STEFANO di Antonio di Vanni
Nato nel 1405, come si desume dalle dichiarazioni al Catasto fiorentino, quartiere di S. Spirito, gonfalone del Drago, Stefano d’Antonio di Vanni di Guidone era figlio del legnaiolo Antonio di Giovanni e di Jacopa (Jacobsen, 2001; per i documenti si rimanda inoltre a Padoa Rizzo-Frosinini, 1984, e a Cohn, 1959). Non ha trovato finora riscontro l’ipotesi che Stefano fosse nativo di Cigoli (Colnaghi, 1928; Padoa Rizzo, 1990), località nei pressi di San Miniato al Tedesco (Pisa), dove il pittore lavorò ripetutamente e dove entro il 1451 acquistò varie proprietà. Ebbe una moglie di nome Margherita e almeno dieci figli. La formazione e l’attività giovanile di Stefano di Antonio di Vanni si svolsero accanto al pittore fiorentino Bicci di Lorenzo, di cui fu prima garzone, nel 1420-21, e poi socio in compagnia, dal 1426 al 1434. L’inclinazione culturale di Bicci, esponente della corrente più conservatrice e arcaizzante della pittura fiorentina dei primi decenni del Quattrocento, permeò anche il linguaggio formale di Stefano d’Antonio, pittore di modesta levatura, il cui linguaggio artistico, appena sfiorato dalle novità rinascimentali, trova punti di contatto con maestri coevi quali Mariotto di Cristofano e Andrea di Giusto.
La compagnia con Bicci di Lorenzo incluse fino al 1431 anche il pittore Bonaiuto di Giovanni, che s’iscrisse all’Arte dei medici e speziali contemporaneamente a Stefano, il 31 marzo 1429. La divisione dei compensi fra i tre maestri attesta il ruolo predominante mantenuto da Bicci, sebbene, dopo l’uscita di Bonaiuto, Stefano raggiungesse una posizione quasi paritetica, percependo la quota del 42% dei guadagni contro il 58% di Bicci. Quasi niente rimane oggi delle numerose commissioni ricevute dalla compagnia, e menzionate nelle portate catastali di Stefano e Bicci del 1431 e 1433, fra le quali figuravano le decorazioni parietali della cappella Martini nella chiesa di S. Marco a Firenze e della cappella Compagni nella basilica di S. Trìnita. Della commissione Compagni rimangono un frammento degli affreschi con storie di s. Giovanni Gualberto (Frosinini 1984a) e la pala d’altare già datata 1434 e conservata oggi nell’Abbazia di Westminster a Londra, raffigurante la Madonna in trono e i ss. Giovanni Gualberto, Antonio abate, Giovanni Battista e Caterina (Frosinini, 1984b; per la predella: Padoa Rizzo - Frosinini, 1984), lavori nei quali la mano di Bicci appare preponderante.
Entro il gennaio 1434 Bicci e Stefano ultimarono la pala per l’altar maggiore della chiesa del monastero di S. Niccolò in Cafaggio a Firenze, raffigurante la Madonna in trono e i ss. Benedetto, Nicola, Giovanni Battista e Matteo con storie di s. Nicola nella predella, oggi divisa fra Parma, Pinacoteca nazionale; Grottaferrata, Museo dell’Abbazia; New York, Metropolitan Museum of art; Oxford, Ashmolean Museum; Cracovia, Castello Reale di Wavel; La Spezia, Museo Amedeo Lia; e alcune collezioni private (per una sintesi si veda Chiodo, 2000). Il polittico, ispirato alla pala d’altare eseguita un decennio avanti da Gentile da Fabriano per la cappella Quaratesi nella chiesa di S. Niccolò a Firenze, offrì lo spunto a Werner Cohn (1959) per avviare la ricostruzione della fisionomia artistica di Stefano, riconoscendo nei santi di Grottaferrata e in alcuni scomparti della predella le stesse caratteristiche formali dei personaggi dell’Ultima cena affrescata a monocromo nel refettorio dell’ospedale di S. Matteo a Firenze (ora Accademia di belle arti), al quale Stefano lavorava nel 1465-66. In seguito Federico Zeri e soprattutto Anna Padoa Rizzo e Cecilia Frosinini hanno esteso la ricerca ad altre opere afferenti al corpus di Bicci di