Stefano il Grande e il culto della santa croce in Moldavia alla fine del Quattrocento
Il principe della Moldavia, Stefano, figlio del principe Bogdan II, universalmente noto come Stefano il Grande, ottenne con le armi il trono della Moldavia nel 1457 e dopo un glorioso principato morì nel 15041. Stefano il Grande è noto per aver costruito un gran numero di monasteri e chiese; alcune di queste ultime – dedicate a Santi martiri militari – sono associate alle sue vittorie ottenute in nome della croce contro gli infedeli, evocando l’immagine di un nuovo Costantino2.
Sia nelle sue imprese militari sia nelle iniziative di fondazione di chiese egli è sostenuto da alcuni alti dignitari moldavi.
Nel 1487 fu realizzata l’iscrizione votiva della chiesa dell’Esaltazione della Santa Croce, in un monastero femminile di Pătrăuţi, sito nei boschi nei pressi di Suceava, capitale della Moldavia. Il testo slavone è laconico: «Io, Stefano, principe di Moldavia, figlio del principe Bogdan, ho cominciato la costruzione di questa chiesa in nome della Santa Croce nell’anno 6995 [1487], il 13 giugno»3. L’iscrizione votiva è scolpita in pietra su una lunga lastra scura protetta da una sorta di cornice dal profilo gotico. Compongono il testo, organizzato su due righe, elegantissime lettere cirilliche, caratteristiche di tutti i tipi di scrittura nella Moldavia dell’epoca (le troviamo nelle iscrizioni votive, nei manoscritti, sulle lapidi, nei ricami e a volte persino nelle iscrizioni murali).
Questa iscrizione votiva fornisce tre informazioni, che riguardano rispettivamente il fondatore, il santo patrono e la datazione.
Il fondatore, Stefano il Grande, è un personaggio noto nella sua epoca non soltanto nel suo paese, ma in tutta Europa. Fu lui ad aver sconfitto, il 10 gennaio 1475, l’esercito del sultano Maometto II, conquistatore di Costantinopoli. E fu pure lui a essere nominato il 13 gennaio 1477 un Vere athleta fidei christianae (vero atleta della fede cristiana) da papa Sisto IV, il quale lo raccomandava in una lettera rivolta ai principi cristiani europei perché lo appoggiassero nella lotta antiottomana4. Stefano fu l’eroe elogiato dal cronista polacco Jan Długozs, il quale notava che egli «è il primo dei principi del mondo ad aver ottenuto una vittoria contro i turchi» dopo che questi avevano conquistato Costantinopoli e il più adatto a guidare un’alleanza cristiana antiottomana5.
Ma non è la storia di Stefano il Grande a costituire l’oggetto di questo contributo, bensì la relazione speciale del principe con la piccola chiesa dell’Esaltazione della Santa Croce di Pătrăuţi.
Nei Principati romeni, in età medioevale, risulta piuttosto rara la dedicazione di una chiesa alla santa croce o all’Esaltazione della santa croce, con riferimento – in quest’ultimo caso – alla più importante festa che, in onore dello strumento della passione di Cristo, si celebra il 14 settembre. Oltre alla chiesa del monastero di Pătrăuţi, a questa festa fu dedicato soltanto un altro edificio di culto, fondato sempre da Stefano il Grande nell’anno 1500, quindi verso la fine del suo principato, e portato a termine nel 1502.
Quanto alla chiesa sita nel villaggio di Pătrăuţi, pur mancando la data di conclusione dei lavori e di conseguenza anche la data di consacrazione – così come per altri luoghi di culto contemporanei, come ad esempio le chiese dei monasteri di Sant’Elia vicino a Suceava e San Giorgio di Voroneţ, o quella della corte principesca di Bădeuţi/Milişăuţi, dedicata a San Procopio Martire, costruiti negli anni 1487-1488 – si può ipotizzare che il cantiere abbia trovato compimento già nell’anno 1487.
Questi sono i dati essenziali, da cui una ricerca sul culto di san Costantino nella Moldavia di fine Quattrocento può prendere avvio. In quanto s’è fin qui ricordato, il riferimento all’imperatore figlio di Elena non appare, peraltro, immediatamente perspicuo. Per ottenere preziose indicazioni al riguardo diviene necessario focalizzare l’attenzione sulla chiesa della Santa Croce di Pătrăuţi e analizzarne in particolare l’apparato iconografico, che ne caratterizza gli spazi interni.
Secondo la tradizione ortodossa le chiese sono divise in santuario (dove sorge l’altare), navata e pronao; ogni spazio ha una funzione liturgica ben stabilita e conseguentemente una struttura architettonica destinata a rispondere a tale funzione. Tutte le chiese costruite in Moldavia nel Quattro e Cinquecento presentano questa divisione canonica, anche se la planimetria e le forme in alzato manifestano una certa varietà, e le finalità specifiche di ogni fondazione possono determinare in essa soluzioni particolari. È questo il caso delle chiese monastiche, ma altresì di quelle costruite nei pressi delle corti principesche, per le quali – oltre a tali specifiche funzioni – era comunque previsto, stante l’assenza di chiese parrocchiali propriamente dette, anche il libero accesso dei comuni fedeli. Entrambe le tipologie di chiesa ora ricordate presentavano uno schema planimetrico triconco, caratterizzato – nella sezione orientale della navata – dalla presenza di absidi laterali disposte a sud e a nord e destinate ai due cori, chiamati durante le celebrazioni a interagire nei canti. Sopra la stessa navata, zona centrale dell’edificio, si erigeva, secondo la tradizione bizantina, un’elegante torre, scaricata su due registri di arcate (il secondo disposto a 90° rispetto al primo) secondo una formula locale specifica, che porta il nome di ‘volte moldave’.
