DURAZZO, Stefano
Nacque a Genova nel 1668 (fu battezzato il 5 novembre in S. Sabina) da Pietro e da Violante Garbarino di Gerolamo.
Il D. appartenne al ramo dogale dei Durazzo, iniziato dal trisavolo Giacomo nel 1573 e continuato, con regolare scadenza generazionale, dal bisavolo Pietro nel 1619, dal nonno Cesare nel 1665 e dal padre Pietro nel 1685; ma non sembra avesse ereditato né il carisma politico degli avi e del padre né la tempra e il carattere dei due zii cardinali (Marcello, legato apostolico prima in Portogallo e poi a Madrid, e il prozio Stefano, uno dei più celebri e battaglieri arcivescovi di Genova). Il patrimonio familiare, che per quanto consistente, era meno cospicuo di quello di altri rami dei Durazzo, era stato accresciuto dalla dote della madre del D., la quale portò i possedimenti di Santo Stefano di Sestri, con palazzo e case e giardini adiacenti. La dispersione del patrimonio fu evitata dalle morti precoci dei fratelli del D. o dalle loro scelte religiose: infatti, un primo e un secondo Giacomo morirono bambini, Maria Aurelia e Maria Giovanna si monacarono entrambe nel convento di S. Maria della Misericordia, Carlo Gerolamo entrò tra i gesuiti e rinunciò a sedici anni, il 2 giugno 1683, ai diritti ereditari. Cosi l'eredità familiare poteva essere spartita tra il D. e il primogenito Cesare.
Entrambi dovettero ricevere prima la accurata educazione riservata ai giovani Durazzo, forse presso il collegio dei nobili di Milano, e poi frequentare qualche a ccademia militare. In effetti il D., dall'inizio della carriera, fu spesso applicato al magistrato della Guerra, anche se questa carriera cominciò tardi, a 43 anni, e con un incarico piuttosto modesto, quello di magistrato della Misericordia. Ma sopra tutto il D., insieme col fratello Cesare, dovette occuparsi della produzione e dei commercio della seta, che costituiva uno dei settori più antichi e tradizionali delle attività imprenditoriali dei Durazzo, attività che cercò di proteggere anche politicamente, rivestendo per tre anni consecutivi, dal 1731 al 1734, la carica di presidente del magistrato della Seta (carica che dovette lasciare proprio per l'elezione ducale).
Il D. fu doge il 3 febbr. 1734 con 380 voti su 500: e la consistente maggioranza, in rapporto apparentemente contraddittorio con la scarsa presenza politica del D., può spiegarsi o col prestigio di cui godeva la famiglia Durazzo o proprio con la fondamentale "innocuità" dei D., e senza che le due alternative si escludano a vicenda. Anche il suo dogato appare piuttosto anonimo, tanto che in esso le circostanze che arrivano ad acquistare rilievo sono le feste per le quali il D. chiese ai Collegi il permesso di partecipazione (ora per il matrimonio di Maddalena Durazzo col cugino Marcello detto Marcellino, futuro doge, ora per un ricevimento dal D. offerto in onore degli stessi) o i contrasti tra le "casaccie" cittadine.
Anche i discorsi dell'incoronazione, avvenuta l'8 maggio per mano dell'arcivescovo di GenoVa, pronunciati dal gesuita Giorgio M. Solari in duomo e da Ferdinando Gentile in palazzo, sono genericamente improntati a decantare il "principe tutto cuore" e più puntuali, se mai, sui meriti del padre e degli antenati del D.: a malinconica conferma della sua scarsa consistenza politica.
Pure il D., da doge, cercò di promuovere qualche iniziativa nei confronti della ribellione corsa, allora sollevata dalle tragicomiche pretese di "re Teodoro": e per quel tanto di autorità esecutiva che gli consentivano le sue attribuzioni costituzionali, il D. riusci ad inviare in Corsica due senatori, Ugo Fieschi e Pietro M. Giustiniani, con un programma di indulto generale e un salvacondotto per i ribelli che volessero recarsi a Genova per esporre i motivi dell'insurrezione.
La delusione seguita al fallimento della missione (in pratica, i capi dei ribelli approfittarono di quelle modalità per tergiversare in attesa degli aiuti da Livorno) convinse i Collegi ad accantonare i progetti pacifici del D., la cui sconfitta politica risulta sottolineata dall'invio nell'isola del nuovo commissario, Felice Pinelli, sostenitore della maniera forte.
Terminato il dogato, il D. ricopri cariche più importanti: fu preside del magistrato di Guerra nel 1737, 1741 e 1743 e di quello degli Inquisitori di Stato nel 1738, 1740 e 1742. Mori a Genova il 24 genn. 1744 e fu sepolto nella chiesa della Consolazione.
Aveva sposato il 13 febbr. 1713 in S. Pietro in Banchi Bettina Durazzo, figlia diciottenne del suo coetaneo Nicolò, che fu ambasciatore a Parigi e a Londra tra il 1711 e il 1715 e governatore di Corsica nel 1723 e padre di una figliolanza in gran parte tarata. Dalla giovane moglie il D. ebbe cinque figli: Pietro Francesco, il 28 dic. 1717; Nicolò Francesco, il 23 genn. 1719 (poi gesuita); Cesare Lorenzo, il 10 ag. 1720 (senza prole); Violante, nata nel 1722 e poi sposa di Giacomo Antonio Balbi, e Maria Aurelia, detta Lilla, nata nel 1725 e poi sposa di Giacomo Filippo Carega e celebrata per la grazia e la bellezza. Il primogenito del D., Pietro Francesco, marito prima di Elena Brignole di Francesco e poi di Camilla Poggi di Lorenzo, mori assassinato dal figlio Stefano, omonimo del D., il 5 marzo 1792: forse quelle tare ereditarie cui fa riferimento il suocero del D. nel proprio testamento contribuirono all'estinzione di questo ramo dei Durazzo.
Bibl.: Genova, Civ. Bibl. Berio, m.r. X, 2, c. 168: Della Cella, Famiglie di Genova, p. 186; A. Manno, Bibliografia storica…, Torino 1884, p. 122; L. Levati, I dogi di Genova dal 1721 al 1746. …, Genova 1913, pp. 26-29 (con bibl. pp. 229 e 231); D. Puncuh, L'archivio dei Durazzo, marchesi di Gabiano, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, n. s., XXI (1981), p. 624; Id., Collezionismo e commercio di quadri…, in Rassegna degli Archivi di Stato, XLIV (1984), p. 170 (e n. 31).
M. Cavanna Ciappina