COLONNA, Stefano
Appartenente al ramo di Palestrina della potente famiglia dei feudatari romani, nacque con ogni probabilità sullo scorcio del sec. XIV da Niccolò di Stefano e da Clarissa Conti. Succeduto al padre nella signoria di Palestrina, che resse insieme con il fratello Giacomo (Iacopo), non ebbe una posizione di particolare rilievo durante il pontificato di Martino V (1417-1431), che pure apparteneva alla sua stessa casata. Uomo d'armi, condottiero delle milizie della Chiesa nel maggio del 1425, nel 1430 acquistò insieme con altri la gabella della carne a Roma. Sempre in quell'anno, il 13 agosto, versò 1.200 fiorini d'oro alla Depositeria apostolica per la metà della dogana pascui di Roma. La sua scarsa sensibilità politica fu una delle principali cause del colpo di forza compiuto nel 1431, poco dopo l'assunzione di Gabriele Condulmer al soglio di Pietro, dai Colonna nel tentativo di opporsi al nuovo pontefice ed alla linea politica da lui inaugurata. Una delle prime preoccupazioni di Eugenio IV era stata quella di esigere la consegna del tesoro segreto del suo predecessore, tesoro su cui non era riuscito a mettere le mani e che sospettava fosse stato trafugato da Otto de Varris da Gepazzano, già primo tesoriere e vicecamerlengo di Martino V, nonché intimo dei Colonna. Secondo quanto riferiscono l'Infessura e il Platina, il G. ricevette dal nuovo papa l'ordine di procedere, con la massima segretezza, all'arresto di Oddo de Varris e al recupero del tesoro segreto: tornato in possesso di quest'ultimo, doveva tradurre il de Varris al cospetto del pontefice.
Soprattutto, il papa avrebbe raccomandato al C. di procedere con quel riserbo e con quella prudenza, che la delicata natura della questione ed il rango del prigioniero richiedevano: "honestamente", scrive l'Infessura, "sine ullu tumultu", "sine ignominia", annotano le, altre fonti. Il richiamo alla discrezione non era senza motivo. Tutti i pontefici - si erano sin'allora serviti di elementi fidati, appartenenti al loro entourage, per amministrare il tesoro segreto della Sede apostolica - che allora non era chiaramente distinto dalla cassa in cui confluivano i redditi privati dei papa. Con ogni probabilità Eugenio IV non intendeva censurare come illegale, rendendola di pubblica ragione, una prassi, che evidentemente voleva anch'egli continuare a seguire.
Il C., tuttavia, non volle agire - o non ci riuscì - con la discrezione che gli era stata richiesta e che la sua delicata missione richiedeva, procedendo all'arresto di Oddo de Verris in modo ostentato e offensivo, e conducendolo "come un ladro" dinnanzi al pontefice. Le sue soldatesche saccheggiarono la casa dell'arrestato e forse si impadronirono di quel tesoro segreto della Sede apostolica, che erano andate a recuperare e a proteggere. Eugenio IV ne fu comprensibilmente irritato; probabilmente sospettò che il comportamento del C. facesse parte di un complotto ordito, dai Colonna, al fine di non riconsegnare il denaro di Martino V appartenente alla Chiesa. Ordinò pertanto al C. di condurgli di nuovo il de Varris: questa volta l'ex vicecamerlengo doveva essere accompagnato dal vescovo di Tivoli, che aveva amministrato con lui il tesoro segreto. Spaventato e temendo le conseguenze del suo atto, il C. ritenne di poter salvarsi dall'ira del papa coinvolgendo tutta la famiglia Colonna in una rivolta che avrebbe dovuto indurre il nuovo pontefice a rinunziare ai suoi progetti. Si recò percio a Palestrina, dove persuase il giovane principe di Salerno, Antonio Colonna, che Eugenio IV stava per muovere contro la loro famiglia e sottometterla con la forza, come già aveva fatto nel 1297 Bonifacio VIII. È possibile che, per convincerlo, abbia faticato più di quanto non abbiano ritenuto gli storici. Non più tardi dei primi di febbraio di quello stesso anno Martino V, cui restavano pochi giorni ancora di vita, aveva infatti ammonito il giovane principe a stare molto attento a quello che avrebbe fatto dopo la sua morte: "dandolo molti ammaestramenti in modo che si tiene che qui dendro [a Roma] bene morendo il papa non sarà movimento alcuno". È anche possibile che Giovanni (Gian) Andrea Colonna di Riofreddo, un loro cugino, abbia avuto una nefasta influenza sia sul C. sia sul principe di Salerno.
La sommossa contro il governo pontificio, organizzata dai Colonna, scoppiò il 23 apr. 1431. Il C., al comando di un contingente di armati, doveva attaccare la porta Appia (attualmente porta S. Sebastiano), mentre nella città sarebbe dovuto scoppiare un tumulto; quanto ad Antonio Colonna, egli si sarebbe dovuto tener pronto ad entrare in Roma con altre forze, che aspettavano fuori le mura. La sommossa fallì miseramente, ed il complotto ordito dal C. si concluse con un insuccesso simile a quello che aveva avuto l'altro, tentato dal padre suo Niccolò: a Roma il partito che sosteneva i Colonna era troppo debole per essere in grado di permettere loro, di poter conseguire il controllo della città. Il C. non soltanto dovette assistere al saccheggio del suo palazzo compiuto dalla plebe cittadina, mentre egli era costretto a ritirarsi con le sue genti nella Campagna romana; ma fu citato anche nella commissione papale del 12 agosto, che ordinava la confisca dei beni dei ribelli. Non risulta dalle fonti in nostro possesso se egli avesse preso parte al secondo moto insurrezionale tentato dai Colonna il 20 giugno, ma è certo che, quando fu decisa la confisca dei beni dei ribelli, egli si trovava ancora fra gli insorti.
