DE MARI (Mari), Stefano
Nacque a Genova il 20 maggio 1689, primogenito di Camillo di Stefano e di Livia di Ippolito Centurione.
Diversi membri della famiglia De Mari, di antichissima nobiltà, avevano ricoperto la carica di doge nel corso dell'ultimo secolo: per primo il nonno Stefano nel 1663 quando i De Mari avevano raggiunto l'apice del prestigio e del potere economico, grazie alla loro politica assentista e alla attività bancaria internazionale; poi gli zii Girolamo e Domenico Maria (rispettivamente nel 1699 e nel 1707) e infine il cugino Lorenzo nel 1744. La corretta individuazione del D. risulta problematica, dal momento che tutti i figli di Stefano, doge del '63, imposero al primogenito il nome del glorioso nonno: così abbiamo cinque cugini primi omonimi e contemporanei, oltre a due più lontani cugini. Il più anziano è lo Stefano figlio del doge Girolamo, nato il 18 luglio 1666 (fratello di Cesare e Giovanni Battista); seguono Stefano di Nicolò (nato nel 1675, fratello, tra gli altri, del futuro doge Lorenzo); Stefano Maria del doge Domenico Maria (nato il 22 dic. 1679, fratello di Francesco Agostino); Stefano di Francesco (nato il 29 luglio 1683, fratello del diplomatico Ippolito) e Giovanni Battista, commissario in Corsica nel 1736; infine appunto il De Mari.
Il padre del D., che aveva ricoperto la carica di gentiluomo a Napoli tra il 1684 e il 1685, ebbe numerosi figli, alcuni dalla stessa madre del D. (Giovanni Battista, nato nel 1690, Giuseppe Maria, poi sacerdote, nel 1691) e altri dalla seconda moglie, Maria Adorno di Filippo (Ignazio nel 1697, Ottavio nel 1700 e Francesco nel 1702): tutti furono ascritti col D. alla nobiltà il 14 dic. 1711. Se si considera che due dei cugini omonimi del D. svolsero attività politico-militare proprio negli stessi anni e sono il più delle volte citati senza patronimico, e che spesso altri membri della dinamica famiglia sono citati addirittura col solo cognome, preceduto dalla carica ricoperta, si comprende come sia problematica la corretta identificazione dei singoli: anche storici autorevoli come il Ciasca, cadendo nell'equivoco delle omonimie, hanno finito col confonderne le vicende. La fonte che consente di individuare con certezza nel D. lo Stefano De Mari commissario in Corsica nel 1745 è il Della Cella.
Circa l'identificazione e l'attività degli omonimi del D., lo Stefano di Girolamo fu più volte estratto senatore nel 174, 1723, 1726, 1729, ma non sembra personalità di particolare spicco politico; i due figli di Francesco e di Domenico Maria sono ancora più facilmente confondibili, perché entrambi operanti a Madrid negli anni '30 (e confusi in unica persona anche dal Ciasca). Invece è sicuramente figlio di Domenico Maria, perché citato col patronimico, lo Stefano residente a Madrid nel 1734 che ebbe influenti relazioni negli ambienti della marina spagnola, grazie ai quali avrebbe dovuto ottenere il rilascio di una tartana genovese catturata (come riferisce il segretario della Repubblica a Madrid, G. (1. Bustanzio, in lettera del 20 febbr. 1734), mentre è figlio di Francesco, perché è citato come fratello di Ippolito, il marchese Stefano residente a Madrid nel 1736, alloggiato nella abitazione del primo ministro spagnolo, di cui era intimo amico. Citato anche come generale De Mari, senza nome di battesimo, appare al servizio diretto del re di Spagna: sembra perciò non identificabile con sicurezza, ma la circostanza non è da escludere, con lo Stefano generale delle Armi che dirigeva nel 1746 la resistenza di Genova contro gli Austriaci. Quest'ultimo Stefano non può comunque essere il D., allora in Corsica.
Qui il D. era giunto come commissario generale nell'autunno 1745, in sostituzione di P. M. Giustiniani, e sarebbe stato a sua volta sostituito dal marchese Giangiacorno: Grimaldi nel 1751: bisogna tuttavia riconoscere che nelle vicende corse del 1746 non vi sono episodi in cui egli sia nominativamente citato. L'inizio del suo commissariato coincise con un momento di grande tensione della questione corsa, poiché l'isola, teatro di varie ribellioni nell'ultimo decennio e ancora inquieta dopo l'ultimo tentativo di re Teodoro del 1742, diventava importante pedina nel conflitto europeo per la successione d'Austria. Il primo attacco che il D. dovette subire proveniva da un'armata anglo-sabauda che bombardò Bastia per un giorno intero tra il 17 e il 18 nov. 1745.
