alla morte il mitico cantore fino al ricongiungimento con la perduta sposa nell'Ade. Fra i numeri più caratterizzanti dell'opera alcune arie, come quella di Orfeo nella scena d'apertura (aria strofica con variazioni) o quella di lamento con eco di Nisa (atto III, scena 1), e i cori di pastori, satiri (a doppio coro), Menadi e divinità.
Con una lettera da Ancona del 19 nov. 1619, il L. inviava una sua "compositione allegra da cantar a tre voci" al cardinale Scipione Borghese Caffarelli, nipote del papa. L'anno seguente dedicò il suo primo libro di Arie a una voce (Venezia 1620) al principe romano Paolo Savelli, essendo stato "riceuto da V.E. nel numero de' servitori attuali della sua casa", come si legge nella dedicatoria dell'opera. Il servizio presso il nobile romano trova conferma in documento dello stesso anno: il 25 ott. 1620, infatti, Giovanni Francesco Oldradi, parente del L., nominava nel testamento come suo erede universale l'"illustrissimum dominum Stephanum Landum romanum ad praesens magistrum capellae illustrissimi domini principis Sabelli" (Panofsky-Soergel, pp. 100-102). Nel 1621 riceveva 90 scudi "per la musica fatta nella quadragesima […] et anco per le musiche della processione del giovedì santo" dalla Confraternita del Ss. Crocifisso di S. Marcello (Alaleona, pp. 339-341).
Alla morte di Paolo V il L. rivolse la sua attenzione verso i Ludovisi, famiglia del neoeletto pontefice Gregorio XV. Il 27 ott. 1622, il papa concedeva al L. un beneficium simplex all'altare dei Ss. Processo e Marziano nella basilica vaticana. Nel febbraio 1623 è formalmente qualificato come "servitore dell'illustrissimo signor cardinale Ludovisi" nei diari della cappella pontificia, quando chiese a nome del suo padrone di concedere una licenza di una settimana a due cantori, G. Falbo e L. Vittori, "perché stavano occupati nel servitio di sua eminenza" (Tallián, p. 280). Non casualmente nello stesso anno, due composizioni del L. vennero incluse nella raccolta La sfera armoniosa, composta da P. Quagliati per le nozze fra Nicolò Ludovisi, nipote del papa, e Isabella Gesualdo, figlia del principe compositore.
Morto Gregorio XV e ritiratosi a Bologna il nipote cardinale, il L. passò al servizio del cardinale Maurizio di Savoia, a cui dedicò prontamente i suoi Psalmi integri quatuor vocibus (Roma 1624), restando al servizio di questo porporato almeno fino al 1627; lo apprendiamo dalla dedica a "madama serenissima [Cristina] la principessa di Piemonte", cognata del cardinale, nel citato Secondo libro d'arie musicali; l'occasione della dedica era stata propiziata da una visita alla corte sabauda del soprano A. Ferrotti, allievo del Landi.
Nel dicembre 1624, sotto il pontificato di Urbano VIII, il L. fu promosso chierico beneficiato, "rettore e cappellano perpetuo" dell'altare dei Ss. Processo e Marziano in S. Pietro (Tallián, pp. 269-271). Con l'allontanamento del cardinale Maurizio di Savoia da Roma, il L. poté entrare nell'orbita dei Barberini. Nel 1627 colse la prima importante occasione per servire la famiglia Barberini: compose, infatti, una Missa in benedictione nuptiarum a sei voci "a cappella", per la celebrazione del matrimonio fra Taddeo Barberini e Anna Colonna; l'anno seguente la messa fu poi pubblicata in una sontuosa edizione a stampa decorata con le api barberiniane e dedicata allo stesso Urbano VIII, che aveva officiato le nozze.
La carriera musicale del L. culminò di lì a poco, il 29 nov. 1629, quando fu ammesso nella cappella pontificia in qualità di contralto, su diretto ordine del papa, che inoltre, con breve del 2 marzo 1630, lo esentò anche dagli obblighi connessi al beneficio ecclesiastico (Celani; Tallián, pp. 269-271). Nel 1632, al L. e altri musicisti il papa affidò la revisione dei canti fermi in uso nella liturgia. I responsori della settimana santa "riformati" dal L. non risultarono affatto graditi ai cantori pontifici, che stigmatizzarono la "presuntione", osservando che "tanti valenti uomini che sono stati in collegio [dei cantori pontifici] et al presente sono, non hanno mai pensato né avuto tal ordine sapendo che non si possa far meglio di quello che hanno fatto li santi padri" (Tallián, p. 278). L'anno successivo il L. fu ordinato diacono (Panofksy-Soergel, p. 114).
