STEFANO di Giovanni, detto il Sassetta
Nacque verso il 1400 a Cortona, dove trascorse l’infanzia prima di trasferirsi a Siena, entro il 1410, al seguito del padre Giovanni di Consolo, che nel 1420 compare al servizio della Signoria in qualità di cuoco (Israëls, 2003a, pp. 762 s.; Ead., in Strehlke - Israëls, 2015, pp. 559, 560 nota 3, ricordando anche Bacci, 1936, per la confutazione della nascita al 1392). Si ignora quale sia l’origine del soprannome Sassetta, che gli è assegnato soltanto dal secolo XVIII (Pecci, 1752), forse per un errore di lettura di documenti, e «suonò presto – e riesce tuttora – troppo gradevole per poterlo dissociare dalla sua immagine» (Volpe, 1982, p. 383). A Siena il Sassetta svolse l’apprendistato di pittore, affermandosi rapidamente, così da ottenere nel 1423 la committenza di un polittico per l’Arte della lana, che segnò l’avvio della carriera del maggiore interprete della pittura senese della prima metà del Quattrocento.
Si trattava di una pala molto particolare: era smontabile, perché custodita di norma entro un armadio nella sede della corporazione e solo una volta all’anno, per la festa del Corpus Domini, veniva innalzata alla pubblica venerazione su di un altare posticcio nella piazza prospiciente. Nel Cinquecento il polittico fu accolto in una cappella esterna della vicina – e oggi perduta – chiesa di S. Pellegrino, dove rimase per oltre un paio di secoli, prima di andare disperso. Il Sassetta dovette avviare il lavoro nel 1423, quando la carpenteria del dipinto era già pronta e l’Arte, per pagare l’impresa, avviò una tassazione tra i suoi membri, che si protrasse fino al 1426. Ciononostante, l’allusione al dipinto in una predica di s. Bernardino del 1425 lascia intendere che esso fu inaugurato già nel giugno del 1424, tanto più che i temi eucaristici e antieretici del programma iconografico corrispondono a quanto si discuteva nel concilio ecumenico passato da Pavia a Siena nel 1423-24. Del polittico, che il Sassetta aveva firmato, rimane ben poco: sono perduti i tre scomparti del registro principale, con il Sacramento recato in cielo dagli angeli al centro, e i ss. Antonio Abate e Tommaso d’Aquino ai lati. Restano invece, nella Pinacoteca nazionale di Siena, i Profeti Elia ed Eliseo, i quattro Patroni di Siena e i quattro Padri della Chiesa provenienti dai pilastri e dalle cuspidi. Delle sette storie della predella ne sopravvivono sei, elencate secondo il corretto ordine di lettura sinistra-destra: S. Antonio battuto dai diavoli (Siena, Pinacoteca nazionale), il Rogo dell’eretico Jan Hus (?) (Melbourne, National Gallery of Victoria), l’Istituzione dell’Eucarestia (Siena, Pinacoteca nazionale), un Miracolo dell’Eucarestia (morte di John Wyclif?) (Barnard Castle, The Bowes Museum), S. Tommaso d’Aquino in preghiera davanti a un polittico e davanti al Crocifisso (Budapest, Szépművészeti Múzeum e Roma, Pinacoteca Vaticana). Da tali elementi superstiti s’intende l’eccezionale capacità del giovane Sassetta di muovere dalla tradizione del Trecento senese per aprirsi, nella scoperta del cielo atmosferico e nella scelta di allestire due episodi in un unico ambiente, alle novità di Gentile da Fabriano, di Masolino, e della Firenze prospettica di Brunelleschi, Donatello e Masaccio, con un’attenzione per lo spazio tridimensionale mossa non di meno da una fascinazione per la pittura dei Lorenzetti. E infatti per lungo tempo sono state assegnate ad Ambrogio Lorenzetti le tavolette della Pinacoteca nazionale di Siena con un Paesaggio con città e un Paesaggio con castello in riva a un lago, ormai riconosciute come frammenti dell’ampia veduta di paese che stava nella zona inferiore dello scomparto centrale del polittico (Israëls, 2001; Ead., in Da Jacopo della Quercia a Donatello, 2010, pp. 222-231 n. C.17; Sallay, 2015, con ampia bibliografia).
