CAVAZZONI, Stefano
Nacque a Guastalla (Reggio Emilia) il 1°ag. 1881 da Leone e da Luigia Bresciani. Giovanissimo frequentò le organizzazioni cattoliche animate da mons. Andrea Carlo Ferrari, vescovo di Guastalla dal 1890 al 1894, futuro cardinale e arcivescovo di Milano. Del Ferrari divenne uno degli allievi prediletti presso la scuola di catechismo, e più tardi, quando nel novembre 1895 il C. si trasferì a Milano con la famiglia, continuò a mantenere con l'arcivescovo amichevoli rapporti. A Milano lavorò nella piccola azienda commerciale del padre. Autodidatta, seguì le scuole tecniche serali e cercò di arricchire la sua formazione frequentando biblioteche e ambienti culturali.
Nel capoluogo lombardo prese forma anche la sua vocazione politica: entrò in contatto con i giovani democratici cristiani seguaci di Romolo Murri e di Davide Albertario. Con E. Casazza, L. Necchi, don C. Grugni, don E. Vercesi, Bassi, P. Arcari ed altri fu tra i fondatori e animatori del Fascio democratico cristiano milanese, sorto nel 1899 con sede in via Foro Bonaparte. Non mancò, in questi anni, un intenso impegno del C. sul piano sociale e religioso: si interessò alla fondazione di leghe cattoliche del lavoro, circoli di cultura giovanili, banche, cooperative, casse rurali; fu tra i promotori del Blocco cattolico milanese; tenne conferenze e discorsi in vari - centri della provincia lombarda ad operai e contadini; si impegnò in attività assistenziali e caritative nei quartieri milanesi più poveri.
Nel novembre 1904, presentatosi candidato alle elezioni amministrative milanesi, fu eletto consigliere comunale, adoperandosi per la istituzione di asili nido, scuole e mercati rionali; nel 1908 rappresentò il comune di Milano nel comitato di soccorso per i danneggiati del terremoto di Messina e Reggio Calabria. Nel 1910 fu eletto deputato all'Ufficio provinciale del lavoro e nel 1911 consigliere provinciale. Si andò delineando in questi primi anni del secolo anche il suo orientamento politico all'interno del movimento cattolico. Ponendosi su posizioni moderate, auspicò la costituzione di un raggruppamento cattolico di centro, favorevole ad una intesa con il liberalismo e-su ferme posizioni antisocialistiche. Da qui anche il sostegno da lui portato alle alleanze clerico-moderate in occasione delle elezioni politiche del 1904, 1909 e 1913 con il patto Gentiloni.
Lo scoppio della prima guerra mondiale lo vide dapprima schierato su posizioni pacifiste, che riecheggiavano le indicazioni e gli appelli alla pace di papa Benedetto XV. Ma quando più acuta si accese la polemica tra neutralisti e interventisti, l'atteggiamento del C. venne modificandosi. A spingerlo verso l'interventismo fu soprattutto il timore che un successo delle correnti neutraliste avrebbe potuto provocare un rovesciamento nell'assetto politico del paese, contribuendo all'affermazione del socialismo e alla fine dell'egemonia moderata. Giustificò così la sua scelta come necessaria agli interessi nazionali.
Partecipò alla guerra come soldato semplice, meritandosi una croce di guerra al valore in occasione della ritirata di Caporetto. Nell'agosto 1918 venne promosso sottotenente per meriti di guerra. Negli ultimi mesi del conflitto lavorò presso l'ufficio stampa e propaganda.
Alla fine del 1919 il C. si trovò al centro del dibattito e degli incontri che prepararono la nascita del Partito popolare italiano (P.P.I.). Il 20 novembre, dopo che L. Sturzo con l'articolo Riforme politiche o revisione costituzionale? (in Il Corr. d'Italia, 12 nov. 1918) e con il successivo discorso tenuto a Milano il 17 novembre (cfr. L. Sturzo, Idiscorsi politici, Roma 1951, pp. 382 ss.) aveva affrontato i problemi del paese e tracciato le linee di un futuro partito di ispirazione cattolica, il C. indirizzò sul Corriere d'Italia una lettera allo stesso Sturzo, esponendo un progranuna di riforme di ispirazione cristianosociale e prospettando l'opportunità che il futuro partito fosse emanazione dell'Azione cattolica, con fisionomia simile al Centro tedesco e si tenesse distante dalle due estreme.
Sturzo, rispondendo al C. il 24 novembre, ribadiva la necessità di distinguere funzioni politiche da attività religiose e di creare una coscienza politica di partito, non attraverso gli organismi di Azione cattolica ma nella coesione spirituale e nella consapevolezza di chi aderiva al programma e ai principî informatori del partito.
