SRI LAṄΚA (v. vol. II, p. 528, s.v. Ceylon)
) La produzione artistica del paese è essenzialmente buddistica e, fino al XIII sec., si ispira a modelli indiani. Secondo la tradizione, il buddhismo fu introdotto nello S. L., l'unico paese del subcontinente indiano dove esso sia sopravvissuto, da Mahinda, un figlio di Aśoka (III sec. a.C.). La teoria dell'introduzione del buddhismo a Ś. L. in epoca maurya si basa sull'identificazione della Tāmraparṇī (Tambapani, Tambapanī) degli Editti II e XIII di Aśoka con l'isola (la Taprobàne delle fonti classiche), anziché con la Tāmravarī, un fiume dell'India meridionale. La produzione artistica può essere compresa in due grandi periodi, che prendono il nome dalle antiche capitali: Anurādhapura (fase antica: III sec. a.C.-V sec. d.C.; fase recente: V-X sec. d.C.) e Poḷonnāruva (tra il 1055 e il 1270 d.C.). I siti sono concentrati per lo più nella parte centrale dell'isola.
Architettura religiosa. - Sino al periodo di Poḷonnāruva, l'impiego di materiale per lo più deperibile ha fatto sì che la maggior parte degli edifici più antichi sia andata in gran parte o totalmente distrutta, rendendo quasi impossibile la ricostruzione della loro forma originaria.
Notizie sulle varie fasi di esecuzione di alcuni monumenti si possono ricavare dalle cronache locali, quali il Dīpavaṃsa (la cui composizione è da porsi in epoca posteriore al viaggio di Faxian nello Ś. L. avvenuto fra la fine del IV e gli inizi del V sec. d.C.), e i più tardi Mahāvaṃsa e Cūlavaṃsa.
L'epoca compresa fra il I sec. a.C. e il IV sec. d.C. vede la costruzione di stūpa (singalese dāgöba) monumentali, il cui diametro poteva superare anche i 100 m (Abhayagiri). Fra i più antichi, ad Anurādhapura, il Thūpārāma e il Mahāthūpa Ruvanvälisäya, secondo la tradizione costruiti ai tempi di Mahinda e ampliati nel corso dei secoli, l'Abhayagiri (prima metà del I sec. a.C.) e il Jetavana (III sec. d.C.), rinnovati nei secoli XII e XIII. Lo stūpa singalese è in genere formato da un basamento a pianta circolare (medhī) con tre terrazze digradanti verso l'alto, situato su di una piattaforma, a pianta quadrata o circolare, accessibile tramite una serie di gradini. La piattaforma può essere circoscritta da un muro di cinta che ha la stessa funzione della vedikā indiana.
Sul basamento si impianta l‘aṇḍa, con harmikā e chattrāvalī (ombrelli). A partire dalla seconda metà del II sec. d.C., ai quattro punti cardinali del basamento si possono trovare vāhalkaḍa, edicole sporgenti equivalenti agli āyaka degli stūpa indiani dell'Āndhradeśa (AmarāvatI e Nāgārjunakoṇḍa), ai quali sono stati avvicinati (Mahāthūpa, Kaṇṭakacetiya di Mihintalē del II sec. a.C.). Lo stūpa può incorporare un pilastro di pietra disposto assialmente, secondo alcuni simboli dell'axis mundi. Fino al XIII sec. la maggior parte degli stūpa ha profilo emisferico (Ruvanvälisäya, Rankotvehera di Poḷonnāruva, ecc.). Alla base della gradinata di accesso allo stūpa si trova la «pietra lunata», in genere situata fra due stele, la quale, agli inizî, è semicircolare (da cui la definizione). Diagrammi cosmici oppure simboli del Tempo e del Mondo, ricordo delle miserie e dei pericoli che il devoto deve superare nella sua via verso la verità racchiusa nel santuario, le «pietre lunate», le più antiche delle quali non sembrano risalire a epoca anteriore al III-IV sec. d.C., presentano in origine una decorazione a fasce concentriche disposte attorno a un fiore di loto stilizzato. Le fasce sono decorate con elementi floreali, con file di haṃsa (oca sacra, simbolo dello zenith), e con successioni di elefanti, cavalli, leoni e buoi gibbuti, simboleggianti i quattro punti cardinali. Anche se di molto posteriori, queste «pietre lunate», per stile e iconografìa, sono state avvicinate ai capitelli di Aśoka a Sāñcī e Sārnāth (III sec. a.C.). Le stele sono in genere decorate con pūrṇaghaṭa (vasi dell'abbondanza), nāga (divinità-serpenti) o nāgarāja (re dei serpenti), gaṇa (semidei, divisi in varî clan). Sin dall'epoca più antica, sul basamento o lungo il muro di cinta potevano trovarsi delle protomi elefantine in pietra (Ruvanvälisäya, Mahiyangana, nel distretto di Badulla).
