Infessura, Stefano
Nacque a Roma intorno al 1440 da una famiglia popolare di un certo rilievo del rione Trevi. Fu dottore in legge e lettore in diritto civile nell’Università dell’Urbe. Come scriba senatus del comune (mansione attestata da documenti del 1487) faceva parte dei suoi uffici assistere ai consigli generali e stenderne i verbali. Per estrazione sociale, formazione culturale, attività e interessi la sua posizione è lontana dalla corte papale, quando non apertamente ostile, in particolare in relazione agli interventi dei pontefici contro le prerogative municipali. Si è giustamente osservato che la prospettiva da cui si pone I. è quella della Roma dei romani (Esch 2004), di cui accoglie gli umori e la tradizione orale, le istanze pubbliche e popolari. Ebbe legami con i Porcari e fu un appassionato fautore dei Colonna. Questi aspetti, insieme con uno spirito religioso incline al profetismo gioachimita, emergono con chiarezza dal suo Diario della città di Roma, che è una delle più significative cronache romane della seconda metà del Quattrocento. La narrazione, che ci è giunta mutila nella parte iniziale, comincia dal pontificato di Bonifacio VIII nel 1294 e, per tratti e blocchi discontinui in parte in volgare in parte in un latino non umanistico, arriva fino al 1494, a qualche tempo prima dunque della scomparsa dell’autore che da documenti dell’anno 1500 risulta ormai morto.
Un’ampia parte del Diario è dedicata al pontificato di Sisto IV, sul quale I. esprime i suoi giudizi più duri e sarcastici, fino all’esplosione di una vera e propria, prolungata invettiva che ne sigla un fosco ritratto finale alla data della morte (1484). Scrittore passionato – la fede colonnese costituisce, infatti, il filo rosso del Diario – e partecipe, anche se in maniera disuguale e discontinua, I. ha impresso il sigillo della personale e viva testimonianza a tratti significativi della sua opera.
Per quanto riguarda la fortuna del Diario, va sottolineato che quasi la metà dei più di cinquanta manoscritti da cui ci è stato tramandato, appartenenti al periodo che va dal 16° al 18° sec. – per la maggior parte seicenteschi –, ha subito tagli o rimaneggiamenti, soprattutto a favore degli Orsini, stravolgendo gli intenti dell’autore.
Oreste Tommasini ritenne di poter riconoscere l’«influenza» del Diario e «delle sue ironie» in M., in passi delle Istorie in cui si allude alla corruzione del clero e della vita religiosa, e in considerazioni sarcastiche sulla guerra condotta con le armi mercenarie; inoltre, in certi particolari narrativi dell’uccisione di Stefano Porcari e del protonotario Lorenzo Colonna che gli richiamavano addirittura alla mente «la relazione della morte di Paolo Orsini». La suggestione delle «somiglianze di idee e sentimenti» fu per Tommasini tale da fargli dubitare in un primo momento che il Diario fosse un falso, ma a seguito di ulteriori indagini giunse alla conclusione «che l’opera dell’Infessura è indubbiamente autentica e che al Machiavelli fu cognita» (La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazione col machiavellismo: storia ed esame critico, 2° vol., 1911, pp. 498-99).