Lorenzo, proponendo di individuare la mano del collaboratore in parti secondarie di pale d’altare e affreschi. Il ruolo prevalente mantenuto da Bicci nelle commissioni della compagnia e la formazione di stretta osservanza biccesca del giovane Stefano rendono tuttavia l’impresa alquanto problematica. Le opinioni sembrano convergere nel riferire a Stefano il gradino con storie della Vergine sottostante all’Annunciazione a Baltimora, Walters Art Gallery (Zeri, 1976), il gradino con storie di s. Lorenzo nella tavola eponima alla Galleria dell’Accademia a Firenze (Frosinini, 1990), la predella nella chiesa di S. Margherita de’ Ricci a Firenze (Frosinini - Padoa Rizzo, 1984), quella con storie di s. Antonio di Padova divisa fra la Pinacoteca Vaticana e Cleveland, Museum of art (Chiodo, 2000), le storie cristologiche divise fra la ex collezione Artaud de Montor, Yale Art Gallery a New Haven, e forse Washington, Smithsonian American art Museum (Staderini, 2004), opere accomunate «dalla condotta delicata ma corsiva» (ivi, p. 264). In questi dipinti di piccolo formato, seppure improntati allo stile del gotico internazionale, il pittore tende ad ambientare le storie entro ampi scenari naturali articolati in profondità, alla ricerca di una spazialità più razionale anche nel rapporto di dimensioni fra figure e architetture.
Recava la data 1428 l’affresco con S. Antonio abate in trono fra i ss. Giovanni Battista e Ignazio d’Antiochia nella chiesa di S. Piero a Quaracchi, dove Stefano non sembra ignorare la plastica di Masaccio e la statuaria di Lorenzo Ghiberti (Parenti, 1994). Mostra invece il riflesso delle opere del Beato Angelico nella luminosità del modellato e nell’attenuazione dei ritmi lineari tardogotici il polittico con la Madonna e i ss. Evangelisti nella chiesa di S. Maria Assunta a Poggio di Loro (Loro Ciuffenna), databile, anche per qualche ripresa dal Tabernacolo dei Linaioli di Angelico, almeno alla metà del quarto decennio del secolo (Staderini, 2004).
Nelle portate catastali del 1439 e del 1443, successive allo scioglimento della compagnia con Bicci, Stefano non denunciava rapporti d’affari e dichiarava di non avere bottega. Il pittore sembrava dedicarsi soprattutto alla pittura murale: nel 1441 era a Volterra, dove restaurò l’affresco con l’Annunciazione nel Palazzo dei Priori, oltre a essere pagato «pro pictura sferae horologii» (Battistini, 1920, p. 25); nello stesso periodo eseguì pitture presso la Porta del Martello nella basilica di S. Croce a Firenze per Tommaso Spinelli (1441; Milanesi, 1878); nel 1442-43 lavorò per la locale compagnia di S. Frediano, di cui era membro dal 1424; nel 1451 dipinse un tabernacolo per l’Opera del duomo in località Montici sulle pendici di Firenze: tutte opere perdute. Rimangono invece la decorazione del tabernacolo della Madonna detta Madre dei Bimbi nella pieve di S. Giovanni Battista a Cigoli (Padoa Rizzo, 1990) e la Madonna col Bambino in trono e angeli nella Pinacoteca di Volterra, frammento della pala d’altare eseguita entro il 1457 per la chiesa di S. Michele a Volterra (Battistini, 1920; Paolucci, 1989). A distanza di molti anni, l’immagine mariana mantiene i caratteri delle figure assorte e fragili derivate dai modelli di Bicci di Lorenzo, come pure l’arcaizzante fondo oro, impiegato da Stefano anche nell’affresco con S. Ansano all’altare Bonaiuti nella chiesa della SS. Annunziata a Firenze (De Marchi, 2013). A Volterra Stefano lavorò ripetutamente, come attesta la decorazione del tabernacolo viario con la Madonna col bambino, angeli e santi ora inglobato nell’oratorio della Visitazione (Padoa Rizzo - Frosinini, 1984). Un documento nel 1464 ne testimonia la presenza anche a Pisa.