La Moldavia dell’epoca di Stefano il Grande in questo ambito mise in atto interessanti innovazioni tramite la creazione di un’originale sintesi tra elementi provenienti dalla tradizione architettonica bizantina e altri d’importazione gotica, introdotti da mastri provenienti da cantieri polacchi o transilvani. Una sintesi che si esprime nella rigorosa differenziazione degli spazi interni, segnalata anche dal sistema decorativo, cui, peraltro, si congiunge la tendenza degli edifici allo slancio verticale, l’uso di contrafforti, la presenza di modanature gotiche nelle intelaiature di porte e finestre.
Oltre alle chiese monastiche e di fondazione principesca, vi erano le chiese edificate dai signori locali nei territori di propria competenza; queste presentavano una pianta rettangolare, non erano dotate di torre e in esse la navata era sormontata da calotte scaricate su archi; anche tali edifici mostrano, comunque, quei prestiti gotici, che conferiscono alle chiese del periodo il loro aspetto caratteristico.
Santa Croce di Pătrăuţi è la prima della serie di chiese che avrebbe segnato la seconda metà del principato di Stefano il Grande. Strutturalmente essa è di piccole dimensioni, eretta su pianta triconca – con chiari rimandi simbolici alla croce – e presenta una torre sulla navata.
La chiesa fu dipinta al suo interno probabilmente circa tre anni dopo la costruzione e – insieme alle chiese di S. Elia nel villaggio omonimo, di S. Giorgio nel monastero di Voroneţ e a quella dedicata a san Procopio martire a Bădeuţi/Milişăuţi, distrutta durante la Grande Guerra – costituisce uno dei primi complessi pittorici murali dovuti all’iniziativa di Stefano. Pur nell’adozione di un programma iconografico che si inscrive nella tradizione paleologa bizantina, il patrimonio pittorico della chiesa di Santa Croce di Pătrăuţi presenta una serie di caratteristiche che lo distinguono da tutte le altre chiese medievali dei Principati romeni.
La prima di tali caratteristiche si lega alla stessa dedicazione agiografica dell’edificio.
Secondo l’antico modello bizantino, che si ritrova nei paesi ortodossi balcanici e nella Valacchia, una fondamentale componente del programma iconografico era rappresentata dai ritratti votivi dei principi che avevano commissionato la chiesa. Le loro immagini avevano lo scopo di ricordare ai contemporanei, ma anche a coloro che avrebbero successivamente celebrato i divini uffici e ai fedeli che a tali uffici avrebbero partecipato, di pregare per i fondatori, per la remissione dei loro peccati e la gloria eterna delle loro anime.
Il modello di ritratto votivo che si ritrova in queste chiese, e poi in tutte le chiese moldave fino alla fine del Seicento, con pochissime eccezioni, è derivato dalle grandi chiese fondate dalla dinastia serba nei secoli XIII-XV6. Si tratta di composizioni dipinte nella navata, nelle quali Cristo seduto sul trono riceve in dono dal fondatore la chiesa sotto forma di plastico, avendo accanto, come intercessore, il santo patrono della chiesa stessa. Il fondatore è seguito da sua moglie e dai loro figli, che in qualità di partecipanti a questo atto solenne tutti indossano i costumi sontuosi previsti dal rituale di corte.
Così si presentano le rappresentazioni votive nelle citate chiese di S. Elia e di S. Giorgio a Voroneţ, e schema analogo appare riproposto anche nelle chiese fatte erigere dai signori locali a Bălineşti e Arbore.
Si osservi che questo schema non poteva essere seguito a Pătrăuţi, dove la chiesa prendeva il proprio nome non da un santo, ma da una festa. L’iconologo, che sovrintese alla decorazione pittorica, trovò comunque una soluzione molto ingegnosa, così da coniugare le diverse esigenze e non contraddire la tradizione ormai consacrata, che esigeva nella raffigurazione votiva la presenza di un santo patrono che presentasse al Cristo l’offerente.
La soluzione trovata fu quella di raffigurare quale intercessore Costantino il Grande, venerato quale santo dalla Chiesa ortodossa. La sua famosa visione della croce, che lo condusse alla vittoria contro Massenzio, nonché le azioni intraprese da sua madre Elena e dal patriarca di Gerusalemme, Macario, per ritrovare la tomba di Cristo e la sua vera croce, erano all’origine del culto da cui il santo imperatore era circondato in Oriente, e pienamente legittimavano il suo inserimento nella specifica composizione votiva di quella chiesa di Pătrăuţi, che all’Esaltazione della Croce era dedicata.
Questa raffigurazione votiva si sviluppa su due lati: sulla metà meridionale della parete Ovest furono dipinti Cristo sul trono e san Costantino imperatore, mentre sulla porzione attigua della parete sud furono dipinti Stefano il Grande, suo figlio Bogdan (il futuro Bogdan III), la terza moglie di Stefano e madre di Bogdan, la principessa valacca Maria Voichiţa e due bambine. Questa seconda metà della composizione è stata ridipinta breve tempo dopo la stesura originaria, in seguito al mutamento della situazione dinastica7, come dimostrano una grande lacuna nella parte inferiore dell’immagine e altri dettagli messi in evidenza dal restauro in corso.
Stilisticamente emergono differenze tra la rappresentazione dei personaggi sacri, Cristo e Costantino, e quella della famiglia del fondatore, che appare con il plastico della chiesa tra le mani in segno di offerta. Tali differenze sono la conseguenza dei menzionati, successivi interventi, che riguardarono unicamente questa porzione della decorazione pittorica; nel resto della chiesa i dipinti, benché realizzati da un’équipe (composta probabilmente da artisti greci portati dalla Tessaglia o dalla Macedonia), sono stilisticamente piuttosto unitari, omogenei ai ritratti di Cristo e di Costantino, che presentano nella delineazione dei tratti fisionomici notevoli raffinatezze nel disegno e negli accostamenti cromatici.