In effetti, l’accertamento della presenza del Diario nelle Istorie fiorentine si rivela più problematico di quanto non sembrasse a Tommasini, e il risultato di un confronto analitico con il testo, da lui stesso edito, appare interlocutorio, oltre che inevitabilmente condizionato da una tradizione in cui le manipolazioni sono frequenti. Al di là di sintonie sul piano dell’ironia, emergono indizi piuttosto che riscontri testuali inequivocabili. Pur con la cautela dovuta a tali riserve, il confronto con il Diario si rivela per più aspetti interessante. Per le parti precedenti il pontificato di Sisto IV non risultano elementi di contatto significativi (nel caso di Porcari vi è indubbiamente il tema comune della nobiltà della figura e delle intenzioni del cittadino romano, mosso dall’amore per la patria e dalla volontà di ricondurla alla libertà; ma il racconto, molto più articolato, di M. segue altre falsarighe). A partire dall’elezione di Sisto IV si riscontrano, invece, diversi spunti meritevoli di attenzione. Gli indizi maggiori si ricavano in merito al libro VIII delle Istorie, per i capp. xxiii, xxvii-xxviii e xxxii (cfr. Anselmi 1979). Per quanto riguarda il cap. xxiii, il riferimento è all’ampia sezione in latino relativa alla guerra del papa contro il re Ferdinando, dalla quale – insieme con il quadro delle scorrerie del duca di Calabria fin quasi alle porte di Roma (Diario della città di Roma, a cura di O. Tommasini, 1890, pp. 90 e segg.) – M. potrebbe aver tratto spunto, con notevole libertà, per l’indignazione del popolo romano e l’aiuto da questo offerto in armi (secondo I. molto malcontento era stato suscitato dalla distruzione dei raccolti per la quale il papa, nonostante le promesse, non aveva dato risarcimenti; mentre la sollecitazione ad armarsi sarebbe stata poi dovuta al papa stesso che aveva fatto convocare a questo scopo mille uomini della sua parte, ma non se n’era poi fatto nulla). Inoltre, altri spunti potrebbero essere derivati dalla descrizione della battaglia di Campomorto per quanto riguarda l’apporto delle fanterie, gli innumerevoli morti, il valore dei combattenti e il finale trionfo di Roberto da Rimini (sulla cui morte, una volta tornato a Roma, la versione di I. vira però in altra direzione, nell’alternativa tra febbre o veleno, in riferimento a dicerie su un avvelenamento procurato dal papa per sbarazzarsene).
Nel cap. xxvii sembra affiorare qualche traccia riguardante l’inizio della successiva, ampia sezione in volgare sulla cattura e uccisione del protonotario Colonna: di questo però M. non fa neppure il nome, né tratta in alcun modo le vicende che lo riguardano – al centro invece dell’interesse di I. –, procedendo a una sintesi radicale, peraltro da una prospettiva non corrispondente a quella, in tutto colonnese, del cronista.
Un altro punto su cui sembra che M. abbia posto la sua attenzione riguarda, per il cap. xxviii, la situazione immediatamente successiva alla morte di Sisto IV, con la restituzione da parte di Girolamo Riario di Castel Sant’Angelo, per il futuro papa, al collegio dei cardinali, liberando questi ultimi dalla paura e consentendo l’accesso al palazzo per la celebrazione del conclave (Diario della città di Roma, cit., pp. 166-67; questa parte del testo è nuovamente in latino). Qualche interesse presenta anche il confronto relativo alle vicende dell’Aquila all’inizio del cap. xxxii, ma sul mero piano dei fatti (Diario della città di Roma, cit., pp. 185-86; il procedere diaristico di I. non conferisce mordente all’iniziativa del papa), e, nel cap. xxxiv, all’assassinio di Girolamo Riario tramite la congiura organizzata da Francesco d’Orso (il cui nome non compare in altre cronache: ricorre però già nelle carte machiavelliane degli Spogli dal 1464 al 1501).
I risultati del confronto tra i due testi sembrano indicare un riuso parziale da parte di M., mirato su singoli episodi, piuttosto che su di una considerazione complessiva del Diario.
Bibliografia: Diario della città di Roma di Stefano Infessura scribasenato, a cura di O. Tommasini, Roma 1890; O. Tommasini, Il Diario di Stefano Infessura: studio preparatorio alla nuova edizione di esso, «Archivio della Società romana di storia patria», 1888, 11, pp. 481-640.
Per gli studi critici si vedano: G.M. Anselmi, Ricerche sul Machiavelli storico, Pisa 1979; A. Esch, Infessura Stefano, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 62° vol., Roma 2004, ad vocem.