stanza (stanzia)
La s. nella canzone dantesca è già stata ampiamente illustrata (v. CANZONE). Qui si aggiunge sulle s. isolate e su alcune particolarità strutturali.
1. Due sono le s. isolate scritte da D.: Lo meo servente core e Madonna, quel signor che voi portate, ambedue prove estremamente giovanili. Lo meo servente core (aBbC, aBbC, CddCE) è l'unica composizione dantesca che cominci con un settenario: comprende sei settenari su tredici versi (v. SETTENARIO); ha una rima interna che isola un ternario, come soltanto in Poscia ch'amor (v. RIMA; TERNARIO); registra parole di tradizione lirico-provenzale, che più tardi D. abbandonerà, come addimoranza e parvente (parvente ricorre anche, e soltanto, nel primo sonetto della Vita Nuova, v. 3: vedi I. Baldelli, D. e i poeti fiorentini del Duecento, Firenze 1968).
Madonna, quel signor che voi portate (ABbA, BAaB; BCcdD, BDdeE) è l'unica s. dantesca conservataci che abbia la sirma divisa in due volte: si ricorda che D. cita in VE II XI 5 la sua canzone Tragemi de la mente Amor la stiva, non più reperita, in cui le volte superano in sillabe e in versi la fronte (si ritiene che in Donne ch'avete si abbia piuttosto una sirma unica che due volte, perché mai cade pausa alla fine dell'eventuale prima volta: cfr. Biadene, Collegamento delle due parti; e v. CANZONE). Anche questa s. isolata ha sei settenari, ma su 18 versi. Si noti anche qui l'insistenza sugli astratti in -anza, fra cui alcuni poi abbandonati da D.: sicuranza, dimoranza.
Non è invece una s. scritta intenzionalmente isolata Sì lungiamente, ma la prima s. di una canzone poi lasciata interrotta - così D. afferma - per la morte di Beatrice; dal punto di vista della struttura, rimane cioè fondamentale che D. consideri tale s. come la prima di una canzone (e non c'è ragione di " sospettare che D. abbia modificato i fatti per introdurre questo colpo di scena ", Foster-Boyde, II 129; per i suoi rapporti con il sonetto, v. SONETTO).
2. In E' m'incresce di me sì duramente (Rime LXVII) le prime tre s. sono concatenate, quasi come coblas capfinidas, in cui cioè l'ultima parola della s. si ripete nel primo verso della seguente: dicendo " Nostro lume porta pace "! " Noi darem pace al core, a voi diletto ", vv. 14-15; e partir la convene innamorata. / Innamorata se ne va piangendo, vv. 28-29; " Questo espediente, normalissimo presso i Siciliani (e si pensi alla canzone di Guittone per Montaperti), si ritrova ancora nella poesia-programma di Guido Guinicelli Al cor gentil; è insomma un vero e proprio arcaismo. Se Dante l'abbandona nella seconda parte della lirica, è perché questa (come appunto, da una variazione dello schema ripetitorio, quella del primo Guido) risulti divisa in due metà esatte (più il congedo) ": Contini, Rime 61.
3. In VE II X 4, D. dice che conviene che la s. abbia due piedi, benché talora se ne facciano tre, rarissime tamen; e infatti le s. di D. hanno soltanto due piedi. Nel De vulg. Eloq., D. parla spesso di fronte unica e cita il caso di fronte di cinque versi, superante in numero di versi le due eventuali volte di due versi; ma l'unico caso dantesco di una fronte non divisa in piedi si ha ancora nella perduta Tragemi de la mente Amor la stiva, con fronte appunto di quattro versi, contesta di tre endecasillabi e di un settenario (Fuit haec tetrametra frons, tribus endecasillabis et uno eptasillabo contexta, VE II XI 5).
Fra le s. delle canzoni di D. (prescindendo dalle due s. isolate, per cui vedi 1.) si ha un solo caso di piedi di sei versi, con una sirma ugualmente di sei versi (Poscia ch'Amor, notevole e isolata per altre particolarità tecniche: v. CANZONE; QUINARIO; SETTENARIO; TERNARIO), e un solo caso di piedi di cinque versi (Doglia mi reca, che ha anche la s. più lunga del D. lirico, di 21 versi). Sette canzoni hanno s. con piedi di quattro versi, dieci canzoni hanno s. con piedi di tre versi. Le sìrme oscillano da un minimo di cinque versi (Così nel mio parlar e Voi che 'ntendendo) a un massimo di 11 (Le dolci rime e Doglia mi reca), mentre soltanto la sirma di Poscia ch'Amor comincia con un settenario.
Di solito, D., per quello che è della relazione fra la sintassi e le unità metriche, rispetta i limiti delle parti fondamentali della s.: sia dai computi del Lisio (L'arte del periodo nelle opere volgari di D.A. e del secolo XIII, Bologna 1902, 107, 110), sia da quelli del Boyde (Dante's Style in his Lyric Poetry, Cambridge 1971, 181-187), si trae che nella stragrande maggioranza dei casi (dall'80 al 90 per cento dei casi) sono rispettati i limiti dei piedi, della fronte, e quindi della sirma. A tal proposito, assai acutamente il Lisio individua nelle tre canzoni E' m'incresce di me sì duramente (Rime LXVII), La dispietata mente, che pur mira (L), Io son venuto al punto de la rota (C), il costante rispetto sintattico dei due piedi, costituiti da due terzine, realizzando un'ulteriore terzina nella sirma, con una pausa decisiva al nono verso; lo stesso Lisio indica per Io son venuto al punto de la rota la singolare struttura per cui " nei primi nove versi si espongono i fenomeni dell'inverno, che tutto muta; e negli ultimi quattro, aperti sempre da un E, la permanenza tenace degli effetti d'Amore, che non mutano mai ": per un più particolare esame di Io son venuto al punto de la rota, v. RIMA (e I. Baldelli, Ritmo e lingua di Io son venuto al punto de la rota, in Critica e Storia Letteraria. Studi offerti a M. Fubini, Padova 1970, 342-351); sotto la voce Rima s'indaga, anche da questo punto di vista, Donne ch'avete intelletto d'amore.
4. A proposito della disposizione delle rime, nel De vulg. Eloq. D. dice che se alcuni differenziano totalmente le rime tra la fronte e la sirma, altri riportano alcune rime della prima parte anche nella seconda parte; che anzi la stessa sirma congiunge l'ultimo verso della fronte con il primo della sirma saepissime (quod non aliud esse videtur quam quaedam ipsius stantiae concatenatio pulcra, II XIII 6): questa congiunzione è di tutte le s. dantesche, con la sola eccezione di Sì lungiamente m'ha tenuto Amore.
5. Il termine (sia nella forma ‛ stanza ' che in quella più latineggiante ‛ stanzia ') è adoperato da D. cinque volte nella Vita Nuova, a commento di varie canzoni. In Vn XIX 21 ci si riferisce all'ultima s. (congedo) di Donne ch'avete intelletto d'amore: Poscia quando dico: ‛ Canzone, io so che tu ', aggiungo una stanza quasi come ancella de l'altre, ne la quale dico quello che di questa mia canzone desidero. In XXVIII 1, D. richiama l'unica s. scritta della canzone Sì lungiamente m'ha tenuto Amore, del capitolo precedente: Io era nel proponimento ancora di questa canzone, e compiuta n'avea questa soprascritta stanzia, quando lo segnore de la giustizia chiamoe questa gentilissima. In XXXIII 2 e 4 (due volte), ci si riferisce alle due s. di Quantunque volte, lasso!, mi rimembra.