STEFANO di Crivolo
STEFANO di Crivolo. – Nacque in data imprecisata, collocabile alla fine del XIV secolo se si dà credito alla testimonianza che questo monaco e priore sarebbe morto più che centenario, nel 1494, nella certosa di S. Maria di Pesio, situata nelle Alpi Marittime, della cui comunità era stato membro per la maggior parte della sua vita religiosa; nulla si sa della famiglia di origine e dei genitori.
L’informazione si deve alla più tarda delle due cronache che – oltre all’insondata documentazione quattrocentesca di carattere patrimoniale nell’archivio monastico – costituiscono le uniche fonti da cui si possono trarre notizie a suo riguardo. Si tratta della cronaca tardoseicentesca – l’originale della quale è andato distrutto nell’incendio della Biblioteca nazionale di Torino del 1904 (Guglielmotti, 2001b, dove si tratta ampiamente di Stefano di Crivolo) – redatta da un certosino della casa di Pesio, Benedetto di Costaforte, il quale organizzò la propria esposizione, che prende le mosse dalla fondazione dell’ente nel 1173 (Guglielmotti, 1986), seguendo tipicamente la successione dei priori.
La prudenza con cui vanno trattate questa e altre notizie deriva sia dalla distanza cronologica di Benedetto di Costaforte dai fatti descritti sia dalle aggiunte introdotte – come ritenne il medesimo Benedetto – dal monaco Pietro Mayna nell’altra e più antica cronaca, di cui è principale autore appunto Stefano di Crivolo.
Secondo la Chronica di Benedetto di Costaforte fu nel 1435 che Stefano di Crivolo entrò nell’ente di Pesio in seguito all’opera di rafforzamento, anche numerico, della comunità monastica (che secondo la disciplina certosina non poteva superare le dodici unità) intrapresa da Emanuele Lascaris, energico priore proveniente dalla famiglia dei conti di Ventimiglia e Tenda (località poste al di là dello spartiacque delle Alpi Marittime, ma non lontane da Pesio).
Fu una scelta esistenziale compiuta in età adulta, come richiedeva l’ingresso in un Ordine religioso – con origini nel Massiccio Centrale francese, dove sorgeva la Grande-Chartreuse – che nelle Consuetudines redatte all’inizio del secolo XII rielaborò una delle regole monastiche più antiche e severe, quella del Padre del deserto Pacomio. I certosini diedero infatti un’interpretazione letterale della vita eremitica, che si tradusse innanzitutto in un isolamento quotidiano di ciascun monaco nella sua cella.
Nell’opzione per la certosa di Pesio, la prima fondata in Italia da un Ordine monastico che seppe calibrare la propria espansione, Stefano ne riconobbe il prestigio e l’ostinata fedeltà all’eremitismo – situata com’era al fondo di una valle e a distanza adeguata dal villaggio di Chiusa – a differenza delle certose che dalla seconda metà del Trecento cominciarono a essere istituite o trasferite nei pressi delle città (Guglielmotti, 1999; Ead., 2001a). Oltretutto, il nuovo monaco fu reclutato nel lontano Piemonte settentrionale: Benedetto di Costaforte lo ricorda come «de Crivolo, aliter Crivoleus, de Burgo de Ales, sive Vercellensis» (Additiones recentiores incerti scriptoris in Chronica Stephani de Crivolo, in B. Caranti, La certosa di Pesio, 1900, p. 288).
Nel ricordare le mansioni principali, che talora si accavallarono, di Stefano di Crivolo le due cronache restituiscono il profilo di un religioso autorevole, dinamico e accorto politicamente. Dal 1458 al 1465 egli fu infatti a capo della certosa, ricoprendo il quarantanovesimo mandato secondo la cronotassi priorale. A lui si dovette, appena assunta la carica, l’acquisto di un edificio «ad Portam Vaschi» (p. 289) della vicina città di Mondovì, cui seguì nel 1460 una donazione, forse da lui sollecitata, di ulteriori cospicui beni, tra cui un’altra casa nel medesimo luogo, da parte di un nobilis poi oblato della comunità monastica.
Tale disponibilità immobiliare in una città abbastanza distante dalla valle Pesio, dove le contestazioni da parte della comunità di Chiusa erano ricorrenti, costituì una scelta lungimirante, come tra breve si dirà. Proprio nell’ultimo anno del suo priorato, inviati dell’Ordine certosino proibirono a chiunque della casa di Pesio di proseguire l’uso di una fucina, lasciando intuire tensioni di incerta natura.
Dopo il 1465 Stefano di Crivolo fu procurator della casa di Pesio a Roma; dal 1465 al 1471 agì nel medesimo ruolo per la certosa romana di S. Croce, mentre dal 1465 (o 1470) al 1476 fu a capo della certosa di S. Maria di Casotto, che era stata fondata parimenti nelle Alpi Marittime pochi anni dopo quella di Pesio (Comba, 1997). Nel 1478 operò ancora quale procuratore dell’ente di Pesio e ne fu vicario nel 1480, quando la comunità monastica dovette abbandonare la propria sede trasferendosi per qualche anno proprio «ad Portam Vaschi» di Mondovì.
Quanto alle cariche ricoperte da Stefano da Crivolo, in una delle interpolazioni riconoscibili nella cronaca da lui scritta si legge dell’attività di visitatore della certosa di Pavia – che manteneva con i duchi di Milano rapporti strettissimi –, con il ruolo cioè di verificare l’osservanza della disciplina monastica e una retta amministrazione; Benedetto di Costaforte data questo incarico agli anni 1460-63, aggiungendo che il priore di Pesio visitò la Provincia Lombardiae dell’Ordine certosino insieme con il suo omologo di Casotto.
