CARLI, Stefano
Figlio del conte Rinaldo e di Cecilia Imberti, fratello minore di Gian Rinaldo, nacque a Capodistria l'8 giugno 1726.
Studiò nel collegio degli scolopi della sua città; non ancora ventenne fu inviato dal governo veneziano a Costantinopoli quale "giovane di lingua", cioè interprete addetto a favorire le iniziative dei commercianti. Qui si addottrinò nelle lingue orientali; e vi soggiornò fino al 1753, quando, a causa del disagio derivantegli dal clima, fece ritorno a Venezia. Trascorse il successivo decennio fra Venezia e Capodistria, frequentando teatri, caffé e salotti, brigando per nuovi incarichi, come quello di console al Cairo, e cercando a tal fine la protezione del procuratore Emo e della procuratessa Sagredo. Suo fratello Gian Rinaldo, che gli aveva dedicato anni prima le sue Osservazioni sopra la musica gli affidò la revisione del suo libro Delle monete e delle zecche d'Italia, che apparve
nel '54. Intanto il C. si occupava di diritto e di matematica, d'anatomia e di scienze naturali, stabilendo rapporti con A. Vallisnieri a Padova e con L. Spallanzani a Pavia, e acquistando così una varia ma piuttosto disordinata crudizione. Negli anni della rivalità fra il Goldoni e il Chiari, parteggiò per quest'ultimo, e ancora stimolato dal fratello a scrivere di storia e per il teatro, compose LaErizia, tragedia nuova dedicata alli signori de Voltaire e Rousseau (pubbl. a Venezia solo nel 1765).
Essa ha per protagonista una giovane di casa Erizzo, caduta schiava dei Turchi, che affronta la morte piuttosto che cedere alle voglie del sultano Maometto II. Non ebbe alcun successo, benché venisse lodata da G. Gozzi e poi da L. Bossi per la distribuzione delle parti, l'andamento dell'azione e l'ispirazione storica.
Alla morte del padre, avvenuta senza testamento nel '57, il C. entrò in lite col fratello maggiore per l'eredità, ed espresse aspri giudizi contro la società aristocratica fondata sul privilegio e sull'istituto del maggiorascato. Soltanto alla fine del '63 poté ottenere dal Reggimento dell'Arsenale la carica di sovrintendente di tutti i boschi dell'Istria e iniziò, con zelo la nuova attività, presentando il 10 genn. '64 un'ampia relazione sulla situazione forestale. Successivamente alternò il soggiorno fra l'Istria e Venezia, iniziando a trinciar giudizi e a polemizzare, tanto che la Nunziatura lo ammonì per una lettera aperta da lui scritta contro padre Contin e pubblicata su Il Corrier letterario del Griselini (I, n. 23, 17 maggio 1766).
Negli anni successivi il C. si occupò di studi storici, come dimostrano due lettere indirizzategli dal Bachiocco Sopra l'antica Istria (nell'Osservatore triestino del 1786, pp. 287 ss., 583 ss.). Anche le sue idee illuministiche subirono un progressivo annacquamento. Le notizie della Rivoluzione francese l'allarmarono e lo convinsero, insieme all'influsso, che esercitava su di lui il colto e attivo nipote Agostino Giovanni Carli Rubbi, residente a Trieste, dell'opportunità di favorire l'occupazione austriaca dell'Istria veneta.
Così, quando dopo la "democratizzazione" della Repubblica i popolani di Capodistria innalzarono in piazza il gonfalone marciano e si sollevarono contro la nobiltà sospettata di voler salvare i propri privilegi all'ombra dell'Impero, la casa del vecchio e quasi cieco conte Stefano venne invasa e saccheggiata ed egli stesso fu costretto ad uscire seminudo e a gridare "viva San Marco" (6 giugno 1797); intervenne a salvarlo il sindaco del popolo Nicolò de Baseggio. Nei giorni seguenti si attuò, nonostante l'ostilità popolare, l'occupazione austriaca, cui il C. applaudì con due sonetti, il primo pubblicato in foglio volante, il secondo sull'Osservatore triestino.Tenne poi un contegno politicamente più riservato. Nel settembre 1800 presentò ai sindaci di Capodistria un suo progetto per l'arginamento del Fiumicino ed il miglioramento della produzione agricola.
