DE MARI (Mari), Stefano
Nacque a Genova nel 1593, terzogenito di Francesco (tre volte senatore della Repubblica nel 1607, 1623 e 1627) e di Lelia Pallavicini. Venne ascritto al Libro della nobiltà il 30 nov. 1608, insieme ai fratelli Agostino (nato nel 1586), Giovanni Battista (1592) e Felice (1595).
Ricevette una accurata educazione letteraria e poetica, al punto che alcune sue rime, composte quando non aveva ancora sedici anni, in occasione della elezione ducale di Agostino Pinelli, furono stimate degne di far parte della raccolta presentata al doge nella cerimonia ufficiale e furono lodate dall'Oldoini. Concluse poi con esito brillante sia gli studi di filosofia sia quelli di diritto. Nel 1613 si trasferì a Napoli dove per un ventennio amministrò i vasti feudi che la famiglia possedeva nel Meridione: il principato d'Acquaviva, le signorie di Castelpagano e di Castelvetere in Abruzzo, il ducato di Castellaneta presso Taranto, la contea di Gioia del Colle presso Bari, la signoria di Larino presso Campobasso e quella di Procida e Telesia in Campania. Probabilmente fu anche in Corsica e nel Vercellese, dove si estendevano altri feudi familiari. Tornato a Genova, il D. compare nelle cariche pubbliche nel 1638, come membro del magistrato di Guerra. Quindi, evidentemente in considerazione della esperienza economico finanziaria acquisita negli anni di lontananza, tra il 1639 e il 1643 fu tra gli amministratori delle Compere di S. Giorgio (di cui in seguito fu eletto protettore per quattro volte). Nel 1643 fu estratto tra i procuratori della Repubblica e contemporaneamente venne eletto tra gli inquisitori di Stato. Eletto preside del magistrato dell'Olio nel 1645 e di nuovo membro del magistrato di Guerra nel 1646, tornò per tre anni in S. Giorgio come amministratore finanziario, finché il governo nel 1649 lo richiamò, nominandolo preside dell'Annona. Verso la fine dello stesso 1649 venne eletto dai Collegi ambasciatore in Spagna.
L'ambasciata straordinaria aveva avuto la sua causa occasionale nella protesta contro quella che il governo genovese aveva ritenuto la provocazione di un cortigiano spagnolo. che aveva organizzato la partenza di Marianna d'Austria, sposa di Filippo IV, dal porto di Finale invece che da quello di Genova, dove già erano state preparate splendide accoglienze. Ma tale provocazione era solo una manifestazione dello stato di tensione raggiunto tra Spagna e Genova: tensione che evidentemente il governo genovese riteneva di poter alleggerire appunto con la missione affidata al De Mari. Salpato con due galee il 6 nov. 1649, il D. giunse segretamente a Madrid il 9 dicembre. Tre giorni dopo, accompagnato da molti nobili e mercanti genovesi residenti nella capitale spagnola, si recò alla residenza di campagna del re. I primi incontri con Filippo IV, la regina e l'infante risultano, nella corrispondenza del D., improntati ad una freddezza appena mascherata di cortesia. In seguito, ottenuta soddisfazione circa quella che era la causa ufficiale dell'ambasciata, il D. rimase altri due anni a Madrid, cercando di perorare altri interessi della Repubblica, peraltro senza successo, quali l'acquisto del feudo di Pontremoli e di altri territori. Ma a Madrid il D. probabilmente curò anche affari personali; di certo, ebbe una intensa corrispondenza con l'ambasciatore genovese a Parigi, Giovan Battista Pallavicini, per ottenere informazioni sui rapporti tra il cardinal Mazzarino e la Repubblica, al punto che il governo genovese richiamò il D. all'ordine, vietandogli rapporti epistolari diretti col collega.