Il vaṭadāgē è un monumento tipico dell'architettura singalese che si diffuse soprattutto a partire dai secoli VII-VIII. Ispirato a prototipi indiani, è un edifìcio circolare, posto in genere su di un'alta piattaforma, che ospita al centro un piccolo stūpa e che ha una copertura sorretta da pilastri di pietra. La copertura poteva prolungarsi in un tetto a sima, più basso, sostenuto da cerchi di pilastri concentrici (Thūparāma, Laṅkārāma), il più esterno dei quali a volte era incorporato in un muro (vaṭadāgē di Poḷonnāruva). Gli ingressi erano orientati verso i quattro punti cardinali. Il complesso poteva essere circondato da un muro e da una balaustra (Thūparāma, Laṅkārāma).
Il bodhighara è un edifìcio destinato a ospitare l'albero della Bodhi. Fra i più famosi, il bodhighara del Nillakgama di Anurādhapura (VIII-IX sec.). All'interno di una terrazza a pianta quadrata delimitata da un parapetto con due porte, una a E e l'altra a O, un muro di cinta racchiudeva uno spazio quadrangolare, al centro del quale si trovava l'albero sacro. All'esterno del muro erano quattro āsana (troni) di pietra, nelle direzioni dei punti cardinali. Lo spazio compreso fra muro e parapetto aveva probabilmente una copertura a tegole.
Il patimāghara è un ambiente destinato a ospitare, al centro, l'immagine del Buddha. Architettonicamente deriva dalla kuṭi (cella monastica, per lo più a pianta quadrata). Fra i più famosi, il patimāghara del Vijayārāma di Anurādhapura. L'edificio, su un'alta terrazza con muro in mattoni e parapetto, era formato da un vestibolo rettangolare e da un sacello a pianta quadrata, situato a Ν del primo. Il vestibolo aveva una porta principale, a S, una secondaria e di dimensioni minori, a E, e una terza, in asse con la prima, che conduceva nel sacello, dal quale era separato da sottili pareti in mattoni. La sovrastruttura, oggi scomparsa, si reggeva su pilastri di pietra incorporati da muri di mattoni. All'interno del sacello si trovava il sanctum, a pianta quadrata, che era delimitato da dodici pilastri liberi, sempre in pietra, i quali furono murati probabilmente per creare il garbhagṛha, con un passaggio su tre lati (il quarto è bloccato). Nel sanctum si ritiene si trovasse un grande altare in mattoni, ma non è mai stata rinvenuta l'immagine di culto. Fra i patimāghara più noti sono quelli di Pankuliya, Puliyankuḷam, Pācīnatissapabbata, Toluvila e Vessagiriya, che seguono in genere lo schema di quello del Vijayārāma, anche se con varianti, come, p.es., a Pankuliya, in cui vestibolo e sacello formano un unico ambiente, laddove il sanctum è nettamente distinto, con ambulacro ininterrotto lungo tutti i lati.
I geḍigē (pali gijakāvasatha, «casa» o «sala» di mattoni), anch'essi destinati ad accogliere l'immagine del Buddha, in origine avevano una pianta simile a quella dei patimāghara, dai quali si differenziano per l'impiego quasi esclusivo del mattone come materiale da costruzione. Presenti in gran numero nel periodo di Anurādhapura, raggiungono il massimo sviluppo in quello successivo. Fra i più famosi, il geḍigē (VII-X sec.) e l'edificio A (VIII-IX sec.) della cittadella di Anurādhapura, edifici a pianta quadrata con proiezioni rettangolari ai quattro lati; all'interno, illuminato da finestre e anch'esso a pianta quadrata, si trovava il sanctum, attorno al quale correva un ambulacro continuo. A differenza del geḍigē, l'edificio A aveva un vestibolo. Degli scalini di pietra conducevano probabilmente ai piani superiori. Il soffitto doveva essere a volta e il tetto coperto con tegole. All'interno della maggior parte dei geḍigē si trovano immagini colossali del Buddha.