Durante il successivo periodo francese, il C. fu forse ascritto alla loggia massonica di Capodistria e autore di scritti satirici di tono antiaustriaco; brigò pure, ma invano, presso il prefetto A. Calafati per ottenere la Direzione dei boschi (1807). Nel 1810 si portò a Parenzo, dove il 7 marzo redasse un bizzarro e contraddittorio testamento.
In esso diseredava il nipote Agostino Giovanni e la sua città, per nominare sua crede la municipalità di Parenzo, a condizione che questa istituisse una biblioteca pubblica, quattro borse di studio per studenti all'università di Padova e quattro doti per ragazze povere. Nel documento il C. si professa buon cristiano e respinge le idee volteriane un tempo esternate; dispone che dall'erigenda biblioteca vengano escluse le opere che possano incoraggiare la miscredenza, e vi siano invece custoditi i suoi numerose manoscritti fra i quali le Memorie illustri della famiglia Carli (ch'egli sostiene originaria di Grenoble); è orgoglioso del suo casato, vuole però un funerale more pauperum e dispone lasciti per messe ed elemosine.
Il C. morì a Capodistria l'11 febbr. 1813.
Il fratello Gerolamo nacque a Capodistria nel 1728. Studiò in patria nel collegio degli scolopi e all'università di Padova, dove si laureò in giurisprudenza nel 1759, poco dopo la perdita del padre. Acquistò larga crudizione e lasciò alcuni saggi letterari e poetici, ma soprattutto approfondì lo studio del diritto criminale. Al seguito del fratello maggiore si trasferì a Milano ove nel 1766 ottenne le funzioni di avvocato fiscale e nel 1786 di capitano di giustizia e di capo del tribunale criminale, poi di presidente dell'Ufficio di polizia, infine nel '91 di consigliere aulico del Supremo tribunale digiustizia di quella città. Tra gli altri lasciò un dotto libro su una questione allora molto discussa: Del diritto di stabilire gl'impedimenti dirimenti il matrimonio e di concedere le dispense, Cremona 1784. Morì a Milano nel gennaio 1792.
Fonti e Bibl.: L. Bossi, Elogio stor. del co. comm. G. R. Carli, Venezia 1797, p. 47ss.;G. A.Moschini, Della letteratura venez. del sec. XVIII fino a' nostri giorni, Appendice (o vol. IV), Venezia 1808, p. 106; P. Stancovich, Biogr. degli uomini distinti dell'Istria, Capodistria 1888, pp. 294 s., 353 ss.(contiene alcune inesattezze, ma pubblica pure un sonetto ined. di Gerolamo); E. Bertana, La tragedia…, Milano 1906, p. 265; A. Tamaro, La Loggia massonica di Capodistria (1806-1813), in Atti e mem. della Soc. istr. di archeol. e st. patria, XXXIX (1928), pp. 108, 111; C. L. Curiel, Il teatro di S. Pietro di Trieste, Milano 1937, p. 431; B. Ziliotto, "La Rinaldeide" di Alessandro Gavardo e la giovinezza di Gianrinaldo Carli, in Archeogr. triestino, s. 4, X-XI (1946), pp. 261 ss., passim;Id., Del co. S. C. e anche di Carlo Goldoni, ibid., s. 4, XIV-XV (1948), pp. 273-298; R. M. Cossar, Epistolario ined. del co. S. C. (1726-1813),ibid., s. 4, XVI-XVII (1949-50), pp. 259-315;G. Quarantotti, Trieste e l'Istria nell'età napoleon., Firenze 1954, p. 18;A.Cherini, Inquisizione e processo per la sommossa di Capodistria, 5-6 giugno 1797, in Atti e mem. della Soc. istr. di archeol. e st. patria, n. s., XVI (1968), pp. 145 ss.