GIOVANNI, STEFANO e NICCOLÒ
Pittori romani documentati nell'abbaziale benedettina di S. Anastasio a Castel Sant'Elia, presso Nepi (prov. Viterbo), da un'iscrizione dipinta nell'abside, la quale recita: "Ioh(annes) (et) / Stephanu(s) / fr(a)t(re)s picto(res) / romani et Nico / laus nepu(s) Ioh(anni)s".Non vi è alcun dato biografico relativo a G., Stefano e Niccolò, a parte la loro origine romana; più volte è stata ipotizzata l'appartenenza dei primi due fratres a un ordine monastico, ma il tono dell'iscrizione sembra non escludere si tratti di due fratelli a capo di una bottega a 'conduzione familiare'. Al fine di delimitarne cronologicamente l'attività artistica, unico referente sono gli stessi affreschi di Castel Sant'Elia, opera a essi attribuibile con certezza. La chiesa benedettina, riedificata in forme romaniche in due momenti successivi compresi tra il sec. 11° e il primo quarto del 12° (Toesca, 1927; Hoegger, 1975; Poeschke, 1988), ricevette una decorazione pittorica nell'abside e nel transetto: al Cristo della teofania absidale, di dimensioni maggiori rispetto ai Ss. Pietro, Paolo, Elia e un quarto variamente identificato, corrisponde lungo l'asse verticale della composizione il tondo con l'Agnus Dei, cui fanno seguito, più in basso, i dodici agnelli e, infine, sante che offrono corone a una figura in trono quasi interamente perduta, ma con ogni probabilità una Maria regina, come farebbero presumere la croce astile impugnata con la mano destra e l'arcangelo che la affianca sullo stesso lato. Sulla parete di fondo e sulle testate del transetto si svolgono, su più registri, una teoria di profeti, i Ventiquattro vegliardi dell'Apocalisse, episodi di un ciclo agiografico, forse dedicato a s. Anastasio, e scene apocalittiche separate da fascioni a motivi ornamentali.Considerate troppo precoci le ipotesi di datazione comprese tra la fine del sec. 10° e la prima metà del successivo, la questione critica si attesta tra l'ultimo quarto del sec. 11° (Ladner, 1931; Matthiae, 1961; Prehn, 1969) e il primo del sec. 12° (Toesca, 1927; Garrison, 1957-1958; Demus, 1968; Hjort, 1970; Hoegger, 1975; Aggiornamento, 1988), affidandosi prevalentemente a considerazioni stilistiche, se si esclude il tentativo di identificare il committente, ritratto in abiti monacali nel catino absidale, con l'abate Bovone documentato da un'epigrafe in situ, non datata, ma ricollegabile a un'altra riferita al papato di Onorio II (1124-1130) nel vicino santuario di S. Michele ad rupes (Garrison, 1957-1958; Hoegger, 1975).La suddivisione delle tre diverse 'mani' all'interno del ciclo è stata più volte tentata, ma con risultati suscettibili di continue revisioni per l'ovvia reciproca influenza tra G., Stefano e Niccolò, i quali non mancarono di collaborare anche in uno stesso brano decorativo, cui va aggiunto il ruolo catalizzatore rivestito dal capo-bottega identificato di norma con G., esecutore della teofania absidale e dei vegliardi della parete sinistra. In Niccolò, considerato il più giovane, si è voluta individuare, invece, una personalità portatrice di una maniera meno colta e raffinata, il cui distintivo ductus grafico dei panneggi perde l'astratta, e pure incisiva, eleganza lineare, a favore di una pennellata sciolta e veloce nella stesura a volte sommaria dei colori, come si può osservare nelle scene dell'Apocalisse, nell'unico episodio agiografico integro, e in parte nei profeti.La sostanziale omogeneità stilistica delle pitture, che ne permette comunque una trattazione unitaria quale testo-chiave della koinè romanica umbro-laziale (Garrison, 1957-1958), non ha impedito di ipotizzare un'attività di G., Stefano e Niccolò, anche singolarmente, in altre imprese decorative; a Niccolò sono stati, per es., attribuiti i santi dell'abside della chiesa di S. Biagio a Nepi (Premoli, 1975). L'omonimia di G. e Niccolò con i firmatari della tavola con il Giudizio universale (Roma, Mus. Vaticani, Pinacoteca), inserendosi in un periodo di produzione artistica quasi completamente anonima, ha provocato inizialmente un'automatica identificazione (Redig de Campos, 1935; Prehn, 1961-1962; 1969) con i due pittori di Castel Sant'Elia, ipotesi tuttavia decisamente respinta (Matthiae, 1966; Garrison, 1970; Aggiornamento, 