DI CHIARA, Stefano
Nato a Palermo nel dicembre del 1752 da Giuseppe e da Antonia Clementi, in una modesta famiglia che non vantava tradizioni intellettuali, fu nondimeno dal padre indirizzato agli studi ed alla carriera ecclesiastica. La sua prima formazione culturale si compì nelle scuole dei gesuiti; ma più tardi, a seguito dell'espulsione della Compagnia di Gesù decretata dal governo borbonico nel 1767, visse un'esperienza culturale di tipo opposto, continuando la propria formazione in un ambiente fortemente avverso alle dottrine ed ai metodi delle scuole gesuitiche. Continuò infatti gli studi di teologia nel palermitano collegio "Massimo" sotto la direzione di Francesco Cari, il quale conduceva il proprio insegnamento con metodo antiscolastico ed antispeculativo, sulla base di principi ispirati alla tradizione storiografica più vicina al giansenismo.
Questa esperienza lasciò una prima importante traccia nella formazione culturale del D., il quale ne trasse una non dissimulata simpatia per le dottrine del giansenismo e la tendenza verso uno studio essenzialmente storico della teologia e del diritto canonico. Questa tendenza fu confermata dagli studi condotti nell'Accademia palermitana e conclusi nel 1782 col conseguimento della laurea in filosofia e teologia, dopo avere, fra gli altri, seguito i corsi di diritto canonico di Gaetano Barbaraci, che si avvaleva per le sue lezioni delle Institutiones iuris canonici dell'anticurialista e giurisdizionalista Domenico Cavallari.
Dopo l'ordinazione sacerdotale aveva cercato, ma senza successo, di procurarsi un beneficio ecclesiastico; nel 1790 ottenne dall'arcivescovo di Palermo il conferimento dell'ufficio di precettore di teologia morale nel seminario arcivescovile; solo nel 1804, per designazione governativa, venne chiamato a far parte del capitolo cattedrale di Palermo, investito di un beneficio di regio patronato che attribuiva il diritto di sedere in Parlamento.
Frattanto aveva avuto modo di incontrare personaggi e di vivere esperienze che si rivelarono determinanti al fine di svelare la sua personalità di studioso e di indirizzare la sua vocazione verso la ricerca storico-giuridica e l'insegnamento, a lui più congeniali che non la carriera ecclesiastica. Prima ancora di aver conseguito il titolo dottorale, il D. venne infatti scelto dal giudice di Monarchia mons. Alfonso Airoldi quale consultore del tribunale di Regia Monarchia, l'organo più importante della Legazia apostolica di Sicilia, venendo così in dimestichezza anche con Rosario Gregorio, contemporaneamente nominato consultore dello stesso tribunale e poco più tardi professore di diritto pubblico siciliano nell'Accademia palermitana.
I contatti avuti col Gregorio e soprattutto con l'Airoldi indussero il D. ad approfondire gli studi di diritto canonico e di diritto ecclesiastico siculo: oltre alla laurea in filosofia e teologia presso l'Accademia palermitana, egli conseguì infatti - in data non precisata dai biografi ma come risulta da un documento epigrafico (G. Di Marzo Ferro, Cenni sulla vita..., p. XXIX) - anche la laurea in utroque iure; alle sollecitazioni dell'Airoldi deve in particolare collegarsi l'avvio dell'attività pubblicistica del D., iniziata con la pubblicazione della memoria Preminenze dellaCorona sopra la chiesa di S. Maria di Troina (Napoli 1791), scritta in difesa del regio patronato su quella chiesa e chiaramente orientata in senso rigidamente giurisdizionalistico.
Per molti anni, quest'opera breve ma ricca di impegno storico-giuridico e di documentazione inedita, decisamente ispirata alla volontà di difendere i diritti del potere temporale, rimase l'unica pubblicazione dell'ormai maturo giurista, il quale nessun altro scritto aveva dato alle stampe quando, nel 1807, ottenne dal governo la nomina senza concorso a professore di diritto canonico nell'ateneo palermitano. Ma all'elaborazione di altre opere, effettuata sulla scorta di un'imponente messe di materiale documentario raccolta in lunghi anni di ricerche di archivio consentitegli dalle funzioni di consultore del tribunale di Regia Monarchia, aveva cominciato ad attendere già nel quindicennio precedente la nomina alla cattedra universitaria; esse furono però pubblicate assai più tardi e solo in parte, giacché molte rimasero manoscritte o addirittura in una stesura non definitiva.
