STEFANESCHI
– Le origini di questo casato romano, radicato nel rione Trastevere, sono oscure, anche se al riguardo in passato sono state formulate varie ipotesi che, tuttavia, non trovano un riscontro oggettivo. L’iniziatore della fortuna della famiglia sembra Stefano di Rainerio di Stefano, noto per avere offerto l’11 dicembre 1216 al pontefice Innocenzo III una garanzia fideiussoria di 200 libbre di provisioni per il popolo di Sutri, che giurava di non concedere a nessun estraneo la guida della città senza il consenso papale.
È forse possibile riconoscere in questo stesso Stefano lo Stephanus Rainerii de Marana che nel 1191 fece parte del collegio senatoriale del Comune capitolino, circostanza che contribuirebbe a comprendere meglio la sua elevata posizione nell’ambito dell’aristocrazia romana degli anni a cavallo tra XII e XIII secolo. Stefano era certamente già defunto nel luglio del 1218.
Uno dei suoi figli fu Pietro (v. infra), che poco dopo il 1246 sposò Perna di Gentile Orsini – un’alleanza che si rivelò decisiva per le fortune del casato – e morì in età avanzatissima dopo il 1302. Altro figlio di Stefano fu probabilmente Andrea (Andreas Stephani de Rainerii de Stephano), sul quale si hanno poche notizie; sposò prima del 1195 Tederada figlia di Cencio di Romano de Papa, esponente di uno dei più importanti casati del rione Trastevere, i Papareschi. Sarebbe interessante poter riconoscere con certezza in Andrea quell’Andreas Stephani de Raynero, che un mandato dell’imperatore Federico II del 19 ottobre 1239 ricorda come ormai defunto e già detentore di un feudo nel Regno, poi destinato al romano Ottone Frangipane. Sempre con qualche dubbio, potrebbe essere considerato come figlio di Stefano anche Giovanni (Iohannes Stephani de Urbe), vescovo di Cefalù (1254-1271), rettore della provincia di Massa Trabaria e legato papale.
La seconda metà del Duecento, e in particolare gli ultimi decenni, segnò anche il consolidamento patrimoniale e signorile degli Stefaneschi.
A quanto pare, parte delle principali proprietà fondiarie degli Stefaneschi erano dislocate lungo le direttrici delle vie Portuense e Aurelia, in stretta relazione con il loro radicamento urbano a Trastevere, analogamente a quanto si può constatare per altri grandi lignaggi di quel rione romano, come i Normanni, i Bonaventura e i Romani.
Sembrerebbe che prima dell’ultimo quarto del Duecento gli Stefaneschi non potessero vantare alcuna signoria castrense; in ogni caso i castra sui quali essi poterono accampare diritti appaiono in numero molto limitato, se paragonato a quello delle dominazioni signorili vantate dagli altri casati baronali romani.
Nel 1279 si registra la prima attestazione di un possesso signorile da parte di Pietro di Stefano che risulta allora detenere a nome di una nuora metà del castrum di Versano alle pendici del monte Soratte a nord di Roma (l’altra metà dell’insediamento castrense apparteneva ai Savelli). Questo possesso non dovette rimanere a lungo sotto il controllo degli Stefaneschi, contrariamente a quanto avvenne nei casi del castrum di Monterosi, a ridosso del percorso della via Cassia/Francigena, e dell’importante e strategico castrum/civitas di Porto, sede di una delle diocesi suburbicarie, acquisiti dal lignaggio più o meno in quegli stessi anni.
L’acquisizione di Porto e del suo vasto territorio avvenne in varie fasi e fu molto probabilmente agevolata da precedenti acquisizioni fondiarie. Poco dopo il 1274 Pietro di Stefano entrò in possesso di due quarti dell’insula Portuensis, di spettanza del vescovo di Porto, e di un ulteriore quarto appartenente alla famiglia romana dei Bobazani; a Pietro allora non riuscì di acquisire l’ultimo quarto che entrò nel patrimonio del monastero di Sant’Andrea ad Aquas Salvias. Egli poté invece incamerare a titolo enfiteutico un gran numero di possedimenti fondiari nel territorio portuense, che appartenevano al capitolo della basilica Vaticana e al cenobio trasteverino dei Ss. Cosma e Damiano.
Nel 1295 gli Stefaneschi risultavano signori anche del castrum di Nocigliano, situato tra i percorsi delle vie Cassia e Flaminia, a poco più di venti chilometri da Roma; pare però che proprio in tale anno, a causa di una ribellione dei vassalli di quel castello, questo passasse sotto il dominio dei conti di Anguillara.