Il 23 e 24 novembre il C. con Sturzo ed altri esponenti cattolici partecipò alla riunione svoltasi presso la sede dell'Unione romana. Si stabilì di convocare una "piccola costituente" del nuovo partito, che, riunitasi a Roma il 16 e 17 dic. 1918, con le rappresentanze di tutte le regioni italiane (il C. rappresentava Milano), pose le basi concrete per la nascita del Partito popolare italiano. Il prestigio goduto dal C. in seno alle organizzazioni cattoliche lombarde gli permise di ricoprire, fin dalla nascita del partito, importanti cariche: fu, tra l'altro, membro della direzione e consigliere nazionale dal 1919 al 1923. Al primo congresso del partito (Bologna, 14-16 giugno 1919) fu relatore sulla tattica elettorale.
Rivendicò la necessità del sistema proporzionale e di una posizione autonoma del P.P.I. dalle altre forze politiche. Il C. sembrò qui superare i suoi precedenti orientamenti clerico-moderati, anche se non mancò di sottolineare che, qualora fosse rimasto in vigore il sistema uninominale, il partito avrebbe dovuto valutare con realismo le varie situazioni locali. Affermazione che suscitò un vivace dibattito in seno al congresso.
Le prime elezioni politiche del dopoguerra, svoltesi il 16 nov. 1919, con il sistema proporzionale, segnarono l'ingresso del C. alla Camera dei deputati. A Montecitorio ricoprì la carica di segretario del gruppo parlamentare. Nel maggio 1920 venne incaricato dal partito di studiare la possibilità di una intesa fra i deputati cattolici delle varie nazioni europee e a tal fine nel luglio dello stesso anno, compì un viaggio nei principali Stati europei. Alle elezioni del 1921 gli fu confermato il mandato parlamentare.
Sostenitore della necessità per il partito popolare, come "condizione di fatto inoppugnabile", di collaborare con i governi liberali (discorso del 15 maggio 1921 a Milano e del 22 ottobre al congresso di Venezia del P.P.I.), il C. entrò in dissenso con la segreteria del partito in occasione della crisi del secondo ministero Facta nell'ottobre 1922. Il nome del C. lo troviamo al centro della cosiddetta "mediazione Lusignoli", il tentativo operato dal prefetto di Milano per il ritorno di Giolitti alla guida di un governo con la partecipazione dei fascisti. Il C. avrebbe dovuto favorire il consenso del gruppo popolare a questa soluzione.
Scriveva Lusignoli a Giolitti l'11 ott. 1922: "L'on. C., che ieri sera è partito per Roma, mi ha detto che vi si recava per influire, per quanto era da lui, perché le cose si mettessero in maniera da rendere possibile un sollecito ministero Giolitti... . I popolari accedono al blocco e quindi si accorderanno con i fascisti... . Per ottenere questo risultatomi sono servito dell'on. C., Mauro e De Capitani" (cfr. G. De Rosa, II, p. 289). Evidentemente il C. si era convinto di poter influire sulle decisioni del partito. Sturzo rimase, invece, fermo sul rifiuto dell'appoggio popolare a qualsiasi governo con partecipazione fascista. La marcia su Roma fece precipitare la situazione.
Mussolini, ricevuto dal re l'incarico di formare il nuovo governo, convocò il C. all'albergo Savoia e lo invitò a far parte del gabinetto come ministro del Lavoro. Il C. si riservò di accettare dopo aver ottenuto l'autorizzazione del suo partito.
Altri popolari proposti per cariche ministeriali furono V. Tangorra (ministro del Tesoro), E. Vassallo (sottosegr. agli Esteri), F. Milani (sottosegr. alla Giustizia), G. Gronchi (sottosegr. all'Industria) e U. Merlin (sottosegr. alle Terre liberate). I membri del direttorio del gruppo parlamentare popolare presenti a Roma autorizzarono la partecipazione al nuovo ministero, ritenendo indispensabile "contribuire con ogni sforzo al rapido ritorno alla legalità". La direzione del partito prese atto della decisione del direttorio, lasciando ad esso la responsabilità della scelta collaborazionista. Contrari alla partecipazione si dichiararono, tra gli altri, Sturzo e Meda.
Il C. resse il ministero del Lavoro dal 31 ott. 1922 al 27 apr. 1923. Promosse la ratifica della convenzione di Washington per la regolamentazione dell'orario di lavoro e del lavoro notturno delle donne e dei fanciulli, riordinò i servizi di statistica, emanò provvedimenti contro la disoccupazione, per la previdenza sociale e la legge delle otto ore.