Tale armata, che era costituita da una dozzina di navi, era stata staccata dalla flotta inglese che aveva bombardato, tra il luglio e il settembre, Savona, Genova, Finale e Sanremo; capitanata dal caposquadra inglese Cooper, era diretta dal nobile corso Domenico Rivarola, uno dei capi dei ribelli che il re di Sardegna aveva nominato colonnello.
All'intimazione di resa, seguita al bombardamento, il D., appena giunto come commissario con precisi ordini di durezza e inflessibilità, oppose uno sdegnoso rifiuto; ma poi, preso tra due fuochi (il bombardamento dal mare e gli attacchi da terra dei ribelli corsi capitanati dal Gaffori e dal Matra), preferì evacuare la piazza e trasportare a Calvi gli archivi e la sede del governo, lasciando solo un presidio militare nella cittadella di Bastia. Subito dopo però, i violenti contrasti scoppiati tra i capi corsi fecero il gioco del D.: i notabili di Bastia, mentre intimavano ai capi corsi di lasciare la città, gli inviavano messaggeri supplicandolo di ritornare. Il D. preferì non lasciare Calvi, ma inviò a Bastia Gianangelo Spinola al comando di un nuovo contingente militare. Nel corso del 1746 e fino all'estate del '47, i capi corsi, benché sempre in contrasto tra loro, si insediarono in altre roccaforti (13. Rivarola a San Fiorenzo; G. Gafforio, A. Matra e Venturini a Corte), mentre da Genova, drammaticamente impegnata dalla invasione austriaca in terraferma, non potevano arrivare al D. i necessari rinforzi. Tuttavia, rientrato in Bastia, il D. iniziò la repressione contro i cittadini che avevano parteggiato per i ribelli: inviati a Genova, contro le assicurazioni che precedentemente egli aveva dato in proposito, vi furono giustiziati. La storiografia di parte corsa sottolinea la doppiezza del D. in questa circostanza ed insinua che abbia anche tramato per ottenere da sicari, poi scoperti e condannati, la morte del Venturini.
Nel 1748, quando cominciarono ad arrivare i soccorsi della Repubblica e della alleata Francia, guidati dal colonnello marchese di Choiseul, il D., d'accordo con lui, arruolati 300 contadini corsi, guidò personalmente l'attacco a San Fiorenzo, dove era asserragliato il Rivarola. Ma tale attacco ebbe l'effetto di provocare la solidale reazione degli altri capi corsi, che attaccarono e resero inutilizzabili le trincee che il D. stava preparando. Egli allora preferì desistere dall'impresa e, imbarcati nottetempo cannoni e mortai, tornò a Bastia. Anche qui le opere di fortificazione che cercava di rafforzare erano costantemente danneggiate dai ribelli, i quali anzi, arrivati il 3 maggio 1748 consistenti aiuti austro-sardi, posero il 10 maggio l'assedio a Bastia. Il D. lasciò il comando militare a Gianangelo Spinola: questi, anche grazie all'arrivo di rinforzi franco-genovesi guidati dal colonnello De Coursay, seppe difendere onorevolmente la città fino a quando le ostilità vennero interrotte anche nell'isola per effetto delle avviate trattative di pace di Aquisgrana.
Il nome del D. non compare negli anni tra il 1748 e il 1751, quando la direzione della pacificazione dell'isola rimase nelle mani del De Coursay, poi appoggiato anche dall'inviato francese a Genova, marchese F.-C. de Chauvelin. Ignoriamo se il D. fosse tra le autorità genovesi che guardavano con sospetto all'atteggiamento giudicato filocorso del De Coursay e che ne chiesero poi l'allontanamento e la sostituzione, certo sarà ciò che esplicitamente chiederà, e otterrà, l'energico successore del D., Gian Giacomo Grimaldi, arrivato nell'isola nel 1751. Dopo il commissariato corso, non si hanno del D. altre notizie; non risulta che abbia avuto figli.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Mss. 493, cc. 209-210; Genova, Civica Bibl. Berio, m.r. X. 2. 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova, [1782], c. 905; Ibid., Bibl. Franzoniana, Mss. Urbani 125: G. Giscardi, Origini e fasti delle nobili famiglie di Genova, c. 372; Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, Roma 1951, V, p. 290; VI, pp. 184, 207, 223 (per i cugini omonimi); G. Cambiagi, Istoria del Regno di Corsica, Firenze 1771, pp. 280, 285, 290, 294 s.; F. O. Renucci, Storia di Corsica, Bastia 1833, I, p. 45; C. Varese, Storia della Repubblica di Genova, Venezia 1842; VII, pp. 352-357; VIII, pp. 194-207; F. Donaver, La storia della Repubblica di Genova, Genova 1913, II, p. 352; G. Guelfi Camajani, Il "Liber nobilitatis Genuensis"..., Firenze 1965, p. 328.