STATELLA E NASELLI, Antonio principe di Cassaro
– Nacque a Ispica, nel Ragusano, il 31 luglio 1785 da Francesco Maria Statella, principe di Cassaro, e da Maria Felicia Naselli, dei duchi di Gela.
La città era nel cuore di una antica regione feudale, che apparteneva alla famiglia dalla fine del XV secolo, con il nome di Stato di Spaccaforno. Un territorio acquisito nel 1493 da Francesco II, conte di Statella e gran siniscalco del Regno di Sicilia e progressivamente ampliato con altre proprietà feudali. La famiglia partecipò sempre al potere politico, economico, religioso e militare dell’isola durante l’epoca asburgica e poi in quella borbonica. Nel 1757 ottenne il titolo principesco, completando il percorso di affermazione al vertice dell’alta aristocrazia consolidato da legami di parentela contratti con i più importanti casati dell’epoca.
Antonio, primogenito di tre fratelli, si formò nell’ambiente più influente del Regno. Il padre era capitano generale e maggiordomo maggiore della corte del re di Napoli, la madre dama della real corte di Maria Carolina d’Austria. Nel 1802, continuando la tradizionale politico-familiare sposò giovanissimo Stefania Moncada, figlia del principe di Paternò e poi dama di corte, con la quale ebbe i figli Pietro, Cesare, Eleonora e Caterina.
Statella iniziò la carriera politica giovanissimo. Interpretava lo spirito di una parte dell’aristocrazia del Regno e dei suoi apparati che, con la Restaurazione, legò le sue prospettive al rinnovamento e alla difesa delle ragioni e delle tradizioni del regno meridionale. La famiglia appoggiò i Borbone nelle guerre contro i napoleonidi. La fine del feudalesimo ne aveva condizionato il peso nell’ambiente isolano, ma non ne ridimensionò il ruolo sociale. All’inizio della Restaurazione, Statella sposò la logica politica del principe Luigi de’ Medici, basata sull’integrazione degli apparati murattiani. I principi di fondo, impostati in quegli anni, costituirono il nucleo del borbonismo napoletano: assolutismo monarchico, centralismo amministrativo, paternalismo sociale, stretta alleanza con la Chiesa di Roma e le potenze conservatrici europee. Statella sarebbe rimasto fedele tutta la vita a questo schema politico-ideologico.
Nella prima fase della sua carriera ebbe ruoli di primo piano nella diplomazia napoletana della Restaurazione. Iniziò come delegato di Ferdinando I a Torino. Nella primavera del 1820 fu inviato a Madrid, casa madre della dinastia, dove giunse poco dopo la rivoluzione liberale. Da diplomatico Statella mostrò moderazione e capacità di gestire le complicate relazioni tra i governi. I due sovrani, Ferdinando I e Ferdinando VII, avevano subito la svolta costituzionale, ma restavano profondamente ostili alla soluzione liberale. I Borbone ottennero il sostegno e poi l’intervento militare della Santa Alleanza che consentì loro di spazzare via le costituzioni. Queste capacità di gestione e mediazione, riconosciute all’interno degli apparati, portarono Statella ai vertici della politica borbonica. Nel 1824 il re gli concesse l’Ordine di S. Gennaro.
Anche il successore di Fernando I, Francesco I, lo confermò nel ristretto ambito degli alti funzionari, valutando prima la sua nomina come luogotenente di Sicilia, poi inviandolo come rappresentante a Vienna. L’Impero asburgico era l’alleato strategico dei Borbone e lo sarebbe rimasto fino alla fine del Regno. In quel momento il valore della nomina era ancora più grande. L’esercito austriaco aveva occupato il Regno delle Due Sicilie per reprimere la rivoluzione costituzionale, d’accordo con Ferdinando I. Statella doveva seguire le negoziazioni sui costi dell’occupazione, e poi la progressiva ritirata delle forze austriache, completata nel 1827. Quando morì Francesco I e salì sul trono il figlio Ferdinando II, Statella era riconosciuto, anche dai diplomatici stranieri e dallo stesso principe di Metternich, come una figura chiave dell’apparato borbonico. Nel 1830 il re lo nominò ministro degli Esteri.
Anche gli altri fratelli avevano iniziato la carriera nelle istituzioni. Francesco ebbe ruoli diplomatici e di governo della Sicilia. Giovanni ed Enrico scalarono i vertici dell’esercito, principale strumento di nazionalizzazione del Regno e garanzia della tenuta del regime borbonico.
