STEFANO da Pandino (Stefano Andrei)
Della famiglia degli Andrei originaria di Pandino, Stefano, nato intorno al 1380, proveniva forse da Bergamo: da qui probabilmente la dicitura «Stephanus de Andreis de Pergamo» in due atti rogati a Monza durante il soggiorno dell’artista nel borgo nella primavera del 1415. Suoi figli furono Cristoforo e Antonio da Pandino, quest'ultimo pittore e maestro vetraio come il padre.
Stefano figurava autore di polittici per la cattedrale di Milano già entro i primi lustri del Quattrocento, come informano gli Annali della fabbrica del duomo, che testimoniano di un polittico a sette pannelli datato 1412 in collezione Cavalieri di Milano, poi finito in collezione parigina sconosciuta e la cui ubicazione resta ignota. L’importante eptittico, forse commissionato dall’allora secondo duca di Milano Giovanni Maria Visconti, raffigurava nello scomparto centrale il primo duca Gian Galeazzo inginocchiato a offrire alla Vergine un modellino di S. Maria Maggiore. Del pittore si conservava inoltre, fino al principio del XIX secolo, appesa alla terza arcata entrando a destra nella cattedrale milanese, un’ancona composta di tre tavole con figure di santi su fondo oro entro una ricca cornice gotica intagliata e indorata, giudicata di notevole pregio dall’abate Gian Anton Francesco Albuzzi.
Nel maggio del 1415 Stefano risiedeva a Monza con la moglie Maddalena Zavattari (della celebre famiglia di pittori milanesi), molto probabilmente coinvolto, assieme al cognato Franceschino Zavattari, nella realizzazione di cicli pittorici per il duomo, ossia la basilica di S. Giovanni Battista. Con ogni probabilità, nel corso della primavera-estate del 1415, i due pittori lavoravano alle Storie della Passione di Cristo e alle Storie della vita della Vergine che ornavano con profusione di ori le pareti dell’antica cappella della Vergine nel duomo – la cappella absidale destra – ancora incompiuti nella primavera del 1417, come informa una missiva del duca Filippo Maria Visconti trascritta ed edita nel Settecento da Anton Francesco Frisi. I due cicli, avendo patito nei secoli il clima umido della cappella, vennero coperti nel corso del 1719-1721 dagli affreschi sul tema del Sacro chiodo di Cristo a opera di Giovanni Angelo Borroni e del Castellino. Di questa importante impresa monzese restano alcune tracce riemerse, con la caduta degli intonaci settecenteschi, dietro l’ancona marmorea nella cappella (attualmente intitolata alla Beata Vergine del Rosario) e in cima al pilastro presbiteriale destro (scampati qui agli intonaci barocchi grazie alla presenza degli armadi delle reliquie tardocinquecenteschi). Tutti questi frammenti, tra i quali si annovera la delicata Madonna della rosa, sono stilisticamente riconducibili alla bottega degli Zavattari e databili intorno al 1415-18.
Nel maggio del 1416, temporaneamente sospeso il cantiere pittorico monzese, Stefano ottenne dalla Fabbrica del duomo di Milano il prestigioso incarico per la realizzazione delle vetrate del finestrone absidale, cosiddetto della 'radia magna'. Da quel momento figurò coinvolto in numerosi incarichi relativi ai cicli di vetrate per i finestroni dell’erigenda cattedrale. Sappiamo che nell’autunno del 1417 non risiedeva più nella parrocchia di S. Maria alla Porta, in Porta Vercellina a Milano, dove aveva sede la bottega degli Zavattari – bottega che condivise fino almeno al 1416 – e si era trasferito nella parrocchia di S. Stefano a Nusiggia, in Porta Nuova, dove ne aprì una propria.
Assieme ai pittori Maffiolo della Rama e Giovannino Recalcato, Stefano collaborò alle vetrate per i due finestroni absidali laterali della cattedrale, già commissionate nel febbraio del 1417 a Franceschino Zavattari. Nel 1422 gli venne commissionato dal paratico milanese degli Speziali il primo quadretto di vetrata con Storie di s. Giulitta per la finestra dell’altare traslato da S. Tecla e ubicato nella cappella dei Ss. Quirico e Giulitta, nel braccio nord del transetto (al ciclo lavorò in seguito, fornendo i disegni, Michelino da Besozzo). Fino al 1451 Stefano fu coinvolto nella realizzazione delle vetrate con Storie di s. Caterina commissionate dalla fabbrica nel 1436 per la grande finestra posta a lato dell’altare di S. Giorgio, verso la curia arcivescovile, nel braccio sud del transetto, impresa non priva di vicissitudini e a cui collaborò in parte anche Michelino da Besozzo. Fino al 1452 Stefano riscosse i pagamenti per le vetrate con Storie di Sansone poste alla finestra oltre l’altare maggiore. Il pittore, da patti con la Fabbrica, si procurava a proprie spese i vetri colorati, che faceva importare a Milano da Venezia o dalla Germania e che giungevano dentro a delle casse. La Fabbrica gli procurava il piombo, lo stagno, i colori e la fornace necessari per realizzare i campi di vetrate, saldandogli la manifattura e restituendogli, approvato il lavoro, anche la spesa per i vetri.