Contrariamente a quanto aveva ipotizzato Federico Zeri (1956), non proviene dalla pala dell’Arte della lana il S. Antonio Abate della collezione della Banca Monte dei Paschi di Siena, che ha un pendant nel S. Nicola del Musée du Louvre: i due dipinti erano parte di un complesso che si è suggerito di identificare con un polittico sassettesco menzionato all’inizio del Seicento da Teofilo Gallaccini nella chiesa senese di S. Niccolò (Bartalini, 1988) o con quello che Fabio Chigi (1625-1626, 1939, p. 319) citava come opera del Sassetta nell’altare Petroni in S. Francesco (Israëls, 2003b, pp. 90-93; Ead., in Da Jacopo della Quercia a Donatello, 2010, pp. 232 s., con la proposta che al di sopra dei due santi fossero posizionati l’Angelo annunciante del Museo d’arte sacra di Massa Marittima e la Vergine annunciata della Yale University Art Gallery di New Haven, associati in passato ad altre pale del pittore), anche se il polittico Petroni si vuole incenerito in un incendio che nel 1655 danneggiò il tempio francescano (Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 427). Stava in S. Francesco pure una perduta «tavola di Santo Lodovico», per l’esecuzione della quale il 20 giugno 1427 fu retribuito uno «Stefano dipentore», che dovrebbe essere il Sassetta; verosimilmente si trattava dell’«icona parum antiqua cum figura beatae Mariae Virginis et aliorum sanctorum» registrata sull’altare di S. Ludovico dal visitatore apostolico Francesco Bossi nel 1575 (Israëls, 2003b, pp. 25 s. nota 58). Comunque sia, il S. Antonio Abate e il S. Nicola si scalano ormai verso il limitare del terzo decennio, in virtù dell’accentuazione della concretezza tridimensionale delle due figure, segnate nel carattere da quella familiarità con le sculture di Domenico di Niccolò «dei Cori» che ricorre pure altrove nella pittura sassettesca (Bagnoli, 1987, pp. 105, 122; G. Fattorini, in Da Jacopo della Quercia a Donatello, 2010, pp. 105 s.). Più iconica appare l’immagine di S. Francesco di una tavola della Pinacoteca parrocchiale di Corridonia (Macerata), che pure si riferisce al Sassetta intorno al 1425-30 (Boskovits, 1998).
Domenico «dei Cori» giocò un ruolo chiave nella progettazione della decorazione della zona del pavimento della cattedrale di Siena davanti all’altare maggiore, in cui fu coinvolto anche il Sassetta, pagato nel 1426 dall’Opera del duomo per avere eseguito disegni da tradurre in marmo per la Storia di Giosuè (Aronow, 2005, pp. 23-32, 35 n. 7; Butzek, 2006, p. 123). Il Sassetta fu poi retribuito dall’Opera nel dicembre del 1427 per avere delineato su una parete del battistero il progetto del fonte battesimale cui allora stava lavorando Jacopo della Quercia, monumento cui il giovane allievo di Stefano, Sano di Pietro, avrebbe aggiunto nel 1429 le lumeggiature in oro e azzurro (Bacci, 1929; Butzek, 2006, pp. 126, 127 nota 1654, p. 129). A un tempo non lontano da questi anni potrebbe spettare la deliziosa Crocifissione miniata nel Messale romano G.V.7 della Biblioteca comunale degli Intronati di Siena, ben assestata nel catalogo del Sassetta (Schoenburg Waldenburg, 1975; Volpe, 1982, p. 385 n. 136; L. Simonato, in Da Jacopo della Quercia a Donatello, 2010, pp. 522 s. n. G.4), ma