L’inclusione dell’imperatore san Costantino il Grande in questo dipinto votivo influì anche sul programma iconografico del pronao, uno spazio di culto in cui, com’è noto, nelle chiese bizantine, e in quelle dell’area balcanica in specie, la definizione dei temi iconografici risulta più libera, con possibilità per iconografi e committenti di veicolare determinati messaggi teologici ed esprimere personali orientamenti devozionali.
Nel caso delle composizioni pittoriche murali realizzate da Stefano il Grande o dalla sua aristocrazia di corte, per quanto riguarda questo spazio, si arriva, intorno al 1490, a una certa coerenza tipologica. L’elemento unificante è costituito dalla utilizzazione di tale spazio per illustrare la vita/leggenda del santo patrono, attraverso un significativo numero di episodi volti a trasmettere ai fedeli un preciso messaggio religioso. Almeno un intero registro, di solito quello mediano, è destinato a tale finalità narrativa e celebrativa, realizzata attingendo ai testi agiografici trasmessi dai Sinassari e riflessi nelle ufficiature, che i Minei raccolgono in coincidenza con i giorni dedicati alla memoria dei santi titolari dei singoli edifici.
Il primo esempio a tale riguardo è costituito proprio dal ciclo pittorico presente nella chiesa dell’ex monastero di Pătrăuţi. Purtroppo una parte dei dipinti è andata perduta poiché, per molto tempo, questo settore della chiesa è rimasto privo di tetto; di conseguenza grandi porzioni della decorazione pittorica, un tempo presente nella parte superiore delle pareti settentrionale, orientale e meridionale, sono oramai irrimediabilmente compromesse.
La scena più celebre e spettacolare è la cosiddetta Cavalcata dell’imperatore Costantino. Essa è dipinta nel primo registro sopra l’ingresso e occupa l’intera parete occidentale del pronao. Vi è raffigurato un corteo di cavalieri, più precisamente di santi militari (parzialmente riconoscibili grazie alle loro fisionomie tradizionali), armati di lancia e rivestiti con armature di foggia antica, ma con speroni e finimenti medievali. Li guida l’arcangelo Michele, con le ali spiegate e senza armi, su un cavallo bianco, seguito dall’imperatore Costantino il Grande, anche lui indicato da un’iscrizione, che indossa la tunica imperiale rossa e una corona. Tutti sono aureolati. L’arcangelo mostra a Costantino il cielo aperto, in cui appare una croce dai bracci palmiformi.
Già André Grabar aveva associato questa immagine all’idea di crociata8, interpretando le imprese antiottomane di Stefano il Grande e l’appello da lui rivolto ai principi cristiani come una chiamata alle armi in nome della croce per salvare la cristianità dalla minaccia turca. L’immagine era una rappresentazione convincente di questo messaggio, trasmesso per vie diplomatiche e rivolto persino a Papa Sisto IV, che lo diffuse; pur restando senza fattive risposte, esso si impresse nella coscienza dei contemporanei.
Ma questa scena non è l’unica all’interno del pronao della chiesa di Pătrăuţi; essa costituisce soltanto una parte della Vita illustrata. Contigua a tale raffigurazione, ma sulla parete settentrionale, si nota la parte inferiore di un altro dipinto, che sembrerebbe potersi interpretare come il battesimo di Costantino. Segue un’altra scena, ancor meno decifrabile pur conservandosene una porzione maggiore, in cui appare un personaggio, che si direbbe fuggito da una città in fiamme (visibile alle sue spalle), mentre nel cielo parrebbe stagliarsi una croce.
Sulla parete orientale erano originariamente rappresentare quattro scene, questa volta strettamente collegate alla santa croce e riguardanti la madre dell’imperatore, Elena. Anch’essa era figura profondamente venerata nelle Chiese dell’intera ecumene grazie al suo coinvolgimento nelle attività filocristiane del figlio, soprattutto in forza della scoperta della croce del Redentore a Gerusalemme e del contribuito offerto al vasto programma di costruzione di chiese nei luoghi che ricordavano i diversi avvenimenti della vita di Cristo.
Le due scene della parte superiore della lunetta sono in gran parte distrutte, ma possono essere ricostruite dal punto di vista tematico grazie ai frammenti conservati e all’analisi del contesto. Nella prima scena della parte superiore è raffigurata Elena, in abbigliamento imperiale, che sta seduta su un trono con suppedaneum, probabilmente nell’atto di ordinare che siano cercati il luogo dove il Cristo era stato sepolto e quello dove era stata occultata la croce del suo supplizio. La scena accanto ripropone l’immagine della madre dell’imperatore sul trono, ma questa volta per assistere all’operazione di ritrovamento della croce. La narrazione illustrata continua nel secondo registro con due sequenze, in questo caso ben conservate: la scoperta delle tre croci in un luogo vicino al Golgota e il miracolo della vera croce. Elena assiste anche qui a entrambi gli episodi.
È degno di particolare nota il rilievo attribuito all’imperatrice nella composizione delle scene e la struttura che caratterizza le scene stesse, accentuando gli aspetti che ne esprimono il messaggio.
Nella rappresentazione della scoperta delle croci Elena è la protagonista: imponente, appare in piedi, indossa il vestito di cerimonia delle imperatrici bizantine e la loro corona, alla quale è fissato un velo; è aureolata ed è seguita da figure femminili senza l’aureola, vestite con semplicità, e da un uomo con la testa coperta. Le croci giacciono a terra, così come sono state ritrovate.
L’ultima sequenza è ambientata di fronte al muro di una città, che è sicuramente Gerusalemme, dietro al quale si scorgono i profili degli edifici. L’imperatrice assiste anche qui, piena di rispetto, al miracolo che sta per compiersi: il patriarca Macario di Gerusalemme chiede a un diacono di accostare la croce, che tiene fra le mani, al letto di una donna morta (seconda una versione della leggenda) oppure moribonda (secondo un’altra).