Pietro di Stefano ebbe almeno due figlie (solo di una è noto il nome, Costanza) e sei figli: Stefano, defunto certamente prima del 1295, e Paolo, defunto anteriormente al 1320 (tra i quali forse il padre, in età avanzata, divise il patrimonio e i domini signorili, attribuendo, almeno, al primo Porto e al secondo Monterosi); Giacomo Gaetano (v. la voce in questo Dizionario), che intraprese la carriera ecclesiastica e nel 1295 fu creato cardinale-diacono del titolo di S. Giorgio in Velabro da Bonifacio VIII; Bertoldo; Gentile (v. la voce in questo Dizionario), ugualmente votato alla vita religiosa (domenicano, nominato vescovo di Catania da Bonifacio VIII, morto nel 1303); Giovanni, quasi certamente il minore, ancora in vita nel 1328 e marito di Angela di Andrea Normanni. Oltre ai due ecclesiastici, anche altri tra costoro percorsero carriere di un certo rilievo.
Bertoldo di Pietro fu uno dei pochissimi domicelli romani di Nicola III ed è noto per essere stato il committente degli splendidi mosaici della chiesa di S. Maria in Trastevere, dove fu sepolto intorno all’anno 1300. In suo favore intervenne nel 1292 Carlo II d’Angiò, affinché gli fosse restituita la somma di 100 once d’oro.
Stefano di Pietro fu podestà del Comune di Bagnacavallo nel 1287, allorquando il padre ricopriva l’incarico di rettore della provincia di Romagna. Il fratello Giovanni, invece, fu senatore di Roma nel 1309 in coppia con Tebaldo Sant’Eustachio; per ottenere l’incarico, tuttavia, gli fu necessaria una speciale dispensa papale, poiché Bonifacio VIII (con un provvedimento inspiegabile alla luce dei dati in nostro possesso) aveva proibito che assurgessero alla carica senatoriale abitanti del rione Trastevere, quali erano per l’appunto gli Stefaneschi. In seguito, nel 1324, Giovanni fu vicario di Roberto d’Angiò come senatore capitolino in coppia con Annibaldo di Riccardo Annibaldi.
Alla morte del longevo Pietro di Stefano la fortuna del casato appare ormai consolidata. L’alleanza con gli Orsini fu alcuni decenni dopo ribadita dall’unione di una delle nipoti di Pietro, Giacoma di Stefano, con Gentile Orsini; anche la Cronaca dell’Anonimo romano riconosce apertamente la solidità di questo rapporto, quando afferma che Martino Stefaneschi fu giustiziato nonostante «lla parentezze delli Orsini» (Anonimo romano, Cronica, a cura di G. Porta, 1979, p. 139). Anche alcuni incarichi podestarili ricoperti da esponenti del casato (Pietro di Stefano fu podestà di Orvieto nel 1279 e di Firenze l’anno seguente; i suoi figli Stefano e Bertoldo furono rispettivamente podestà di Orvieto nel 1280 e di Firenze nel 1287) vanno messi in relazione alla politica del più potente casato degli Orsini.
Dopo la morte di Pietro di Stefano il lignaggio si divise in due rami distinti, derivanti da Stefano e Paolo, i soli figli di Pietro che risultano aver lasciato una discendenza maschile. La principale fu quella di Stefano che ebbe due figli e due figlie: Francesco, morto tra il 1317 e il 1324; Stefano, che seguì la carriera ecclesiastica e risulta ancora in vita nel 1324; Perna (morta nel 1348) moglie di Stefano Normanni; e la già menzionata Giacoma che sposò Gentile Orsini.
Di Francesco di Stefano sappiamo che nel 1309 fu accusato, insieme ad altri due nobili trasteverini del casato dei Bonaventura, di aver esportato via mare grano dal porto di Corneto (Tarquinia), allorquando nella città di Roma vi era penuria di vettovaglie. I due senatori del momento (uno dei quali era Giovanni di Pietro Stefaneschi) convocarono in giudizio i tre accusati, che però non solo si rifiutarono di comparire, ma ordirono una congiura contro i due senatori. La reazione di questi ultimi fu immediata e durissima, ottenendo dal parlamento comunale l’autorizzazione a procedere militarmente contro i territori dei tre accusati (la conclusione della vicenda purtroppo non è nota). Francesco sposò una non meglio precisabile Giacoma; di lui si conoscono una figlia, Caterina, e quattro figli: Stefano, canonico e cappellano papale (morto nel 1325); Giacomo, canonico del capitolo della basilica di S. Pietro in Vaticano (morto nel 1335); Pietro-Stefano e Martino (v. la voce in questo Dizionario), noto per il suo coinvolgimento nella politica romana negli anni Quaranta del Trecento, che lo portò sul patibolo per volontà di Cola di Rienzo nel 1347.
Questo ramo si estinse con la morte di Martino nel 1347, visto che due dei fratelli di quest’ultimo erano ecclesiastici e il terzo, Pietro-Stefano, era già defunto a quella data senza lasciare eredi. La figlia di Martino, Francesca, ottenne la dispensa per sposare il procugino Annibale di Francesco, unico discendente maschio dell’altro ramo; non ci sono prove certe che questa unione matrimoniale abbia avuto luogo, ma è molto probabile, visto che nel 1351 fra i possessi di Annibale figura, oltre al castrum di Monterosi, ereditato dal padre, anche Porto, appartenuto al defunto Martino.