Accomiatatosi nel gennaio 1652 dal re (che, a differenza delle prime accoglienze, fu molto cordiale), il D. sbarcò a Genova il 10 febbraio, e il 23 presentò la sua relazione ai Collegi, che se ne dichiararono molto soddisfatti. Subito dopo il ritorno, il D. riprese una intensa attività pubblica. Nello stesso 1652 fu contemporaneamente eletto sergente generale delle Armi (cioè comandante supremo dell'esercito) e addetto al magistrato dei Cambi e a quello dell'Inquisizione di Stato.
La contemporanea presenza in tali uffici lascia supporre una specifica funzione politica del D. in questi anni di cosiddette "congiure" filofrancesi e filosabaude, che furono anche espressione di tentativi di svincolamento dalla politica filospagnola della classe dirigente conservatrice e dei suoi interessi finanziari, di cui il D. fu probabilmente un intraprendente difensore.
Nel 1653 il D. fu estratto una seconda volta tra i procuratori, e nel frattempo, per tre anni, fino al 1655, fece parte della giunta di Giurisdizione. Nel 1656 passò al magistrato di Guerra e nell'anno successivo a quello di Terraferma. In quel periodo si abbatté su Genova una delle più violente epidemie di peste, che fece 92.000 vittime (cioè più della metà della popolazione di Genova e delle podestarie): il D. fu tra i pochi nobili che, invece di rifugiarsi fuori del territorio, rimasero in città per coordinare le attività di polizia e di soccorso.
Nel novembre 1659 fu nominato capo della legazione di cinque patrizi incaricata di andare incontro, in alto mare, al marchese don Ferrante d'Ayala, che dalla Spagna si recava in Sicilia come viceré: il D. lo accompagnò nel porto di Genova, e quindi in visita ufficiale al doge Giovanni Battista Centurione. Infine il 13 apr. 1663, dopo che già altre due volte era entrato senza successo nella rosa dei candidati, il D. venne eletto doge.
Assunse ufficialmente la carica il successivo 24 novembre: la cerimonia fu officiata in duomo da monsignor G. B. da Dece, da poco eletto vescovo di Brugnato, e le orazioni ufficiali furono tenute in palazzo ducale da Antoniotto Spinola ed in S. Lorenzo dal dotto canonico Giacomo Calvi. Entrambe le orazioni furono ritenute stilisticamente pregevoli, degne della fama di raffinata cultura del D., e date alle stampe: l'una, intitolata L'idea di principe, èdedicata alla moglie del D., Livia M. Lercari; l'altra, Flusso e riflusso del mare, densa di ovvie concettose metafore secentesche, contiene anche precisi dati biografici e indicazioni di politica economica. Infatti, il riferimento ai "flussi e riflussi dell'incoronato Mare" in Oriente, secondo il Calvi resi possibili appunto dal D., sembra suggerire che la sua elezione sia stata sostenuta anche da quel settore della nobiltà che sognava il ritorno della Repubblica in Levante.
In effetti, la nota nuova della politica estera del D. fu proprio quella di riallacciare legami commerciali con Costantinopoli, dove venne inviato Agostino Durazzo, e da dove Maometto IV inviava lettere piene di complimenti personali al De Mari. Gli effetti positivi di questa politica furono raccolti dal successore del D., Cesare Durazzo, sotto il cui dogato, nel 1666, le navi genovesi tornarono per alcuni anni a Costarifinopoli, finché la reazione francese non interruppe l'avventura. Dinamico nella politica estera, tanto da risultare anche per questa ragione sgradito alla Francia, forse anche con intenzioni demagogiche, il D. si mostrò assai deciso nella lotta alla delinquenza.
Il primo atto del suo dogato fu infatti una drastica operazione di polizia a Genova e in tutta la Valbisagno, dove interi rioni vennero messi a ferro e fuoco per disinfestare la città dai banditi, la cui presenza era probabilmente divenuta più numerosa e incontrollabile dopo la grande peste del '57.