Un primo nucleo dell'opera del D. è costituito da scritti non giuridici: opuscoli letterari, filosofici e teologici, quasi tutti inediti (Palermo, Biblioteca comunale, mss. Qq E 169 e Qq H 136: Opuscoli letterari, filosofici e teologici e Scritti vari di letteratura, diritto canonico e storia ecclesiastica di Sicilia) e ben pochi stampati in una raccolta postuma (Opuscoliediti, inediti e rari sul diritto pubblico ecclesiastico e sulla letteratura del Medio Evo in Sicilia, a cura di A. Gallo, Palermo 1855), i quali attendono ancora di essere studiati nel loro complesso e potrebbero proiettare molta luce sull'atteggiamento filogiansenistico palesato dal loro autore in una inedita relazione sulla religiosità in Sicilia (Palermo, Biblioteca comunale, ms. Qq H 135, n. 28: Risposta a molti quesiti che risguardano lo stato attuale della religione in Sicilia), ponendo anche in evidenza i presupposti teologici delle idee professate dal D. negli scritti canonistici.
Un rapporto più diretto con la sua attività di scrittore di diritto ecclesiastico siculo presenta l'opera di erudito raccoglitore ed illustratore di monumenta, svolta dal D. sia apprestando copiose raccolte di documenti attinenti alle prerogative regie in materia ecclesiastica (Ibid., ms. Qq H 130: Raccolta di documenti e notizie intorno alla Real Cappellania maggiore di Sicilia ... ed altre chiese regie dell'Isola; mss. Qq H 131 e 132: Scritture e documenti su diverse materie di diritto ecclesiastico di Sicilia; ms Qq H 133 e 134: Raccolta di diplomi, cedole reali, concessioni ed altri documenti), sia compilando ed illustrando raccolte di testi concernenti la storia ecclesiastica siciliana (Ibid., ms. Qq H 136 n. 4: Antiquitatum Christianarum Regni Siciliae libri tres); ma soprattutto tracciando l'evoluzione di peculiari istituti del diritto ecclesiastico siculo, esponendone lo svolgimento storico nel quadro delle vicende politiche dei contrasti fra Stato e Chiesa (Preminenze della Corona, cit.; De Capella RegisSiciliae libri tres, Panormi 1815; De regio sacrarum visitationum per Siciliam iure diatriba, ibid. 1816).
Questo lavorio di crudizione storico-giuridica fornì al D. lo stimolo a meditare sulle trascorse esperienze giuridiche anche in termini di attualità e contribuì a meglio motivare le sue idee circa la costituzione della Chiesa ed i rapporti di questa con lo Stato che si trovano enunciate sistematicamente nelle opere di indole più spiccatamente giuridica, pubblicate per la maggior parte solo dopo la nomina alla cattedra universitaria e dedicate all'organica esposizione del diritto ecclesiastico siculo.
L'occasione per la stesura della Memoria per la consacrazione dei vescovi di Sicilia (Palermo 1813) fu data dal fatto che la prigionia di Pio VII a Fontainebleau e la conseguente impossibilità per la Sicilia di comunicare col pontefice impedivano di ottenere l'autorizzazione pontificia alla consacrazione dei vescovi siciliani, i quali per antica disciplina erano di nomina regia.