proposta anche come primizia del giovane Sano assoggettato dalla pittura sassettesca (De Marchi, 2012, pp. 69 s.). A proposito del rapporto maestro-apprendista, va ricordato che il nome di Sassetta compare subito prima di quello di Sano nell’elenco degli iscritti all’Arte dei pittori senesi nel 1428 (Milanesi, 1854), a fare supporre che l’uno e l’altro si fossero associati alla corporazione più o meno nello stesso tempo, già da qualche anno. Tra gli amici del pittore era il maestro di legname Giovanni di Bartolomeo, dato che il Sassetta fu padrino al battesimo dei suoi figli Martino Crescenzio e Vittorio Orsino (l’11 novembre 1426 e il 21 ottobre 1428; Bacci, 1936); si è pure proposto che in questi anni il Sassetta possa avere fornito a Mattia di Nanni detto il Bernacchino il disegno per la figura della Giustizia intarsiata in un pannello conservato nel Victoria and Albert Museum di Londra (Christiansen, 1997). Allora il Sassetta viveva con il padre Giovanni di Consolo, poiché nella Lira (cioè il registro delle tasse) del 1430 il loro nucleo familiare risulta risiedere nella compagnia del Casato di Sotto, poco lontano da piazza del Campo (Israëls, 2010b, p. 169 nota 72).
Il 25 marzo 1430 la terziaria francescana Ludovica Bertini, vedova dell’operaio del duomo Turino di Matteo, commissionò al Sassetta una pala per l’altare voluto dal defunto marito nella prima parete della crociera destra della cattedrale, intitolato da allora alla Madonna della neve. Entro il 23 ottobre 1432 il Sassetta completò tanto la pala quanto la circostante decorazione della cappella, ma una vertenza sul prezzo, oltre a richiedere perizie di pittori come Gualtieri di Giovanni da Pisa, Cecchino da Verona, Martino di Bartolomeo e Sano di Pietro, fece sì che la pala fosse posizionata sull’altare soltanto nell’aprile del 1433, quando la committente era già morta. Venduto quindi dall’Opera nel 1592, il dipinto finì a Chiusdino, dove sarebbe stato acquistato nel 1936 da Alessandro Contini Bonacossi: oggi si conserva a Firenze, nella donazione Contini Bonacossi presso la Galleria degli Uffizi (Israëls, 2003b).
La Madonna della neve è una delle pale più innovative della pittura italiana del tempo. Nonostante il fondo oro e la cornice di coronamento gotica, essa è di formato quadrato e la composizione è unificata: incoronata da due angeli, la Madonna col Bambino in trono è affiancata da due angeli e dai ss. Giovanni Battista, Pietro, Paolo e Francesco, che indica un vassoio con la neve. Le figure sono disposte a dare un rigoroso senso prospettico dello spazio, combinato con l’eccezionale accuratezza della preziosa lavorazione dell’oro, degna della tradizione senese e del gusto di Gentile da Fabriano. Nel lacunoso gradino è illustrata, in sette episodi, la storia della miracolosa nevicata d’agosto che dette origine alla basilica romana di S. Maria Maggiore, e cui l’altare doveva il titolo; una scelta in cui dovette avere un ruolo il cardinale di S. Marcello Antonio Casini. Sono scenette profondamente segnate dalla pittura di Masaccio e Masolino, nelle quali si aprono squarci di cielo azzurro e naturale che preannunciano la pittura luminosa di Domenico Veneziano e Piero della Francesca.