Strettamente collegati con i precedenti sono gli edifici in mattoni costruiti a ridosso delle pareti rocciose e anch'essi destinati ad accogliere Buddha colossali, spesso ricavati dalla roccia; il più famoso è quello di Avukana (VIII-IX sec.), con un sanctum. La copertura probabilmente era a volta.
Pāsāda è un termine generico per designare quegli edifici, residenziali o di culto, su piattaforma elevata, che avevano pianta rettangolare e una sola entrata su uno dei lati lunghi. I pilastri portanti erano incorporati nelle pareti esterne, e potevano trovarsi anche all'interno dell'edificio, talvolta suddiviso in più ambienti da pareti divisorie. Copertura ed eventuali piani superiori, dei quali oggi nulla rimane, dovevano essere in materiale deperibile. Pāsāda, p.es., potevano essere le sale per assemblee monastiche (uposathaghara, upatthūnasālā), oppure gli edifici di culto situati al centro dei pañcāyatana parivena (monastero singalese nella sua forma più evoluta), ecc. Un tipo particolare è il pāsāda patimāghara, che ospitava le immagini scolpite del Buddha in parinirvāṇa (secondo modelli presenti in India a partire dal V sec.), che raggiunge il massimo sviluppo nel periodo di Poḷonnāruva (Galvihāra).
I bhojanasālā (refettorî o sale per elemosine) erano edifici a pianta quadrata o rettangolare, con tre ingressi sullo stesso lato. All'interno, a un livello più basso, si trovava un cortile quadrato o rettangolare e privo di copertura, cui si accedeva tramite serie di gradini sui quattro lati. L'area che circondava il cortile aveva dei pilastri in pietra che sostenevano il tetto. I muri erano in mattoni. Tipici, i canali di scarico e i contenitori in pietra per il riso.
Il jantāghara è una costruzione rettangolare, con un lato corto a ridosso del bhojanasālā e l'altro che dava sulla strada. Non se ne conoscono le funzioni (bagni o cucine).
I monasteri sono stati suddivisi in quattro gruppi, che raggiungono il pieno sviluppo nei secoli VII-X: 1) monasteri «organici»; 2) pabbata vihāra; 3) pañcāyatana parivena; 4) padhānaghara pariveṇa. Gli ultimi due in realtà potevano far parte dei primi e sono particolari unità monastiche o sotto-monasteri, tipici della fase tarda del periodo di Anurādhapura.
1)Monasteri «organici». - Secondo S. Bandaranayake il termine si applicherebbe sia ai complessi formati dalle più antiche residenze monastiche (III sec. a.C.-III sec. d.C.) costruite intorno a edifici liberi, ricavati nella roccia o situati in grotte naturali (Mihintaḷē, Vessagiriya), sia ai vihāra dei boschi e delle foreste dell'area di Anurādhapura, divenuti, nel corso dei secoli, grossi centri buddhistici metropolitani (fra i più famosi, il Mahāvihāra, il Mirisavātivihāra, l'Abhayagiri, il Jetavana, e i più piccoli Thūparāma e Laṅkārāma, gli ultimi due, anche se da essi distinti, parte del Mahāvihāra e dell'Abhayagirivihāra).
2)Pabbata vihāra («monasteri di montagna»). - Anche se talvolta parte di un complesso «organico», sono in genere unità indipendenti più piccole e si trovano soprattutto nelle aree suburbane e provinciali. Di tre tipi, questi monasteri sono formati da stūpa, uposathaghara, bodhighara e patimāghara, non sempre presenti contemporaneamente nello stesso vihāra. Le unità residenziali si possono trovare su tre o quattro lati. I pabbata vihāra del primo tipo hanno l'entrata a S, lo stūpa a SE, il patimāghara a NO, Y uposathaghara (un pāsāda) a NE e il bodhighara, a pianta quadrata, a SO (Vijayārāma, Pankuliya, Puliyankuḷam, Pācīmatissapabbata, Magulmahāvihāra, Moragoda). Quelli del secondo tipo hanno l'entrata a N, lo stūpa a NE, il patimāghara a SE, l’uposathaghara a SO e il bodhighara, a pianta circolare, a NO (Toluvila, Kalusiyapokuna, Mänikdena). Fra quelli del terzo tipo rientrerebbero i pabbata vihāra rivolti verso E, con il bodhighara a pianta circolare, e le unità disposte come nei pabbata vihāra del primo tipo, anche se diversamente orientate (Vessagiriya, Pulukunāvi).