1988; Iacobini, 1991) contestualmente alla posticipazione della tavola vaticana alla fine del 12° secolo.Al di là del fatto che G., Stefano e Niccolò fossero o meno dei monaci, la committenza e il luogo in cui operarono rimandano direttamente all'ambiente benedettino, a quel tempo promotore di importanti imprese artistiche nel campo della decorazione monumentale, come in quello della decorazione libraria. In quest'ottica sono da segnalare una serie di studi che mettono in relazione gli affreschi di Castel Sant'Elia con le c.d. bibbie atlantiche prodotte in Italia centrale tra i secc. 11° e 12° (Garrison, 1957-1958; Berg, 1965; Hjort, 1970), nonché le considerazioni di Matthiae (1961), il quale, suggerendo un modello miniato per il ciclo apocalittico, sembrava implicitamente presupporre una certa familiarità dei pittori con quanto si produceva nei contemporanei scriptoria (Hoegger, 1975).Il ciclo di Castel Sant'Elia è stato poi costantemente confrontato con quello della basilica inferiore di S. Clemente a Roma e, con minore efficacia, con quello di S. Pietro a Tuscania, la cui altrettanto complessa questione critica lo ha coinvolto in continui slittamenti cronologici: esso è stato, infatti, considerato alternativamente anteriore a S. Clemente, posteriore e in continuità con questo, contemporaneo, ma estraneo agli affreschi di Tuscania (Aggiornamento, 1988) o, viceversa, opera, in parte, dei medesimi pittori.Un tassello fondamentale nel tentativo di ricostruire il corpus di G., Stefano e Niccolò rimane, infine, la decorazione dell'oratorio presso la chiesa romana di S. Pudenziana, tradizionalmente datata al tempo di Gregorio VII (1073-1085). Al di là delle similitudini iconografiche tra le sante di Castel Sant'Elia e le figure di Prassede e Pudenziana dipinte ai lati della Vergine a Roma, si rivelano infatti, tra i due cicli, tangenze formali e di tecnica esecutiva, tali da rendere plausibile l'intervento di almeno uno, se non due, dei frescanti, in un momento probabilmente anteriore all'impresa di Castel Sant'Elia.
Bibl.: Toesca, Medioevo, 1927; J. Hoogewerff, Gli affreschi nella chiesa di Sant'Elia presso Nepi, Dedalo 8, 1927-1928, pp. 321-343; G. Ladner, Die italienische Malerei im 11. Jahrhundert, JKhSWien, n.s., 5, 1931, pp. 33-160; D. Redig de Campos, Sopra una tavola sconosciuta del secolo undecimo rappresentante il Giudizio Universale, RendPARA 11, 1935, pp. 139-156; W. Paeseler, Die römische Weltgerichtstafel im Vatikan, RömJKg 2, 1938, pp. 312-394; E.W. Antony, Romanesque Frescoes, Princeton 1951; E.B. Garrison, Studies in the History of Mediaeval Italian Painting, III, 1-4, Firenze 1957-1958; Y. Batard, Les fresques de Castel Sant'Elia et le Jugement dernier de la Pinacothèque Vaticane, CahCM 1, 1958, pp. 171-178; G. Matthiae, Gli affreschi di Castel Sant'Elia, RINASA, n.s., 10, 1961, pp. 181-226; E.T. Prehn, Due problemi d'attribuzione, RivA 36, 1961-1962, pp. 11-25; K. Berg, Notes on the Dates of Some Early Giant Bibles, AAAH 2, 1965, pp. 167-176; G. Matthiae, Pittura romana del Medioevo, II, Roma 1966; O. Demus, Romanische Wandmalerei, München 1968 (trad. it. Pittura murale romanica, Milano 1969); E.T. Prehn, Le opere di Giovanni, Stefano e Niccolò, pittori dell'undicesimo secolo, AV 8, 1969, 5, pp. 19-25; E.B. Garrison, Dating the Vatican Last Judgment Panel: Monument versus Document, La Bibliofilia 72, 1970, pp. 121-160; Ø. Hjort, The Frescoes of Castel Sant'Elia. A Problem of Stylistic Attribution, Hafnia 1, 1970, pp. 7-33; P. Hoegger, Die Fresken in der ehemaligen Abteikirche S. Elia bei Nepi, Zürich-Stuttgart 1975; B. Premoli, Gli affreschi di San Biagio a Nepi, Commentari 26, 1975, pp. 137-141; Aggiornamento scientifico all'opera di G. Matthiae. Pittura romana del Medioevo, II, a cura di F. Gandolfo, Roma 1988; J. Poeschke, Der römische Kirchenbau des 12. Jahrhunderts und das Datum der Fresken von Castel S. Elia, RömJKg 23-24, 1988, pp. 1-28; A. Iacobini, La pittura e le arti suntuarie: da Innocenzo III a Innocenzo IV (1198-1254), in Roma nel Duecento. L'arte nella città dei papi da Innocenzo III a Bonifacio VIII, a cura di A.M. Romanini, Torino 1991, pp. 237-319; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio (Italia romanica, 13), Milano 1992.