Come annotava Tommaso Fecini (1431-1479, 1931-1939; ripreso da Tizio, 1506 circa - 1528, 1998), nel 1433 il Sassetta dipinse una grande croce per la chiesa di S. Martino a Siena, che era firmata e datata (Chigi, 1625-1626, 1939, p. 316) e fu accuratamente descritta da Guglielmo della Valle (1786), prima di essere distrutta per fare porte nel 1820 (Romagnoli, ante 1835, 1976, pp. 421, 430). Si salvarono tre frammenti, oggi nella Collezione Chigi Saracini di Siena: la Vergine e il S. Giovanni dolenti posizionati in origine alle estremità del braccio orizzontale, e il suppedaneo con l’Elemosina di s. Martino (M. Israëls, in Da Jacopo della Quercia a Donatello, 2010, pp. 234 s. n. C.19). In questa tavola la figura del povero dipende dall’«ignudo che triema» del masaccesco Battesimo dei neofiti della cappella Brancacci a Firenze (Longhi, 1940, 1975, p. 16).
Sempre intorno al 1433 si deve datare la deliziosa Adorazione dei Magi della Collezione Chigi Saracini: sorta di risposta del Sassetta alla pala Strozzi di Gentile da Fabriano e frammento di una tavola da devozione privata cui apparteneva in alto il Viaggio dei Magi del Metropolitan Museum di New York (Pope-Hennessy, 1939, pp. 77-80). Nel tono cortese, si direbbe un dipinto nato per commemorare il passaggio da Siena dell’imperatore Sigismondo del Lussemburgo (1432-33), ritratto nell’anziano mago inginocchiato, mentre il falconiere del suo seguito indossa il tipico cappello boemo con paraorecchi (chapka). In primo piano un valletto regge una spada, possibile allusione all’investitura a conti palatini riservata dall’imperatore ad alcuni diplomatici senesi. Tra questi era il colto giurista Pietro di Bartolomeo Pecci, che a me pare un buon candidato per la committenza del dipinto (M. Israëls, in Da Jacopo della Quercia a Donatello, 2010, pp. 236 s. n. C.20). Poi, il primo ottobre 1434, il Sassetta era pagato dal Comune per la fornitura del disegno di una perduta vetrata per la finestra della sala del Concistoro, in cui era effigiata un’immagine mariana (Borghini, 1983, p. 270; Morandi, 1983, p. 426 nn. 316-317, 324; Christiansen, 1989).
In questi anni Sassetta – che si era trasferito nella compagnia di S. Pietro a Ovile (nel 1431 ne risulta gonfaloniere; Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 420; Israëls, 2003b, p. 26 nota 64) – comparve spesso ai battesimi senesi in veste di padrino: per Cristofano di Giovanni di Bartolomeo da Abbadia San Salvatore il primo giugno 1431, per Donaddea Jacoma figlia del pellicciaio Girolamo di Gherardo il 25 luglio 1433, per Tommaso figlio del maestro di legname Pietro del Minella il 5 agosto 1434, per Giovanna figlia del calzolaio Agnolo di Pietro il 28 dicembre dello stesso anno (Bacci, 1936). In quest’ultima occasione la madrina era Antonia, vedova del banchiere Nanni di Giovanni Pecci, e il Sassetta comparve al posto del padrino ‘ufficiale’, il cortonese Niccolò d’Agnolo di Cecco del Peccia: costui era il committente di una pala che il Sassetta destinava in quegli anni alla cappella a sinistra del coro nella chiesa di S. Domenico a Cortona (ora è nel Museo diocesano), dimostrando di mantenere legami con la città natale. È un pentittico che mostra al centro la Madonna dell’umiltà affiancata da due angeli, disposti in tralice a dare il senso della profondità; ai lati sono i Ss. Nicola (abbigliato di un piviale degno di Gentile da Fabriano), Michele Arcangelo, Giovanni Battista e Margherita d’Ungheria; nei tondi delle cuspidi l’Agnus Dei e l’Annunciazione (Israëls, 2003a).
Intorno alla metà degli anni Trenta si data pure la commovente Madonna delle ciliegie del Museo archeologico e d’arte sacra di Grosseto: unico frammento superstite di una pala che potrebbe essere stata ordinata al Sassetta da Antonio Casini, cardinale di S. Marcello e vescovo di Grosseto, per la cappella del Crocifisso del duomo della città maremmana (Israëls, 2003b, pp. 145-163; Ead., in Da Jacopo della Quercia a Donatello, 2010, pp. 250 s. n. C.27).
