QUINZANI, Stefana
QUINZANI, Stefana. – Nacque a Orzinuovi (Brescia) il 5 febbraio 1457 da Lorenzo e da Savia, della quale si ignora il cognome.
La famiglia, di modeste condizioni, si trasferì nel 1462 o nel 1463 a Soncino (Cremona) dove Quinzani frequentò il convento domenicano di S. Giacomo, indirizzata sin da bambina alla devozione per la passione di Cristo dal frate Matteo Carreri. Il padre, nominato in alcuni documenti come ‘frate Lorenzo’, probabilmente vestì qui l’abito di terziario domenicano.
Nel 1473 Quinzani andò a servizio come domestica a Crema, presso il medico bergamasco Giovanni Sabbadini. Non è possibile stabilire quando entrò nel terz’ordine domenicano; di certo negli anni Novanta era nota come visionaria e profetessa a causa delle estasi sulla passione che si ripetevano il venerdì, nel corso delle quali riviveva i tormenti della croce.
L’apparizione dei segni delle stigmate poneva la figura di Quinzani in continuità con un’altra proposta di santità, quella della terziaria domenicana Caterina da Siena, canonizzata nel 1461. Il fenomeno delle stigmate femminili era allora oggetto di accese contese tra gli ordini mendicanti (i francescani ne rivendicavano la prerogativa esclusiva al loro fondatore) ed era valutato con sospetto anche entro l’Ordine domenicano, dal momento che la venerazione verso la santa stigmatizzata Caterina da Siena era diventata un modo per esprimere la devozione per la controversa figura di Girolamo Savonarola.
Sulle estasi di Quinzani furono redatti due documenti ufficiali. Il primo, del 17 febbraio 1497, fu steso a Crema dal notaio Giovanni Vimercati nella casa di un devoto, il nobile Giovan Francesco Verdello, dove Quinzani abitava da dieci mesi. Attestava le «grandissime et inenarrabili visione et revellatione divine» (Brunati, 1834, p. 146) della terziaria domenicana, fornendo una minuziosa descrizione delle tentazioni diaboliche e delle sofferenze della passione sperimentate sul suo corpo durante il rapimento estatico. Autorità civili ed ecclesiastiche sottoscrissero il documento come testimoni del fatto. Tra loro c’erano il vicario del vescovo di Cremona, il priore dei domenicani di Piacenza e il teologo domenicano Domenico Pirri da Gargnano, inquisitore di Mantova, che confermò l’autenticità delle stigmate: «Omnia et singula suprascripta de sorore Stefana diligentissime et pluries vidi et audivi, ac manibus meis tetigi et expertus sum quod insolubilis erat quando invisibiliter erat ligata et per modum crucis confixa» (ibid., p. 152).
Nel 1499 Quinzani tornò a Soncino fermandosi in casa di Pietro Rizzoli; l’anno successivo era a Mantova presso la nobildonna Paola Carrara. Qui il 16 giugno 1500 all’estasi e stigmatizzazione di Quinzani assistettero il marchese di Mantova Francesco II Gonzaga e la moglie Isabella d’Este, funzionari, gentiluomini e gentildonne della corte, l’inquisitore Domenico da Gargnano, la terziaria domenicana Osanna Andreasi, ‘santa viva’ dei Gonzaga, molti frati domenicani osservanti tra i quali i superiori dei conventi di Mantova e di Soncino (Bartolomeo da Mantova priore di S. Domenico e Girolamo da Cremona priore di S. Maria degli Angeli in Mantova; Francesco Cropelli da Soncino, che era anche confessore della Quinzani, priore di S. Giacomo a Soncino). Il 22 luglio, per volontà dei marchesi, il notaio Giovanni Filippo De Venturi stese una relazione ufficiale dell’evento.
È stato dimostrato (Zarri, 1990; Herzig, 2008) che la figura storica di Quinzani stigmatizzata, visionaria e profetessa va inserita nel contesto più ampio della propagazione della riforma savonaroliana e della venerazione per il frate giustiziato a Firenze nel 1498. Della loro diffusione, nonostante le proibizioni dei superiori domenicani, si fecero tramite donne carismatiche protette dai principi dell’Italia centro-settentrionale, sostenute da autorevoli esponenti dell’ordine. Tra questi, l’inquisitore Domenico da Gargnano che, oltre a quelle di Quinzani, certificò le stigmate della terziaria domenicana Lucia Broccadelli da Narni, la visionaria savonaroliana alla corte ferrarese di Ercole I d’Este. Quinzani, che nella corrispondenza con il duca nominava Broccadelli con devozione e ammirazione, si recò più volte a Ferrara per incontrare la famosa ‘santa viva’ degli Este. Ebbe così modo di visitare la comunità di terziarie intitolata a S. Caterina da Siena istituita da Broccadelli nel 1499 (successivamente da Quinzani presa a modello), ispirata a un’assoluta povertà e a un’ascesi rigorosa, aperta a giovani che non erano in grado di versare pingui doti monastiche, in linea con gli orientamenti savonaroliani.