La collaborazione del C. al ministero Mussolini fu convinta. Se un De Gasperi vedeva nella collaborazione il tentativo di "normalizzare" il fascismo e convogliarlo sul binario costituzionale, se un Gronchi intravvedeva nel movimento di Mussolini un esperimento di massa che poteva rompere gli schemi della vecchia classe dirigente, il C. si collocava, invece, sulla linea "clerico-fascista", riponendo piena fiducia negli ideali di ordine, di patriottismo e di ossequio alla Chiesa manifestati da Mussolini.
Ma la collaborazione popolare al ministero Mussolini ebbe vita breve. Il congresso di Torino del P.P.I. (12-14 apr. 1923). affermando che la collaborazione era possibile solo nel rispetto dell'autonomia del partito, mantenendo inalterati la sua natura democratica e i suoi indirizzi sociali e politici, irritò Mussolini. Il 17 aprile il capo del governo convocò il C. e gli altri ministri e sottosegretari popolari. Criticò gli atteggiamenti assunti dal congresso di Torino verso il fascismo, ringraziò per la collaborazione prestata al governo e restituì agli esponenti popolari la più ampia libertà d'azione.
Il C. cercò di correre ai ripari, dichiarando all'agenzia Stefani di ritenere necessaria la collaborazione al governo "per la ricostruzione morale e materiale del paese". Il gruppo parlamentare, riunitosi il 20 aprile, votò un o.d.g. che si manteneva a metà strada tra la richiesta della destra del partito (necessità della collaborazione) e l'esigenza di non contraddire i deliberati congressuali.
Il C. comunicò a Mussolini questo o.d.g. con una lettera dello stesso 20 aprile, alla quale il capo del governo rispose il 24, in questi termini: "avevo chiesto una chiarificazione; mi trovo dinnanzi a un documento piuttosto involuto che non modifica il fondo del congresso di Torino essenzialmente antifascista per testimonianza di deputati popolari che vi hanno partecipato. Ringrazio te e i tuoi colleghi ed accetto le tue e le loro dimissioni".
L'episodio segnò un momento critico nei rapporti tra il P.P.I. e il C., e fu il preludio alla sua uscita dal partito, all'indomani della discussione alla Camera della legge elettorale Acerbo. Il gruppo popolare, riunitosi il 15 luglio 1921, prima della votazione in Assemblea sul passaggio alla discussione degli articoli della legge, aveva deciso, con 41 voti contro 39, di astenersi. Ma una volta in aula, il C. (che in sede di gruppo aveva votato a favore dell'astentione per impedire che prevalessero i voti contrari) prese la parola e dichiarò, tra la sorpresa generale, di votare a favore del passaggio alla discussione: "vi sono dei momenti - affermò - nei quali un uomo può onestamente non tradire, ma trascurare quello che è il proprio avvenire politico, contento d'aver servito e le idee e il paese e il proprio partito con una fedeltà che nessuno può contestare. ... lo ritengo che sia giusto, dignitoso e logico votare con la fiducia al governo anche il passaggio agli articoli" (L. Cavazzoni, p. 69).
Il giorno successivo (16 luglio) la presidenza del gruppo parlamentare, udita la segreteria del partito, espelleva dal gruppo il C. e gli altri deputati che avevano seguito il suo esempio (Ferri, Marino, Martire, Mattei Gentili, Mauro, Roberto, Signorini e Vassallo). Il 25 luglio 1923 il Consiglio nazionale ratificava il provvedimento, invitando chi intendeva restare nel partito a dimettersi dal mandato parlamentare. Nessuno lasciò il banco di deputato, per cui furono considerati espulsi.
Le elezioni del 6 apr. 1924 videro il C. incluso nella lista nazionale assieme ai fascisti. Rieletto deputato assunse alla Camera una posizione filogovernativa, pur non mancando di dichiararsi contrario alla soppressione delle Confederazioni sindacali (discorso dell'11 giugno 1924), di stigmatizzare le violenze fasciste contro organizzazioni cattoliche (21 nov. 1924) e di polemizzare, nel 1926, contro i concetti ispiratori del sistema corporativo.