Nella seconda metà degli anni Trenta il Sassetta continuò a comparire in veste di padrino a battesimi senesi (30 agosto 1436 Fruosino Antonio figlio del ligrittiere Giovanni di Bertoccio; 31 agosto 1436 Pietro Gilio figlio del pizzicaiolo Giovanni di Tommè; 15 agosto 1438 Maria Speranza figlia del calzolaio (?) Giovanni di Tommè; 21 gennaio 1439 Bartolomea Agnese figlia del barbiere Gaspare di Nanni; Bacci, 1936), e nel 1438 fu pagato dal Comune per avere dipinto la tavola, con relativo tabernacolo, posizionata all’ingresso del palazzo pubblico, identificabile nella malridotta Madonna dell’umiltà della Pinacoteca nazionale di Siena (Borghini, 1983, p. 270; Morandi, 1983, p. 426 nn. 316-317, 324; Alessi, 1988; K. Christiansen, in La pittura senese, 1989, pp. 8, 35 nota 8; Id., 1989). In quest’opera, così come nel polittico di Cortona, Sassetta adatta a un grande formato un tema ricorrente nei suoi altaroli per devozione privata (per i quali si veda in ultimo Fattorini, 2015, pp. 108-111 n. 19), dove la Madonna dell’umiltà poteva stagliarsi isolata (New York, Metropolitan Museum; Pittsburgh, Frick Art Museum; Roma, Pinacoteca Vaticana; Siena, Museo dell’Opera del duomo [proveniente da Basciano]; Venezia, Galleria Cini; Zagabria, Strossmayerova Galerija) oppure al centro di piccoli trittici. Sono esemplari di quest’ultimo caso la Madonna dell’umiltà della National Gallery of Art di Washington (di cui si conosce il laterale in un S. Francesco appartenuto alla galleria Antichi Maestri Pittori di Torino e ora in collezione privata) e quella della Gemäldegalerie di Berlino (corredata negli sportelli laterali delle Ss. Apollonia e Margherita della National Gallery of Art di Washington e dell’Angelo annunciante e della Vergine annunciata del Frick Art Museum di Pittsburgh).
Frattanto, il 5 settembre 1437 il Sassetta aveva ricevuto la commissione di un grande polittico opistografo per l’altare maggiore della chiesa di S. Francesco a Sansepolcro, che avrebbe consegnato il 2 giugno 1444, attenendosi a un preciso programma iconografico stilato il 23 gennaio 1439 (Banker, 1991). Rimosso dall’altare tra il 1578 e il 1583, il complesso andò smembrato agli inizi dell’Ottocento e fu da alcuni dei suoi lacerti che un secolo dopo mossero i primi studi sull’autore (Douglas, 1903; Berenson, 1903), che inserivano nel suo catalogo le opere poi passate in quello del Maestro dell’Osservanza (Longhi, 1940, 1975, p. 60 nota 26; Graziani, 1948), alias Sano di Pietro giovane (Brandi, 1949, pp. 69-87; Falcone, 2010; Freuler, 2012; Bellosi, 2012; De Marchi, 2012).
