BONSIGNORI (Bonsignore), Stefano
Nato a Busto Arsizio il 23 febbr. 1738 da Giovanni Battista, mercante di cotone, e da Giovanna Galeazzi, dopo i primi studi compiuti nella città natale presso uno zio materno sacerdote, frequentò i seminari arcivescovili. Ammesso nel 1759 nella Congregazione degli oblati di S. Ambrogio, della quale facevano parte insigni personalità del clero lombardo, fu ordinato sacerdote il 31 dic. 1760: insegnò, quindi, grammatica nei seminari arcivescovili di Celana e Gorla e poi retorica e teologia nel seminario maggiore di Milano e nel Collegio elvetico, venendo a contatto con il gruppo di eruditi e studiosi che faceva capo al cardinale Durini, nella cui casa si incontravano illustri personaggi come il conte di Firmian, l'arcivescovo Pozzobonelli, Carlo Trivulzio, e gli oblati Mussi e Oltrocchi. Acquistata fama come oratore sacro, epigrafista e scrittore di storia ecclesiastica (pubblicò il Compendio storico della vita e ricerche intorno la patria della beata Giuliana..., Milano 1770), nel 1774 fu nominato dottore della Biblioteca Ambrosiana, continuando tuttavia a esercitare l'insegnamento. L'11 maggio 1775 il B. si laureò in teologia all'università di Pavia.
Nel 1791 quando, dopo la parentesi del seminario generale, con Leopoldo II furono ripristinati i seminari vescovili, la commissione incaricata del riordinamento si assicurò l'opera del B. come professore di teologia dogmatica e prefetto degli studi e, ritenendolo degno dei maggiori riguardi per le sue qualità, gli assegnò un trattamento economico particolare.
Consigliere stabile dell'arcivescovo Visconti, apprezzatissimo oratore e benvoluto da tutto l'ambiente della nobiltà milanese, nel 1797 fu ammesso nell'aristocratico capitolo della metropolitana come canonico teologo, una delle dignità più ambite e ricche di prestigio; ma il notevole benessere che era collegato con questa carica doveva durare ben poco, perché il 19 maggio 1798 furono aboliti tutti i capitoli delle cattedrali e incamerati i beni di queste. Solo dopo molti ricorsi, e probabilmente con l'appoggio di qualche membro del governo, riuscì a ottenere al tempo della seconda Cisalpina la pensione di 1.200 lire concessa ai parroci.
I riguardi concessi al B. in questa occasione e quelli sempre più importanti ottenuti successivamente avevano probabilmente origine nella stima e simpatia che egli si era conquistato presso il Bonaparte al momento dell'entrata delle truppe francesi a Milano dopo Marengo. Sembra che al B. e al parroco di S. Babila, Ronna, fosse stato dato l'incarico di compendiare quel discorso di Bonaparte ai parroci di Milano che doveva segnare una svolta decisiva nella politica ecclesiastica della Francia. Il programma iniziale di stampare questo discorso fu modificato con un ordine al vicario capitolare Bonanomi di inviare una lettera enciclica con accenni all'allocuzione; ed anche in questo caso il B. fu incaricato della redazione della lettera (Marelli, Giornale storico, p. 152v).
L'anno dopo, quando il vecchio arcivescovo Visconti si decise a partecipare alla consulta di Lione, ove morì, il B. venne scelto per accompagnarlo come consigliere. Con l'istituzione della Repubblica italiana è certamente significativo che tra i primi nomi proposti dal Melzi per i vescovadi ci fosse quello del B., "uno dei nostri" come il vicepresidente della Repubblica lo definisce.
La candidatura del B. aveva un significato politico: egli, pur non essendo nobile, proveniva da quell'ambiente aristocratico taglieggiato ed esautorato durante il governo democratico della Cisalpina, che il Melzi proteggeva e dove avrebbe voluto prendere i suoi collaboratori, se solo avesse potuto trovarvi personalità adatte ad assumersi incarichi di governo. Così, nell'ambito di questo programma di recupero dell'aristocrazia, non nuocevano più al B. le espressioni piuttosto forti contro i rivoluzionari sovvertitori del trono e dell'altare che aveva pronunziato in duomo il 15 dic. 1799 in un'omelia in cui aveva fatto l'apologia del primato pontificio.
Ma, per il ritardo con cui divenne operante il concordato con la S. Sede, il B. dovette attendere il 5 apr. 1806 per essere designato ufficialmente dall'imperatore vescovo di Faenza: solo il 18 sett. 1807 la nomina fu approvata da Pio VII. Nel frattempo si cercò di aiutare il B., in quel periodo professore di filosofia e di analisi delle idee al liceo di Brera, nominandolo membro dell'Istituto nazionale e affidandogli nel giugno 1803 la carica di vicedirettore della Biblioteca di Brera, ufficio creato per lui e che dopo la sua nomina a vescovo venne abolito.