3) Pañcāyatana pariveṇa. - In ogni vihāra ve ne possono essere più di uno, in genere situati liberamente attorno allo stūpa. Si tratta di quattro kuṭi simmetricamente disposte attorno a un pāsāda (p.es. quelli all'interno del Mahāvihāra e dell'Abhayagirivihāra).
4)Padhänaghara pariveṇa. - Variamente denominati, si trovavano prevalentemente nei complessi monastici dei sobborghi occidentali di Anurādhapura, con esempî isolati all'interno della città (Monastero G del Mahāvihāra) e in siti provinciali (Riṭigala). L'edificio centrale era formato da un pāsāda e da un mālaka («terrazza», simile al pāsāda, ma privo di pilastri), collegati da un passaggio relativamente stretto e rivolti verso E. Erano situati su una' terrazza (caṅkamana), con un muro di cinta rettangolare in mattoni. All'esterno, una seconda terrazza con muro di sostegno in pietra seguiva l'andamento della prima. Di fronte al lato Ν del mālaka si poteva trovare un orinatoio in pietra che probabilmente aveva un significato rituale. Era formato da una lastra di pietra disposta orizzontalmente, nella cui parte terminale si incastrava una stele. La lastra, al centro, aveva una depressione con un foro o canale ed era decorata con impronte di piedi o con edifici di vario tipo con la porta d'ingresso in corrispondenza della cavità, scolpiti in bassorilievo. La stele, con le due facce decorate con gaṇa, pilastri, edifici, ecc., poteva avere, alle sommità, due volute simili a quelle dei toraṇa.
Architettura civile. - Resti di palazzi reali sono stati trovati ad Anurādhapura e a Polonnāruva. Il più famoso dell'isola è il palazzo-fortezza simboleggiante la residenza di Kubera costruito dall'usurpatore Kassapa (477- 495) sulla sommità della roccia di Sīgiriya, cui si accedeva tramite una galleria lungo il precipizio. Il palazzo costituiva il nucleo centrale di una città recinta, con giardini, stagni, padiglioni e fontane, all'interno.
Scultura. - Sin dalle sue origini la scultura singalese è essenzialmente buddhista e fino al XIII sec. è fortemente influenzata dalle varie scuole indiane coeve. Se nella decorazione delle «pietre lunate» si è voluta vedere una reminiscenza stilistica della più antica produzione maurya, sono le scuole āndhra (ν. āndhra, epoca) quelle che influenzarono la prima produzione locale, i cui inizî sono da porsi in epoca non anteriore al II-III secolo. A partire dalla fase tarda del periodo di Anurādhapura (V sec.), la scultura singalese subisce l'influenza delle scuole dal Deccan e dell'India meridionale (Cāḷukya Occidentali, Pallava e Cōḷa).