A Firenze allacciò rapporti d’affari con Neri di Bicci, documentati nel 1462, e fra il 1465 e il 1472 fu attivo assiduamente nell’ospedale di S. Matteo, ente dal quale ebbe anche in affitto una casa dal 1467 al 1470 (Diana, 1999). Dei molti lavori effettuati per l’istituto di beneficenza, fra cui nel 1472 la coloritura del monumento sepolcrale del fondatore dell’ospedale Lemmo Balducci scolpito da Francesco Ferrucci, rimane l’affresco a monocromo in terra verde con l’Ultima cena e gli spedalinghi nel refettorio, opera documentata del 1465-66, dove solo alcuni elementi di arredo e di costume denunciano la data avanzata di esecuzione. Sulla base di questo affresco sono stati riferiti a Stefano anche i Cenacoli a monocromo delle chiese di S. Andrea a Cercina (Sesto Fiorentino), S. Cristofano a Novoli (Cohn, 1959) e S. Maria a Campi Bisenzio (Padoa Rizzo - Frosinini, 1984), opere che tuttavia solo superficialmente presentano affinità con i modi del maestro (Tronconi, 2011; Procacci, 1960).
L’attività estrema è rappresentata dalla decorazione già nell’oratorio di patronato Alessandri a Casteldipoggio presso Fiesole, edificato dopo il 1469, di cui rimangono i frammenti di una Madonna in trono e l’Annunciazione (Padoa Rizzo - Frosinini, 1984). Nel 1473 Stefano figura fra gli iscritti alla confraternita fiorentina dei pittori intitolata a S. Luca. Nel 1480 fu pagato per alcuni affreschi in un chiostro della SS. Annunziata, identificati con le scene della vita di s. Agostino, mal conservate e frammentarie, nel secondo chiostro del convento (Casalini, 1959; 1961). I caratteri stilistici di Stefano di Antonio sono assai poco evidenti, tanto da far supporre l’intervento massiccio di collaboratori accanto all’anziano maestro (Padoa Rizzo - Frosinini, 1984) o addirittura da far negare il collegamento di queste pitture con la commissione a Stefano (De Marchi, 2013).
Il pittore morì il 19 maggio 1483 e venne sepolto nella chiesa di S. Pier Gattolini a Firenze.
Rimane insoluta la questione se siano da riferirsi a Stefano d’Antonio di Vanni i documenti del 1445 e 1461 che ricordano un miniatore di nome Stefano d’Antonio (Padoa Rizzo - Frosinini, 1984).
G. Milanesi, in G. Vasari, Le opere…, a cura di Id., II, Firenze 1878, p. 57 nota 1; M. Battistini, S. d’Antonio di V. da Firenze dipinge nella chiesa di S. Michele a Volterra, in L’Arte, XXIII (1920), pp. 24-26; D.E. Colnaghi, A dictionary of Florentine painters from the 13th to the 17th centuries, London 1928, pp. 257 s.; S. di A. di V., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXXI, Leipzig 1937, pp. 525 s.; W. Cohn, Maestri sconosciuti del Quattrocento fiorentino: S. d’Antonio di V., in Bollettino d’arte, XLIV (1959), pp. 61-68; E.M. Casalini, Maestro Stefano d’Antonio dipintore e il secondo chiostro della SS. Annunziata di Firenze, in Studi storici dell’Ordine dei Servi di Maria, IX (1959), 3-4, pp. 109-120; U. Procacci, Sinopie e affreschi, Firenze 1960, pp. 62, 234; E.M. Casalini, Note d’arte alla Santissima Annunziata, in Studi storici dell’Ordine dei Servi di Maria, XI (1961), 1-4, pp. 3-8; B.B. Fredericksen - F. Zeri, Census of pre-nineteenth century Italian paintings in North American public collections, Cambridge 1972, p. 192; F. Zeri, Italian