Statella aveva un carattere forte, orgoglioso e da protagonista. Spesso il nuovo re, Ferdinando II, ne subiva la prepotente presenza. Come responsabile degli Esteri si scontrò con il ministro degli Interni Nicola Intonti, che considerava un personaggio ambiguo e intrigante. Soprattutto, rischiò lo scontro con il re, che non lo coinvolse nelle trattative con la casa di Savoia per il progetto di matrimonio con Maria Cristina, da cui nacque l’erede al trono Francesco II. Statella continuò a rivestire incarichi di primo piano nei rapporti con Parigi e l’Europa, ma subì una freddezza crescente da parte del sovrano. Questi, insofferente alla politica liberale e spavalda degli inglesi nel Mediterraneo, non condivideva la logica del ministro degli Esteri. Statella cercò di mediare nella complicata e imbarazzante vicenda che coinvolse il fratello del re. Carlo, il principe di Capua, brillante e stravagante, si innamorò di una irlandese, Penelope Smith, e fuggì con lei. Nonostante i rabbiosi tentativi di Ferdinando II di impedire le nozze, i due si sposarono in Scozia, sostenuti da lord Palmerston, il potente politico britannico imparentato con la famiglia di lei. Altrettanto inutile fu il tentativo di Statella di attenuare la rottura tra Napoli e Londra nella questione della gestione degli zolfi siciliani.
Il re decise di superare gli accordi del 1816 con gli inglesi affidando l’appalto alla società francese Taix. Una decisione fortemente contrastata dal principe di Cassaro. Aveva ragione, perché le proteste britanniche furono furibonde e si estesero ai problemi della politica navale e commerciale del Mediterraneo. Il re interpretò quasi come un tradimento le ripetute critiche e prese di posizione di Statella, confinandolo a Foggia. La crisi precipitò, rischiando anche tensioni più gravi, e fu bloccata solo da una mediazione francese, che costò ai napoletani un doppio indennizzo: ai britannici per l’aumento dei prezzi e ai francesi per la rescissione del contratto, oltre che una solenne sconfitta sul piano dell’immagine e del ruolo internazionale. Il principe si ritirò a vita privata, pur ribadendo assoluta fedeltà alla dinastia. Nel 1848 rifiutò la nomina a consigliere di Stato, che il re voleva assegnargli quando fu costretto dai moti siciliani e liberali a concedere la Costituzione.
Nella crisi di quell’anno, come tutti i fratelli, Statella restò a fianco della monarchia. Giuseppe (1797-1862) era considerato tra i militari più vicini a Ferdinando II. Il 15 maggio guidò il suo reggimento nella repressione della mobilitazione liberale a Napoli e fu decorato dal sovrano. Nella nuova restaurazione diventò maresciallo di campo. In realtà, proprio all’interno della famiglia, si evidenziarono alcuni aspetti della frattura interna al Regno che avrebbe contribuito alla sua fine. I principali gruppi politici siciliani si schierarono per la rivoluzione e contro i Borbone. Tra questi anche una parte della famiglia di Antonio. Il conte Vincenzo Statella (1825-1866), parente di Antonio, si arruolò in un corpo volontario siciliano, diventò ufficiale, ottenne fama di eroe e la medaglia d’argento, restando poi esule e nemico giurato della monarchia borbonica.
Statella e i suoi fratelli restarono sempre fedeli dell’assolutismo, anche se negli anni Cinquanta il principe di Cassaro rimase fuori dalla politica. Furono tempi difficili, ebbe lutti gravi, come la morte dei fratelli Giovanni ed Enrico. Nella primavera del 1859, dopo la morte del re, l’erede, Francesco II, giovanissimo e senza esperienza, gli chiese di accettare finalmente la nomina a ministro, richiamando in servizio i quadri sperimentati dal padre nella prima fase del suo regno. Statella entrò nel governo, con Carlo Filangieri e Nicola Maresca duca di Serracapriola, in un esecutivo che anche sul piano anagrafico era quasi una riproposizione della generazione della Restaurazione, estranea alla dinamica fase politica italiana ed europea, oltre che logorata da decenni di potere e di tensioni personali. Il governo apparve subito confuso, disposto a gestire l’amministrazione, ma del tutto incapace di confrontarsi con la brillante e aggressiva politica di Camillo Benso conte di Cavour, che aveva rimesso in discussione l’equilibrio della penisola a favore del progetto nazionale italiano. Statella finì per rappresentare, con i suoi colleghi, il declino politico del regime borbonico: aveva molti partigiani, ma era incapace di contrastare la politica piemontese, per non parlare del consenso raccolto nel Mezzogiorno e in Sicilia dal movimento unitario filoitaliano.
