STACCIO (fr. tamis; sp. tamiz, cedazo; ted. Sieb; ingl. tieve)
Con il termine generico di staccio, si indica ogni arnese destinato a vagliare o separare le parti più fini o più fluide dalle più grosse o più dense di sostanze solide in polvere o in grani o semiliquide, comprendendo, di conseguenza, anche il crivello che si differenzia dallo staccio propriamente detto solo per le dimensioni dei fori.
L'uso dello staccio è antichissimo, anzi preistorico. Già nell'età della pietra dovettero essere in uso recipienti di terra o di legno forati: gli scavi del Neolitico ce ne forniscono la prova. Nell'antichità classica l'impiego di questo arnese era comunissimo. Polluce (Onom., VI, 74) distingue presso i Greci diversi tipi di vaglio, fatti di giunchi intrecciati, di lana o di tela da un cerchio di legno. Stacci di bronzo o d'argento erano in uso presso i Romani per filtrare il vino; nel sec. II d. C. si fabbricavano stacci d'ottone. Da bassorilievi di sarcofagi romani si conosce la forma degli stacci usati dai Romani, riprodotti insieme con altri strumenti di lavoro per la panificazione. Secondo Plinio, i Romani conobbero tardi lo staccio fino da farina; egli attribuisce alla Spagna l'invenzione degli stacci con fondo di giunchi e di papiro, mentre i Galli avrebbero impiegato per primi, a tale scopo, il crine di cavallo (Nat. Hist., XI, 28). Caratteristico è l'uso figurato che della parola fece Eratostene per il noto suo procedimento aritmetico (v. eratostene). Presso gli antichi lo staccio fu anche oggetto di pratiche superstiziose ("coscinomanzia" da κόσκινον staccio" e μαντεία "vaticinio"), che in uso presso i Greci e gli Ebrei, si mantennero in Europa durante e oltre il Medioevo. Con la coscinomanzia si traevano, spesso con accompagnamento di formule magiche, vaticini o rivelazioni di colpe, dall'interpretazione delle oscillazioni di uno staccio sospeso isolatamente o unito con altri oggetti (per es., forbia).
Nel 1420 G. Fontana si occupò degli stacci per polvere da sparo che vennero in uso sulla fine del secolo e inventò una macchina a martelli appuntiti per forare la latta da stacci. Stacci con listelli di legno si fabbricarono più tardi, come risulta da illustrazioni di J. Amman (1568); da ultimo comparvero quelli di filo metallico.
Sul principio del sec. XVIII furono ideate le prime macchine a scosse per stacciare; al 1750 risalgono i primi stacci a tamburo rotante. Circa un secolo dopo, un mugnaio di Lione, il Vachon, inventava il suo trieur mécanique.
Oggi, mentre per l'uso domestico le varie forme di staccio sono rimaste necessariamente quelle che erano in passato, la stacciatura industriale è fatta con macchine perfezionate che permettono di regolare fino alle più minute suddivisioni le operazioni di vaglio.
Gli stacci e i crivelli servono per assortire le più svariate sostanze e materie prime e si fabbricano quindi nelle più diverse misure e con differenti criterî. Gli stacci sono perciò classificati in grossi, fini e finissimi, con fondo intrecciato o tessuto, a grata, con lastre metalliche forate, ecc., secondo l'uso cui sono destinati e che va dall'impiego domestico a quello agricolo e industriale (grassi, farine, sali, prodotti chimici e farmaceutici, cellulosa, carta, ecc.). Le operazioni di stacciatura e le affini di crivellatura, per le quali ultime si adoperano anche telai con grate metalliche, si compiono non solo presso tutte le industrie nelle quali si svolge un processo di polverizzazione, ma anche in quelle minerarie (per es., carbone), nei lavori edilizî e stradali.
Lo staccio per uso domestico è costituito da una fascia di legno curvata a cerchio e dal fondo. Il cerchio è fornito dalla piccola industria del legno per oggetti da "spacco"; le strisce che lo compongono si ricavano dal legname da spacco, generalmente dolce, ridotto in "squarti" e stagionato. In Italia esse vengono confezionate nel Veneto, nella Venezia Tridentina, nella Liguria, in Toscana, nel Mezzogiorno e nelle isole. Il fondo dello staccio può essere tessuto (con grosso refe ritorto, canapa, lino, cotone; per stacci più fini si usa seta cruda; il fondo è pure tessuto con crine o con fili metallici: il tessuto è più o meno rado secondo lo scopo) o intrecciato con strisciole o sottili bastoncini di legno (pioppo, tiglio, nocciolo) tenuti da una catena di seta o cotone. Quest'ultimo sistema è usato dalla piccola industria boema di Starý Ehrenberk.
Gli stacci interamente metallici per uso casalingo sono assai meno impiegati di quelli di legno a fondo tessuto. Generalmente più che veri stacci, sono colini: il metallo più usato è l'alluminio. Ve ne sono di artisticamente lavorati, di argento, nichelati, cromati, per bevande, decotti, ecc., che rientrano nel gruppo degli arnesi casalinghi di lusso. Un larghissimo impiego ha lo staccio, oltre che nella preparazione comune dei cibi, nella lavorazione di frutti polposi da ridurre in salse o marmellate passate. Nell'industria moderna alimentare, questo genere di stacciatura impropria è eseguita meccanicamente, per torchiatura.
Lo staccio per lavorazioni industriali è di due tipi fondamentali: piani (funzionanti a scosse, a vibrazioni, ecc.), e cilindrici (con tamburo rotante). I primi sono costituiti da un piano mobile e sospeso, munito di bordi, sul quale da una cassetta sovrastante (tramoggia), con apertura regolabile, cade la sostanza da vagliare. Il movimento, a scosse verticali, orizzontali o alternate può essere impresso con manovella o automaticamente, per trasmissioni. Gli stacci con tamburo (cilindrico o prismatico) hanno un tamburo rivestito di tessuto vegetale o metallico e ruotante sul proprio asse inclinato. Di particolare importanza e i più perfezionati sono gli stacci meccanici usati nell'industria molitoria e detti propriamente "buratti", per i quali v. molino, XXIII, p. 577 segg. Alcuni stacci meccanici hanno i tamburi muniti di alette interne girevoli, applicate all'asse, aventi lo scopo di aumentare l'effetto della forza centrifuga. Vi sono, infine, macchine per vagliare formate da gruppi di stacci accoppiati e combinati con diverse gradazioni di fori, per ottenere una regolare ripartizione delle diverse grossezze.
Per la descrizione dei relativi stacci, v. ceramica, IX, p. 773; e polveri piriche.