MONTI GUARNIERI, Stanislao
MONTI GUARNIERI, Stanislao. – Nacque a Senigallia il 7 novembre 1865, terzogenito di Gaetano Monti, nobile senigalliese, e di Filomena Luisa Matteucci Guarnieri che, ultima di una famiglia comitale originaria di Montesanto (odierna Potenza Picena), impose al marito e ai figli l’obbligo di aggiungere il proprio cognome.
Il fratello Giovanni (Senigallia, 1894-1963), cofondatore del primo fascio marchigiano, sindaco (1923-26) e podestà (1930-33), contribuì alla ricostruzione dopo il terribile terremoto del 1930 e al rilancio dell’attività turistica e balneare; se pur privo di una formazione scientifica, fu comunque discreto cultore di studi storici (Annali di Senigallia, 1961).
Compiuti gli studi classici e laureatosi in giurisprudenza, Monti Guarnieri intraprese la professione forense e quella giornalistica. Nell’estate 1891 si stabilì a Roma, dove si distinse come brillante oratore e pubblicista pungente, collaborando con L’Opinione e La Gazzetta di Parma e sostenendo posizioni moderate, corroborate da un evidente trasformismo: nel collegio avito passò dal sostegno al colonnello Domenico Grandi a quello per il candidato radicale Vincenzo Sbriscia e, successivamente, garantì prima l’appoggio ai governi di Rudinì e Pelloux e poi ai ministeri giolittiani. Fu pure al centro di singolari iniziative: nel 1893 una sua intervista provocò le dimissioni del ministro di Grazia e giustizia Santamaria Nicolini e il conseguente rimpasto del primo ministero Giolitti; nel 1895 guidò, insieme al presidente del consiglio dell’Ordine degli avvocati romani, Augusto Baccelli, il comitato istituito contro la legge sui proventi delle cancellerie che, introducendo un cavilloso sistema di marche, copie, visti e bollette, danneggiava il corso giudiziario.
Fu deputato in Parlamento ininterrottamente dalla XX alla XXII legislatura (1897-1909), eletto sempre al primo turno nel collegio di Senigallia.
Nel 1897 ebbe ragione, con 1269 voti contro 990, del colonnello Grandi e nelle consultazioni del 1900, avendo gli esponenti liberalconservatori Grandi e De Bellegarde declinato la candidatura per evitare una dispersione di voti, poté presentarsi come candidato ministeriale. Ormai sostenitore giolittiano, nel 1904 prevalse, con 1679 voti contro 1087 e sempre nella veste di candidato governativo, sul repubblicano Augusto Bonopera che, però, riuscì a ribaltare l’esito nelle elezioni del 7 marzo 1909, in seguito dal ballottaggio e a una vivacissima competizione elettorale.
Tacciato dalla stampa di opposizione di camaleontismo, Monti Guarnieri fu tra i deputati liberali più attivi della deputazione marchigiana: svolse lunghe interrogazioni ai rappresentanti del governo, si occupò della tutela di categorie professionali trascurate e di questioni relative a Senigallia e alle Marche (si batté per la modernizzazione delle strutture portuali e ferroviarie della città), nonché di vicende giudiziarie. In particolare difese i diritti dell’imprenditore Ernesto Cerruti, che aveva chiesto un risarcimento al governo colombiano per i gravi danni subiti in occasione dei disordini occorsi nel 1885 nello Stato del Cauca; il risarcimento fu accordato ma l’indennità stabilita a vantaggio dell’imprenditore italiano non fu pagata per intero. Monti Guarnieri si occupò del caso e accusò di parzialità e favoritismo l’amministrazione Prinetti.
Eletto consigliere comunale a Senigallia nel 1899, si dimise l’anno successivo a causa dei molteplici impegni.
Nel settembre 1900 fece molto rumore un suo discorso, in memoria di Umberto I, tenuto a Corinaldo, roccaforte cattolica del collegio, nel corso del quale proruppe in un’invettiva contro il Vaticano e i «vaticanisti scribi politicanti» che avevano sopportato solo «per pietà» che nelle chiese si rendessero al defunto funerali solenni.
Nel 1904 si sposò con Eugenia Corbelli (1872-1926) dalla quale ebbe un unico figlio, Mario, attraverso il quale la famiglia fu iscritta, nel 1933, all’Elenco ufficiale della nobiltà italiana, con il titolo di nobile di Senigallia.
Pur radicato nella capitale, continuò a occuparsi delle vicende locali. Appoggiato dall’Associazione liberale monarchica e dal foglio moderato Corriere senigalliese, contrastò il varo della «tregua amministrativa », l’originale esperienza politica che, basata su un’alleanza tra repubblicani, socialisti, cattolici e liberali progressisti, diede vita tra 1905 e 1910 a un fecondo periodo amministrativo e consentì il varo di riforme moderne e qualificanti.
