DE GREGORI, Stefano
Incerte sono le notizie relative alla nascita: il censimento del 1808 lo dice nato nel 1763, ma tace sul luogo; E. Codignola parla, dubitativamente, di Recco (prov. di Genova); e nulla sappiamo della sua giovinezza e della sua formazione sino al 1792, anno in cui, mentre era iscritto al collegio "S. Tommaso" in Genova dove si sarebbe addottorato nel 1794 "ed era già salito in fama come colto teologo ed elegante oratore", l'arcivescovo G. Lercari lo designò quale lettore di teologia nel seminario. Fu decisione clamorosa, perché erano note le tendenze giansenistiche di quel giovane prete chiamato a sostituire proprio il più fiero antigiansenista della città, G. B. Lambruschini; e se ne rallegrava infatti E. Degola, scrivendo a Scipione de' Ricci che "la teologia del Seminario genovese è passata in delle mani fedeli". Ma l'arcivescovo non tardò a ricredersi, preoccupato dall'aspra polemica che nel 1794 divampò in Liguria intorno alla bolla Auctorem fidei e all'ostracismo decretatole dal vescovo giansenista di Noli, Benedetto Solari, spalleggiato dal Senato e dal "teologo della Repubblica" G. B. Molinelli, anch'egli giansenista. Il D., che era discepolo del Molinelli, fece le spese del clima di tensione e nell'autunno del 1795 perse il posto a beneficio d'un suo cugino, Gerolamo De Gregori, fedele al Lambruschini. Lo riebbe però nel luglio 1797, dopo la democratizzazione di Genova, allorché anche gli alunni del seminario manifestarono velleità rivoluzionarie e pretesero dal Lercari varie misure di epurazione, tra le quali la nomina d'un nuovo lettore di teologia "che non sia infetto di aristocraticismo". Da tale infezione era certamente immune il D., il quale fin dai primi giorni della repubblica giacobina aveva collaborato con altri due preti giansenisti (Degola e Paolo Sconnio) alla stesura di un Piano di una missione patriotica, approvato il 4 luglio 1797 dal Corpo legislativo.
Il piano prevedeva il reclutamento "di ecclesiastici conosciuti per probità e lumi patriotici, per istruire, sotto il nome di Missionari Nazionali, nei princìpi della democrazia i popoli delle città e delle riviere". I missionari avrebbero dovuto soprattutto dimostrare - secondo le "istruzioni religioso-politiche" compilate dagli estensori del piano - la perfetta "analogia del governo democratico coi princìpi della religione cattolica", in base ad una concezione molto evangelica della democrazia. Nato dalla concreta esigenza di guadagnare al nuovo regime le simpatie popolari e di controbattere la propaganda del clero tradizionalista, il progetto si risolse in un fallimento, di cui fece la prova il D. stesso partecipando ad una "missione" nella Riviera di Levante: l'ostilità popolare per la repubblica "borghese" si acuì ed i missionari si ebbero anche le beffe degli anarchistes, che li definirono "teologi a vento".
Nel marzo 1798, in un clima già di normalizzazione moderata, il D. venne nuovamente privato dell'insegnamento, nonostante le proteste del clero democratico e del giornale radicale Il Censore. Fu poi economo della collegiata di Nostra Signora delle Vigne, ma probabilmente non era più a Genova nel giugno 1800, quando la breve riconquista austriaca riportò in città il suo avversario Lambruschini. Nel luglio di quell'anno lo sappiamo a Camogli, donde scriveva all'amico Degola di essere "desiderosissimo di tornare". Il 30 ott. 1801, però, era ancora lontano da Genova, e la sua esistenza non era felice: lo angustiavano problemi di coscienza (la consapevolezza di essere "un miserabilissimo peccatore"), e lo preoccupava la situazione della Chiesa genovese "oppressa sempre di più dai suoi mali".
Ciò non gli impediva di meditare, in sintonia con Degola e con l'amico comune e protettore H. Grégoire, su un grande progetto per la "riunione delle Chiese nazionali": "Io vorrei ... che ogni nazione dovesse inviare o uno o più de' suoi vescovi ai concilii che si tenessero dalle altre nazioni, per sostenerli coi loro lumi e per raccogliere scambievolmente ... tutto quello che potesse giovare alle proprie Chiese; che ... ogni vescovo scrivesse una circolare di comunione a tutti i primati delle Chiese nazionali, e per mezzo loro ai vescovi che sono ad essi soggetti, onde tutte le Chiese fossero per mezzo de' lor pastori legate tra loro in una maniera sensibile coi vincoli della cristiana carità".