Stando alla più recente ricostruzione (Sassetta, 2009) la pala si presentava sul fronte come un pentittico, con al centro la Madonna col Bambino e angeli del Louvre, e ai lati il Beato Ranieri Rasini (morto in odore di santità e sepolto nella chiesa) e il S. Giovanni Battista della collezione Berenson di Villa I Tatti, e i Ss. Giovanni evangelista e Antonio di Padova pure del Louvre. Delle cuspidi di coronamento, delle figure dei pilastri laterali e della predella restano il Crocifisso con s. Francesco del Cleveland Museum of Art, i due Ss. Lorenzo e Stefano del Museo Pushkin di Mosca, il S. Cristoforo della collezione Perkins di Assisi e tre Storie della Passione del Detroit Institute of Arts. Al centro del verso spiccava il S. Francesco della collezione Berenson di Villa I Tatti, affiancato da otto Storie di s. Francesco (sette alla National Gallery di Londra, una nel Musée Condé di Chantilly). Al soprastante coronamento appartenevano l’Annunciazione della Lehman Collection del Metropolitan Museum di New York e il S. Agostino ex Wildenstein; della predella sopravvivono tre Storie del beato Ranieri Rasini divise tra il Louvre e la Gemäldegalerie di Berlino, mentre dai pilastri posteriori proviene il S. Matteo ricomparso nella Galleria Cini di Venezia (Fattorini, 2015, pp. 102-105 n. 18). Fedele al credo rinascimentale nella solidità volumetrica del S. Francesco dei Tatti e nella lontananza prospettica della sottostante marina (Longhi, 1927, 1963), rispetto alle opere della sua prima attività il Sassetta si distinse in questo straordinario complesso per «una metrica affabulante che lo apparenta piuttosto al Ghiberti della porta del Paradiso, anche per l’ostinata ed esibita fedeltà, nel dettaglio, a un lessico calligrafico e goticheggiante, che è anzi esasperato ad arte» (De Marchi, 2010, p. 117). Al tempo stesso le Storie francescane sono illuminate da cieli cristallini, che discendono dalla predella della Madonna della neve e fanno concorrenza alla pittura ‘di luce’ di Domenico Veneziano.
Alla pala per Sansepolcro il Sassetta lavorò a Siena: nel 1439 abitava in contrada di Provenzano, in un immobile di proprietà del pittore Giusa di Fruosino, ma procedeva ad acquistare una casa nel terzo di Camollia, «in loco dicto Casaconti», perché evidentemente voleva dare una sistemazione alla sua vita e si era stancato di fare da padrino solo ai figli degli altri (il 12 settembre compare come tale al battesimo di Niccolò di Giovanni di Tommè pizzicaiolo; Bacci, 1936). Nel 1441 sposò Gabriella di Buccio di Biancardo (Israëls, 2003a, p. 762 nota 8), da cui avrebbe avuto tre figli. Il primogenito fu Giovanni, destinato alla carriera di scultore; al suo battesimo, il 20 giugno 1443, i padrini erano Giachetto di Finale da Tolosa, maestro ostiario di papa Eugenio IV, e Bartolomeo, figlio del potente Antonio di Checco Petrucci (Bacci, 1936). Ciò la dice lunga sulle amicizie altolocate di un maestro che nel 1440 aveva dato i disegni per l’Annunciazione e l’Incoronazione della Vergine della grande vetrata circolare che Gaspare di Giovanni da Volterra avrebbe dovuto realizzare per la facciata del duomo e della quale non si fece poi nulla (Landi, 1655 circa, 1992; Milanesi, 1856, p. 198; Aronow, 2005, p. 31; Butzek, 2006, p. 137). Sempre per l’Opera eseguì tra il febbraio e il marzo del 1443, insieme con Vico di Luca e altri «compagni dipentori», una corposa serie di drappelloni con araldica civica e pontificia per la cattedrale, in previsione dell’arrivo in città di Eugenio IV (Milanesi, 1856, p. 244; Israëls, 2012, pp. 105, 123 s. n. XXXI), e nel 1446 i disegni per «fare bruste rachamate per uno paio di paramenti bianchi belgli di brochato d’oro, i quali si mandaro a rachamare a Firenze» (Milanesi, 1856, p. 245; Israëls, 2003b, p. 27 nota 69). Intanto, nel 1444, aveva acquistato dal suocero Buccio di Biancardo il terreno di una vigna con una casa a Ginestreto, nei dintorni di Siena (Archivio di Stato di Siena, Gabella, 208, cc. 34v, 38r; segnalato con qualche errore da Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 424).
