FREDDI, Stanislao
Nacque a Civitavecchia il 17 genn. 1782 da Francesco e da Anna Maria Gagliardi.
Lo stato di servizio compilato nel 1854, quando, settantaduenne, il F. lasciava la carriera col grado di colonnello della II legione della gendarmeria pontificia, attesta che egli era entrato nell'esercito del papa il i° maggio 1805 "quale comune con la qualifica di scrivano". Lo stesso documento riepiloga il proseguimento di quella carriera alternando promozioni a riconoscimenti, avanzamenti e onorificenze; tra queste ultime spiccano quelle elargite al F. dall'Impero austriaco e il titolo di cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro accordatogli da Carlo Alberto di Sardegna il 23 febbr. 1844, esattamente due anni prima che un altro piemontese, il d'Azeglio, introducesse negli Ultimi casi di Romagna la figura di questo "colonnello dei carabinieri, uomo in Romagna odiatissimo, che la voce pubblica dice fosse stato processato prima del 1831 e tornato poi in grado ai governanti col secondarne le violenze" (pp. 56 s.).
Nel periodo in cui il territorio pontificio fu annesso all'Impero napoleonico il F. militò nell'esercito austriaco, dove il 30 maggio 1812 era stato promosso tenente; nel 1813 passò poi con il grado di capitano nell'esercito di G. Murat nel momento in cui questi, alleato degli Austriaci, attaccava il viceré d'Italia E. Beauharnais.
Il 7 apr. 1817 fu ammesso nel corpo dei carabinieri pontifici come sottotenente, con la perdita di due gradi rispetto alla qualifica da lui raggiunta col Murat. Il F. passò così a occuparsi della tutela dell'ordine pubblico nei primi anni della Restaurazione, proprio quando, cioè, da un lato si sviluppava l'attività settaria, dall'altro alla crisi economica dello Stato corrispondeva un deciso incremento della criminalità comune. Gli elogi con cui si premiò il suo zelo lo compensavano dei risultati ottenuti nella delegazione di Perugia, dove fu impegnato contro il banditismo per tutto il decennio 1820-30. Tenente nel 1827, capitano nel 1831, fu trasferito in Romagna onde porre un freno al dilagare delle violenze che, favorito dalla diffusione della cospirazione carbonara, da anni esprimeva il malcontento di quelle province verso il governo dei preti. L'errore di fondo di questa strategia, consistente nell'aggredire un problema eminentemente politico con misure soltanto poliziesche e con l'inasprimento delle pene, fu reso più grave dalla durezza con cui il F. ritenne di dover affrontare il settarismo romagnolo. Sin dal primo scontro che il 20 genn. 1832 lo oppose a Cesena a una banda di rivoltosi parve quasi che lo muovesse un fatto personale: si innescò così una spirale senza fine di azioni e ritorsioni, con il risultato che ogni pacificazione così raggiunta fu di breve durata e si approfondì il solco che divideva le popolazioni romagnole dalle autorità ecclesiastiche romane.
In questo scriteriato accanimento il F. era sorretto da una ideologia che lo assimilava ai maggiori esponenti e vessilliferi della reazione e del legittimismo. Nel suo odio per i liberali aveva maturato sulle orme del principe di Canosa, con il quale fu in contatto nel 1833, un sentimento di stampo sanfedista che lo induceva ad armare per suo conto bande di contadini. Roma gli lasciava del resto mano libera ampliando sempre più i suoi poteri e ciò gli consentiva gli arricchimenti, gli abusi e le spoliazioni di cui avrebbe più tardi parlato il d'Azeglio. Si trascurava invece il fatto che, nonostante i successi, il fenomeno del banditismo politico non scemasse e nuove ferite venissero inferte al diritto, come quando ad esempio, con la nomina a giudice del tribunale speciale istituito dal cardinale G. Albani a Bologna (3 marzo 1832), il F. cumulava su di sé le funzioni di magistrato e di poliziotto. Di pochi mesi successivi era la promozione a tenente colonnello (27 sett. 1832).
Con l'organismo creato dall'Albani a Bologna, si era nella logica che avrebbe portato alla formazione delle commissioni speciali di Bologna e Ravenna, estremo tentativo del pontificato gregoriano di arginare la criminalità politica ormai estesa a tutte le legazioni. Della commissione bolognese, posta in opera dal legato U.P. Spinola per sottoporre a giudizio sommario i protagonisti del moto di Savigno del 15 ag. 1843, il F. fu nominato presidente il 26 agosto; di quella ravennate, presieduta dal cardinale F.S. Massimo, fece parte come membro dal i° febbr. 1845, e da lui presero impulso le indagini che nel marzo successivo si conclusero con due condanne a morte. A quel punto, però, era tale il rancore accumulato dalla popolazione nei suoi confronti che il F. doveva starsene asserragliato in caserma per evitare di far la fine di un nipote, maresciallo dei carabinieri, caduto nel 1842 sotto i colpi dei settari. Nell'ottobre del 1845 gli venne infine affidato, con l'incarico di commissario civile a Rimini, il compito di riportare l'ordine in una città provata dalle violenze.