Il 12 ag. 1924 a Bologna fu tra i fondatori (con P. Mattei Gentili, A. Carapelle, G. Grosoli e F. Mauro) del Centro nazionale, raggruppamento cattolico fiancheggiatore del fascismo, che si proponeva di contribuire alla pacificazione intema, alla difesa e valorizzazione sul terreno politico del principio religioso e riassumeva il proprio programma nella formula "Dio e Patria, la Religione e la Patria, la Chiesa e lo Stato". Il movimento ebbe vita stentata, non riuscendo mai a darsi una precisa e autonoma linea politica che non fosse di avallo al regime. Si sciolse nel luglio 1930.
Negli anni Venti l'attività del C. fu intensa anche sul piano internazionale: fu rappresentante italiano presso la Società delle Nazioni dal 1922 al 1938; delegato alle conferenze interparlamentari del commercio a Parigi (1920) e a Lisbona (1921); delegato alla Conferenza internazionale di Genova (1922); presidente dal 1922 al 1927 della Commissione internazionale per la ricostruzione finanziaria dell'Ungheria; partecipò alla elaborazione delle convenzioni internazionali, contro la pubblicazione e circolazione delle stampe oscene (Ginevra 1923), alla Unione internazionale di soccorso (Ginevra 1927); si adoperò, in vari organismi internazionali, per la lotta contro il traffico degli stupefacenti e la tratta delle bianche, in difesa della donna e del fanciullo, per la riforma carceraria; nel 1929 fece parte del comitato direttivo della World Conference on Narcotic Education.
Il 21 genn. 1929 fu nominato senatore del Regno. Su interessamento dello stesso Mussolini il 21 maggio 1930 il C. assunse la carica di presidente dell'Istituto centrale di credito, per riorganizzare e risanare le banche cattoliche: a tale scopo sviluppò una attività organizzativa e finanziaria a vantaggio degli istituti più deboli, onde evitare ulteriori cadute e cercò di realizzare un'opera di concentrazione che si poneva l'obiettivo di un sistematico rastrellamento e di un successivo investimento del risparmio a favore della politica agraria del governo.
Dal 1933 al 1943 fu rappresentante del governo nel Consiglio d'amministrazione dell'università cattolica del S. Cuore di Milano. Con don Orione fu tra i fondatori e sostenitori del piccolo Cottolengo milanese e dal 1928 al 1944 fu presidente dell'Opera antitubercolare infantile.
Nel 1940 accettò la tessera del Partito nazionale fascista, offerta a tutti gli ex combattenti. Alla caduta del fascismo venne sottoposto al giudizio dell'Alta corte di giustizia del Senato, che, con sentenza dell'ottobre 1945, stabilì la sua decadenza da senatore.
Malato di angina pectoris sin dal 1939, il C. morì a Milano il 31 maggio 1951.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. della famiglia Cavazzoni; Roma, Arch. centr. dello St., Min. Cultura pop., b.11, fasc. 157. La pubblic. più ampia sul C. è il volume di L. Cavazzoni, S. C., Milano 1955: vi è tracciata una biografia attraverso un'ampia serie di documenti e testimonianze raccolti e ordinati dal figlio Leone. Sull'attività giovanile del C. in seno al movimento cattolico nei primi anni del secolo cfr. G. Pastori, Il cardinal Ferrari, Milano 1919; F. Magri, L'azione cattolica in Italia, I,Milano 1953, pp. 282, 284, 315, 316, 329, 356; L. Osnaghi Doni, L'azione sociale dei cattolici nel Milanese (1878-1904), Milano 1974, ad Indicem. Sull'attività in seno al partito popolare, cfr. S. Jacini, Storia del partito popolare italiano, Milano 1951, passim; E.Pratt Howard, Il partito popolare italiano, Firenze 1957, ad Indicem; A. C.Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino 1963, pp. 423, 440, 443 ss.; M. G. Rossi, F. L. Ferrari dalle leghe bianche al. Partito popolare, Roma 1965, ad Indicem; G. De Rosa, Storia del mov. catt. in Italia, II, Il Partito popolare italiano, Bari 1966, ad Indicem; F. Piva-F. Malgeri, Vita di L. Sturzo, Roma 1972, pp. 224, 226, 228, 264, 272. Sui rapporti con il fascismo, con Mussolini e sul Centro nazionale: R. A. Webster, La croce e i fasci, Milano 1964, ad Indicem; R. De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere (1921-1925), Torino 1966, ad Indicem; A. Carapelle, Il Centro nazionale italiano, Roma 1928. Per l'azione svolta nel periodo fascista ed in particolare sui problemi delle banche cattoliche e sull'Istituto centrale di credito: G. Rossini, Il movimento cattol. nel periodo fascista, Roma 1966, ad Indicem, opera in gran parte basata su documenti inediti dell'Archivio Cavazzoni.