L’altro ramo, quello di Paolo, proseguì in un figlio di costui, Francesco (cui Roberto d’Angiò in qualità di senatore capitolino il 26 luglio 1330 concesse la carica di vicario), e una figlia, Francesca; il primo sposò Ocilenda Bonaventura e risulta defunto nel 1351; la seconda andò in sposa a Giacomo Capocci e morì prima del 1354.
Fu il già menzionato Annibale figlio di Francesco di Paolo a continuare la stirpe e a riunire nelle sue mani il patrimonio familiare; un suo figlio, Pietro (v. la voce in questo Dizionario), divenne cardinale. Ma tutto ciò non sottrasse il casato a un lento e inesorabile declino nel corso del XV secolo.
Vari altri esponenti del casato non trovano una precisa collocazione nella genealogia familiare a causa dell’estrema frammentarietà delle testimonianze documentarie. È il caso di Iacopo Stefaneschi di Giovanni Arlotti (v. la voce in questo Dizionario), nel Duecento, o di Francesco di Giovanni di Bonaventura Stefaneschi scomunicato dal papa nel 1337 per aver perpetrato alcuni non meglio precisati abusi quando era senatore di Roma in coppia con Orso Orsini.
Lo stemma Stefaneschi è testimoniato, nel Duecento, dalla matrice del sigillo di Pietro Stefaneschi: l’arme fasciata e caricata di lune crescenti in numero di quattro, tre, due e di stelle a otto raggi in numero di quattro, tre e una.
Fonti e Bibl.: M.L. Malpeli, Dissertationi sulla storia antica di Bagnacavallo, Faenza 1806, Appendice, pp. III, XXXVI s.; Syllabus membranarum ad regiae siclae archivum pertinentium, Napoli 1824, p. 95; A. Theiner, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, I, Roma 1861, p. 40, n. 48; Le Registre de Benoît XI (1303-1304), a cura di C. Grandejean, Paris 1883-1905, coll. 663-664, n. 1105; Le Liber censuum de l’Église romaine, a cura di P. Fabre, I, Paris 1889, pp. 436 s., n. 182; G. Pardi, Serie dei supremi magistrati e reggitori di Orvieto dal principio delle libertà comunali all’anno 1500, in Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria, I (1895), p. 375; Les Registres d’Innocent IV (1242-1254), a cura di É. Berger, III, Paris 1897, col. 369, n. 7266; E. Loevison, Documenti del monastero di S. Cecilia in Trastevere, in Archivio della Società romana di storia patria, XLIX (1926), pp. 368 s., n. 4; F. Bartoloni, Per la storia del senato romano nei secoli XII e XIII, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, LX (1946), p. 84; F. Bartoloni, Codice diplomatico del Senato romano dal MCXLIV al MCCCXLVII, I, Roma 1948, p. 77; Anonimo romano, Cronica, a cura di G. Porta, Milano 1979, pp. 139-142, 162-165; C. Carbonetti Vendittelli, Il registro della cancelleria di Federico II del 1239-1240, I, Roma 2002, p. 97, n. 118; Die Register Innocenz’ III., IX, Pontifikatsjahr, 1206-1207, a cura di A. Sommerlechner et al., Wien 2004, pp. 356 s., n. 199; J. Johrendt, Urkundenregesten zum Kapitel von St. Peter im Vatikan (1198-1304), Città del Vaticano 2010, pp. 85 s., n. 69.
G. Navone, Di un musaico di Pietro Cavallini in S. Maria Transtiberina e degli S. di Trastevere, in Archivio della Società romana di storia patria, I (1878), pp. 219-240, passim; R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, II, Berlin 1900, p. 540; E. Duprè Theseider, Roma dal Comune di popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna 1952, pp. 154 s., 206 s., 240, 258, 262, 278, 357, 359, 390 s., 396, 441, 443 s., 489, 497; G. Marchetti Longhi, Gli S., Roma 1954, passim; N. Kamp, Kirche und Monarchie im Staufischen Königreich Sizilien, I, Prosopographische Grundlegung: Bistümer und Bischöfe des Konigreichs 1194-1266, 3, Sizilien, München 1975, pp. 1048, 1063, 1067 s., 1072-1076, 1232; G. Ragionieri, Cronologia e committenza: Pietro Cavallini e gli S. di Trastevere, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, s. 3, XI (1981), 2, p. 462; Die Mittelalterlichen Grabmäler in Rom und Latium vom 13. bis zum 15. Jahrundert, Roma-Wien 1981, pp. 220 s.; S. Carocci, Baroni di Roma. Dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e primo Trecento, Roma 1993, pp. 74, 117, 302, 345 s., 423-431; M. Thumser, Rom und der römische Adel in der späten Stauferzeit, Tübingen 1995, pp. 199-201; V. Formentin, Frustoli di romanesco antico in lodi arbitrali dei secoli XIV e XV, in Lingua e stile, XLIII (2008), p. 39; M. Leonardi, Gentile Stefaneschi Romano O. P. (†1303) o Gentile Orsini? Il caso singolare di un Domenicano nel Regnum Siciliae tra ricostruzione storica e trasmissione onomastica, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XCIII (2013), pp. 31-48, passim.