I Barberini si avvalsero con regolarità delle sue competenze sia come insegnante di canto e di musica dei "putti musici" alle dipendenze della famiglia stessa sia come compositore, così come nella musica sacra, nelle chiese dove i due cardinali di famiglia erano titolari, e nel teatro del palazzo Barberini alle Quattro Fontane, per il quale il L. compose il primo di una lunga serie di drammi che vi furono rappresentati, Il s. Alessio, su testo di G. Rospigliosi, e forse anche I ss. Didimo e Teodora (1635; Murata, pp. 253-255; Hammond, pp. 224-226). Nei diari della cappella papale sono spesso registrate le licenze concesse al L. per svolgere servizi musicali dietro ordine dei Barberini, in particolare del cardinale Francesco (Tallián, pp. 273-275); risulta, fra l'altro, che quest'ultimo inviò due volte il L. a Napoli insieme con il soprano G. Zampetti, probabilmente suo allievo, nel maggio 1635 e nel maggio 1636; non si conoscono le ragioni di queste due trasferte, ma non è da escludere che esse siano connesse alla rappresentazione di qualche opera romana, forse del L. stesso, a Napoli (Lionnet, 1987).
Il L. morì a Roma il 28 ott. 1639.
Ilsant'Alessio - "opera spirituale" che narra delle vicende, desunte dalla Legenda aurea, di un nobile romano che rinuncia all'amore coniugale per consacrarsi alla severa vita eremitica, conseguendo infine la gloria della santità - fu rappresentato nel carnevale 1632 alla presenza dell'ambasciatore imperiale Johann Ulrich von Eggenberg, di passaggio a Roma verso Napoli. L'Argomento della rappresentazione di sant'Alessio, stampato per l'occasione, descrive l'articolazione dell'opera in un prologo ("cantato da Roma, la quale accennando il valore de' suoi cittadini nell'armi, mostra che non meno celebre nella santità è stato il nome di essi, tra' quali è singolarmente cospicua la gloria di sant'Alessio") e tre atti, per un totale di quattro scene: la città di Roma, l'inferno, la tomba di s. Alessio, una gloria del paradiso con il santo e gli angeli. L'opera fu replicata nel carnevale 1634, in occasione della visita alla corte romana del principe Alessandro Carlo Wasa, fratello di Ladislao IV re di Polonia. Per l'occasione il dramma venne rimaneggiato e ampliato con un nuovo prologo adattato all'ospite polacco, con l'aggiunta di nuovi personaggi (coro di schiavi nel prologo, un secondo paggio) e di qualche altro episodio, di una scena boschereccia per un ballo di "quattro ballerini rustici", in funzione di intermedio fra primo e secondo atto, e di alcuni effetti scenici, come la trasformazione del diavolo in orso, l'apparizione della Religione e la discesa e la risalita al cielo di un angelo, assenti nella versione del 1632.
Con la rappresentazione del Sant'Alessio, come fu del resto positivamente notato da un "huomo litteratissimo" del tempo nella lettera prefatoria che compare nell'edizione a stampa dell'opera, si intendeva superare la pedissequa osservanza del dettato aristotelico in favore di una spiccata spettacolarità; l'edificio teatrale con il fronte scenico e le macchine erano opera del ferrarese Francesco Guitti, reduce dagli spettacoli farnesiani del 1628 a Parma; le scene furono dipinte da Pietro Berrettini da Cortona e poi rimesse in sesto da Francesco Buonamici. Benché il coordinamento dello spettacolo fosse affidato al padre teatino Valerio Poggi, è molto probabile che G.L. Bernini avesse la sovrintendenza del complesso di tutte le attività della messa in scena (Tamburini, pp. 263-265). Il sant'Alessio, "historia sacra" - e non favola, come si legge nelle iscrizioni in calce ai primi due fascicoli della partitura stampata - inclina più verso il modello della tragicommedia, "sia forse ispirandosi agli ideali del delectare iuvando cari per esempio al teatro educativo di collegio (specie gesuita), sia in quanto erede della tradizionale pluralità di livelli stilistici propria del teatro sacro, e più in generale della letteratura d'ispirazione cristiana" (Fabbri, p. 49).