Il governo restò imbelle di fronte all’offensiva di Cavour. Il 15 marzo Filangieri si dimise dalla presidenza del Consiglio, mentre si moltiplicavano i contrasti tra i vari settori del regime borbonico. Statella lo sostituì, ma si mostrò subito privo di una visione adeguata ai tempi e del controllo reale dei ministri. Lo sbarco di Giuseppe Garibaldi e la rivoluzione in Sicilia furono affrontati in maniera incoerente e senza energia. Statella assunse anche l’interim per la Sicilia, ma in realtà la situazione gli sfuggì di mano e fu gestita da uomini dell’ex ministro per gli Affari di Sicilia Giovanni Cassisi e dal luogotenente Paolo Ruffo di Castelcicala. La situazione precipitò con l’arrivo di Garibaldi a Palermo. Il vecchio Statella propose di inviare il generale Alessandro Nunziante, ma quest’opzione non fu accolta. Alla fine del mese, confuso e stanco, finì per sostenere l’ipotesi suggerita da Filangieri: cambiare la politica borbonica, avviare una svolta costituzionale filoitaliana, cercare un’alleanza europea garantita dalla Francia di Napoleone III.
Nella riunione che decise la definitiva concessione della costituzione sostenne ancora questa ipotesi, non per convinzione politica, ma sperando di arrestare la crisi. Una volta richiamato lo statuto, fu sostituito alla guida del nuovo governo, di impostazione liberal-costituzionale, dal principe Antonio Spinelli di Scalea. La situazione invece precipitò, la Costituzione rese più rovinoso il crollo del regime borbonico, favorendo l’alleanza tra i gruppi liberali meridionali ancora autonomisti e il movimento nazionale italiano. Statella si ritirò a vita privata ma, con il fratello Giuseppe, rappresentò il settore della società meridionale fedele alla casa di Borbone e all’antico Stato napoletano. Rifiutò di partecipare agli incontri e alle manifestazioni promosse dalla Luogotenenza italiana a Napoli, restituendo anche il collare dell’Annunziata che gli era stato proposto. Restò invece in strettissima corrispondenza con Francesco II e accettò di fare parte di un’ipotetica reggenza, con il cardinale di Napoli Sisto Riario Sforza e il duca di Serracapriola, che si sarebbe dovuta insediare una volta sconfitti i piemontesi e i rivoluzionari napoletani.
I due fratelli Statella furono a fianco dei Borbone fino alla fine, proprio quando il loro parente Vincenzo Statella diventò un eroe della rivoluzione italiana (era stato con i Mille e morì in una famosa carica della cavalleria italiana nella battaglia di Custoza nel 1866). Giuseppe seguì il re a Gaeta, poi accompagnò una parte della famiglia reale a Roma, cominciando a organizzare la resistenza borbonica. Dall’esilio romano fu tra i più convinti e attivi sostenitori della guerra di brigantaggio e dell’insorgenza filoborbonica.
Il principe di Cassaro restò vicino al re. Continuò a dispensare indicazioni politiche, suggerimenti strategici, speranze di rivincita e di riconquista del Regno fino alla morte.
Morì a Torre del Greco l’11 dicembre 1864.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Ragusa, Archivio Statella; Elogio funebre di A. S. principe di Cassaro nel solenne funerale che fu celebrato in Napoli il di 16 febbrajo 1865 dai cavalieri fratelli del venerabile oratorio del santissimo crocifisso in S. Paolo Maggiore, Napoli 1865.
R. Moscati, Ferdinando II di Borbone nei documenti diplomatici austriaci, Napoli 1947, ad ind.; M. Bonomo, Le Gattoparde. Sentimenti e potere di una famiglia aristocratica nella Sicilia borbonica (1824-1863), Catania 2011, ad ind.; A. Granata, Un regno al tramonto. Lo stato borbonico tra riforme e crisi (1858-1861), Roma 2015, pp. 26 s., 120; C. Pinto, Il patriottismo di guerra napoletano, 1861-1866, in Nuova rivista storica, C (2016), 3, pp. 841-869; A. Facineroso, Il ritorno del giglio. L’esilio dei Borbone tra diplomazia e guerra civile, 1861-1870, Roma 2017, p. 123 s., 142, 192; C. Pinto, Gli ultimi borbonici. Narrazioni e miti della nazione perduta duo-siciliana (1867-1911), in Meridiana, 2017, vol. 88, pp. 61-82.