Meno fortunata la politica ecclesiastica del D., in un periodo in cui le rivendicazioni giurisdizionali della Repubblica si scontravano con la rigidezza della curia vescovile, che non intendeva cedere su questioni solo apparentemente formali: perciò, in ossequio alle disposizioni dei Collegi, al D. non fu possibile realizzare un accordo col nuovo vescovo Giovan Battista Spinola, che, come il suo predecessore cardinale S. Durazzo, rinunciò alla cura pastorale di Genova.
Pochi giorni prima della fine del suo dogato, l'8 apr. 1665, il D. assistette alle nozze del figlio Girolamo (poi doge nel 1699) con Francesca Gentile, figlia di Cesare (doge anche lui, quattro anni dopo il De Mari). Il 12 aprile lasciò la carica, e riprese la normale carriera: nello stesso 1665 fu eletto preside del magistrato di Corsica, nel 1666 preside del magistrato di querra e incaricato di importanti affari finanziari, non meglio precisati, in S. Giorgio. Di nuovo a capo del magistrato di Corsica nel 1667, vi rimase l'anno seguente come deputato. E, dopo diversi anni alla giunta di Giurisdizione, presiedette ancora, ormai ottantenne, il magistrato di Guerra, mentre falliva la congiura di R. Della Torre e rapidamente si consumava, nel 1673, la guerra contro fl duca di Savoia.
Morì il 25 febbr. 1674 a Genova (dopo aver trascorso gli ultimi mesi malato nella sua casa davanti alla chiesa di S. Giorgio).
qSecondo il suo desiderio, fu sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di S. Maria della Sanità, che era stata eretta dal bisnonno Stefano, e data ai carmelitani. Nel testamento, oltre ai tradizionali lasciti a Pammatone, all'ospedale degli Incurabili, all'ufficio dei poveri, a quello del riscatto degli schiavi, ai frati carmelitani e ai teatini, lasciò l'ordine di una distribuzione di 500 lire "fra i poveri dei carogetti" di Genova. Senza dimenticare gli altri figli, lasciò eredi universali dei suoi feudi, palazzi, ville e beni i figli Girolamo e Domenico Maria. Il D. si sposò due volte: dalla prima moglie, Valeria De Marini, ebbe oltre a Girolamo, Giovanni Felice, prete in Ss. Giacomo e Filippo, Nicolò (che da Violantina Sauli ebbe Lorenzo, doge nel 1744) e Agostino, poi gesuita. Dalla seconda moglie, Livia Maria Lercari di Giovan Battista, ebbe Domenico Maria, doge nel 1707, e Camillo, che dalle due mogli, Livia di Ippolito Centurione e Maria Adorno di Filippo, ebbe numerosa prole.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Mss. 493, c. 209; Genova, Bibl. civica Berio m. r. X. 2. 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova [1782], c. 904; Ibid., m. r.V11.4. 61; Ibid., Bibl. Franzoniana, Mss. Urbani 125: G. Giscardi, Origini e fasti delle nobili famiglie di Genova [sec. XVIII], c. 372; M. Antero, I lazzaretti di Genova nel 1657, Genova 1658, p. 526; A. Spinola, L'idea di principe, Orazione per l'incoronazione di S. D., Genova 1664; G. Calvi, Il flusso e riflusso del mare, Orazione per l'incoronazione di S. D., nella cattedrale, Genova 1665; A. Oldoini, Athenaeum Ligusticum, Perusiae 1680, p. 505; F. N. Accinelli, Compendio delle storie di Genova, Genova 1750, I, p. 123; F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1800, V, pp. 63, 96; L. Volpicella, I libri cerimoniali della Repubblica di Genova, in Atti d. Soc. lig. di storia patria, XLIX (1921), 2, pp. 281 s.; L. M. Levati I dogi biennali della Repubblica, II, Genova 1930, pp. 210-225; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti d. Soc. lig. di storia patria, LXIII (1934), p. 178; G. Guelfi Camajani, Il "Liber nobilitatis Genuensis ...", Firenze 1965, p. 326; C. Costantini, La Repubblica di Genova nell'età moderna, Torino 1978, p. 337.