Sport e comunicazione nella società moderna
di Fabio Rossi
Perché milioni di lettori, anche semicolti, comprendono e usano il ricco bagaglio tecnico e metaforico, talora esotico e gergale, del giornalismo sportivo (andare in bambola, coach, cross e crossare, dribbling e dribblare, fare melina, k.o., mezzofondista, muletto, realizzare, volée, zona Cesarini), mentre talvolta anche i laureati si arenano di fronte a termini, di altri ambiti tematici, di frequenza poco inferiore a quella del vocabolario dell'uso medio? La domanda ci porta subito in medias res, obbligandoci però a chiarire preliminarmente il concetto di 'lingua speciale' e a fornire brevi tratti di storia e di lingua giornalistica, sportiva e no.
Una lingua speciale (detta anche, con diverse sfumature, lingua o linguaggio settoriale o specialistica/o, tecnoletto, sottocodice ecc.) è "una varietà funzionale di una lingua naturale, dipendente da un settore di conoscenze o da una sfera di attività specialistici, utilizzata, nella sua interezza, da un gruppo di parlanti più ristretto della totalità dei parlanti la lingua di cui quella speciale è una varietà, per soddisfare i bisogni comunicativi (in primo luogo quelli referenziali) di quel settore specialistico; la lingua speciale è costituita a livello lessicale da una serie di corrispondenze aggiuntive rispetto a quelle generali e comuni della lingua e a quello morfosintattico da un insieme di selezioni, ricorrenti con regolarità all'interno dell'inventario di forme disponibili nella lingua" (Cortelazzo 1988, p. 246).
In base a questa definizione, la lingua dello sport (preferisco lingua a linguaggio per fugare ogni equivoco riferimento a codici non verbali come quello corporeo) può ben essere detta speciale, nonostante i suoi stretti legami con quella comune e con altri sottocodici. Infatti, nella sua triplice accezione di 'lingua dei giornalisti sportivi', 'insieme dei termini tecnici dei vari sport' e 'lingua, scritta e parlata, dei tifosi', mantiene una sua piena riconoscibilità e specificità non soltanto lessicale, senza tuttavia quasi mai rinchiudersi nella cripticità dei gerghi, almeno nella coscienza della maggioranza dei parlanti italiani, come può peraltro accadere ad altri ambiti quali la lingua politica, quella economica o dell'informatica.
"La lingua dei tifosi, dei giornalisti sportivi, dei cronisti [...], è una lingua 'tecnica', per l'argomento specifico di cui tratta: e, come le altre settoriali, segno di comunione e d'intesa che afferma l'appartenenza ad un gruppo, socialmente non omogeneo, ma che passione e tecnica accomunano in una sorta di complicità e di intimità linguistica" (Beccaria 1973, p. 46). Vedremo come questa camaraderie giustifichi alcune particolari scelte stilistiche. A rendere sempre più labili le barriere tra lingua media e lingua sportiva contribuisce inoltre l'incredibile peso concesso dai nostri mezzi di comunicazione allo sport (anzi, a un solo sport: il calcio, con la recentissima aggiunta dell'automobilismo, a scapito di tutti gli altri), con almeno il 40% della programmazione radiotelevisiva e con la maggioranza assoluta delle testate e delle rubriche sportive tra i giornali venduti e le sezioni effettivamente lette.