Seguendo questa successione di sequenze dipinte interessanti non soltanto dal punto di vista dei temi agiografici proposti, ma anche per le notevoli qualità plastiche che le distinguono, si è cercato di scoprire la fonte letteraria che le ha ispirate. La prima opera, cui la mente immediatamente corre, è il De vita Constantini di Eusebio di Cesarea; non sappiamo tuttavia se questa fonte abbia circolato nella Moldavia della seconda metà del Quattrocento nella sua redazione greca, o almeno in versione slava.
Ciò che si conosce con sicurezza è che nel monastero di Putna, il primo fondato da Stefano il Grande (1466) e destinato a ospitare la sua tomba, dove esisteva uno scriptorium molto attivo con insigni copisti e miniaturisti, fu trascritto da un certo ieromonaco Iacov un Panegirico del Santo Imperatore Costantino il Grande9. Il Panegirico era opera del noto patriarca di Trnovo, Eutimio (1325/1330-dopo il 1400), i cui scritti, redatti in medio-bulgaro (la lingua ecclesiastica utilizzata in età medioevale anche nei Principati romeni: nella Chiesa, nell’Amministrazione e nella cultura), circolarono in numerose copie anche nello spazio romeno grazie al prestigio del loro autore, ma anche al suo coinvolgimento nelle iniziative antiottomane, condotte accanto agli zar bulgari prima della caduta definitiva sotto il dominio turco dello zarato a sud del Danubio, nel 1393.
Nell’elaborazione del suo Panegirico, oltre all’opera di Eusebio di Cesarea, il patriarca Eutimio si avvalse principalmente di una versione della Vita di Costantino il Grande, rimaneggiata dallo scrittore greco Niceforo Callisto Xanthopoulos (circa 1256-1317) nella sua Storia ecclesiastica10. Accurate indagini filologiche hanno dimostrato che tramite il moldavo Iacov il testo di Eutimio entrò nel circuito romeno. Gheorghe Mihăilă ha dedicato al Panegirico uno studio ormai imprescindibile, pubblicando parallelamente una trascrizione del manoscritto slavone di Iacov e la sua prima traduzione integrale in romeno del 170411.
Nella forma in cui fu copiato, il testo del monaco Iacov – «un’opera narrativa e oratoria»12 – circolò in Moldavia negli ambienti monastici quale lettura per la festa dei santi imperatori Costantino ed Elena (21 maggio) ma, analizzando i cicli pittorici dedicati all’imperatore Costantino il Grande e alla santa croce, notiamo che esso costituì anche la fonte ispiratrice dell’iconografia di questi ultimi.
Il manoscritto del monaco Iacov fu copiato nel 1474 su ordine del principe Stefano il Grande ed è intitolato Lode dei Santi Imperatori Costantino ed Elena, simili agli Apostoli, di Eutimio, patriarca di Trnovo13. Esso precede quindi i grandi scontri diretti tra l’esercito moldavo e quello di Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli; tali scontri si svilupparono in particolare nel 1475, quando il principe di Moldavia risultò vincitore, e nel 1476, quando invece fu sconfitto, senza peraltro che si determinasse la conquista ottomana del Paese. Il manoscritto è tuttavia successivo all’anno 1473, considerato dagli storici come decisivo per l’orientamento antiottomano di Stefano il Grande14.
La dedicazione alla santa croce della prima chiesa costruita da Stefano il Grande dopo la conclusione delle ostilità dirette o indirette con i turchi è un atto commemorativo e di ringraziamento. Anche se la vittoria contro la mezzaluna non fu, e non poteva essere, definitiva, e quantunque Stefano si trovasse da solo, con il suo piccolo Paese, ad affrontare un avversario infinitamente più forte, le vittorie ch’egli ritenne di aver ottenuto in nome e sotto la protezione della croce andavano, ai suoi occhi, ricordate in quel momento e nel futuro, in segno di lode e di ringraziamento.
L’analogia con la figura del primo imperatore cristiano è evidente. Le cronache non ci dicono se sulle sue bandiere di guerra di Stefano fosse presente la croce, ma l’ipotesi è plausibile. Sappiamo però che fu accolto come un vincitore nella sua capitale, Suceava, e che ringraziò Dio per la prima vittoria con feste e preghiere15.
Analizzando il rapporto tra la fonte d’ispirazione – il Panegirico del patriarca Eutimio – e il ciclo agiografico di Pătrăuţi, possiamo costatare un sorprendente parallelismo.
Per la scena della Cavalcata la principale fonte è il capitolo V del Panegirico, in particolare il secondo versetto: «Mentre si trovava nel campo con il suo esercito e nel pensiero invocava Dio, apparve a mezzogiorno il segno di Dio, più splendente dei raggi del sole, a forma di croce e circondato da stelle, e vi era scritto con lettere latine: “Con questo segno vincerai, Costantino”»16. La scena del Battesimo è ispirata alla stessa fonte, poiché non si tratta dell’iniziazione cristiana storicamente conferita all’imperatore in prossimità della morte, ma del lavacro sacramentale che la tradizione agiografica diceva ricevuto molto prima e grazie al quale Costantino guarì dalla lebbra17.
Nei capitoli XVI-XVIII del Panegirico sono descritte le circostanze della scoperta della santa croce, con una serie di dettagli che troviamo poi rappresentati fedelmente a Pătrăuţi. Costantino manda sua madre a Gerusalemme per «sorvegliare tutto come un’imperatrice»18. Elena e il patriarca Macario «fecero scavare in profondità e subito trovarono la tomba e il luogo del Golgota e nei pressi, verso levante, le tre croci sepolte»19. Anche l’ultimo episodio rappresentato nella decorazione pittorica è raccontato dettagliatamente nel testo, e le due ‘narrazioni’ si sovrappongono perfettamente: «Non sapendo quale fosse il legno che sorresse il corpo di Cristo, e preoccupandosene molto la beata Elena [...], siccome una delle nobildonne si ammalò [...] e stava per morire, posero sopra di lei ognuna delle tre croci e subito si scoprì la Croce redentrice»20.
