Kubrick, Stanley
Il regista filosofo
Tra gli autori più importanti e originali del cinema moderno, con la sua geniale padronanza degli aspetti tecnici e stilistici il regista statunitense Stanley Kubrick ha rivoluzionato i principali generi cinematografici – dal film di guerra a quello storico, dall’horror alla fantascienza – realizzando opere di grande spettacolarità e singolare perfezione: autentici capolavori che continuano ad affascinare il pubblico e in cui risulta costante la riflessione sulla problematica realtà del nostro tempo
Nato a New York nel 1928 da una famiglia ebrea, sin da adolescente Kubrick subì il fascino del gioco degli scacchi e della fotografia. Terminati gli studi nel 1945, dopo aver lavorato come fotoreporter si dedicò al cinema, dimostrando notevole talento sin dall’esordio come regista di cortometraggi. Passato ai lungometraggi, si basò sempre su opere letterarie per elaborare sceneggiature di alta qualità, impegnandosi nella ricerca di dati e fonti in modo da ricostruire con maniacale perfezionismo ambienti ed epoche storiche e sfruttando ogni progresso tecnologico per offrire immagini realistiche.
È il caso di Rapina a mano armata (1956), in cui i gangster protagonisti sono uomini comuni e disperati e la vicenda raccontata – la preparazione di una rapina – un pretesto per descrivere una realtà squallida e angosciosa.
Con Orizzonti di gloria (1957) il regista per la prima volta si confrontò con il tema della guerra vista come estrema manifestazione della violenza e dell’irrazionalità umane. Ambientato durante la Prima guerra mondiale, il film racconta l’attacco a un’inespugnabile postazione tedesca deciso da un generale francese, pronto a sacrificare i suoi uomini per cieca ambizione e a fucilarne tre per punire il fallimento dell’impresa. Anni dopo (1987), con Full metal jacket il regista avrebbe denunciato la follia di un’altra guerra, quella del Vietnam, raccontando l’umiliante addestramento delle giovani reclute e la terribile realtà di quel conflitto.
Anche in Spartacus (1960), film basato sulla rivolta contro Roma degli schiavi guidati dal gladiatore Spartaco nel 1° secolo a.C., l’impersonale efficienza delle legioni romane, geometricamente schierate nella scena della battaglia decisiva in cui sconfiggeranno i ribelli, si rivela il simbolo della brutalità del potere.
Una satira spietata della politica statunitense e delle sue ossessioni caratterizza invece Il dottor Stranamore (1964), girato nel periodo di maggiore tensione della guerra fredda. Il regista affidò all’attore Peter Sellers tre ruoli (quello del capitano Mandrake, del presidente degli Stati Uniti e del suo consigliere, il dottor Stranamore, un sinistro ex nazista), mostrando il farsesco affannarsi di politici e militari convinti di poter controllare il pericolo di una guerra atomica, ma in realtà incapaci di bloccare l’attacco scatenato contro i Russi da un generale folle. Un posto centrale occupa la Stanza della guerra, l’opprimente sala operativa del presidente e dei suoi generali concepita come emblema dell’ottusità dei potenti della Terra, che non riusciranno a impedire la distruzione del Pianeta.
Dall’amara riflessione sul futuro di Il dottor Stranamore Kubrick passò alla realizzazione di 2001: Odissea nello spazio (1968), capolavoro destinato a influenzare tutti i successivi film di fantascienza. Il motivo conduttore è un misterioso monolite nero che appare nel primo episodio (L’alba dell’Uomo). Mentre due gruppi di scimmie lottano per il possesso di una pozza d’acqua, il capo di uno dei gruppi improvvisamente scopre di poter utilizzare un osso come arma. L’osso viene scagliato in aria con un urlo trionfante e si trasforma in un’astronave. Con questa audace ellissi temporale passiamo dalla preistoria al 2001, mentre sulle note del valzer Il bel Danubio blu di Johann Strauss, astronavi e satelliti volteggiano nello spazio. Nel 2001 scopriamo che gli uomini si interrogano ancora sul mistero del monolite che emette dalla Luna segnali verso Giove. Per indagare sul fenomeno viene organizzata una missione spaziale affidata all’astronave Discovery. La quotidianità della vita sul Discovery, ripresa da Kubrick come se si trattasse di un documentario, è interrotta dall’improvviso malfunzionamento del computer HAL 9000. Apparentemente perfetto, nel gioco degli scacchi come nel controllo della vita di bordo, HAL si ribella all’uomo causando la morte di quattro astronauti prima di venire disattivato dall’unico superstite. Questi continuerà il viaggio in una capsula individuale e davanti ai suoi occhi, oltre al monolite, vedrà scorrere galassie e pianeti in un’esplosione di forme e colori. L’astronauta si ritroverà infine in una misteriosa camera arredata secondo lo stile del 18° secolo, dove si guarderà invecchiare prima di rinascere come feto alla presenza del monolite. Volutamente non tutto viene spiegato e Kubrick lascia alla lentezza delle immagini, ai lunghi silenzi, alle emozioni suscitate dalla colonna sonora basata su brani di musica classica il compito di far provare allo spettatore l’ebbrezza di un viaggio ‘oltre l’infinito’.
