STEFANO di San Giorgio
STEFANO di San Giorgio. – Non ci sono notizie certe sulla data di nascita, ma in base alle tappe della sua carriera, si può collocare tra il 1240 e il 1250, quasi certamente a San Giorgio a Liri, in prossimità di Montecassino, con cui ebbe numerosi rapporti. Sicuramente apparteneva alla piccola nobiltà locale.
I nomi dei genitori sono ignoti, dalle lettere dell’epistolario di Stefano conosciamo invece quelli di alcuni dei suoi fratelli (Una silloge..., a cura di F. Delle Donne, 2007, docc. 1, 4-8, 13, 14): Pietro (che fu monaco, vestararius e decano a Montecassino, abate di un monastero non altrimenti noto e cappellano del re d’Inghilterra Edoardo I), Nicola e Agnese; nonché quelli di tre nipoti (docc. 15-16): Gregorio, Goffredo e Bartolomeo.
Non abbiamo informazioni dettagliate sulla sua formazione, che verosimilmente avvenne nella zona d’origine, uno dei più importanti centri di sviluppo dell’ars dictaminis, dove si sviluppò la cosiddetta scuola capuana o campana di retorica. Stefano raggiunse vertici di competenza letteraria molto alti, tanto che tra il 1281 e il 1282 l’arcivescovo di Benevento Giovanni di Castrocielo ne esaltò le eccezionali capacità e si rivolse a lui come all’unico capace di leggere e di trascrivere antichi manoscritti (docc. 20-23). A lui, probabilmente, è collegata parte della tradizione dell’epistolario attribuito a Pier della Vigna, una delle più importanti collezioni retorico-letterarie del XIII secolo.
La prima attestazione certa risale al 18 ottobre 1274 e lo collega all’Inghilterra: re Edoardo I, che da poco era rientrato nell’isola dalla Terrasanta, passando per la Sicilia e poi per Roma e Orvieto, gli concesse la chiesa di Limpelesham, cui aggiunse il 24 maggio e il 21 agosto 1277 le chiese di Haveresham e di Stanewell (Calendar of patent rolls..., 1901, pp. 61, 76, 209, 242). Nel 1276 Stefano è menzionato con la qualifica di chierico del re, e ne sono ricordati i meriti già acquisiti presso la Corona inglese (p. 143).
In Inghilterra rimase alcuni anni, godendo sempre del favore del re, con il quale collaborò strettamente, anche come scrittore di documenti. Il suo ruolo sembra che non si sia limitato a quello di semplice sottoposto, ma dovette ampliarsi anche a quello di consigliere politico. Dal 1279 fu impiegato presso l’importante ufficio fiscale del Wardrobe: in quell’anno viene menzionato, con quella qualifica, due volte nell’Household Ordinance (Tout, 1920) e in altre lettere (Una silloge..., cit., docc. 40, 41, 58). Gli anni inglesi, tuttavia, lo videro impegnato attivamente anche nel tentativo di trovare più consona collocazione gerarchico-ecclesiastica per Robert Burnell, cancelliere inglese dal 1274 e vescovo di Bath e Wells dal 1275, che nel 1279, con il sostegno del re, fu eletto vescovo di Canterbury e poi di Winchester, ma che non ebbe conferma papale (Una silloge..., cit., docc. 26, 49, 57).
Successivamente Stefano tornò in Italia e, in qualità di camerario, servì Ugo Atrato di Evesham, creato cardinale di S. Lorenzo in Lucina nel 1281. Sicuramente Stefano si trovava in Curia già alla fine di quell’anno (docc. 26-39). Mantenne tuttavia rapporti molto stretti con l’Inghilterra.
Nel gennaio del 1283, alla notizia della vittoria inglese sul principe gallese Llywelyn ap Gruffydd, Stefano eruppe in affermazioni di grande esultanza e, poi, inviò notizie agli amici del Wardrobe riguardo all’annunciato duello che, nella cornice della guerra del Vespro, avrebbe dovuto contrapporre, a Bordeaux, il 10 giugno 1283, Pietro III d’Aragona e Carlo I d’Angiò (docc. 40-41). In quello stesso periodo, probabilmente, scrisse anche un entusiastico elogio delle virtù di re Edoardo I (doc. 43).
Più volte, comunque, Stefano tornò in missione oltre Manica: innanzitutto nel 1284, quando si recò in Galles presso re Edoardo, al quale riferì «viva voce» alcune notizie riservate e importanti, tali da non poter essere messe per iscritto (T. Rymer, Foedera..., 1705, pp. 287 s.). In quell’occasione dovette assolvere a incarichi molto delicati e rischiosi: infatti, il 1° aprile di quell’anno, Giovanni Peckham, arcivescovo di Canterbury, concesse a Galfrido de Scapeya la possibilità di assolvere Stefano da eventuali scomuniche in cui fosse incorso durante lo svolgimento degli incarichi a lui affidati (Registrum epistolarum..., a cura di C.T. Martin, 1884); evidentemente la missione della quale era incaricato era tale da far ipotizzare che avrebbe commesso gravi peccati.