A Pătrăuţi esistono tuttavia anche altre immagini che hanno per oggetto i due santi imperatori; in esse Costantino ed Elena risultano rappresentati non più all’interno di cicli narrativi, ma in composizioni autonome, secondo una tipologia comune in Grecia, dove s’incontra frequentemente, per esempio nelle chiese di Kastoria dei secoli XIII-XIV21. Si tratta di tipologia iconografica presente in una certa misura anche nell’area balcanica (Serbia, Bulgaria), e pure nelle chiese di Moldavia, a partire appunto da Pătrăuţi. È l’immagine dell’imperatore Costantino e di sua madre, celebrati congiuntamente: «i Santi Imperatori Costantino ed Elena», come appunto li ricorda il Panegirico. Così essi sono effigiati a Pătrăuţi sulla parete occidentale della navata, in collocazione simmetrica rispetto all’immagine votiva, in cui Costantino fa da intercessore a favore del principe. Accanto all’imperatore c’è sua madre Elena, e nel mezzo tra loro è dipinta una croce alta e sottile. Entrambi indossano costumi imperiali, ma lievemente differenti: Costantino veste la porpora, Elena indossa una veste color terra; entrambi gli abiti risultano comunque ornati con galloni dorati, gemme e perle; indossano dei lōroi che pendono sul braccio e delle corone alte a punta (Costantino) e a fioroni (Elena).
Bisogna osservare che questa composizione, grazie al contesto iconografico in cui è inserita (come la raffigurazione votiva essa si trova nel registro inferiore della navata, ossia in un ambiente dove sono effigiati pure alcuni santi martiri militari) trasmette un preciso messaggio: la croce strettamente congiunta ai due imperatori è la vera croce di Cristo, come ben indica la corona di spine che le è associata; per essa i santi militari – martirizzati dall’imperatore pagano – non temettero di morire; per questo essi devono essere riguardati dai contemporanei del dipinto quali modelli, portatori di un’eloquente esortazione alla resistenza e al sacrificio per la fede.
Con questo stesso significato le immagini di tali martiri vennero riproponendosi nelle chiese dipinte su richiesta di Stefano il Grande nell’ultimo decennio del Quattrocento e durante tutto il Cinquecento, anche quando la lotta antiottomana era oramai terminata, ma continuava la lotta per l’ortodossia.
Oltre a questo nesso tra Costantino e i martiri, la decorazione pittorica di Pătrăuţi viene instaurando anche uno specifico accostamento tra il santo imperatore e gli apostoli, ai quali del resto egli era assimilato dal tradizionale appellativo di isoapostolos: «simile agli apostoli». Nell’arte moldava quest’ultimo accostamento risulta peraltro esclusivo di Pătrăuţi, dove si trova proposto sull’intradosso del grande arco che separa la navata dall’altare. Qui, infatti, le effigi di Costantino ed Elena si presentano congiunte alle immagini di apostoli e martiri. Vista la superficie molto angusta, questa parte della decorazione iconografica ha comportato rappresentazioni del santo imperatore e di sua madre tra loro separate, nelle quali entrambi si presentano in abbigliamento imperiale, ciascuno portando nella mano una croce bianca, simile a quella abitualmente prevista nelle raffigurazioni dei martiri.
A differenza della specifica modalità di rappresentazione ora descritta, l’immagine congiunta dei due santi imperatori e parte di quelle connesse alle narrazioni agiografiche loro dedicate furono riprese nelle chiese moldave d’inizio Cinquecento; anch’esse tuttavia devono considerarsi un diretto riflesso dell’età di Stefano il Grande.
Il secondo edificio di culto dedicato da Stefano il Grande alla santa croce è quello edificato insieme a sua moglie Maria e al loro figlio Bogdan nel villaggio di Volovăţ, non lontano dalla vecchia chiesa episcopale di Rădăuţi. Esso fu costruito nel 1500-1502 per sostituire una precedente chiesa in legno che, eretta dal primo principe di Moldavia, Dragoş, fu successivamente traslata nei pressi del grande monastero di Putna. La chiesa di Stefano il Grande è a pianta rettangolare e priva di decorazione pittorica interna: segno che il committente non ebbe il tempo di completarla, ma si limitò alla sua costruzione, ancora una volta per ringraziare Dio delle proprie vittorie in nome della croce.
La chiesa di S. Nicola a Bălineşti e quella dedicata alla Decollazione di S. Giovanni Battista ad Arbore nacquero dall’iniziativa di alcuni tra i più ragguardevoli rappresentanti dell’aristocrazia moldava, che per decenni occuparono i più alti incarichi nel principato, segnatamente quello di capo della cancelleria del principe (logofăt) e quello di comandante dell’esercito (hatman). Al 1499 data l’iscrizione votiva della chiesa di S. Nicola fondata dal gran cancelliere Ioan Tăutu a Bălineşti nella regione di Suceava. Si tratta di una chiesa privata, a pianta rettangolare, con volta a botte, un pronao concluso a occidente da una parete poligonale, e un campanile posto all’ingresso, ossia sul lato meridionale del pronao. Gli elementi gotici appaiono qui più numerosi che negli altri edifici contemporanei e molto ben realizzati.
Nei primi anni del Cinquecento vi operò il monaco pittore Gavril, che firmò la splendida immagine votiva della parete occidentale della navata, in cui il fondatore, insieme alla sua famiglia, presenta, con l’intercessione di san Nicola, il plastico della chiesa a Cristo circondato dagli angeli22. Simmetrica a questa immagine sta, secondo il modello di Pătrăuţi, la composizione con i santi Costantino ed Elena, situata in mezzo alla schiera dei santi militari, dalle fattezze giovanili e tutti martiri per la fede.