Ottenuta la dignità vescovile, il B. divenne uno dei prelati più devoti al regime, cosicché ricevette tutte le onorificenze che in quel periodo non si lesinavano agli alti funzionari ossequiosi e obbedienti: fu grand'ufficiale del Regno d'Italia, commendatore dell'Ordine della Corona di Ferro, conte e barone. Ma, a parte queste onorificenze ufficiali, il fatto di aderire al regime napoleonico diventò nella controversia sempre più accesa tra il papa e l'imperatore una presa di posizione nell'ambito stesso della Chiesa, anche se si ha l'impressione che l'atteggiamento del B. sia stato più di passiva acquiescenza che di meditata azione politica.
Consacrato vescovo a Milano dall'arcivescovo Codronchi il 23 dic. 1807, prese possesso della sua diocesi il 13 marzo 1808, quaranta giorni dopo che le truppe del generale Miollis erano entrate a Roma. Gli anni seguenti, che porteranno all'annessione all'Impero della residua parte dello Stato pontificio, alla scomunica dell'imperatore, all'arresto e alla prigionia di Pio VII e praticamente alla denuncia del concordato da parte del papa, trovano il vescovo di Faenza fedele esecutore delle disposizioni del governo nella politica ecclesiastica; la lettera ai parroci del 15 dic. 1810, in cui al matrimonio civile viene attribuito lo stesso valore di quello religioso e che il B. dovrà ritrattare, obbediva a una circolare del ministro del Culto dell'8 ottobre, nella quale il Bovara esortava i vescovi a indurre i fedeli a celebrare, prima del matrimonio religioso, quello civile che aveva "le obbligazioni della vera unione matrimoniale". L'11 settembre di quello stesso anno il B., invitato dal canonico Tosi, anch'egli di Busto Arsizio, amministrò la cresima alla moglie del Manzoni, Enrichetta Blondel.
Si trattava di un'ennesima prova della stima e dell'amicizia che egli godeva nell'ambiente milanese (come si può vedere anche dal sonetto del Porta dedicato al B. in risposta a una sua lettera di elogio per il ditirambo composto dal poeta per le nozze di Napoleone). Questo episodio insieme con la accettazione di quei principi gallicani che avevano riavvicinato all'imperatore il vecchio clero costituzionale francese con a capo il Grégoire e con il quale il B. venne necessariamente a contatto ha indotto alcuni biografi a vedere in lui una certa propensione per il giansenismo. Ma, in realtà, la sua completa avversione per le idee gianseniste è ben documentata non solo, per quello che riguarda la teologia dogmatica, dal suo insegnamento a Milano come si può vedere da una lettera del padre Martino Natali (E. Codignola, Carteggi di giansenisti liguri, I, p. 159), ma anche sul piano ecclesiologico da una rappresentanza dell'arcivescovo Visconti all'imperatore (1789)a proposito della facoltà teologica di Pavia, redatta dal B. stesso (M. Panizza, p. 209), che il Wilzeck riteneva atta a preparare gli animi alla opinione della infallibilità pontificia.
Comunque la fedeltà del B. al regime gli valse il patriarcato di Venezia, allora vacante, nell'ambito della nuova polinca ecclesiastica del Regno italico. Non a caso la lettera di nomina in data 9 febbr. 1811 coincise con l'indirizzo di adesione al senato consulto dell'anno precedente che proclamava legge dell'Impero i quattro articoli del 1682 circa le prerogative della Chiesa gallicana. Secondo il sistema ideato dal ministro dei Culti francese Bigot de Préameneu, il vicario capitolare di Venezia, amministratore della diocesi in sede vacante, diede le dimissioni e il capitolo delegò i suoi poteri al Bonsignore.
Il 9 aprile il B. fece il suo ingresso nella città, ma già il 5 maggio partiva per Parigi convocato per il concilio e, su ordine di Napoleone, raggiungeva in viaggio i vescovi di Tours, Treviri e Nantes inviati a Savona da Pio VII per ottenere qualche concessione in vista del concilio. Di nessuna rilevanza furono gli interventi del B., che pure era uno dei quattro segretari, durante le sedute del concilio, come del resto la sua azione nella seconda e più imponente deputazione di vescovi che in ottobre si recò a Savona, dove, nonostante il prolungarsi delle trattative fino al febbraio successivo, nulla si poté ottenere. Nel 1813 si recò a far visita al papa a Fontainebleau, ma non sembra abbia avuto parte nelle trattative per il concordato.