Con l'elezione di Pio IX (1846) la situazione cambiò. Le commissioni speciali furono soppresse e, vittima dello sforzo di inaugurare una politica meno repressiva nelle legazioni, il F. fu giubilato con una pensione annua di 120 scudi. Alla data del 24 ott. 1846 lo stato di servizio registrava per lui gli "elogi del comando superiore dell'Arma per numeroso e vantaggioso arruolamento nelle quattro Legazioni", la formula era quella classica degli accantonamenti. Crociato indomito della reazione, creatura del segretario di Stato L. Lambruschini (al quale nel 1839 aveva segnalato la pericolosità del primo Congresso degli scienziati italiani), all'uscita di scena il F. si trovava naturalmente sospinto a collegarsi con quegli elementi che per la nostalgia del passato erano detti gregoriani e che utilizzavano il potere residuale e alcune complicità all'interno della Curia per tentare di mettere in crisi il nuovo ordine. Tutti in contatto con il barone V. Alpi, costoro "non sapevano rassegnarsi alla disgrazia presente" (Farini, p. 196) e se pure non erano al servizio dell'Austria, certamente guardavano a Vienna come alla sola speranza di salvezza. All'inizio del 1847 scesero a Roma, dove il governatore, monsignor G. Grassellini, era considerato anche lui un nostalgico e dove quindi si poteva tentare di organizzare qualche iniziativa antiliberale. Nella capitale furono notati strani movimenti e l'andirivieni di vari personaggi dalle legazioni: nel clima di eccitazione e sospetto che sempre accompagnava il riformismo di Pio IX si cominciò allora a parlare di congiura sanfedista e il 15 luglio 1847 comparvero sui muri della città gli elenchi coi nomi dei congiurati: il F., che vi figurava accanto ad altri noti reazionari, la notte tra il 16 e il 17 luglio lasciava Roma con uno di essi, B.A. Allai, ma il 19 i due venivano arrestati nel Frusinate mentre si accingevano a riparare in territorio napoletano.
La storiografia ha sempre considerato con un certo scetticismo le voci di una congiura reazionaria contro Pio IX che la pubblicistica contemporanea di parte democratica aveva invece raccolto e amplificato, e c'è stato anche chi ha parlato di una strumentalizzazione da parte del movimento democratico romano delle tensioni esistenti nello Stato. L'inchiesta giudiziaria subito aperta non approdò a nulla, ma le misure prese per rimuovere dai loro posti i personaggi più coinvolti e soprattutto la contemporanea irruzione delle truppe austriache a Ferrara parvero convalidare l'ipotesi di un piano studiato proprio per bloccare la faticosa evoluzione del papato verso il liberalismo.
Trasferito a Castel Sant'Angelo dopo l'arresto, il F. vi restò chiuso anche al tempo della Repubblica Romana. Tornò libero con la restaurazione del potere pontificio a opera dei Francesi, e Pio IX lo richiamò in servizio con tutti gli onori promuovendolo colonnello dello stato maggiore. Nominato membro di una commissione per l'organizzazione dei corpi addetti alla difesa dell'ordine pubblico, concluse la carriera comandando la legione bolognese della gendarmeria (i° ag. 1852) dopo che, dalla fine dell'anno precedente, era stato alla testa di quella marchigiana. Fu giubilato definitivamente il i° ott. 1854. Si ignorano luogo e data della morte.
Fonti e Bibl.: Numerose lettere e rapporti d'ufficio del F., documento della sua azione nelle Romagne, sono conservati a Roma, Museo centr. del Risorgimento (bb. 25/14; 26/52; 27/52; 28/23, 36, 38, 40, 63; 29/9, 15; 30/8-9; 31/16, 18, 56; 32/3, 59, 68; 37/9, 14; 67/31, 35, 50, 67; 78/4; 1109/8). Lo stato di servizio del F., conservato nell'Arch. di Stato di Roma, è stato riprodotto da O. Celli nel Boll. del Museo del Risorg., I (1956), pp. 167 ss.; altre notizie sugli inizi della carriera del F. in Gli ufficiali del periodo napoleonico(1796-1815) nati nello Stato Pontificio, Milano-Roma-Napoli 1914, p. 51. Il giudizio negativo sul F. di M. d'Azeglio (in Gli ultimi casi di Romagna, ora in Scritti e discorsi politici, a cura di M. De Rubris, Firenze 1931-38, I, pp. 56 s., 61; III, pp. 524-545) è stato poi fatto proprio dalla storiografia a partire da L.C. Farini, Lo Stato romano dal 1815 al 1850, I, Firenze 1853, pp. 85, 196, 202-205, e G. Gabussi, Memorie per servire alla storia della rivoluz. degli Stati romani…, I, Genova 1851, pp. 69 s., 72 s., trovando poi conferma in tutta la saggistica successiva. Tra le fonti coeve si vedano il Protocollo della Giovane Italia. Congrega centrale di Francia, III-VI, Imola 1918-22, ad Indicem; F. Orsini, Lettere, a cura di A.M. Ghisalberti, Roma 1936, ad Indicem; N. Roncalli, Cronaca di Roma 1844-1870, a cura di M.L. Trebiliani, I, 1844-1848, Roma 1972, ad Indicem. Utili indicazioni sull'attività del F. nelle legazioni in D. Brasini, Il tentativo rivoluz. di P. Muratori a Savigno nell'agosto 1843, Bologna 1888; G. Maioli - P. Zama, Patrioti e legittimisti delle Romagne, Roma 1935, ad Indicem; W. Maturi, Il principe di Canosa, Firenze 1944, p. 315. Sulla cosiddetta congiura romana: R. Giovagnoli, Ciceruacchio e Don Pirlone. Ricordi stor. della rivoluz. romana…, Roma 1894, pp. 190, 193; R. Quazza, Pio IX e M. d'Azeglio nelle vicende romane del 1847, I-II, Modena 1954, ad Indicem (il risultato delle indagini sulla congiura è pubblicato nella Romana cospirazione…, in Il gran processo di Minardi, F., Allai ed altri, Bologna 1848).