Il modello principesco di Pătrăuţi continuava, dunque, a operare, sebbene in quel momento la Moldavia non fosse più direttamente coinvolta in conflitti con l’Impero ottomano. In ogni caso, il pericolo al riguardo non era venuto meno e l’acutizzazione delle relazioni era sempre possibile, così come avrebbe dimostrato la storia trent’anni dopo.
L’idea della lotta in nome del Cristianesimo ritorna a Bălineşti anche in un altro contesto. La chiesa era dedicata a san Nicola e, secondo la tradizione delle chiese costruite da Stefano il Grande e dipinte per suo volere, nel pronao era rappresentato il ciclo della vita del santo patrono. In questo caso, nel pronao, vasto e molto alto, sopra il registro che racconta in diciotto episodi la vita di san Nicola, fu dipinto un ampio ciclo dedicato all’arcangelo Michele.
Bisogna ricordare che a Pătrăuţi l’arcangelo figurava quale guida del santo imperatore (cui indicava la croce in cielo) e della schiera dei santi militari a cavallo, che di Costantino componevano il seguito. Il dettaglio non risulta menzionato in quella che probabilmente è la fonte letteraria principale dei dipinti di Pătrăuţi, cioè il Panegirico composto dal patriarca Eutimio di Trnovo e copiato dal monaco Iacov nel 1474, su ordine di Stefano il Grande, nel e per il monastero di Putna.
Dell’intero ciclo costantiniano il pittore di Bălineşti ripropone due episodi, rappresentati l’uno accanto all’altro. La prima scena è costituita dal Battesimo di Costantino, non presso Nicomedia al termine della vita (come tramandato nel De Vita Constantini), bensì molto prima a Roma, quando (come trasmette la leggenda agiografica) l’imperatore era guarito dalla lebbra grazie al sacramento purificatore23. Oggetto della seconda scena è la Visione della Santa Croce. L’immagine si presenta di dimensioni molto più piccole di quella di Pătrăuţi e molto più semplice dal punto di vista della composizione. Essa è ridotta a due personaggi: in un paesaggio montuoso, Costantino, a cavallo, guarda verso la croce apparsa in cielo e additatagli da Michele, qui raffigurato come un angelo in volo.
Nella scena del battesimo il giovane Costantino, coronato ma senza vestiti imperiali, in piedi davanti a un bacino aspetta di essere battezzato da papa Silvestro, che indossa il sakkos orientale e una mitra occidentale, ed è seguito da un diacono che tiene nelle mani il vaso con i sacri oli. Anche qui è presente l’arcangelo, che vola verso il luogo dove si svolgerà il rito, quasi testimone celeste del compiersi della volontà di Dio. La composizione è semplice e contiene soltanto gli elementi essenziali atti a definire l’evento. L’altra scena, stante il fatto che fu dipinta nell’angolo determinato dalle pareti del pronao e pure in conseguenza delle sue dimensioni ridotte, passa alquanto inosservata. Essa però possiede delle notevoli qualità plastiche. È molto più dinamica della prima: il cavallo galoppa come se il santo (qui rappresentato in età avanzata) fosse attirato e si affrettasse verso la visione, mentre l’angelo, caratterizzato anche lui da un movimento tumultuoso, gli viene incontro.
Esisteva a Bălineşti un’ulteriore immagine che, pur non facendo parte del programma iconografico connesso alla Vita di Costantino, era in relazione diretta con la persona dell’imperatore. La fascia superiore delle pareti del pronao era stata destinata alla rappresentazione dei sette concili ecumenici. Il primo, quello di Nicea del 325, riunito per iniziativa di Costantino, tanto in Oriente quanto in Occidente veniva raffigurato come presieduto dall’imperatore stesso, e quindi necessariamente ne riproponeva l’immagine24. Fonte di questa scena sembra essere per l’ambito moldavo ancora una volta il Panegirico del patriarca Eutimio di Trnovo. Sfortunatamente questa parte del dipinto di Bălineşti è andata distrutta. Esiste però un altro monumento, dove il primo concilio di Nicea è rappresentato nel pronao, sulla lunetta della parete occidentale. Si tratta della chiesa di S. Nicola a Botoşani che, fondata da Stefano il Grande nel 1496, fu decorata probabilmente prima del 1500 e che tuttora conserva un complesso di dipinti murali di ottima qualità.
L’ultima chiesa oggetto di questo studio è quella che il comandante in capo dell’esercito del principato, Luca Arbore, fece costruire nel 1503 nei suoi possedimenti di Solca, segnatamente nel villaggio che porta da molto tempo il suo nome, Arbore. Tale edificio è dedicato alla Decollazione di san Giovanni Battista. Per molto tempo la sua decorazione pittorica, interna ed esterna, è stata datata all’anno 154125, ma i risultati dei lavori di restauro in corso permettono di anticipare la realizzazione di questa grande impresa artistica agli anni di vita del fondatore, ucciso nel 1523 dopo un’esistenza trascorsa come comandante in capo dell’esercito del principato sotto Stefano il Grande (1457-1504), Bogdan III (1504-1517) e Stefano III il Giovane (1517-1527)26.
Nella chiesa si ritrovano i temi e il messaggio già incontrati nella navata di Pătrăuţi: i santi imperatori Costantino ed Elena, rappresentati nella grande raffigurazione votiva, e analogamente i santi militari costituiscono la solenne attestazione della fede del fondatore, dichiarano la sua determinazione a difenderla, nonché il suo desiderio di avere tali gloriosi personaggi quali potenti intercessori presso il Cristo, che – nell’immagine votiva – il committente e i suoi familiari adorano mentre sta sul suo eterno trono di gloria.