Il D. sostenne essere legittimo in stato di necessità tornare alla disciplina, seguita dalla Chiesa durante il primo millennio, che prevedeva un'ampia autonomia delle Chiese locali rispetto alla S. Sede. Ma tale riferimento allo stato di necessità costituiva un pretesto per rendersi interprete delle tendenze anticurialiste siciliane e del programma giurisdizionalista di sottrarre il più possibile la Chiesa locale all'influenza di Roma per assoggettarla invece totalmente al controllo dello Stato. In quest'opera il D. espresse pure la propria simpatia per le dottrine dell'episcopalismo, anch'esse professate da alcune correnti del giurisdizionalismo; per le dottrine di ispirazione gallicana del particolarismo e del nazionalismo giuridico all'interno delle strutture ecclesiastiche fondamentali, che non erano del resto affatto estranee alla tradizione siciliana formatasi sulla base dell'antico istituto della Legazia apostolica; per alcuni aspetti delle dottrine del giansenismo, specialmente quelli riallacciantisi al conciliarismo, alla negazione del primato del romano pontefice come assoluto primato di giurisdizione ed alla riduzione di esso alla mera posizione di successore del primo cui Cristo conferì la dignità episcopale, comune peraltro a tutti gli apostoli e quindi ai vescovi loro successori.La pubblicazione della Memoria per la consacrazione dei vescovi di Sicilia procurò al D. le lodi di uno degli ultimi grandi giansenisti francesi, Henri Grégoire, e più tardi anche di un altro noto giansenista, mons. Giuseppe Capecelatro; ma gli valse pure una pronta e netta accusa di eterodossia. Nel 1814 veniva infatti pubblicato uno scritto anonimo (Lettera amichevole ad un chierico studente di canonica in risposta ad alcuni suoi dubbi natigli con l'occasione della lettura della Memoria per la consacrazione de' vescovi di Sicilia del canonico S. D., Palermo 1814), in cui senza mezzi termini gli si rimproverava di avere ripreso dottrine professate nelle loro opere da Giustino Febronio, da Z. B. Van Espen, da A. Pereira de Figueiredo e da P. Tamburini, di avere accolto tesi sostenute dalla Chiesa di Utrecht. Nel 1815, poi, sopravvenne la condanna formale da parte della S. Sede; ed il D. si piegò ad essa, ritrattando davanti all'autorità ecclesiastica. Questa vicenda non modificò tuttavia le sue convinzioni regalistiche e anticurialistiche, non incise sul suo atteggiamento di decisa difesa delle prerogative regie in materia ecclesiastica: egli partecipò infatti ad alcuni momenti salienti della continua lotta, condotta dal governo borbonico pur dopo il concordato del 1818, per limitare l'ingerenza della S. Sede nella vita della Chiesa locale e, in genere, dello Stato.
È chiaramente indicativo del permanere di questo atteggiamento il fatto che il D., dopo la stipulazione del concordato, tornò sull'antica questione della Legazia apostolica, compilando dietro incarico governativo la breve memoria Per la Monarchia di Sicilia (edita poi in Opuscoli..., pp. 211 ss.), intesa a ribadire l'impossibilità in forza dell'antico privilegio di "ammettere e riconoscere in Sicilia altro ordinario e perpetuo legato della chiesa romana, fuorché l'istesso sovrano", contro i tentativi effettuati dalla S. Sede a partire dal 1825 di estendere gradualmente la competenza della nunziatura apostolica di Napoli agli affari dell'isola.
Il D. fu socio dell'Accademia palermitana di scienze, lettere ed arti, alla vita culturale della quale partecipò attivamente pronunciandovi diversi discorsi accademici, rimasti quasi tutti inediti e riguardanti generalmente - in relazione alla classe accademica in cui il D. era stato accolto per la sua posizione di professore nell'ateneo palermitano - temi di diritto canonico (ad e s., l'edito Discorso sulla origine del diritto canonico-siculo, in Opuscoli..., pp. 283 s.).
All'insegnamento universitario vanno poi specificamente collegate alcune opere del D., esplicitamente destinate alla scuola o ispirate alla classica tradizione degli studi canonistici fioriti negli Studia medievali: un'agile trattazione dei diversi istituti del diritto ecclesiastico siculo, più volte edita, che costituisce il maturo frutto di una lunga attività di docente (Adnotationes ex iure ecclesiastico siculo depromptae, in F. Rossi, Iuris ecclesiastici praelectiones, Panormi 1827; poi in volume a parte col titolo Adnotationes ad rem canonicam e Siculo iure depromptae, Panormi 1832; e infine col titolo Exercitationes ad rem canonicam..., in Opuscoli…, pp. 51 ss.), una inedita trattazione generale di diritto canonico, che rispecchia nella sistematica le tradizionali compilazioni dei decretalisti (Iuscanonicum, in Palermo, Bibl. nazionale, ms. V F 8). L'ultima fatica cui attese fu infine la composizione di una memoria sul Diritto pubblico ecclesiastico di Sicilia, elaborata su richiesta governativa e pubblicata a Palermo nel 1836, l'anno in cui concluse, dopo quasi un trentennio, l'insegnamento universitario.