Dopo la capitolazione di Napoleone il B. cominciò la serie delle sue ritrattazioni che riguardavano la lettera ai parroci sul matrimonio, l'insediamento a Venezia come patriarca, l'indirizzo di adesione alle proposizioni gallicane, scrivendo una lettera al papa prima della sua partenza da Venezia il 5 maggio 1814 e pronunciando il 29 dello stesso mese, dal pulpito della cattedrale di Faenza, un'omelia e la confessione delle sue colpe. Ottenuto dal papa il permesso di ritornare nella sua sede faentina, dopo aver subito la pena canonica di un anno di sospensione dai pontificali, da Bologna, il cui arcivescovo e suo vecchio amico cardinale Opizzoni lo aveva molto aiutato in questa circostanza, inviò il 5 sett. 1815 una lettera pastorale al clero e al popolo della sua diocesi, prima di rientrarvi.
In seguito la sua azione pastorale fu di energico sostegno dell'opera di restaurazione religiosa voluta da Pio VII: il B., dopo la visita pastorale del 1816, ripristinò il collegio dei parroci urbani, ristabilì il numero delle parrocchie e ricostituì gli otto monasteri soppressi; altri due monasteri furono fondati a Bagnocavallo e a Fagnano per provvedere all'educazione delle fanciulle. Negli ultimi anni provvide al riordinamento del seminario, alla cui biblioteca lasciò i suoi libri e manoscritti. Morì a Faenza il 23 dic. 1826.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Studi, p.m. 85, 87, 88, 102, 849; Ibid., Autografi, 20; Ibid., Culto, p.a. 1034; Ibid., Culto, p.m. 1477, 1488, 2875; Milano, Arch. della Curia arcivescovile, sez. XI, vol. 41; Milano, Bibl. Ambrosiana, S. B., Sue ritrattazioni, p. 241 sup. (2); Ibid., G. A. Marelli, Giornale storico, p. 152v., S. Q. + I 23; Bologna, Arch. della Curia arcivescovile, Carte appartenenti a Mons. S. B. vescovo di Faenza, in Raccolta Opizzoni, vol.V, 1;Arch. Segr. Vat., Processi concistoriali, vol. 208, ff.218-222; Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, I, Firenze 1941, p. 159; I carteggi di F. Melzi d'Eril..., a cura di C. Zaghi, I, Milano 1958, p. 413; II, ibid. 1958, pp. 96 s., 459; VI, ibid. 1962, p. 104; G. A. Morini, Elogio di S. B., Faenza 1826; Commentari di S. B., Faenza 1827; B. Pacca, Memorie storiche…, Roma 1830, pp. 292, 301, 319 s.; E. De Tipaldo, Biogr. degli Ital. illustri, III, Venezia 1836, pp. 273-275; A. Strocchi, Serie cronologico-critica dei vescovi faentini, Faenza 1841, p. 249; G. Cappelletti, Le chiese d'Italia, II, Venezia 1844, pp. 300-301; IX, ibid., 1853, pp. 377-378; I. Rinieri, Napoleone e Pio VII, II, Torino 1906, pp. 120, 150; F. Lanzoni, Cronotassi dei vescovi di Faenza, Faenza 1913, pp. 206 s.; G. Rizzardo, Il patriarcato di Venezia durante il regime napoleonico, in Nuovo archivio veneto, n.s., XXV (1914), pp. 391-424; C. Castiglioni, Napoleone e la Chiesa milanese, Milano 1934, pp. 54, 74, 143, 231, 237, 255; F. Meda, Un prelato milanese cesarista, in La scuola cattolica, LXIII (1935), pp. 15-43; P. Bondioli, Manzoni e gli amici della verità, Varese 1936, pp. 56-59, 81, 166, 185; C. Castiglioni, Dottori dell'Ambrosiana, in Memorie storiche della diocesi di Milano, II (1955), pp. 44-46; M. Panizza, L'Austria e gli studi superiori ecclesiastici nella diocesi di Milano...,ibid., III (1956), p. 209; C. Mazzotti, Il vescovo cesarista monsignor S. B. a Faenza, in Studi romagnoli, VIII (1957), pp. 147-167 (con una larga appendice di documenti); G. Caldiroli, Un prelato cesarista: il bustese S. B., in Diocesi di Milano, II (1961), pp. 320-322; A. Niero, Ipatriarchi di Venezia, Venezia 1961, pp. 163-166; C. Porta, Poesie, a cura di C. Guarisco, Milano 1964, pp. 178, 384, 447; L. Maino, Mons. S. B. 1738-1826, in Busto Arsizio, a cura di S. Ferrario, Milano 1964, pp. 372-377; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., IX, coll. 1108 s.