Soprattutto, però, il D. aspirava ad un nuovo insegnamento, che poté ottenere solo il 3 nov. 1803, quando fu "eletto professore di Gius canonico" all'università di Genova per interessamento di L. Lupi, influente uomo politico filogiansenista. Oppresso da disagiate condizioni economiche e da "debole e cagionevole salute", iniziò tuttavia il lavoro con la speranza "di formarvi de' buoni ecclesiastici". Speranza vana, ché il 30 maggio 1804 scriveva al Degola: "Delle mie scuole non vi posso dire se non che sono ridotto a due soli studenti ... Quasi tutti sono andati al Seminario, dove s'insegna il molinismo e si è avuto il coraggio di sostenere ... l'infallibilità del papa". "È proprio una vergogna pel nostro Paese - aggiungeva di lì a poco - che vi debbano ancora risuonare le massime gesuitesche, mentre sono state generalmente anatemizzate in tutte le università e seminari ben regolati".
Di quella cattedra senza studenti il D. - il quale nel frattempo aveva ottenuto anche un incarico non retribuito di storia ecclesiastica - fu privato dalla legge imperiale del 4 luglio 1805 che riordinò l'ateneo genovese, sopprimendovi il corso di teologia. Continuò a ricevere ugualmente lo stipendio, ma si doleva di non poter più fare scuola e di aver perso "une place où ses talents pouvaient être si utiles à la réligion". Il Grégoire, informato dal Degola, si proclamava "bien affligé", ma dubitava di poter aiutare lo sfortunato sacerdote. Di fatto i suoi ripetuti contatti con De Gérando e Corvetto per perorare la causa del D., come pure quelli del Degola con Fontanes e con l'orientalista Sacy, non approdarono a nulla. Solo alla fine del 1808 il Degola fu in grado di proporgli una cattedra di filosofia, per la quale tuttavia il D. non si mostrò entusiasta.
"Sono anni - scriveva - che io mi sono consacrato ... principalmente allo studio delle scienze ecclesiastiche come più convenienti allo stato in cui la Provvidenza di Dio ha permesso che io mi mettessi": la cattedra filosofica gli pareva un ripiego, la negazione d'un suo buon diritto, un favore reso agli avversari della "vera dottrina", desiderosi di sbarazzarsi del "temuto nostro insegnamento teologico". E a conferma di una certa vocazione vittimistica, peraltro giustificata, scriveva in una lettera posteriore: "Assicuratevi che il mondo ci perseguiterà, che saremo esclusi da tutto. Siamo affatto odiati, ma ci vuol costanza e non ismarrirsi".
Nel 1812, invece delle persecuzioni, giunse per il D. una cattedra di "umanità" nel liceo imperiale di Genova: vi rimase sino al 1816, anno in cui fu giubilato come professore di diritto canonico. Subito dopo il pensionamento, secondo l'isolata testimonianza di P. E. Bensa (Commemorazione del prof. Cesare Cabella, Genova 1889), ripresa poi da G. Salvemini, P. Nurra, A. Codignola e C. Spellanzon, avrebbe assunto l'incarico di insegnare privatamente umanità e retorica al giovane Mazzini nei due anni precedenti il suo ingresso all'università.
Da allora del D. si perdono le tracce, se si esclude la menzione tra i "professori emeriti pensionarii" dell'università di Genova che ne fa il Calendario generale pe' Regii Stati dal 1824 al 1836, lasciando supporre che quest'ultimo sia l'anno della sua morte, e non il 1834 come altre volte è stato ritenuto probabile.
Fonti e Bibl.: E. Degola-S. De Gregori-P. Sconnio, Norma per le istruzioni religioso-politiche de' missionari naz. della Liguria, Genova 1797; F. Carrega, Lettera aperta al cittadino arcivescovo, Genova 1797; Calendario generale pe' Regii Stati, ad annos 1824-1836; Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, Firenze 1941-1942, I, p. CXVIII; III, pp. 605-21; L. Isnardi-E. Celesia, Storia dell'università diGenova, II, Genova 1867, pp. 54, 167, 202, 237, 285; A. De Gubernatis, E. Degola, il clero costituz. e la conversione della famiglia Manzoni, Firenze 1882, pp. 90 ss., 221 ss., 255-58, 313 s., 319 s., 325-28; N. Giuliani, Albo letterario della Liguria, Genova 1886, pp. 97, 115, 120, 141, 176; G. Salvemini, Ricerche e docum. sulla giovinezza di G. Mazzini e dei fratelli Ruffini, in Studi storici, XX (1911), pp. 32 ss.; F. Ridella, La vita e i tempi di Cesare Cabella, Genova 1923, p. 7; A. Codignola, La giovinezza di G. Mazzini, Firenze 1926, pp. 56 ss.; P. Nurra, Il giansenismo ligure alla fine del sec. XVIII, in Giorn. stor. e letter. d. Liguria, n. s., II (1926), p. 17; C.Spellanzon, Storia del Risorg. e dell'Unità d'Italia, II, Milano 1934, p. 220; P. Savio, Devozione di monsignor A. Turchi alla S. Sede, Roma 1937, pp. 939-45; A. Codignola, Mazzini, Torino 1946, pp. 13 ss.; A. Colletti, La Chiesa durante la Repubblica Ligure, Genova 1950, pp. 15, 43, 52 s., 140 ss., 171.