La più antica produzione è rappresentata da una serie di rilievi scolpiti su stele o pilastri associati con i vāhalkaḍa, in tardo stile sātavāhana. Al III-IV sec. d.C., epoca in cui la scultura singalese raggiunge il pieno sviluppo, risalgono i primi grandi Buddha stanti, scolpiti a tutto tondo, la cui tipologia si tramanderà pressoché invariata per circa un millennio. Privi di alone e di figure di attendenti, hanno la spalla destra scoperta, mentre la mano sinistra regge il lembo esterno della saṃghātī, al di sotto di questa ultima è visibile l’antaravāsaka. Il drappeggio della saṃghātī, che sull'orlo inferiore forma una pesante piega, è a singole o doppie linee incise, abbastanza distanziate, inframmezzate dal leggero rigonfiamento della veste. Come nella scuola di AmarāvatI, i capelli sono con riccioli a chiocciola. Stilisticamente, questi Buddha derivano da quelli di epoca āndhra e presentano la stessa austera e massiccia monumentalità. I Buddha, che sono influenzati dal tardo stile āndhra e che, indirettamente, risentono delle innovazioni portate dalla scuola gupta, di poco si differenziano dai precedenti. I corpi si assottigliano, le vesti diventano «bagnate», con le pieghe a linee parallele più regolari e ravvicinate (Buddha di Avukana, VIII-IX sec.). I più antichi Buddha seduti in padmāsana e atteggiati in dhyānamudrā sembrano risalire al VI-VII secolo. Senza alone, hanno in genere la veste priva di pieghe, con il bordo riportato sul davanti (Buddha dell’Outer Circular Road di Anurādhapura, dell'VIII sec.). In essi è evidente l'influenza dello stile dei Pallava. Più tarde sono le immagini di Buddha in parinirvāna, che diventano sempre più comuni a partire dall'VIII-IX sec. e che di quelle più antiche, stanti, conservano il trattamento della veste a sottili linee parallele. Il più famoso è il Buddha disteso del Galvihāra di Poḷonnāruva (XIII sec.), il quale, insieme a quello stante di Avukana, è testimonianza del gigantismo fiorito a Ś. L. a partire dal VII secolo. Sono da ricordare anche i Bodhisattva in pietra (alcuni dei quali scavati nella roccia), che sono stati classificati secondo due tipi. I Kustarāja, in abito principesco, indossano attorno alla vita una doppia o tripla fascia (kaṭisūtra), con le estremità che ricadono da ambedue i lati e con una fibbia a forma di makara o siṃhamukha; l'alto mukuṭa (tiara) riccamente ingioiellato ricorda la produzione dei primi Cāḷukya Occidentali e quella del Tamil Nadu di epoca pallava e cōḷa: la più antica del genere è la c.d. immagine di Dutthagāmanī (600 d.C.). I Bodhisattva del secondo tipo sono in genere degli Avalokiteśvara con alto jaṭāmukuṭa con i capelli annodati a spirali, e una lunga dhotī. Alcuni di essi hanno attorno ai fianchi una pelle di leone, in conformità con il Mahāyāna, che vede la fusione di Śiva con Avalokiteśvara. Il più famoso è quello di Situlpāvuva che, per le sue affinità con la produzione di Māmallapuram, dovrebbe risalire al VII secolo. Fra le sculture bronzee, sono da annoverare il Buddha seduto da Badulla (V sec.), oggi al museo di Colombo, una serie di Bodhisattva seduti in lalitāsana, alcuni dei quali a quattro braccia, e la dea Tārā stante rinvenuta nel distretto di Trincomedi e oggi conservata al British Museum, alta più di 1,50 m, una delle rare figure femminili ritrovate sull'isola e non collegabile con alcuna scuola indiana.
Pittura. - Le pitture più famose sono quelle di Sigiriya (V sec.), a tempera, sul lato occidentale della rupe, in una cavità un tempo parte di un sistema di appartamenti e gallerie. Sono rimaste ventidue figure femminili (alcune delle quali recentemente restaurate), isolate o a coppie, che recano o spargono fiori. A mezzo busto, le figure sembrano emergere dalle nuvole raffigurate all'altezza del fianco e sono state identificate con le apsaras (ninfe celesti) che volteggiano intorno al Kailāśa, dimora di Kubera, simboleggiato dal palazzo costruito sulla sommità della rupe. Stilisticamente si avvicinano alle contemporanee pitture di Ajaṇṭā, anche se presentano maggiore robustezza nel disegno e brillantezza nella resa cromatica.
