STAMIRA
– Vedova anconetana, protagonista di un episodio di eroismo durante l’assedio di Ancona del 1173. Rimangono del tutto oscuri la famiglia di origine e gli elementi biografici di Stamira, di cui sappiamo solo ciò che ne riferisce Boncompagno da Signa nel Liber de obsidione Ancone, unica fonte coeva a trattare l’episodio (Boncompagno da Signa, Liber..., a cura di G.C. Zimolo, 1937, pp. 19 s.; Id., L’assedio..., a cura di P. Garbini, 1999, pp. 122-125).
Nonostante l’esilità delle fonti, e non senza voci discordanti, il personaggio può ritenersi storico per le ragioni esposte da Giulio C. Zimolo, nella sua citata edizione del Liber (pp. XX s.), e sostenute con argomenti convincenti dalla storiografia del Novecento (Giangiacomi, 1927, pp. 197 s.; Boncompagno da Signa, L’assedio..., cit., pp. 101-106).
Il racconto di Boncompagno da Signa, a differenza delle tre cronache pressoché contemporanee che trattano dell’assedio, quelle di Bernardo Maragone (Annales Pisani, a cura di M. Lupo Gentile, 1936, p. 59), Romualdo Salernitano (Chronicon, a cura di C.A. Garufi, 1935, p. 265) e Giovanni Cinnamo (Ioannis Cinnami epitome rerum..., a cura di A. Meineke, 1836, pp. 288 s.), si diffonde nella descrizione dei combattimenti e dei numerosi episodi di cui si resero protagonisti i cittadini di Ancona, concordi con i loro governanti nell’opporre un’indomita resistenza all’esercito del cancelliere imperiale Cristiano di Magonza. Sulle vicende l’autore, presente in città a più riprese fra il 1198 e il 1201, riferisce di essere stato informato direttamente da testimoni oculari e dagli attori stessi di quel dramma cittadino: circostanze non inverosimili, dato che quando Boncompagno passò da Ancona nel 1198, forse durante un viaggio a Roma, e poi vi soggiornò a lungo nel 1201, al seguito del podestà Ugolino Gosia, cui lo legavano rapporti di amicizia personale, il ricordo dell’assedio del 1173 doveva essere ben vivo in città, così come lo erano gli ex consoli e i membri del Consiglio e numerosi semplici cittadini che avevano vissuto quelle vicende (Boncompagno da Signa, Liber..., cit., pp. XVIII-XX).
Racconta dunque Boncompagno che nella primavera del 1173 l’esercito imperiale, guidato da Cristiano di Magonza e affiancato dalla flotta veneziana, strinse d’assedio la città di Ancona, fedele alleata dell’imperatore bizantino Manuele Comneno e per questo già da anni in conflitto con il Barbarossa e con Venezia (Grillo, 2014, pp. 171-175). Dopo alcuni mesi, non potendo rifornirsi di viveri né da terra né per mare, i cittadini anconetani iniziarono a soffrire per una grave penuria alimentare; all’inizio dell’autunno quindi gli imperiali sferrarono l’attacco confidando in una facile vittoria. Al contrario la resistenza fu strenua e anzi la reazione dell’esercito comunale costrinse gli assedianti ad arretrare sia sulla terraferma sia nel porto in cui stazionavano le navi veneziane. Proprio in questa fase del combattimento entrò in scena Stamira, di cui Boncompagno non cita il casato, il che induce a credere che si trattasse di una popolana, e anzi non aggiunge al nome nient’altro, se non il riferimento al suo stato vedovile. La ritirata degli assedianti si era assestata nei pressi della zona in cui erano concentrate le macchine da guerra – catapulte, arieti, torri mobili – e contro quegli apparati, tutti di legno, era stata lanciata una botte contenente resina e, forse, gas asfissianti (Giangiacomi, 1927, pp. 228 s.). Nessuno però, nell’infuriare della battaglia, osava avvicinarsi alla botte per completare l’opera distruttiva. Fra lo stupore generale Stamira prese dunque l’iniziativa e, brandendo una scure, spaccò la botte, e poi con una torcia corse a dar fuoco alla resina provocando la distruzione delle macchine nemiche. La giornata si concluse con il trionfo degli anconetani, che approfittarono dello sbandamento dei nemici e riuscirono anche a catturare molti dei loro cavalli, grazie ai quali poterono sfamarsi e recuperare le forze.