Altri viaggi in Inghilterra non sono da escludere, ma sicuramente Stefano vi fu due volte nel corso del 1290. Probabilmente lungo il viaggio di ritorno, a Parigi (giugno-luglio 1290) incontrò Carlo II d’Angiò che lo incaricò (28 luglio) di tornare da Edoardo, per comunicargli importanti informazioni circa i trattati con il sovrano aragonese (Calendar of patent rolls..., cit., p. 374; T. Rymer, Foedera..., cit., pp. 485 s.; Registri della cancelleria angioina, XXXV, a cura di I. Orefice, 1985). Questa missione durò dal 13 settembre al 4 dicembre 1290. Nell’occasione Stefano è menzionato come chierico sia di re Edoardo d’Inghilterra, sia di re Carlo II d’Angiò. Forse questo fu il suo ultimo viaggio.
Durante la permanenza presso la Curia papale, Stefano fu un collaboratore molto prezioso del cardinale Ugo di Evesham, che lo impiegò, oltre che come cappellano, anche per missioni delicate e, comunque, possibilmente brevi, per non privarsi troppo a lungo dei suoi importanti servigi. Tuttavia, anche presso la Curia, Stefano continuò a rendersi benemerito per il sovrano inglese, dato che il 20 ottobre 1283 fu nominato procuratore regio presso il papa (Calendar of patent rolls..., cit., p. 86). Nello stesso periodo è attestato anche come «scriptor domini pape», come risulta da alcune lettere che scrisse in nome di un papa di cui non è specificata l’identità (Una silloge..., cit., docc. 66-67). È possibile che Stefano abbia servito solo occasionalmente il papa, quando gli incarichi svolti per altri signori glielo permettevano: infatti, tranne che per i periodi in cui si recò in missione, restò accanto a Ugo di Evesham dalla fine del 1281 al 1287, anno di morte di quel cardinale. Stefano è menzionato anche nel testamento di Ugo come suo esecutore testamentario «in curia Romana», il 15 novembre 1286; con ogni probabilità, il 18 agosto dell’anno successivo, sempre a Roma, presenziò anche all’apertura del testamento (A. Paravicini Bagliani, I testamenti..., 1980, rispettivamente pp. 42 e 207-215).
La sua abilità, la sua esperienza, la conoscenza delle faccende politiche dell’Italia centro-meridionale e, soprattutto, i suoi stretti rapporti con il re Edoardo d’Inghilterra, di cui continuava a essere chierico, furono senz’altro tra i motivi che lo fecero scegliere come uno dei delegati a partecipare, nel 1288, ai trattati di Campofranco, sui Pirenei. Edoardo I d’Inghilterra era stato chiamato da papa Niccolò IV a svolgere la funzione di arbitro per la restituzione della libertà di Carlo II d’Angiò, allora ancora principe di Salerno, prigioniero degli Aragonesi dal 1284: alcuni degli strumenti di quei complessi trattati che riguardavano i termini della liberazione di Carlo, stipulati nell’ottobre del 1288, furono sottoscritti anche da Stefano, come testimone di parte inglese (T. Rymer, Foedera..., cit., pp. 381 e 385).
Dopo la liberazione di Carlo d’Angiò, tuttavia, Stefano dovette entrare nel seguito del signore del Regno in cui era nato. A lui, infatti, Carlo affidò il compito di informare della sua liberazione l’arcivescovo di Napoli, Filippo Capece Minutolo, e sempre a lui affidò il compito di annunziare ai sudditi la sua incoronazione, avvenuta a Rieti il 29 maggio 1289, domenica di Pentecoste, con l’unzione di papa Niccolò IV (Una silloge..., cit., docc. 61-63).
Come si è già visto, nel 1290 Stefano si trovava in Francia, forse al seguito di Carlo II d’Angiò: nel giugno era a Carpentras, dove incontrò il legato apostolico Gerardo Bianchi e il cardinale Benedetto Caetani – il futuro papa Bonifacio VIII – che lo inviarono in Inghilterra da re Edoardo. Del potente legato Gerardo Bianchi, in quel periodo, Stefano divenne cappellano e familiare (doc. 72).
Al futuro Bonifacio VIII, invece, Stefano è collegato anche da un testo, piuttosto singolare, che, nel solo manoscritto che lo tramanda (Archivio segreto Vaticano, Instrum. Miscell. 1290, nr. 237), reca questo titolo: Reprobatio nefandi sermonis editi per Radulphum de quodam Nemine heretico et dampnato (edito in F. Delle Donne, La satira e la dottrina..., 2008). Non è il caso, qui, di dilungarsi sul suo contenuto che, come già si evince dal titolo, consiste nella condanna e riprovazione parodico-satirica del sermone (parodico-satirico anch’esso) su Nemo (Nessuno), scritto da tale Radulphus, forse identificabile con Radulfo di Châteauroux, morto verso la fine del 1286. Il testo è da datare al periodo immediatamente anteriore al Concilio di Sainte Geneviève di Parigi, che si svolse dall’11 al 29 novembre 1290.