Bibl.: Notizie e rapporti di scavo sono nei seguenti periodici e serie: Archaeological Survey of Ceylon, Annual Reports (Report of the Archaeological Survey of Ceylon, Administration Report of the Archaeological Commissions); Archaeological Survey of Ceylon, Progress Reports; Ancient Ceylon; Epigraphia Zeylanica; Ceylon Journal of Historical and Social Studies. - A. K. Coomaraswamy, Mediaeval Sinhalese Art, Broad Campden 1908; S. Paranavitana, Sigiri: The Abode of a God-King, in Journal of the Ceylon Branch of the Royal Asiatic Society, n.s., I, 1950, pp. 129-183; B. Rowland, The Four Beasts: Directional Symbolism in Ceylon, in The Art Quarterly, XVI, 1953, pp. 11-17; S. Paranavitana, The Significance of Sinhalese Moonstones, in ArtAs, XVII, 1954, pp. 197-231; id., Art and Architecture of Ceylon. Polonnaruva Period, Colombo 1954; S. Gunasinghe, Ceylon and the Buddha Image in the Round, in ArtAs, XIX, 1956, pp. 251-258; W. Rahula, History of Buddhism in Ceylon: The Anuradhapura Period, 3rd Century BC-10th Century AD, Colombo 1956; D. T. Devendra, Classical Sinhalese Sculpture c. 300 B.C. to A.D. 1000, Londra 1958; id., The Symbolism of the Sinhalese Guardstone, in ArtAs, XXI, 1958, pp. 259-268; S. Paranavitana, The God of Adam's Peak (ArtAs, Suppl.), Ascona 1958; C. E. Godakumbara, A Bronze Buddha Image from Ceylon, in ArtAs, XXVI, 1963, pp. 230-236; H. Mode, Die buddhistische Plastik aus Ceylon, Lipsia 1963; D. T. Devendra, Moonstone Motifs, in Journal of the Ceylon Branch of the Royal Asiatic Society, n.s., IX, 1965, pp. 221-228; J. E. van Lohuizen-de Leeuw, The Kustarajāgala. An Identification, in Paranivitana Felicitation Volume, Colombo 1965) pp. 47-55; L. Prematilleke, Identity and Significance of the Object Held by the Dwarfs in the Guardstone of Ancient Ceylon, in ArtAs, XXVIII, 1966, pp. 155-161; B. Rowland, The Art and Architecture of India. Buddhist. Hindu. Jain, Londra 19673; L. Prematilleke, R. De Silva, A Buddhist Monastic Type of Ancient Ceylon Showing Mahāyanist Influence, in ArtAs, XXXI, 1968, pp. 61-84; K. De Β. Codrington, Excavations at the Gedigē Site at Anurādhapura, in Ceylon Today, XVIII, 1969, pp. 32-34; D. B. Udalagama, The Sigiriya Frescoes Restored, in Oriental Art, XV, 1969, 2, pp. 119-122; D. K. Dohanian, The Wata-dā-ge in Ceylon: The Circular Relic-House of Polonnaruwa and Its Antecedents, in Archives of Asian Art, XXIII, 1969-70, pp. 31-40; R. H. De Silva, The Evolution of the Technique of Sinhalese Wail-Paintings and Comparison with Indian Painting Methods, in Ancient Ceylon, I, 1971, pp. 90-105; J. Liyanaratna, Les piliers dans l'architecture singhalaise aux époques d'Anurādhapura et de Polonnaruwa, in Arts Asiatiques, XXV, 1972, pp. 89-122; S. Bandaranayake, Sinhalese Monastic Architecture: The Viharas of Anuradhapura, Leida 1974; id., Buddhist Tree-Temples in Sri Lanka, in J. E. Van Lohuizen-De Leeuw, J. M. M. Ubaghs (ed.), SAA 1973, Leida 1974, pp. 136-160; D. K. Dohanian, The Mahāyāna Buddhist Sculpture of Ceylon, New York 1977; S. Gatellier, Le stūpa et son décor à Ceylon. Son influence en Thaïlandie et en Birmanie, in ArtAs, XL, 1978, pp. 177-203; L. Prematilleke, The «Kuṣṭarajāgala» Image at Veligama, Sri Lanka, in J. E. van Lohuizen-de Leeuw (ed.), Studies in South Asian Culture, VII (Senarat Paranivitana Commemoration Volume), Leida 1978, pp. 171-180; J. Boisselier, Ceylon-Sri Lanka (Archaeologia Mundi), Ginevra 1979; J. Irwin, The Stūpa and the Cosmic Axis: the Archaeological Evidence, in M. Taddei (ed.), SAA 1977, Napoli 1979, pp. 799-845; J. E. van Lohuizen-de Leeuw, The Rock-Cut Sculptures at Isurumuni, in Ancient Ceylon, III, 1979, pp. 361-362; E. W. Marasinghe, Manjuśri-Vāstuvidyāsāstra and the Ancient Sinhalese Monastic Architecture, in The Sri Lanka Journal of the Humanities, XI, 1987, pp. 47-72; J. Bouzek, Ceylon und die hellenistische Welt, in Akten des XIII. Internationalen Kongresses für Klassische Archäologie, Berlin 1988, Magonza 1990, pp. 316-317.