L'anonimo "huomo litteratissimo" - identificato con L. Santi (Franchi, 1993, pp. 165-167) o, più di recente, con T. Galluzzi (Tamburini, p. 262) -, pur apprezzando la "favola ben unita, non episodica, breve e non vagante", non poté passare sotto silenzio la varietà dell'elocuzione "di prattica non affettata, non vile ma o grande o mezana o infima come la richiedeva il soggetto che favellava". I tre livelli dell'elocuzione, propri della tragicommedia, di cui scrive l'anonimo recensore in prefazione, trovano puntuali riscontri nei diversi numeri in cui il dramma si articola: dallo stile "grande" o "sublime" dei cori a otto voci ("choro de schiavi" a otto voci nel prologo, o "choro d'angeli", atto III, scena 5) o dei racconti di Adrasto, Eufemiano e del nunzio, allo stile "mezzano" dei soliloqui di Alessio ("Alessio che farai?", II, 5) o dei patetici lamenti della madre, della sposa e di Eufemiano (terzetto "Ohimé ch'un'ora", "Pianti, o doglie estreme", III, 3), allo stile "infimo" dei servi Marzio e Curzio (duetto "Poca voglia di far bene", I, 3), e in parte del demonio, per esempio quando questi si trasforma in un orso spaventando uno dei servi (Fabbri, pp. 49-51). Spiccano in tutta l'opera alcune "ariette" a una voce di Alessio, "Se l'ore volano" (I, 2) "O morte gradita" (II, 7), e della Religione "Quei che sospirano" (II, 9, strofica). Interessante pure la strumentazione con tre parti di violino, un basso per "arpe, liuti, tiorbe & violoni" e una per il "basso continuo per i gravicembali". L'opera - fatto non comune per l'epoca - fu replicata diversi anni più tardi a Reggio Emilia (1645) e a Bologna (1647).
Il L. fu uno dei più prolifici e rappresentativi autori di arie per musica, arrivando a pubblicare almeno otto raccolte del genere (sette a voce sola e una a due voci) fra il 1620 e il 1639, di cui quattro pervenuteci. Si tratta in gran parte di canzonette strofiche, talvolta nella forma di variazione sopra un basso ostinato, talvolta semplici ariette strofiche nello stile della villanella. Gli ultimi libri di arie si caratterizzano invece per un uso più sciolto dell'aria, dell'arioso e del recitativo, che rendono questi brani più simili alle cantate coeve.
Il L. fu attivo anche in campo sacro: i suoi Psalmi integri (1624) contengono l'intonazione polifonica dei sette salmi più comuni e di un Magnificat; la scrittura non presenta espliciti richiami alla salmodia, ma è scorrevole e di buon effetto, alternando sezioni omofoniche in ritmi contrastanti, con le uscite di uno o due solisti. Di tutt'altro carattere è la Missa in benedictione nuptiarum, condotta in stile strettamente imitativo sopra due cellule motiviche. Scritta nello stile a cappella senza organo, perché destinata all'esecuzione dei cantori pontifici, la messa riflette in apparenza gli stilemi cosiddetti "palestriniani", ma nulla di arcaico è percepibile nella ricca sonorità dell'intreccio vocale; momenti di virtuosismo, sia contrappuntistico, sia vocale, emergono per esempio nell'ultimo Agnus Dei, dove il L. aggiunge ulteriori due voci in canone per conferire maggiore grandiosità al finale, lasciando spaziare le voci in ambiti inusuali per ampiezza, fra un La contrabbasso del basso e un La quattro ottave di sopra al soprano (Hammond, pp. 136-138).
Da segnalare anche alcune originali canzoni strumentali a due, tre e quattro strumenti (liuto, tiorba, arpa) e basso continuo del L., presenti in un manoscritto proveniente dalla collezione della famiglia Borghese e oggi conservato presso la Biblioteca nazionale di Roma, insieme con analoghe composizioni di F. Nicoletti e (G.?) Priuli (Catalogo del Fondo musicale; Morelli, 1989).