Con Arancia meccanica (1971), tratto dal romanzo dell’inglese Anthony Burgess, il regista delineò con feroce sarcasmo la parodia di una società degli anni a venire, dominata dalla violenza, dove i teppisti più crudeli vengono ‘rieducati’ dallo Stato che provvede a trasformarli in strumenti di brutale controllo sul resto della comunità. Anche in questo film Kubrick ricorre ora a un montaggio serrato di immagini brevi ora a lunghe carrellate, e a tratti interrompe la successione di inquadrature nitide con altre girate con la macchina a mano – e quindi più mosse –, a segnalare l’improvviso venir meno dell’equilibrio nella vicenda narrata. Un raffinato lavoro che ricorre a tutte le risorse del linguaggio cinematografico per conservare la complessità dell’opera letteraria adattata, così come era accaduto con Lolita (1962), insuperata versione del capolavoro dello scrittore russo naturalizzato statunitense Vladimir V. Nabokov che narra l’ossessione d’amore di un maturo intellettuale per un’adolescente.
Da un romanzo dell’inglese William M. Thackeray il regista trasse poi Barry Lyndon (1975) per descrivere l’avventurosa ascesa e la caduta del protagonista, ma anche un’intera epoca storica, il Settecento. Straordinaria risulta la ricostruzione dei costumi e dell’ambientazione basata su un accurato studio dell’arte del 18° secolo, mentre per ottenere una suggestiva luce naturale fu utilizzato un obiettivo costruito per le foto fatte dai satelliti della NASA, che consentiva di riprendere scene illuminate solo dalle candele.
Per il successivo Shining (1980) il regista si basò sul romanzo dello statunitense Stephen King, rielaborato per ridefinire le caratteristiche dell’horror cinematografico, a partire dall’illuminazione in piena luce, preferita all’oscurità che di solito contraddistingue questo genere di film.
Al centro della vicenda l’Overlook Hotel, isolato e inquietante, presso il quale il protagonista, uno scrittore fallito interpretato con grande bravura da Jack Nicholson, accetta di fare il guardiano durante la stagione invernale, portando con sé la moglie e il figlio Danny. L’uomo man mano sprofonda nella pazzia, mentre l’albergo si anima di misteriose presenze che il piccolo Danny riesce ad avvertire perché dotato di poteri extrasensoriali (ossia della «luccicanza», the shining). L’albergo sembra un castello stregato in cui non mancano cucine enormi dove ci si può perdere come Pollicino nel bosco, un labirinto dove madre e figlio sfuggono al padre che vuole ucciderli, una camera proibita: un inventario delle più spaventose situazioni presenti in tante favole che non impedisce una più generale riflessione sulla crisi della cultura e sul senso di smarrimento dell’uomo occidentale. Tale riflessione risulta centrale anche nell’ultima opera di Kubrick, Eyes wide shut (1999), ispirata a Doppio sogno dello scrittore austriaco Arthur Schnitzler, ma ambientata nella New York contemporanea dove si compie l’inquieto vagabondaggio del protagonista (interpretato da Tom Cruise).
La morte ha colto il regista a Harpenden, in Gran Bretagna, proprio nel 1999, mentre stava terminando il montaggio del film.