L’azione di Stamira ebbe dunque non solo un valore simbolico, anche se indubbiamente Boncompagno e tutta la tradizione locale successiva preferirono enfatizzare quest’aspetto dell’episodio: l’eroismo muliebre che accende i sentimenti patriottici e moltiplica le forze degli assediati. Rianimati da quell’esempio e da altri analoghi che il cronista attribuisce a esponenti delle altre classi sociali, in particolare l’antica aristocrazia e il clero cittadino, gli anconetani furono in grado di prolungare la resistenza e attendere l’arrivo dei soccorsi provenienti dalla città di Ferrara e dalla contea di Bertinoro, cui il Consiglio aveva inviato una pressante richiesta di intervento. Al sopraggiungere degli alleati di Ancona, le cui truppe erano guidate dal ferrarese Guglielmo Marcheselli e dalla contessa di Bertinoro Aldruda Frangipane, l’esercito imperiale abbandonò l’assedio: senza neppure affrontare il combattimento, il cancelliere Cristiano ordinò la ritirata e la città fu definitivamente libera.
Come si accennava, il racconto di Boncompagno raccoglieva, per esplicita dichiarazione dell’autore, e certamente rielaborava in veste letteraria, i ricordi personali dei cittadini anconetani, fra cui, ipotizza Palermo Giangiacomi (1927, p. 198) la stessa Stamira e gli altri eroi dell’assedio, ma a sua volta, essendo stato oggetto di ripetute pubbliche letture a partire dal 1204, quel racconto fu all’origine di una ricchissima e assai persistente tradizione orale.
L’epoca risorgimentale e il clima storiografico di fine Ottocento, ispirato dall’opera di Pasquale Villari, offrirono alle vicende dell’assedio del 1173 e ai suoi protagonisti le condizioni ideali per valicare i confini della cultura locale ed essere accolti fra i miti costitutivi dell’identità nazionale. Per varie ragioni, il racconto di Boncompagno rispondeva egregiamente a quelle attese. In primo luogo, osservava Giosue Carducci (1900, p. LVII), all’autore dell’Assedio di Ancona si doveva riconoscere il merito di aver saputo rinnovare il genere della storiografia classica, superando i limiti della cronachistica medievale. Ma soprattutto, quelle vicende che contrapponevano l’elemento imperialista germanico all’autonomismo comunale italiano, e che Boncompagno interpretava come il rinnovarsi di un’eterna e ‘naturale’ dialettica fra Germani e Latini (L’assedio..., cit., p. 131), costituivano il precoce, emblematico manifestarsi di un paradigma della storiografia di Pasquale Villari (1861, passim) e, nello stesso tempo, un ‘grido di battaglia’ per i popoli italiani mobilitati contro l’impero asburgico. In questa prospettiva, Stamira divenne, nei decenni centrali dell’Ottocento, un modello di amor di patria proposto, in particolare, alle donne della nuova Italia.
All’eroina anconetana si ispirarono infatti numerose opere letterarie e teatrali e una ricca produzione artistica (Boncompagno da Sigma, L’assedio..., cit., pp. 100-107). Fra le prime, si ricordino almeno il romanzo di Giovanni Andrea Cannonieri, pubblicato a Modena nel 1848 (L’assedio di Ancona dell’anno 1174) e la tragedia in versi di Giuseppe Borioni, scritta nel 1842 e pubblicata a Costantinopoli nel 1848 (Stamira. Tragedia popolare), ma anche le Poesie di Giannina Milli, date alle stampe ad Ancona nel 1864. Un’immagine assai popolare di Stamira, infine, raffigurata nell’atto di incendiare le macchine belliche del nemico, fu realizzata nel 1877 da Francesco Podesti, in un quadro oggi conservato presso il palazzo comunale di Bertinoro (Giangiacomi, 1927, pp. 368 s.).
Fonti e Bibl.: Romualdus Salernitatus, Chronicon, a cura di C.A. Garufi, in RIS, VII, 1, Città di Castello 1935; B. Maragone, Annales Pisani, a cura di M. Lupo Gentile, ibid., VI, 2, Bologna 1936; Ioannis Cinnami epitome rerum ab Ioanne et Alexio Comnenis gestarum, a cura di A. Meineke, Bonn 1836; Boncompagno da Signa, Liber de obsidione Ancone [anno 1173], a cura di G.C. Zimolo, in RIS, VI, 3, Bologna 1937; Id., L’assedio di Ancona. Liber de obsidione Ancone, a cura di P. Garbini, Roma 1999.
P. Villari, L’Italia, la civiltà latina e la civiltà germanica: osservazioni storiche, Firenze 1861; G. Carducci, Di Lodovico Antonio Muratori e della sua Raccolta di storici italiani dal 500 al 1500, in RIS, I, 1, Città di Castello 1900, pp. XVII-LXXI; P. Giangiacomi, Ancona e l’Italia contro Barbarossa, Ancona 1927; P. Grillo, Le guerre del Barbarossa. I comuni contro l’imperatore, Roma-Bari 2014.