Opere stampate (oltre a quelle già citate): Il quinto libro d'arie da cantarsi ad una voce con la spinetta et con le littere per la chitarra (Venezia 1637); Il sesto libro d'arie da cantarsi ad una voce (Venezia 1638). Opere non pervenute, ma segnalate dalla Notitia di G.O. Pitoni (cfr. Ruini): Poesie diverse in musica (Roma 1628); Salmi intieri a quattro (ibid. 1629); Il quarto libro delle arie da cantarsi a una voce (ibid. 1629); Il primo libro delle messe a quattro e cinque, da cappella (ibid. 1638); Il libro settimo delle arie da cantarsi a una voce (ibid. 1639); Il libro ottavo delle arie da cantarsi a due voci (ibid. 1639). Mottetti in antologie: Sub tuum praesidium (3 voci), in Selectae cantiones excellentissimorum auctorum binis, ternis, quaternisque vocibus concinendae a Fabio Constantino… simul collectae (Roma 1616); Ego flos campi et lilium convallium (2 voci), in Lilia campi binis, ternis, quaternisque vocibus concinata a Io. Baptista Robletto excerta et luce donata (ibid. 1621); Domine, quis habitabit (2 voci), in Sacri affetti contesti da diversi eccellentissimi autori raccolti da Francesco Sammaruco romano (ibid. 1625). Arie a voce sola in antologie: "Invan lusinghi invan prometti e giuri", in Giardino musicale di varii eccellenti autori (1621); "Leggiadra rosa", in Raccolta de varii concerti musicali (1621); "Mira Clori" (aria a 2), in Le risonanti sfere (Roma 1629).
Opere manoscritte: Messa a cinque concertata (Roma, Arch. stor. del Vicariato, S. Maria in Trastevere, Mus., 613.4); Sub tuum praesidium (mottetto a 3 voci e basso continuo, Münster, Bibliothek des bischöfliches Priesterseminars, Santini, Hss., 2752); arie per voce e basso continuo: "Questa ch'el col misura felice", e "Che discior tra fiamme" (Bologna, Arch. dell'Accademia filarmonica, Mss., 1424), "Amor ben io sapea" (Roma, Biblioteca universitaria Alessandrina, Mss., 279); madrigali a 2 voci e basso continuo: "Io v'amo anima mia", "Questa bella guerriera", "Superbo te ne vai legno fugace", "Se non è cosa in terra" (ibid.; cfr. Hill, pp. 367-369); canzoni strumentali per liuto, arpa, tiorba e basso continuo: La Breve (a 4), La Ragana (a 4), La Fantastica (a 4), La Pazza (a 3), La Alessandrina (a 3), La Gioannina (a 2) (Roma, Biblioteca nazionale, Fondi minori, Mss. Mus., 156).
Un cugino del L., Fabio Oldradi, anch'egli musicista, nato a Roma nel 1607 dal pittore fiammingo Carlo Oldradi e da Anastasia Landi, nel 1631 coabitava con il L. ed è probabile che sia stato suo allievo; nel 1637 era al servizio del cardinale Giovan Carlo de' Medici, e poi, dal 1640 al 1643, della corte medicea come "sonator d'arpa". Morì a Firenze il 21 dic. 1646 (Panofsky-Soergel, p. 106; Kirkendale).