Le fonti principali per l'analisi della lingua sportiva sono i giornali, la radio e la televisione, al punto da autorizzare l'equazione lingua sportiva = lingua del giornalismo sportivo. In realtà non mancano altre fonti (statuti, regolamenti e testi consimili), raramente prese in considerazione dagli studiosi, se si fa eccezione per Carlo Bascetta (1985), che si occupa, tra l'altro, di trattati sportivi dell'antichità. "Se gran parte delle espressioni tipiche del linguaggio dello sport sono di coniazione giornalistica e perciò accolte solo dopo un certo tempo fra i tifosi, non mancano formazioni linguistiche di origine popolare che passano a loro volta sulle colonne dei giornali" (Bascetta 1985, p. 341). La lingua del giornalismo sportivo è stata oggetto di notevole attenzione, negli anni passati, benché quasi esclusivamente sotto il profilo lessicale e fraseologico, soprattutto grazie all'apertura al nuovo propria della rivista Lingua nostra e alla sensibilità di linguisti e italianisti quali Bascetta, Lanfranco Caretti, Mario Medici, Fabio Marri e altri. Né sussiste, nel complesso, quella ritrosia dei dizionari ad accogliere tecnicismi sportivi, lamentata negli anni Cinquanta dal Caretti: dei termini di cui Caretti (1973, pp. 96-97, n. 2) denunciava l'assenza nell'appendice del 1950 al Dizionario moderno di Alfredo Panzini curata da Bruno Migliorini, rimangono assenti, nell'edizione del 1963: bloccata, punizione, respingere, respinta, riserva, rovesciare, traversone, per il calcio; schiacciare, schiacciata, smorzare, tagliare, per il tennis. Nell'aggiornatissimo GraDIt-Grande dizionario italiano dell'uso, per es., a un controllo a campione, non si sono registrate vistose lacune né imprecisioni, salvo qualche ritardo nelle prime attestazioni. Naturalmente andrà sempre messa in bilancio l'inevitabile esitazione dei dizionari nel registrare soprattutto i tecnicismi, i gergalismi e i forestierismi; si offrono così agli studiosi non poche possibilità di retrodatazione.
Quasi del tutto neglette, nell'interesse dei linguisti, sono invece, e a torto, le fonti dei tifosi, scritte (striscioni, scritte murali, lettere a giornali, radio e televisioni) e orali. Eppure lo studio di questi materiali mostrerebbe non soltanto prevedibili punti di contatto con altre varietà (interscambi con le lingue giovanili e i gerghi del rock e della droga; cospicua presenza di espressioni televisive e di fenomeni cosiddetti neostandard), ma anche qualche tratto peculiare (uso dei dialetti con funzione gergale; inserti burocratici e superstandard nei comunicati stampa). Tra le principali caratteristiche lessicali della lingua dei tifosi, così come della lingua dei giovani nel suo complesso, è l'ampio ricorso al turpiloquio, alla coprolalia e alla pornolalia, come si evince da uno dei pochissimi studi disponibili sull'argomento, di A. Podestà (1996).
Salendo ai piani stilistici più alti, andrebbero considerate anche fonti particolari quali le produzioni artistiche (novelle, romanzi, poesie, commedie) di argomento sportivo. Non c'è modo, qui, di dedicare spazio a questo tema ‒ per il quale si rimanda ad altra trattazione in questo volume ‒ se non ricordando che la letteratura sportiva annovera numerosi titoli, a partire dai classici. Vi sono anche altri argomenti che è impossibile approfondire nella sintesi qui approntata. A un'analisi più capillare, per es., risulterebbe che, se sul piano sintattico, semantico e testuale, la lingua sportiva ha una sua omogeneità (con eccezioni dovute alla natura dei singoli sport: nell'ippica non sono accessori particolari extrasportivi, come la biografia di cavalli e fantini; i commenti ciclistici, motociclistici e automobilistici risentono dell'esigenza di ricostruire per lo spettatore competizioni non viste dal vivo ecc.) e identificabilità rispetto alle altre lingue speciali (tendenza all'abuso di elativi, all'eroicizzazione dei protagonisti, all'uso di formule stereotipate e di metafore belliche, all'impiego della tematizzazione e altro, sotto commentato), sul piano lessicale non sarebbe improprio parlare di molteplicità di lingue, o meglio di diasistema settoriale, nel quale ogni sport gode del suo lessico specializzato.