Mentre nulla si può dire riguardo a una eventuale frequentazione giovanile dello studium di Vercelli, il più vicino al suo luogo di origine, la variegata esperienza acquisita e un vivo sentimento di appartenenza furono alla base della decisione di Stefano di Crivolo di ripercorrere la vicenda dell’ente di Pesio. Egli avviò la sua redazione dopo gli anni Settanta del XV secolo coprendo il tratto dalle origini dell’ente fino al 1435 (altri la proseguirono). La decisione maturò dopo un episodio di gravissimo turbamento delle proprietà della certosa.
La scelta di procedere a una narrazione storica non era frequente in seno a quell’Ordine monastico; dopo la cronaca della certosa del Montello, nel Trevigiano, scritta agli inizi del Quattrocento, quella cui mise mano Stefano di Crivolo risulta la più antica delle poche pervenute per l’ambito italiano.
L’indicazione dell’età al momento della morte non è sicura e rappresentò forse un’esagerazione: ma essa era funzionale a rendere Stefano testimone diretto, e perciò particolarmente attendibile, di un lungo tratto di quella vicenda, tanto più che – come riferisce il cronista seicentesco senza rilevare contraddizione con l’aurea regola del silenzio certosino – non appena entrò nella comunità monastica il nuovo professo avrebbe acquisito informazioni sulla storia della casa di Pesio da un vecchissimo membro della comunità.
Il manoscritto cartaceo che tramanda copia della cronaca di cui è autore prevalente Stefano di Crivolo (46 cc. per la parte da lui certamente stesa) ha conosciuto solo una datata trascrizione (B. Caranti, La certosa di Pesio, cit.), così come il perduto manoscritto della cronaca seicentesca. Esso non è ancora stato oggetto di un’edizione critica, attenta in particolare a individuare le redazioni sottostanti. Il testo non sempre segue una cronologia ordinata.
L’incertezza relativa all’entità degli interventi attuati sul testo di Stefano di Crivolo rende vana un’analisi lessicale (a chi si deve la metafora organicistica di «membra» per le proprietà certosine che ne esalta la naturale appartenenza all’ente di Pesio?): e a maggior ragione se si considera che in ambiente monastico si ricorreva a un linguaggio abbastanza standardizzato. Le prime parole – «Chronica bonorum immobilium monasterii Beate Marie Valiis Pisii» – del breve testo apposto da mano anonima prima dell’incipit di Stefano di Crivolo descrivono perfettamente la priorità tematica dell’opera. La cronaca infatti fornisce anche copia di molti documenti attinti dai registri monastici e rivolti ad attestare la proprietà dei beni oggetto di violente contestazioni da parte prima di vicine comunità di villaggio e poi di un potente locale. Il cronista diede maggiore spazio alle usurpazioni più recenti, come quella della grangia di Torre dei Valdieri, che fu acquistata onerosamente nel 1435 dal priore Emanuele Lascaris e di cui si impadronì il perfido Giorgino del Pozzo, che nei tardi anni Settanta stava tentando di costruire un piccolo dominio. Ma anche l’affermazione di una notevolissima, e quasi inverosimile, precocità delle costruzioni monastiche (certosa, casa dei conversi, grange) risultava funzionale a tutelare la donazione ai certosini del tratto terminale della valle Pesio effettuata nel 1173. Completo è invece il disinteresse per gli aspetti della vita certosina che esulavano dalle questioni proprietarie. Il testo si propose perciò quale strumento utile per reagire alle violenze quando si ricorreva alle autorità civili e religiose. E nel 1482 la Grande-Chartreuse ripristinò tutti i diritti contestati della casa di Pesio.
Stefano di Crivolo morì, come si è ricordato, nel 1494.
Fonti e Bibl.: Cronica Stephani de Crivolo Prioris Cartusie, ann. MCCCCXXXV; Additiones incerti scriptoris in Chronica Stephani de Crivolo ab ann. MCCCCLXVII ad ann. MCCCCLXXXVII; Additiones recentiores incerti scriptoris in Chronica Stephani de Crivolo ab ann. MCCCCLXXXII ad ann. MDCL: tutte edite in Chronica D. Benedicti a Costaforti ann. MDCLXXVII cum additionibus usque ad MDCCLXXXXIX, in B. Caranti, La certosa di Pesio. Storia illustrata e documentata, II, Cronache, Torino 1900, rispettivamente alle pp. 7-55, 57-62, 63-93, 95-492 (in partic. pp. 82, 99, 105, 285, 288-295).
P. Guglielmotti, Gli esordi della certosa di Pesio (1173-1250): un modello di attività monastica medievale, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, LXXXIV (1986), pp. 5-44; R. Comba, La prima irradiazione certosina in Italia (fine XI secolo - inizi XIV), in La Certosa di Pavia tra devozione e prestigio dinastico: fondazione, patrimonio, produzione culturale, in Annali di storia pavese, XXV (1997), pp. 17-36; P. Guglielmotti, Certosini in Piemonte: una innovazione circoscritta, in Il monachesimo italiano nell’età comunale (1088-1250), a cura di F. Trolese, Cesena 1999, pp. 139-161; Ead., I certosini, in Dove va la storiografia monastica in Europa? Temi e metodi di ricerca per lo studio della vita monastica e regolare in età medievale alla soglie del terzo millennio, a cura di G. Andenna, Milano 2001a, pp. 365-378; Ead., La costruzione della memoria di S. Maria di Pesio: vicende proprietarie e coscienza certosina nella Chronica quattrocentesca del priore S. di C., in Bollettino storico-bibliografico subalpino, XCIX (2001b), 1, pp. 21-59.