Negli scritti di diritto ecclesiastico siculo si palesa maggiormente la caratteristica impostazione metodologica delle ricerche del D., giacché in essi posto preminente se non esclusivo è dato ad una accurata ricostruzione dello svolgimento storico delle istituzioni ecclesiastiche siciliane piuttosto che all'enunciazione ed all'elaborazione dommatica dei concetti giuridici. Nondimeno, un'attenta, analisi di questi scritti, volta a cogliere le enunciazioni di principio che affiorano dalla trattazione storica, consente altresì di individuare le linee direttive della visione di questo canonista in tema di relazioni fra potestà civile e potestà ecclesiastica: il non voler legare troppo strettamente le prerogative regie siciliane in materia ecclesiastica al privilegio della Legazia apostolica, pur da lui difeso con decisione, e lo scorgere anzi in esse la particolare attuazione di una disciplina che, se in Sicilia prendeva corpo negli istituti gravitanti attorno all'antico privilegio, costituiva però il riflesso di un principio più generale; la conseguente affermazione dei principi classici del giurisdizionalismo comune agli Stati moderni, in termini di superamento della mera tradizione locale nella visione europea del conflitto fra Stato e Chiesa. Rispetto alla tematica tradizionale del regalismo siciliano, il D. svolse dunque un'opera certo feconda di ammodernamento e di arricchimento culturale, facendo confluire in essa diverse correnti di pensiero europee, dal gallicanismo al giansenismo, all'episcopalismo.
D'altro canto, il saldo legame col mondo culturale settecentesco segna anche i limiti dell'opera del D.: nella sua lunga vita, invero, egli poté assistere ad alcuni significativi eventi della storia siciliana, come l'esperienza costituzionale del 1812-1815e la rivoluzione del 1820-21; ma essi non lasciarono alcuna traccia apprezzabile nella sua opera di giurista e di storico, nella sua personalità di studioso completamente immerso nel mondo del XVIII secolo nel quale aveva compiuto la propria formazione intellettuale.
Negli ultimi anni il D., pur continuando l'insegnamento universitario, fu costretto dalle cattive condizioni di salute a limitare la propria attività di scrittore. Morì a Palermo, poco dopo aver lasciato l'insegnamento, il 21 genn. 1837 e fu sepolto nella chiesa dell'orfanotrofio di Ardizzone.
I manoscritti autografi della maggior parte delle opere, sia edite sia inedite, e delle sue raccolte di materiale documentario sono conservati nella Bibl. comunale di Palermo, ai segni Qq E 169; Qq H 130-136. Tutti i codici indicati sono descritti da G. Rossi, I manoscritti della Biblioteca comunale di Palermo, I, Palermo 1873, pp. 209 ss.; e da G. Di Marzo, I manoscritti della Biblioteca comunale di Palermo, I, 2, Palermo 1894, pp. 231 ss. Di alcuni di questi scritti una copia non autografa è posseduta dalla Bibl. nazionale di Palermo: XII F 5 (Opere inedite), la quale possiede anche una inedita trattazione generale di diritto canonico: V F 8 (Ius canonicum). Alle opere edite ricordate nel corpo della biografia occorre aggiungere: Discorso istorico-critico sopra le chiese maggiori e cattedrali a Dio in questa città erette e dedicate fin dai primi tempi del Cristianesimo, Palermo 1825; Ragioni per non abolirsi la Cappellania maggiore di Sicilia in onta all'unificazione dei due Regni avvenuta nel 1816, ibid. 1861 (ediz. post. a cura di G. Di Marzo Ferro).
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