Gli avvenimenti del 1290 dovettero essere gli ultimi a cui Stefano partecipò. Probabilmente, anche a causa degli strapazzi subiti nelle sue continue missioni diplomatiche e nel corso dell’intensa attività professionale, venne a morte non molto dopo, probabilmente fra il 4 giugno 1291 (quando Carlo II gli rimborsò le spese per il viaggio in Inghilterra compiuto nel settembre-dicembre 1290; Registri della cancelleria angioina, XXXV, cit.) e il 23 ottobre del medesimo anno (data ricavabile dall’obituario di Montecassino, che conferma le sue qualifiche di «scriptor domini pape et consiliarius et secretarius regum Anglie et Sicilie», ma non precisa né l’anno né il luogo della morte; I necrologi cassinesi, I, a cura di M. Inguanez, 1941).
Fonti e Bibl.: T. Rymer, Foedera, conventiones, literae, II, Londini 1705, pp. 287 s., 381, 385, 485 s.; Registrum epistolarum fratris Johannis Peckham, archiepiscopi Cantuariensis, a cura di C.T. Martin, II, London 1884, pp. 703 s.; Les Registres de Nicolas IV, a cura di E. Langlois, I, Paris 1886, p. 34; H. Denifle, Ursprung der Historia des Nemo, in Archiv für Literatur- und Kirchen- Geschichte des Mittelalters, IV (1888), pp. 330-348; Calendar of entries in the papal registers, illustrating the history of Great Britain and Ireland: papal letters, a cura di W.H. Bliss, I, London 1893, p. 492; Calendar of patent rolls preserved in the Public Record Office: Edward I, 1272-1281, London 1901, pp. 61, 76, 86, 143, 209, 242, 295, 374, 447; Registres de Boniface VIII, a cura di G. Digard, III, Paris 1906, p. 67; I necrologi cassinesi, I, Il necrologio del codice cassinese 47, a cura di M. Inguanez, Roma 1941, al 23 ottobre e p. 63; R. Weiss, Cinque lettere inedite del card. Benedetto Caetani (Bonifacio VIII), in Rivista di storia della Chiesa in Italia, III (1949), pp. 162-164; Registri della cancelleria angioina, a cura di I. Mazzoleni, IV, Napoli 1952, p. 54, XXXIII, a cura di M.A. Martullo Arpago, 1984, pp. 100, 120, XXXV, a cura di I. Orefice, 1985, pp. 253 s., XLIII, a cura di M. Cubellis, 1996, p. 24; A. Paravicini Bagliani, I testamenti dei cardinali del Duecento, Roma 1980, pp. 42, 207-215; Nicola da Rocca, Epistolae, a cura di F. Delle Donne, Firenze 2003, pp. 133 s., 150-152; Una silloge epistolare della seconda metà del XIII secolo, a cura di F. Delle Donne, Firenze 2007, pp. XIV-XXVI, 3-89 e ad ind.; F. Delle Donne, La satira e la dottrina nella curia del cardinale Benedetto Caetani: la ‘Reprobatio sermonis de Nemine’ di S. di San Giorgio, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, LXII (2008), pp. 3-24.
T.F. Tout, Chapters in the administrative history of mediaeval England, II, Manchester 1920, pp. 160, 163; E.H. Kantorowicz, The Prologue to “Fleta” and the School of Petrus de Vinea, in Speculum, XXXII (1957), pp. 231-249; P. Lehmann, Die Parodie im Mittelalter, Stuttgart 1963, pp. 176 s.; G.F. Nüske, Untersuchungen über das Personal der päpstlichen Kanzlei 1254-1304, in Archiv für Diplomatik, XXI (1975), p. 375; M. Bayless, Parody in the Middle Ages. The latin tradition, Ann Arbor 1996, pp. 259-310; N. Bériou, L’avènement des maîtres de la Parole. La prédication à Paris au XIIIe siècle, I, Paris 1998, pp. 204-206, 881-887; B. Grévin, Rhétorique du pouvoir médiéval. Les Lettres de Pierre de la Vigne et la formation du langage politique européen XIIIe-XIVe siècle, Rome 2008, pp. 404-415 e ad ind.; F. Delle Donne, Le dictamen capouan: écoles rhétoriques et conventions historiographiques, in Le dictamen dans tout ses états. Perspectives de recherche sur la théorie et la pratique de l’ars dictaminis (XIe-XVe siècles), a cura di B. Grévin - A.M. Turcan-Verkerk, Turnhout 2015, pp. 191-207.