A differenza di altre lingue speciali (per es. quelle dell'economia, dell'informatica o della medicina), invece, quella sportiva non si presta agevolmente alla distinzione tra livello specialistico e livello divulgativo, forse perché i tre parametri situazionali di variazione ‒ vale a dire il destinatario, l'argomento e lo scopo ‒ in realtà variano pochissimo, coincidendo rispettivamente con il pubblico dei tifosi, con la descrizione-commento dell'evento sportivo e con l'esigenza di creare complicità: sarebbe bizzarro attendersi da un articolo sportivo la capacità di attrarre a un determinato evento l'attenzione dei disinteressati o dei non competenti, dal momento che l'interesse e la competenza fanno parte delle presupposizioni, dei frames richiesti proprio da quel tipo di testo e di lingua. Sarà proprio questa presupposizione, unitamente alla su citata complicità lettore-articolista, a innalzare il tasso di tecnicismi presente nella lingua dello sport e a rendere le pagine sportive tra le più criptiche (per i pochi, pur esistenti, non competenti in materia) di tutto il giornale.
Gran parte degli sport oggi praticati entra in Italia, dalla Francia o dall'Inghilterra, nell'ultimo decennio del 19° secolo, portando dunque con sé un ricco contingente di prestiti di necessità. Anche gli sport praticati in Italia fin dai secoli precedenti vengono rilanciati o riorganizzati da noi sul modello, anche linguistico, inglese (ippica, calcio). Lo sport diventa pertanto, alle soglie del Novecento, uno dei principali serbatoi di forestierismi e, successivamente, una delle prime fonti di arricchimento del nostro lessico tradizionale. Lo stesso anglicismo sport (d'origine francese: desport), attestato in italiano fin dal 1829, non è mai stato soppiantato da diporto (se non nella locuzione da diporto, che rimane in vita proprio nell'ambito sportivo della nautica) e ha avuto il suo definitivo avallo, non intaccato neppure in epoca di autarchia linguistica (nonostante le numerose riserve puristiche già nell'Ottocento), da testate quali L'Eco dello Sport (1881), Lo Sport illustrato (1883), La Gazzetta dello Sport (1894). Giulio Bertoni, nella Premessa [...] agli "elenchi" di "esotismi" pubblicati dall'Accademia d'Italia (maggio 1941), osserva che "alcuni vocaboli (come sport, sostenuto da sportivo, ecc.), sono profondati ormai nel cuore della nostra lingua in tal modo, che non sembra più possibile sradicarli" (Raffaelli 1983, p. 250).
Non così tolleranti furono però gli accademici d'Italia con altri forestierismi sportivi, peraltro sopravvissuti: "quando per nuove cose e idee soccorrano genuine voci nostrane, sarebbe colpa dimenticarle e servirsi di parole straniere. è lecito, è opportuno, ad esempio, sostituire a un termine come record una voce italianissima quale primato" (Raffaelli 1983, p. 250). Già nel 1932, Ermanno Amicucci, direttore della Gazzetta del popolo di Torino e segretario del Sindacato nazionale fascista dei giornalisti, aveva pubblicato Il dizionario sportivo italiano, "contenente le italianizzazioni delle terminologie esotiche di varie discipline" (ibid., p. 155). Né la questione degli adattamenti rimaneva nelle aule accademiche e parlamentari, o nelle segreterie di giornali e sindacati, interessando anche i privati: tra i tanti, un lettore "pregava gli fosse indicata la parola italiana che può sostituire 'tennis'", termine che tuttavia "già l'Accademia aveva deliberato di ammettere" (ibid., p. 221, n. 97). In realtà, anche in pieno fascismo, nella stampa sportiva italiana continuano a leggersi numerosi forestierismi, e non sempre in corsivo: oltre ai consueti corner, goal, offside (o off-side), boxeur 'pugile', c'erano anche center-half 'centromediano', foot-baller 'calciatore', forward 'attaccante', trainer 'allenatore' e molti altri. E, del resto, era impresa difficile quella di riuscire a conciliare le istanze puristiche dei pochi con le attese dei numerosi lettori: è noto infatti che la stampa fascista incentivò la proliferazione dei periodici sportivi, con oltre trenta fra quotidiani, settimanali e mensili editi tra il 1931 e il 1936. Si ricordino almeno gli specialistici Il Centauro (1931), L'Arbitro (1931), Tennis (1932), Il Ciclismo (1933), La Moto (1933), Il Pugilatore (1933).