Ma il comandante dell’esercito moldavo volle ribadire queste sue idealità con un ulteriore messaggio iconografico. Nel pronao, dove aveva preparato il proprio monumento funebre, sulla parete occidentale (quindi di fronte all’altare) egli ordinò che fossero raffigurati, attorno alla finestra che ivi si apriva, l’impresa vittoriosa di Costantino in nome della croce, il ritrovamento e il trionfo della croce stessa, nonché la glorificazione secondo un preciso formulario liturgico della Madre di Dio.
La visione della croce prima dello scontro vittorioso con Massenzio (ossia la Cavalcata di Costantino) trovò collocazione a destra della finestra. Nella raffigurazione il santo, giovane e con insoliti capelli color biondo rossiccio, aureolato e su un cavallo bianco, esce da una città e, seguito da un corteo di cavalieri senza aureola, va «al campo», secondo l’espressione di Eutimio di Trnovo27. Davanti a lui si apre il cielo e si vede una mano che tiene una croce. Sono da notare i tratti occidentali delle figure, che si ritrovano nell’intero complesso murale di Arbore, la singolare libertà del disegno e la delicatezza dei colori.
Le stesse qualità si ritrovano anche nelle due scene, tra loro strettamente connesse, collocate a sinistra della finestra. Nella prima, situata nel registro inferiore, Costantino con una piccola croce in mano, unitamente a sua madre Elena e al patriarca Macario di Gerusalemme, presenzia alla ricerca della vera croce. Nella seconda, fissata nel registro superiore, il santo imperatore, ancora con Elena e scortato dalla corte imperiale, assiste e partecipa al trionfo della croce, che il patriarca, accompagnato da alcuni vescovi e da un diacono, innalza solennemente perché sia adorata.
Una Déēsis (preghiera di intercessione: elemento iconografico abitualmente presente nelle raffigurazioni bizantine del Giudizio Universale) completa ed esplicita il significato di questo complesso di immagini: il committente, che ha combattuto per la fede, si affida all’intercessione della Madre di Dio e del Precursore («il più grande tra i nati da donna»), ma altresì a quella dei santi vittoriosi in nome della croce, per ottenere da Cristo Signore la salvezza della propria anima.
Un’ulteriore immagine di san Costantino, riconoscibile grazie ai suoi caratteri iconografici, si ritrova sempre nella parete occidentale della chiesa di Arbore, e segnatamente nello sguancio della finestra. Questo spazio oltremodo limitato è stato utilizzato assai abilmente per riproporre i temi propri del megalinario della Liturgia di s. Basilio «In Te si rallegra, Piena di Grazia, ogni creatura». Al centro, nella parte superiore, è presente sul suo trono regale la Madre di Dio con colui «che da lei ha preso carne» e «che ha fatto del grembo di lei il suo trono»; tra le creature che per lei si rallegrano, oltre ai cori degli angeli, tra le schiere dei santi spicca il santo imperatore, collocato nel gruppo alla destra della Piena di Grazia.
Come a Bălineşti e a Botoşani, anche ad Arbore i concili ecumenici occupano superfici importanti delle pareti del pronao. Il primo concilio di Nicea (325) è situato nella parte superiore della stessa parete occidentale, in diretto legame con gli episodi che hanno come protagonista Costantino il Grande. Nella rappresentazione dell’assemblea sinodale il santo imperatore, delineato con i caratteri iconografici riproposti anche dalle altre sue immagini disseminate in tutta la chiesa, costituisce la figura centrale, cui chiaramente compete la presidenza. Alla sua destra, quale primo dei padri conciliari siede il rappresentante del vescovo di Roma, l’unico dei presuli che indossi la mitra (una situazione che in Moldavia si ripropone regolarmente nelle raffigurazioni dei concili lungo tutto il Cinquecento).
In tale secolo, nel quale in ambito moldavo furono realizzati numerosi e articolati complessi pittorici, la figura di san Costantino imperatore si trova diffusamente riproposta all’interno delle illustrazioni del Menologio (il calendario ecclesiastico), e più raramente in altri contesti, come nel ciclo dell’arcangelo Michele presente nel settore funerario della chiesa del monastero di Humor (1535).
In siffatte rappresentazioni risulta peraltro non più rintracciabile il patrimonio di idealità, che aveva caratterizzato i ricordati cicli pittorici d’argomento costantiniano elaborati durante il principato di Stefano il Grande (ma altresì negli anni a tale principe immediatamente successivi e che di lui conservavano l’eco): allora, infatti, alla luce delle lotte condotte contro l’impero ottomano, era stato estremamente naturale associare la figura del principe moldavo alla persona del grande Costantino, che i testi in quel tempo diffusi concorrevano a esaltare come il santo imperatore guidato dalla croce e trionfatore sull’empietà pagana.
1 Sulla figura e sull’attività politica e culturale di Stefano il Grande esiste una ricchissima bibliografia. Per il tema qui affrontato si possono menzionare: Ş. Papacostea, La politique extérieure de la Moldavie à l’époque d’Etienne le Grand: points de repère, in Revue Roumaine d’Histoire, 14,3 (1975), pp. 423-440; E. Denize, Ştefan cel Mare şi luptele cu turcii. O nouă abordare (Stefano il Grande e i conflitti con i turchi), in Studii şi Materiale de Istorie Medie, 19 (2001), pp. 115-128; Ştefan cel Mare şi Sfânt. 1457-1504. Portret în istorie (Stefano il Grande e il Santo. 1457-1504. Ritratto nella storia), Sfânta Mănăstire Putna 2005; R. Theodorescu, I. Solcanu, T. Sinigalia, Artă şi civilizaţie în timpul lui Ştefan cel Mare (Arte e civiltà nel tempo di Stefano il Grande), Bucureşti 2004; Ştefan cel Mare şi Sfânt. 1457-1504. Atlet al credinţei creştine (Stefano il Grande e il Santo. 1457-1504. Atleta della fede cristiana), Sfânta Mănăstire Putna 2005; L. Pilat, Modelul constantinian şi imaginarul epocii lui Ştefan cel Mare (Il modello costantiniano e l’immaginario dell’epoca di Stefano il Grande), in Ştefan cel Mare şi Sfânt Atlet al credinţei creştine, cit., pp. 429-444; Ş.S. Gorovei, M.M. Székely, Princeps omni laudae maior. O istorie a lui Ştefan cel Mare (Una storia di Stefano il Grande), Sfânta Mănăstire Putna 2005; L. Pilat, Cultul Sfintei Cruci în vremea lui Ştefan cel Mare (Il culto della Santa Croce al tempo di Stefano il Grande), in Analele Putnei, Sfânta Mănăstire Putna 2005, pp. 5-15; M.M. Székely, Ştefan cel Mare şi semnul Sfintei Cruci (Stefano il Grande e il segno della Santa Croce), in Analele Putnei, cit., pp. 17-34.
