ANGELI, Stefano degli
Nacque a Venezia il 23 sett. 1623 e intraprese presto la carriera ecclesiastica vestendo l'abito dei gesuati, che mutò in quello di prete secolare, quando, nel 1668, l'Ordine dei gesuati fu soppresso. Nel 1644 gli fu affidato l'insegnamento di filosofia nel collegio dei novizi del suo Ordine a Ferrara e da qui, dopo qualche anno, fu trasferito a Bologna per ragioni di salute.
A Bologna seguì le lezioni del suo confratello Bonaventura Cavalieri e ne divenne presto coraboratore, supplendolo talvolta nell'insegnamento e coadiuvandolo nell'attiva corrispondenza scientifica. Venuto a morte il Cavalieri nel 1647, l'A. ottenne il rettorato d'una Casa di gesuati a Roma, dove si trasferì e dove rimase per cinque anni. Tornò quindi a Venezia con la carica di priore del suo convento e dal 1658 al 1661 con quella di definitore generale. A Venezia riprese i suoi studi di matematica e nel 1660, avendo già pubblicato cinque opere, pose la propria candidatura alla cattedra di matematica dello Studio di Padova, già occupata da G. Gaffici e alla quale aspiravano anche V. Viviani e G. A. Borelli. Ritirate queste due candidature per lo stipendio eccessivamente basso offerto dai Riformatori, l'A. fu posposto in un primo tempo ad A. Moretti e successivamente, venuto a morte il Moretti, senza neppure avere im'zlato, pare, le lezioni, nel gennaio 1662 fu preferito a C. Rinaldini e assunto alla cattedra, che mantenne sino alla morte, avvenuta l'11 ott. 1697.
La prima opera data alle stampe nel 1654 tratta De infinitis parabolis, cioè delle curve analiticamente rappresentate dall'equazione yn = bn-Ix. Ma l'A., in questa come in tutte le opere successive, prescinde dalla geometria analitica nel senso di R. Descartes e di P. Fermat e si propone invece di proseguire le ricerche di B. Cavalieri e di E. Torricelli, adoperando i metodi propri di questi scienziati, allo scopo di ricercare le proprietà delle curve allora note (parabole, iperboli, cicloidi, spirali di grado superiore), le loro aree e i volumi dei solidi in diverse maniere generati dalla rotazione dei loro segmenti. In tutte queste ricerche attenzione particolare è rivolta ai centri di gravità delle figure piane e solide, alcuni dei quali l'A. fu il primo a determinare. Nonostante i pregi d'inventiva, d'ordine e di chiarezza di tali lavori, essi destarono scarso interesse, perché i metodi adoperati dall'A. apparivano già da tempo superati ai geometri dell'epoca, ormai abituati ai metodi generali e più rigorosi dell'analisi. Tuttavia, i suoi contemporanei e gli storici posteriori lo ritennero uno dei più abili geometri italiani del suo tempo.
Forse lo stesso A. si accorse che i tempi erano mutati e che la geometria del Cavalieri non destava più interesse nei giovani matematici e nel 1667 troncò definitivamente la ricerca matematica. Da quest'anno, ancora per un quinquennio, i suoi interessi scientifici si rivolsero a problemi meccanici e fisici che presero avvio dalle seguenti particolari circostanze.
Nel 1667 comparve il De vi percussionis liber di Giovanni Alfonso Borelli, che confutava la pretesa dimostrazione fisico-matematica dell'immobilità della terra, avanzata da Giovan Battista Riccioli. Questi, nel suo Almagestum novum (Bononiae 1651, lib. IX, cap. 4), dopo aver convenuto sull'insufficienza delle ragioni addotte dai tolemaici contro il noto della terra, avanzò una propria obiezione che gli sembrava di tutta evidenza. Egli compone il moto di caduta di un corpo da un'alta torre con l'ipotetico moto di rotazione della terra, e conclude, per scarsa conoscenza delle leggi della nuova meccanica, che gli effetti d'urto su un piano orizzontale d'un corpo cadente avrebbero dovuto essere quasi indipendenti dall'altezza di caduta: la contraddizione di questo risultato con l'esperienza comune era la prova evidente, secondo il Riccioli, dell'immobilità della terra. Il Borelli ribatteva nell'opera citata che il ragionamento del Riccioli era errato, perché nel calcolo degli effetti d'urto egli non teneva conto della direzione della velocità del corpo cadente.
L'A. che, secondo il suo racconto (Terze considerationi, pp. 22-23), aveva già da tempo avviato sulla stessa questione una polemica epistolare con il Riccioli e stava stendendo le sue ragioni in due dialogli, ricevuto dallo stesso autore il De vi percussionis, si affrettò a completarli e li fece seguire, tra il 1667 e il 1669, da altri cinque, in polemica contro il Riccioli e contro il Borelli. I dialoghi, scritti a evidente imitazione dei dialoghi gaweiani, sono redatti in italiano e si fingono svolti tra un conte polacco Leszczyïsky, un certo Ofreddi anch'egli straniero e un matematico, che impersona lo stesso A., i cui scritti sono spesso richiamati. Più volte, nel corso dei dialoghi, il matematico dice di credere fermamente "la terra star quieta nel centro dell'Universo", ma di voler indagare, per pura esercitazione matematica, "che succederebbe quando questa si muovesse": è l'atteggiamento che, molto meno cautamente, credeva di aver assunto Galilei nei dialoghi dei Massimi Sistemi. I dialoghi dell'A., oltre al notevole pregio scientifico, sono documenti importanti per la storia della fortuna del sistema copernicano in Italia.