Il legame di Quinzani con Savonarola si manifestò anche su altri fronti. Nella già menzionata estasi della passione del 17 febbraio 1497, proprio all’indomani della proibizione di predicare fulminata da papa Alessandro VI Borgia contro il frate, Quinzani deplorò le ingiuste accuse e le diffamazioni contro il suo Ordine («questo sancto ordine de san Dominico el quale è molto infamato iniustamente, […] guai a quella lingua che ne dirà male») e pregò per i predicatori «aciò posseno far frutto ne le lor prediche» (Cistellini, 1948, p. 196). Dopo l’esecuzione di Savonarola, scomunicato da Alessandro VI, nella lettera a Isabella d’Este del 16 agosto 1502 (ibid., pp. 178 s.) per mezzo di ammonimenti profetici e minacce di futuri flagelli, Quinzani mise in guardia la marchesa di Mantova dallo stringere patti matrimoniali con la famiglia del pontefice.
Quinzani viaggiò nell’Italia centro-settentrionale, ma le fonti (sparse lettere e ricostruzioni agiografiche) non consentono di ricostruire nel dettaglio la cronologia degli spostamenti né la rete di relazioni con laici e frati a lei devoti. Andò a Loreto, passò per Reggio dove si fermò in casa di Alessandro Cassola per stipulare paci, si recò più volte a Ferrara, soggiornò a Verona presso il conte Lodovico da Sesso, a Venezia, a Salò e a Brescia. Tra i nobili bresciani suoi figli spirituali c’erano esponenti di nobili famiglie quali i Porcellaga, gli Avogadro e il conte Nicolò Gambara di Verolanuova, marito di Lucrezia Gonzaga, al quale, rimasto vedovo, Quinzani propose il matrimonio con un’altra nobile vedova sua devota (lettera dell’11 novembre 1518 da Mantova, in Cistellini, 1948, pp. 191 s.).
Al patronage di Ercole d’Este si affiancava quello dei Gonzaga. Dopo la morte di Osanna Andreasi nel 1505, Quinzani mise al servizio dei marchesi di Mantova i propri doni profetici e poteri d’intercessione (lettere del 7 settembre 1505 da Soncino, ibid., pp. 179-181). Negli anni successivi, pur non soggiornandovi stabilmente come aveva fatto la nobile Andreasi, mantenne intensi rapporti con la corte mantovana sia recandovisi di persona (di certo nel 1509, 1516, 1518 e 1519), sia per mezzo di lettere ricche di severe ammonizioni e consigli anche nei confronti di Federico Gonzaga, subentrato al padre nel 1519 al governo del marchesato.
Dopo il 1505, morto Ercole d’Este che ne era stato un fervido sostenitore, la santità femminile incarnata dalle mistiche savonaroliane divenne sempre più controversa. Nel 1510 il domenicano Francesco Silvestri, ferrarese e savonaroliano nonché agiografo dell’Andreasi, scrisse un trattatello, attualmente perduto, in difesa della stigmatizzazione di Quinzani contro il De stigmatibus sacris Divi Francisci et quomodo impossibile est aliquam mulierem, licet sanctissimam, recipere stigmata (Pavia 1508) del francescano Samuele Cassini da Milano, che aveva negato l’autenticità del fenomeno.
L’offensiva più dura venne però dai superiori domenicani. In quegli anni Quinzani era impegnata a Soncino nella fondazione di un monastero di terziarie domenicane dedite alla povertà e all’osservanza della più stretta clausura. Nel 1507 ottenne il permesso dalla comunità di Soncino, accompagnato dal sostegno finanziario dei marchesi di Mantova e del cardinale Ippolito d’Este. Il 20 aprile 1512 Giulio II emise un breve d’approvazione indirizzato a Quinzani, ma il progetto fu bloccato dai superiori antisavonaroliani della congregazione lombarda (il vicario generale Eustachio Piazzesi da Bologna, Giorgio da Casale suo successore, Silvestro Mazzolini da Prierio inquisitore di Milano, Piacenza e Lodi, nonché priore del convento domenicano della vicina Cremona). Solo nel 1518, con l’elezione di Silvestri a vicario generale, Quinzani e le sue seguaci entrarono finalmente nel nuovo monastero sorto fuori della città, intitolato a S. Paolo e a S. Caterina da Siena, al quale Silvestri, generale dell’Ordine domenicano dal 1525, continuò ad assicurare protezione e privilegi.