La giovanile fama di anticlericale venne obliata dalla pugnace attività di consigliere di opposizione a Roma dell’amministrazione Nathan (per la quale ricevette il soprannome di «er chierichetto») e con la strategica assenza alla Camera e nel Consiglio capitolino in occasione del voto per l’insegnamento religioso, variamente discussa e interpretata dalla stampa. Tali atteggiamenti consolidarono il favore degli ambienti conservatori nei suoi confronti: in particolare, il conte Ottorino Gentiloni, presidente dell’Unione elettorale cattolica italiana (UECI), trovò nella sua azione di consigliere di minoranza a Roma una credenziale di tutto rispetto per recuperarlo nei complessi equilibri del gentilonismo.
Gentiloni – dopo aver valutato la prospettiva di una candidatura di Monti Guarnieri a Osimo – lo sostenne nel collegio di Pesaro, dove i liberali si trovavano in grande difficoltà, anche in seguito alla presentazione delle candidature autorevoli del socialista Giuseppe Filippini e del repubblicano Eugenio Chiesa. Sostenuto dal foglio moderato La Provincia, si gettò in un lungo forcing propagandistico e, nonostante i pesanti attacchi della stampa avversaria (i socialisti de Il Progresso lo definirono «un emerito girella, un bluffista, un reclamista all’americana, un presuntuoso che si ritiene superiore a tutto e a tutti»), venne eletto alla Camera con il 64, 45% dei voti. Nella XXIV legislatura fece discorsi e interrogazioni in materia militare, giudiziaria e amministrativa, presentando una proposta di legge per la costituzione del Comune di Forte dei Marmi (7 febbraio 1914) e occupandosi di vicende elettorali.
Nel giugno 1914, dopo esser rimasto bloccato cinque giorni tra Falconara e Foligno nel corso dei drammatici giorni della Settimana rossa, esagerò la reale portata degli eventi occorsi a Pergola e Sassoferrato, parlando di saccheggi e di «proclamazione della così detta repubblica». Nel Consiglio capitolino insediatosi il 6 luglio 1914, all’indomani della caduta della giunta Nathan, risultò uno dei membri più anziani.
Continuò a ricercare gesti e affermazioni capaci di assicurargli una qualche notorietà: nel 1918 scrisse la prefazione alla testimonianza di Eugenio Masucci sulla prigionia bellica; nel 1919, in relazione alla proposta di estensione del diritto di voto alle donne, dichiarò che con quel provvedimento si intendeva attentare alla famiglia; nell’ultimo intervento parlamentare (14 luglio 1919) si oppose al neoinsediato ministero Nitti. Tale opposizione, espressa in una lettera agli elettori, fu all’origine del ritiro dalla vita pubblica, che avvenne dopo aver partecipato, ad Ancona, al convegno del Partito liberale (14-15 aprile 1921) e al comitato elettorale del Blocco nazionale nelle Marche (16 aprile 1921), da lui presieduto. Sempre nel 1921 fu amministratore dell’eredità di Armida Vannini (vedova Ferré), entrando in causa per la divisione del patrimonio. Fu noto come schermidore e ginnasta dilettante.
Morì, dopo lunga malattia nella sua villa di Montemonaco, nei pressi di Ascoli Piceno, il 30 agosto 1926, poco tempo dopo la scomparsa della moglie.
Il deputato Alessandro Mariotti ricordò, nel corso della commemorazione alla Camera, le manifestazioni patriottiche e le battaglie sostenute dal defunto contro «le degenerazioni democratiche e socialiste», circostanze che facevano ritenere doveroso un saluto alla memoria da parte della «Camera fascista».
Fonti e Bibl.: Senigallia, Arch. comunale, Anagrafe, cart. anagrafico di S. M.G.; Camera dei Deputati, Atti parlamentari, XXVII legislatura, sessione 1924-27, VII, Discussioni, Roma 1927, tornata del 14 dicembre 1926, p. 6406; La morte dell’on. M.G., in Corriere Adriatico, 1° settembre 1926; Il compianto di Pesaro per la morte dell’on. M.G., ibid., 3 settembre 1926; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, Milano 1928-36, VIII, Appendice, pt. 2ª, p. 352; Domenico Grandi generale, ministro, senatore, Roma 1988, pp. 67 s.; F. Tamburini, Il caso Cerruti e la vertenza italocolombiana (1885-1911), in Clio, I (1999), pp. 677-713; M. Severini, La rete dei notabili. Clientele, strategie ed elezioni politiche nelle Marche in età giolittiana, Venezia 1998, ad nomen; M. Papini, Le Marche tra democrazia e fascismo 1918-1925, Ancona 2000, pp. 58, 120, 131; M. Severini, Protagonisti e controfigure. I deputati delle Marche in età liberale (1861-1919), Ancona 2002, ad nomen; Id., Notabili e funzionari. I deputati delle Marche tra crisi dello Stato liberale e regime fascista (1919-1943), Ancona 2006, p. 73; A. Baldelli, La “tregua amministrativa” di Senigallia (1905- 1910), Ancona 2008, ad nomen; Alberto Zavatti. L’uomo, la città, il tempo, a cura di M. Severini, Ancona 2009, ad nomen; M. Severini, M.G., S., in Diz. degli Avvocati di Ancona, a cura di N. Sbano, Ancona 2009, pp. 222-225.