Il 20 maggio del 1444 era morto all’Aquila il francescano Bernardino da Siena e, ancor prima della canonizzazione (1450), a Siena furono assai richieste immagini del beato da venerare. Il Sassetta ne dipinse almeno tre – una per la compagnia di S. Giovanni Battista della Morte sul finire del 1444 (ora nella Pinacoteca nazionale), una perduta per la chiesa dell’ospedale di S. Maria della Scala all’inizio del 1445 (Milanesi, 1856, p. 245), e una più piccola conservata nella collezione Salini del Castello di Gallico (Bellosi, 2009) –, ed è verosimile che risalga a lui l’invenzione dell’iconografia del frate con il peculiare attributo della tavoletta, adottata pure dai seguaci Sano di Pietro e Pietro di Giovanni d’Ambrogio (Israëls, 2007). È probabile che lo stesso Bernardino avesse commissionato al Sassetta un’Assunzione della Vergine per la primitiva chiesa dell’Osservanza sul colle della Capriola, andata distrutta nel Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino alla fine della seconda guerra mondiale (Carli, 1976, pp. 158 s. nota 3). Il dipinto era firmato (Chigi, 1625-1626, 1939, p. 328) e modellato sulla perduta Assunzione delineata da Simone Martini all’antiporto di Camollia, per cui Bernardino aveva una particolare venerazione. Anche in virtù di un restauro della fine del Quattrocento, non è chiaro se la tavola risalga alla metà degli anni Trenta o – come pare indicare lo stile – alla tarda attività del pittore e sia prossima alla sua ultima fatica (Israëls, 2008, pp. 225-232; Ead., in Sassetta, 2009, pp. 121-126).
La nascita di altri due figli (Bartolomeo e Caterina Lisabetta, battezzati rispettivamente il 31 marzo 1446 e 17 maggio 1448, alla presenza dei padrini Tommaso e Giorgio di Giacoppo Petrucci; Bacci, 1936) fu intervallata dall’affidamento di un’eminente impresa pubblica. Dopo avere ricevuto nel febbraio del 1447 il pagamento per il lavoro della «tabulella que stat iuxta magnificos dominos noviter pictam» (Milanesi, 1856, p. 245), il successivo 3 maggio il Sassetta ebbe dal Comune, per voce dell’apposito operaio Landuccio di Marco, la commissione di affrescare un’Incoronazione della Vergine sopra Porta Romana. Il monumentale accesso meridionale della città attendeva una simile immagine mariana fin dal secolo precedente e il Sassetta riuscì solo ad avviare il cantiere, eseguendo disegni preparatori e affrescando un gioioso gruppo di angeli nell’arco del tettuccio sopra lo spazio centinato riservato alla vera e propria scena mariana. Come raccontò la moglie Gabriella in una petizione rivolta al Comune il 12 aprile 1451 (Borghesi - Banchi, 1898, pp. 166-168 n. 100), lavorando sui ponteggi il Sassetta prese una polmonite che il 1° aprile 1450 lo condusse alla morte (Bacci, 1936). L’Incoronazione della Vergine di Porta Romana sarebbe stata terminata soltanto tra il 1459 e il 1468 da Sano di Pietro, chiudendo una vicenda non poco tormentata: assai danneggiato, l’affresco è stato rimontato negli anni Settanta del secolo scorso nella controfacciata di S. Francesco (Israëls, 1998). Del resto a Sano, subito dopo la morte del Sassetta, era toccato completare pure un polittico da lui avviato per la cappella della Natività posseduta da Bartolomeo Guglielmi in S. Pietro in Castelvecchio, di cui avanzano pochi elementi: la cuspide con Dio Padre del Sassetta nel Museo diocesano di Siena, un S. Bartolomeo sempre di lui, un S. Francesco e forse un frammento della Natività centrale, entrambi di Sano, nella Pinacoteca nazionale (Israëls, 2010b).
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