Paintings in the Walters Art Gallery, Baltimore 1976, pp. 32-35; A. Padoa Rizzo - C. Frosinini, S. d’Antonio di V. (1405-1483): opere e documenti, in Antichità viva, XXIII (1984), 4-5, pp. 5-33; C. Frosinini, Un contributo alla conoscenza del tardogotico fiorentino: Bonaiuto di Giovanni, in Rivista d’arte, XXXVII (1984a), pp. 107-131; Ead., Il trittico Compagni, in Scritti in onore di Roberto Salvini, Firenze 1984b, pp. 227-231; Santa Maria Pimerana, chiesa del popolo fiesolano: le opere d’arte, a cura di M.G. Ciardi Duprè Dal Poggetto - C. Filippini, Fiesole 1988, pp. 82 s.; C. Frosinini, A proposito del San Lorenzo di Bicci di Lorenzo alla Galleria dell’Accademia, in Antichità viva, XXIX (1990), 1, pp. 5-7; A. Padoa Rizzo, Stefano d’Antonio di Vanni a Cigoli, in Bollettino della Accademia degli Euteleti della città di San Miniato, LXXI (1990), 57, pp. 75-93; A. Paolucci, La Pinacoteca di Volterra, Firenze 1989, pp. 114-117; C. Frosinini, S. d’Antonio di V. a Empoli, in Antichità viva, XXXI (1992), pp. 23-28; L. Meoni, San Felice in Piazza a Firenze, Firenze 1993, pp. 58-61; M. Scudieri, Il Museo Bandini a Fiesole, Firenze 1993, pp. 29 s.; D. Parenti, Un’opera giovanile di S. d’Antonio di V., in Paragone. Arte, LXV (1994), 529-533, pp. 23-28; La tradizione fiorentina dei Cenacoli, a cura di C. Acidini Luchinat, R. Caterina Proto Pisani, Antella 1997, pp. 123-126; E. Diana, San Matteo e San Giovanni di Dio: due ospedali nella storia fiorentina, Firenze 1999, pp. 52 nota 83, 62; S. Chiodo, Osservazioni su due polittici di Bicci di Lorenzo, in Arte cristiana, LXXXVIII (2000), pp. 269-280; W. Jacobsen, Die Maler von Florenz su Beginn der Renaissance, München 2001, pp. 130, 243-246, 631 s.; N.A. Eckstein, The district of the Green Dragon: neighbourhood life and social change in Renaissance Florence, Firenze 1995, pp. 41-60; U. Bavoni, L’oratorio della Visitazione presso Volterra: leggenda, storia fede, in Rassegna volterrana, LXXVI (1999), pp. 97-132; P. Jacks - P. Caferro, The Spinelli of Florence: fortunes of a Renaissance merchant family, University Park, PA, 2001, pp. 150-157; L. Pisani, Pittura tardogotica a Firenze negli anni trenta del Quattrocento: il caso dello Pseudo-Ambrogio di Bladese, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XLV (2001), pp. 1-36, in part. p. 36 nota 69; I. Tronconi, Pittura a Campi Bisenzio nei secoli XIV e XV, Firenze 2011, pp. 122 s., 161-165; A. Staderini, “Primitivi” fiorentini nella collezione Artaud de Montor, parte I: Lippo d’Andrea e Stefano d’Antonio, in Arte cristiana, XCII (2004), pp. 259-266; A. De Marchi, Pittori per il nuovo santuario nel cantiere di Michelozzo e Alberti, in La basilica della Santissima Annunziata dal Duecento al Cinquecento, Firenze 2013, pp. 153-174, in part. pp. 156 s.; D. Hiller, Gendered perceptions of Florentine Last Supper frescoes, c. 1350-1490, Farnham 2014, pp. 18-20, 115; D. Gordon, Bicci di Lorenzo’s altarpiece for the Compagni family chapel in Santa Trinita, Florence, in The Burlington Magazine, CLXI (2019), pp. 36-43; Cataloghi della Galleria dell’Accademia di Firenze. Dipinti, III, Il Tardogotico, a cura di C. Hollberg - A. Tartuferi - D. Parenti, con la collab. di A Chiostrini, Firenze 2020, pp. 46-49.