Fonti e Bibl.: R. Rolland, La première représentation du "S. Alessio" de S. L. en 1632 à Rome, d'après le journal manuscrit de Jean-Jacques Bouchard, in Revue d'histoire et critique musical, II (1902), pp. 32-35; E. Celani, I cantori della cappella pontificia nei secoli XVI-XVIII, in Riv. musicale italiana, XIV (1907), p. 782; R. Casimiri, "Disciplina musica" e "mastri di capella" dopo il concilio di Trento nei maggiori istituti ecclesiastici di Roma, in Note d'archivio per la storia musicale, XV (1938), pp. 231-233; F. Vatielli, Operisti-librettisti dei secoli XVII-XVIII, in Riv. musicale italiana, XLIII (1939), p. 5; D. Alaleona, Storia dell'oratorio musicale in Italia, Milano 1945, pp. 337, 339-341; P. Quagliati, "La sfera armoniosa" and "Il carro di fedeltà d'amore", a cura di V. Gotwals - Ph. Keppler, Northampton, MA, 1957; A. Ziino, "Contese letterarie" tra P. Della Valle e N. Farfaro sulla musica antica e moderna, in Nuova Riv. musicale italiana, III (1969), p. 109; T.D. Culley, Jesuits and music. A study of the musicians connected with the German College in Rome during the 17th century and of their activities in Northern Europe, Roma - Saint Louis, MO, 1970, pp. 58-60; J. von Henneberg, L'oratorio dell'Arciconfratenita del Ss. Crocifisso di S. Marcello, Roma 1974, pp. 13-22; S. Leopold, S. L.: Beiträge zur Biographie. Untersuchung zur weltlichen und geistlichen Vokalmusik, Hamburg 1976; T. Tallián, Archivdokumente über die Tätigkeit S. L.s in Rom in den Jahren von 1624 bis 1639, in Studia musicologica Academiae scientiarum Hungaricae, XIX (1977), pp. 267-295; G. Dixon, The cappella of S. Maria in Trastevere (1605-45): an archival study, in Music and letters, LXII (1981), p. 39; M. Murata, Operas for the papal court, 1631-1668, tesi di dott., University Microfilms Int., Ann Arbor, MI, 1981, p. 223; G. Panofsky-Soergel, Nachträge zu S. L.s Biographie, in Analecta musicologica, XXII (1984), pp. 69-129; J. Lionnet, La musique à S. Maria della Consolazione au 17e siècle, in Note d'archivio per la storia musicale, n.s., IV (1986), pp. 153-200; Id., La cappella pontificia e il Regno di Napoli durante il Seicento, in La musica a Napoli durante il Seicento. Atti del Convegno Napoli… 1985, a cura di D.A. D'Alessandro - A. Ziino, Roma 1987, pp. 548-550; S. Franchi, Drammaturgia romana, I, Roma 1988, p. 776; P. Mioli, A voce sola. Studio sulla cantata italiana del XVII secolo, Firenze 1988, pp. 269-273; Catalogo del fondo musicale della Biblioteca nazionale centrale "Vittorio Emanuele II" di Roma, Roma 1989, pp. 151-153; A. Morelli, Note storiche sui manoscritti musicali della Biblioteca nazionale di Roma, in Catalogo del fondo musicale…, cit., pp. 25-27; P. Fabbri, Il secolo cantante. Per una storia del libretto d'opera nel Seicento, Bologna 1990, pp. 39-52; R.R. Holzer, Music and poetry in seventeenth-century Rome: settings of the canzonetta and cantata texts of F. Balducci, D. Benigni, F. Melosio, and A. Abati, tesi di dott., University of Pennsylvania, 1990; S. Franchi, Osservazioni sulla scenografia dei melodrammi romani nella prima metà del Seicento, in Musica e immagine tra iconografia e mondo dell'opera. Studi in onore di M. Bongianckino, a cura di B. Brumana - G. Ciliberti, Firenze 1993, pp. 151-176; W. Kirkendale, The court musicians in Florence during the principate of the Medici…, Firenze 1993, p. 394; F. Hammond, Music and spectacle in baroque Rome. Barberini patronage under Urban VIII, New Haven 1994, passim; C. Ruini, Edizioni musicali perdute e musicisti ignoti nella "Notitia de' contrapuntisti e compositori di musica" di G.O. Pitoni, in Musicologia humana. Studies in honor of Warren and Ursula Kirkendale, a cura di S. Gmeinwieser - D. Hiley - J. Riedlbauer, Firenze 1994, pp. 434-436; J.W. Hill, Roman monody, cantata, and opera from the circles around cardinal Montalto, Oxford 1997, passim; A. Morelli, "Il pellegrino nella patria": "S. Alessio" fra politica e "patronage" in Roma barocca, in S. Landi, Il Sant'Alessio. Dramma musicale, Bologna 2003, pp. 5-14; E. Tamburini, Per uno studio documentario delle forme sceniche: i teatri dei Barberini e gli interventi berniniani, in Tragedie dell'onore nell'Europa barocca. Atti del Convegno,… Viterbo… 2002, a cura di M. Chiabò - F. Doglio, Roma 2003, pp. 255-275; Bibliografia della musica italiana vocale profana pubblicata dal 1500 al 1700 (Il Nuovo Vogel), pp. 873-878; TheNew Grove Dict. of music and musicians (ed. 2001), XIV, pp. 209-212; Die Musik in Geschichte und Gegenwart (ed. 2003), Personenteil, X, coll. 1124-1129.