2 D. Năstase, Ştefan cel Mare Împărat (Stefano il Grande Imperatore), in Ştefan cel Mare şi Sfânt. 1457-1504. Portret, cit., p. 605.
3 G. Balş, Bisericile lui Ştefan cel Mare (Chiese di Stefano il Grande), in Buletinul Comisiunii Monumentelor Istorice, 43-46 (1925), pp. 21-23.
4 Lettera di papa Sisto IV ai Cristiani europei, originale in ASV, Cod. Vat. 578. ff 92-93v, cit. in Stefano il Grande. Ponte tra l’Oriente e l’Occidente (catal.), Bucureşti 2004, pp. 86-87.
5 Ioannis Długossi seu Longini canonici quondam Cracoviensis Historiae Polonicae liber XIII et ultimus in manuscriptis codicibus tantum non omnibus desideratus, nunc tandem in lucem publicam productus ex bibliotheca Henrici L. B. ab Huyssen [...], Tomus secundus, Lipsiae, Sumptibus Ioannis Ludovici Gleditschii et Mauritii Georgii Weidmanni, Anno 1712.
6 D. Popović, Srpski vladarski grob u srednem veku (Tombe di sovrani serbi nel Medioevo), Beograd 1992: si vedano in particolare gli esempi dei monasteri Studenica e Mileševo.
7 T. Sinigalia, Ctitori şi imagini votive în pictura murală din Moldova la sfârşitul secolului al XV-lea şi în prima jumătate a secolului al XVI-lea. O ipoteză (Committenti e immagini votive nella pittura murale moldava alla fine del Quattrocento e nella prima metà del Cinquecento. Una ipotesi), in Arta Istoriei. Istoria Artei. Academicianul Răzvan Theodorescu la 65 de ani, Bucureşti 2004, pp. 59-66.
8 A. Grabar, Les croisades de l’Europe orientale dans l’art, in Mélanges Charles Diehl, II, Paris 1930, pp. 19-23.
9 G. Mihăilă, Tradiţia literară constantiniană, de la Eusebiu al Cezareei la Nichifor Calixt Xanthopulos, Eftimie al Târnovei şi Domnii Ţărilor Române (La tradizione letteraria costantiniana, da Eusebio di Cesarea a Niceforo Callisto Xanthopoulos, Eutimio di Trnovo e i Principi dei Paesi romeni), in Cultură şi literatură română veche în context european, Bucureşti 1979, pp. 217-379.
10 Ibidem.
11 Ivi, pp. 333-379.
12 Ivi, p. 233.
13 Ivi, p. 260.
14 Ş.S. Gorovei, 1473 – un an cheie al domniei lui Ştefan cel Mare (1473 – un anno chiave della signoria di Stefano il Grande), in Anuarul Institutului de Istorie şi Arheologie “A.D. Xenopol” Iaşi, Iaşi, 16 (1979), pp. 145-149.
15 Cronicile slavo-române publicate de Ion Bogdan, ediţie revăzută şi compleatată de P.P. Panaitescu (Le cronache slavo-romene), Bucureşti 1959, p. 18.
16 G. Mihăilă, Tradiţia literară constantiniană, cit., p. 339.
17 Ivi, p. 442.
18 Ivi, p. 360.
19 Ivi, p. 361.
20 Ibidem.
21 S. Pelekanidis, M. Chatzidakis, Kastoria, Athens 1985; le chiese: Hagios Stepanos, pp. 8-9, 13; Hagioi Anargyroi, p. 29; Hagios Nikolaos tou Kasnitzi, p. 52; Panagia Mavriotissa, pp. 68, 79; Hagios Athanasios tou Mouzaki, pp. 108, 114.
22 S. Ulea, Gavril Ieromonahul, autorul frescelor de la Bălineşti. Introducere la studiul picturii moldoveneşti din epoca lui Ştefan cel Mare (Gavril Ieromonaco, autore degli affreschi di Bălineşti. Introduzione allo studio della pittura moldava dell’età di Stefano il Grande), in Cultura moldovenească în timpul lui Ştefan cel Mare (La cultura moldava al tempo di Stefano il Grande), Bucureşti 1964, pp. 419-461; C. Popa, Bălineşti, Bucureşti 1980.
23 G. Mihăilă, Tradiţia literară constantiniană, cit., p. 442.
24 Ivi, pp. 350-354.
25 V. Drăguţ, Dragoş Coman le maître des fresques d’Arbore, Bucureşti 1969.
26 T. Sinigalia, Din nou despre picturile din pronaosul bisericii din satul Arbore (Ancora sui dipinti del pronao della chiesa nel villaggio Arbore), in Revista Monumentelor Istorice, 74 (2005), pp. 44-55.
27 G. Mihăilă, Tradiţia literară constantiniană, cit., p. 339.