Negli anni Venti la fama di Quinzani servì per rinsaldare quella discendente di altre carismatiche savonaroliane. Nell’aprile del 1522 il teologo domenicano Giovanni Cagnazzo da Tabia si recò a Soncino per avere dalle sue visioni la conferma della santità di Broccadelli, screditata e isolata dopo la morte del duca di Ferrara. Nel 1525, alla morte dell’agostiniana Arcangela Panigarola, nelle cui visioni Savonarola compariva in veste di santo, Quinzani rassicurò Gian Antonio Bellotti che la profetessa milanese, di cui egli fu confessore, seguace e agiografo, si trovava in paradiso.
Morì a Soncino il 2 gennaio 1530.
Il suo corpo, tumulato in base al testamento del 15 gennaio 1526 nella chiesa del monastero, fu traslato nel marzo del 1784 nella chiesa di S. Liborio a Colorno (Parma). Il 10 dicembre 1740 fu proclamata beata da Benedetto XIV. La sua festa si celebra il 2 gennaio.
Fonti e Bibl.: Quinzani era analfabeta e le sue lettere, custodite nell’Archivio di Stato di Mantova, furono stese da diverse mani. Un parziale elenco si trova in Tolasi, 1972, pp. 20-23, da integrare con le missive reperite da Herzig, 2008. Diciassette lettere furono pubblicate da Cistellini, 1948, pp. 178-196. Subito dopo la sua morte due domenicani, Bartolomeo Cremaschi da Mantova e Battista da Salò, stesero un resoconto latino delle sue estasi, ora perduto, da cui fu tratta la più antica agiografia di Quinzani pervenutaci, redatta in latino dal domenicano savonaroliano Domenico da Calvisano, suo confessore per molti anni (Roma, Archivio generale dell’Ordine dei predicatori, sez. X, n. 2857, f. 13: Excerpta ex scriptis fr. Baptistae de Salodio per fr. Dominicum de Calvisano). Da essa altri frati domenicani ricavarono due volgarizzamenti tardocinquecenteschi dedicati a suore, che circolarono manoscritti. Il primo è attestato in due stesure (ibid., sez. X, n. 2864; Soncino, Archivio parrocchiale), il secondo (Roma, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Urb. Lat. 1755) è pubblicato da Guerrini, 1930, pp. 89-172. La costruzione del profilo agiografico di Quinzani si deve principalmente alla biografia che nel 1577 il domenicano savonaroliano Serafino Razzi ricavò da questo scritto, cui attinse anche Francesco Seghizzi (1632).
S. Razzi, Vite dei santi e beati, così huomini come donne del sacro Ordine de’ frati predicatori, in Firenze, Bartolomeo Sermartelli, 1577, pp. 136-149; F. Seghizzi, Vita della Beata Stefana da gli Orzinuovi…, Brescia 1632; G. Brunati, Leggendario o vite di santi bresciani…, Brescia 1834, pp. 131-156; F. Galantino, Storia di Soncino con documenti, III, Milano 1869, pp. 359-364 n. 109 (pubblica il testamento); P. Guerrini, La prima “legenda volgare” de la beata S. Q. d’Orzinuovi secondo il codice Vaticano-Urbinate latino 1755, in Memorie storiche della diocesi di Brescia, s. 1, I (1930), pp. 67-186; A. Cistellini, S. Q. (1457-1530), in Figure della riforma pretridentina, Brescia 1948, pp. 36-46, 175-197; N. Del Re, Q., S., in Bibliotheca Sanctorum, X, Roma 1969, coll. 1318-1321; V. Tolasi, S. Q. Donna, suora e beata (1457-1530). Inediti dell’epistolario Gonzaga e sintesi del processo di beatificazione, Brescia 1972; G. Zarri, Le sante vive. Profezie di corte e devozione femminile tra ’400 e ’500, Torino 1990, pp. 59 s., 97, 118, 121, 134, 154; T. Herzig, Savonarola’s women. Visions and reform in Renaissance Italy, Chicago-London 2008 (trad. it. Le donne di Savonarola. Spiritualità e devozione nell’Italia del Rinascimento, Roma 2014, ad ind.).