Nel 1433 a Stefano furono versate 200 lire imperiali per portare a termine una perduta ancona lignea con figure a intaglio dipinte e indorate, che lo stesso pittore avrebbe poi posizionato sull’altare maggiore della chiesa di S. Maria di Gallarate, prezioso precedente per le successive imprese lignee varesine. Nel 1438, assieme al cognato Franceschino Zavattari, Stefano è documentato tra i pittori della scuola di S. Luca che aveva sede nella chiesa del S. Sepolcro di Milano; l’atto, reperito da Grazioso Sironi ed edito da Janice Shell, menziona tra i testimoni il figlio Cristoforo da Pandino. Nel 1453 l’artista riscosse i compensi per le decorazioni di un banco sito entro i cancelli del Broletto Nuovo di Milano. Nel dicembre del 1458 fu tra i testimoni a un atto concernente il pagamento per l’indoratura di un grande e costoso polittico, commissionato ai nipoti Gregorio, Giovanni e Ambrogio Zavattari dallo speziale milanese Giovanni da Gradegnano, e destinato probabilmente all’altare maggiore della chiesa dei Ss. Maria e Siro a Sale nel Tortonese.
Sebbene l’opera pittorica di Stefano sia apparentemente persa, è tuttavia possibile, con una certa cautela, avviare la ricostruzione di un primo corpus di dipinti. L’artista, collaboratore di Franceschino Zavattari e, similmente a lui, seguace di prima generazione dello stile di Michelino da Besozzo (con il quale fu lungamente in rapporti nell’ambito del cantiere della cattedrale di Milano), potrebbe coincidere con il raffinatissimo maestro che dipinse il frammento parietale con Crocifissione e angeli dolenti (Museo e Tesoro del duomo di Monza), già attribuito da Liana Castelfranchi a Michelino. Il lacerto, proveniente molto probabilmente dall’antica parete di fondo della cappella presbiteriale del duomo monzese – e scampato alla demolizione a seguito degli ampliamenti della cappella in età borromaica – è all’incirca coevo all’Annunciazione che ornava il grande arco traverso della navata maggiore del medesimo duomo, come evidenza l’impiego di un identico motivo floreale a pastiglia dorata nel fondo. Data l’altezza cronologica dell’Annunciazione, opera di Franceschino Zavattari e bottega (1420-22), Stefano potrebbe coincidere con il Maestro della Crocifissione di Monza, a oggi l’artista di maggior rilievo in relazione con la bottega dello Zavattari nel corso del terzo decennio del Quattrocento. Il soggiorno documentato di Stefano a Monza nel maggio del 1415, in corrispondenza con i cicli pittorici della cappella della Vergine in duomo, supporta tale proposta identificativa. Al frammento di Crocifissione è possibile accostare stilisticamente un trittico in vetro graffito in una collezione privata di Piacenza e un pannello da polittico con S. Agostino già nella collezione Giuseppe Noferi. A questa personalità artistica sembra lecito restituire anche la lunetta che ornava il portale dell’oratorio di S. Giovanni Decollato alle Case rotte a Milano, con la Vergine col Bambino tra i ss. Giovanni Battista decollato e Pietro martire (Milano, Musei civici e Pinacoteca del Castello Sforzesco, n. 466). Alla Crocifissione del duomo monzese, e ad alcuni Profeti a grisaille della cappella di Teodolinda nella stessa sede, si accosta molto bene anche un disegno da un album di modelli con una Pentecoste su carta preparata azzurra (Londra, British Museum, n. 1895,091.467, recto). Forse alla tarda attività del pittore si potrebbe riferire un raffinatissimo S. Paolo in collezione privata (Vendita Finarte, Milano, 25 ottobre 1988, lotto n. 120), pannello di un’ancona perduta databile intorno al 1455, di cui si conserva anche un Santo vescovo benedettino di mano di uno Zavattari.
Stefano dovette morire intorno al 1459.
G.L. Calvi, Notizie sulla vita e sulle opere dei principali architetti, scultori e pittori che fiorirono in Milano durante il governo dei Visconti e degli Sforza, Milano 1859, I, pp. 143-148; Annali della fabbrica del Duomo di Milano, II, Milano 1877, pp. 19 s., 32, 34, 40, 78, 126, 131, 137, 140, Appendice I, 1885, pp. 314, 316, Appendice II, 1885, pp. 65, 67 s., 70-73, 76, 78, 80; C. Gilli Pirina, Franceschino Zavattari, S. da P., Maffiolo da Cremona, “magistri a vitriatis” e la vetrata della “raza” nel Duomo di Milano, in Arte antica e moderna, XXIII (1966), pp. 41 s.; L. Castelfranchi, Una Crocifissione di Michelino da Besozzo, in Arte Lombarda, 1991, n. 98-99, pp. 181-188; J. Shell, The Scuola di San Luca, or Universitas Pictorum, in Renaissance Milan, ibid., 1993, n. 104 pp. 79, 89; R. Delmoro, «Assai annose pitture co’ risalti di stucchi indorati». L’Annunciazione dell’arco traverso del Duomo di Monza: un contributo agli Zavattari, ibid., 2012, n. 164-165, pp. 121 s. e nota 74; A. De Marchi, Michelino da Besozzo, gli inizi di Franceschino Zavattari e un dittico molto insolito, Torino 2012, p. 10, tavv. XV-XVI; R. Delmoro, Santa Maria di Gallarate 1433: un ignoto polittico ligneo e il ruolo di S. da P., in In corso d’opera, ricerche dei dottorandi della Sapienza, a cura di M. Nicolaci - M. Piccioni - L. Riccardi, Roma 2015, pp. 105-111.