Nei primi due dialoghi su ricordati l'A. sostanzialmente sosteneva lo stesso punto di vista del Borelli, ma assegnava una diversa traiettoria al grave cadente e ne negava la deviazione verso oriente, ammessa dal Borelli. Questi replicò con una Risposta... alle considerazioni fatte sopra alcuni luoghi del suo libro della Forza della Percossa dal R.P.F.S. de gl'A. (Messina 1667), nella quale sviluppò quel suo primo accenno alla deviazione dei gravi, sostenendo che la verifica sperimentale era impossibile per la piccolezza dell'effetto. Seguì una replica dell'A. e una controreplica di un tale Diego Zerilli sotto il quale nome si crede si celi lo stesso Borelli: a questo opuscolo ribatté con due nuovi dialoghi l'A., il quale nella sostanza aveva torto, come, infatti, risultò dalla prima dimostrazione sperimentale della deviazione verso oriente dei gravi cadenti data (1791) da G. B. Guglielmini.
Anche il Riccioli rispose all'A., prima con un libretto redatto in italiano sotto il nome di Michele Manfredi e successivamente con un'ampia monografia latina scritta sotto il proprio nome (Apologia ... pro argumento physico-mathematico contra systema Copernicanum,Venetiis 1669): all'uno e all'altra l'A. ribatté con nuovi dialoghi.
Cessate le polemiche, l'A. scrisse nel 1671-72 altri cinque interessanti dialoghi sull'aerostatica e l'idrostatica, che contengono importanti osservazioni teoriche e sperimentali. Col 1672 cessò la sua attività pubblicistica. Dopo la sua morte andarono smarriti i suoi manoscritti, la sua corrispondenza scientifica coi maggiori scienziati italiani del tempo (B. Cavalieri, E. Torricelli, V. Viviani, M. Ricci, G. Montanari, P. Mengoli e altri) e le molte carte di B. Cavalieri da lui possedute.
Gli scritti dell'A. sono: De infinitis parabolis, Venetiis 1654; Problemata geometrica sexaginta, ibid. 1658; Miscellaneum hyperbolicum et parabolicum, ibid. 1659; Miscellaneum geometricum, ibid. 1660; De superficie ungulae, ibid. 1661; De infinitorum cochlearum mensuris, ac centris gravitatis, ibid. 1661; Accessionis ad stereometriam, et mecanicam pars prima,ibid. 1662; De infinitis parabolis liber quintus, ibid. 1663; De infinitis spiralibus inversis, ibid. 1667; Considerationi sopra la forza di alcune ragioni fisico-mattematiche addotte dal M.R.P. Gio. Battista Riccioli ... contro il Sistema Copernicano, espresse in due dialoghi, Venetia 1667; Seconde considerationi ... spiegate dal Signor Michiel Manfredi ... in due altri dialoghi III e IV, Padova 1668; Terze considerationi sopra una lettera del ... Signor Gio. Alfonso Borelli...,Venetia 1668; Quarte considerationi sopra la confermatione ... prodotta da Diego Zerilli ... e sopra l'apologia del M.R.P. Gio' Battista Riccioli ... in due dialoghi VI e VII, Padova 1669; Della gravità dell'aria ... Dialogi Primo e secondo, ibid. 1671, e Dialogi terzo, quarto e quinto, ibid. 1672. Dieci lettere dell'A., ad A. Magliabechi furono pubblicate da G. Targioni-Tozzetti in Clarorum Venetorum ad A. M. nonnullosque alios epistolae, II, Florentiae 1746, pp. 183-191; di altre diciannove lettere, conservate nei mss. del Cimento della Biblioteca nazionale di Firenze, dette notizie A. A. Michieli pubblicandone quattro a Leopoldo de, Medici.
Bibl: C. Patino, Lyceum Patavinum, Patavii 1682, pp. 40-44 (con ritr.); . C. Palpadopoli, Historia Gymnasii Patavini, I, Venetiis 1726, pp. 188, 381; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753, pp. 740-742; I. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, II,Patavii 1757, p. 323; J. E. Montucla, Histoire des Mathématiques, Paris1758, I, p. 537; II, p. 69; A. G. Kästner, Geschichte der Mathematik, III, Göttingen 1798, pp. 212 215; P. Magrini, Sulla vita e sulle opere del P. S. degli A., Roma 1866; M. Cantor, Vorlesungen über Geschichte der Mathematik, II, Leipzig 1892, pp. 820-821; P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, Modena 1893, I, coll. 33-36; IV, s. 6, col. 181; G. Favaro, Amici e corrispondenti di G. Galilei, in Atti d. Ist. veneto di scienze...., LXXII, 2 (1912-13), p. 46; I successori di Galileo nello studio di Padova, in Nuovo Arch. Veneto, n.s., XXXIII (1917), pp. 117-121; G. Loria, Storia delle matematiche, II, Torino 1931, pp. 417-418, 425, 429; A. A. Michieli, Un maestro di Iacopo Riccati, in Atti d. Ist. Veneto, CVII,2 (1948-49), pp. 73-81.