In seguito al fallimento della sommossa il C. si trovò ad aver bisogno di denaro e di protezione; perciò raggiunse Ludovico di Giovanni Colonna, suo cugino al servizio di Filippo Maria Visconti, duca di Milano, e dell'imperatore Sigismondo. Il 29 luglio 1432 ricevette da questo l'autorizzazione a recuperare i diritti imperiali nel distretto di Roma per i sei mesi seguenti, mentre del 9 dicembre di quell'anno è la missiva ducale con cui veniva assunto al servizio dei Visconti come condottiero. Tali incarichi non sembrano tuttavia aver aiutato effettivamente il C. il quale al principio dell'anno successivo si trovò anche di fronte alla possibilità che il principe di Salerno si acconciasse ad accordarsi con Eugenio IV, fatto che lo avrebbe lasciato isolato a combattere il papa. La guerra di Vetralla, che si stava allora combattendo nell'alto Lazio, gli apparve una buona occasione per coinvolgere Antonio Colonna in un nuovo moto insurrezionale contro il governo pontificio. Si impadronì di Ponte Lucano, ma aveva bisogno di nuovi alleati: le operazioni militari del condottiero Niccolò della Stella contro i territori di dominio pontificio nell'alto Lazio gli sembrarono allora poter offrire nuove possibilità di lotta. Nella sua roccaforte di Castelnuovo di Porto ricevette il condottiero, e discusse con lui le modalità di un'alleanza ed i piani per una comune azione offensiva. In questa prospettiva era quindi necessario che il C. si consultasse col principe di Salerno e cercasse di convincerlo che una nuova ribellione non solo era possibile, ma necessaria. Queste non dovevano essere, tuttavia, le conclusioni cui era giunto Antonio Colonna: recatosi a Nazzano, un borgo nei pressi di Roma (ma l'Infessura ricorda il fatto come avvenuto a Mazzano), per incontrarsi col principe, il C. fu assalito a tradimento ed ucciso da un suo nipote, Salvatore Colonna, e da Matalano di Vergurio, un pittore. Lasciava la moglie, Sveva Orsini, che aveva sposato in data a noi ignota per il silenzio delle fonti.
Dopo il delitto, aspettandosi di esservi ricevuto come un liberatore dai suoi fratelli e dai partigiani di Lorenzo e di Iacopo Colonna, Salvatore Colonna cavalcò a briglia sciolta verso Palestrina; tuttavia, sebbene il suo ingresso nella città avesse fatto gridare: "Viva Salvatore, che ha morto Stefano!", trovò una gelida accoglienza fra i suoi parenti tra cui i suoi due fratelli, che si trovavano a Palestrina: questi si impadronirono di lui e lo fecero decapitare.
Allo stato attuale delle nostre conoscenze, è difficile dire se l'assassinio del C. sia stato ispirato direttamente da Antonio Colonna. Certo è che, dal punto di vista politico, l'ultima mossa tentata dal C. si risolse in un nuovo fallimento: invece di provocare un'altra insurrezione dei Colonna, essa convinse il principe di Salerno ed i suoi aderenti a passare nel campo dei sostenitori del papa. Nell'aprile del 1433 Antonio Colonna, Sveva Orsini e Clarissa Conti si rivolsero al papa, chiedendogli di ottener loro una tregua con gli Orsini di Tagliacozzo e di proteggere i territori dell'assassinato. Il 17 maggio Eugenio IV estese la sua protezione sui territori di Palestrina, Zagarolo, Gallicano, Lariano, Colonna, Passerano, Civita Lavinia e Castelnuovo di Porto, che il C. aveva avuto in comune con il fratello Iacopo. Il 14 maggio il papa aveva anche solennemente promesso che giustizia sarebbe stata fatta per quanto riguardava l'uccisione del C.: gesto quanto mai ironico, dato che Eugenio IV non aveva avuto nemico più acerrimo e deciso.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano, Introitus et Exitus, 383, f. 41v; 389, f. 61; Div. Cam. 22, ff. 71v-74v; Archivio di Stato di Roma, Archivio camerale, Parte prima, Mandati camerali 825, f. 144; Biondi Flavii Historiarum Decades ab inclinatione Romanorum, Basileae 1531, dec. III, lib. 4, f. 459; lib. 5, f. 470; Neri di Gino Capponi, Commentari, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XVIII, Mediolani 1731, col. 1179; A. Theiner, Codex diplom. dominii temporalis S. Sedis, III, Rome 1862, p. 322; Cronache e statuti della città di Viterbo: Cronaca di Niccolò della Tuccia, a cura di I. Ciampi, Firenze 1872, pp. 122 s.; B. Platina, Liber de Vita Christi ac omnium pontificum, in Rer. Ital. Script., 2 ed., III, 1, a cura di G. Gaida, pp. 313 s.; S. Infessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tommasini, Roma 1890, p. 29; Deutsche Reichstagsakten unter Kaiser Sigmund, IV, 1431-1433, a cura di H. Heere, Gotha 1906, p. 718 nota; Gli atti cancellereschi viscontei, a cura di G. Vittani, II, Milano 1929, p. 163; P. Petrini, Memorie prenestine, Roma 1795, pp. 439-47; L. Fumi, I Colonna contro Roma e Papa Eugenio IV, in Boll. d. R. Dep. di storia patria per l'Umbria, I (1895), pp. 612 s.; R. Valentini, Nota aggiunta sulle relaz. tra i Capranica ed i Colonna, in Archivio d. R. Società romana di storia patria, LII (1929), pp. 143 s.