Dopo un primo periodo d'indiscriminata accettazione dei forestierismi sportivi, cominciano le prime oscillazioni e, subito dopo, una progressiva, ma mai radicale, italianizzazione, in gran parte conclusa entro il 1950. Tuttora, peraltro, "la presenza di vocaboli stranieri [...] nelle cronache sportive [...] rimane tangibilissima" (Stella 1973, p. 143) e, anzi, superiore a qualche decennio fa. La precoce (e prefascista) italianizzazione della terminologia sportiva si spiega in gran parte con la crescente popolarità degli sport, in primis del calcio; ovvero, con le parole del Devoto (1972, p. 165), "la sostituzione dei termini forestieri è stata resa possibile dal tecnicismo, dalla burocratizzazione del gioco, dalla massa di carta stampata che si accompagna alla colossale organizzazione del gioco del calcio in Italia" e, a partire dagli anni Trenta, dalla diffusione della radio e ancor più, dalla metà degli anni Cinquanta, della televisione. Anche se non mancano motivazioni d'altro genere, come si vedrà nella ricchezza di forestierismi in sport popolari come il pugilato e la sostanziale italianità di sport aristocratici come la scherma. Tra i termini stranieri sopravvissuti, si registrarono dapprima adattamenti grafico-fonetici più o meno parziali: bol e straik per ball e strike, 'tipi di lancio nel baseball'; marco! per mark!, 'esclamazione con cui il giocatore del rugby proclama la presa a volo entro l'area dei ventidue metri'; taboca per taboggan, 'slitta da corsa'. Talora l'adattamento ha anche generato interessanti paretimologie: dall'originario ski (e skiatore) ‒ termine d'origine norvegese ‒ si passò presto alla grafia (proposta da Panzini nel 1918) schi e schiatore; "giunta [però] notizia che la pronuncia norvegese era, più o meno, sci, verso il 1920 si accettò questa forma, che in italiano è stata talvolta collegata paretimologicamente a sciare/scia, termine marinaresco" (Bascetta 1962, p. 30). Alcuni adattamenti, presto caduti in disuso, rivelano la deformazione popolare, o dialettale, del tecnicismo: ènze o ènz (da hands), fùball o fùlber (da football), òpsi o orzàit (da offside).
Un altro tipo di adattamento molto praticato nello sport è quello morfologico, mediante il quale alla parola straniera vengono apposti desinenze e suffissi propri dell'italiano, con conseguente formazione di derivati: boxare, crossare (sul cui modello anche traversare, da traversone), derapare, dribblare, dribblaggio e dribblatore, handicappare, liftare e liftato, lobbare, smecciare e smecciata, stoppare, trenarsi ('allenarsi', da to train), volleare, indice dell'acquisita confidenza dei parlanti con il lessico specialistico. Anche gli acronimi stranieri possono essere riscritti così come sono pronunciati in italiano: cappaò (k.o., da knock out, talora, in passato, male interpretato come 'kappa zero'). Sul versante opposto, invece, va ricordata, ancora negli anni Settanta, certa tendenza alla conservazione integrale dei forestierismi, addirittura flessi, in articoli giornalistici, con la -s del plurale: aces, clubs, crosses, derbies, dribblings, matches, meetings.
Come in tutte le lingue speciali con apporto straniero, sono ben rappresentati anche i calchi. Tra quelli strutturali (o calchi traduzione) si menzionano: fuorigioco per offside; pallabase per baseball (caduto in disuso), pallacanestro per basketball (negli anni Trenta era in uso anche il calco palla al cesto). Quasi tutta la terminologia del baseball è fatta di simili calchi: battuta radente da line drive; casa-base da home-base; doppio gioco da double play; lancio illegale da illegal pitch; linea dei tre piedi da 3 foot line; palla morta da dead ball; il primabase da first baseman. Analogamente quella del rugby: calcio di rimbalzo da drop-kick; calcio di trasformazione da coup de transformation; calcio piazzato da place kick ecc. Calchi semantici sono invece: arrampicatore (ormai surclassato da scalatore) da grimpeur; angolo da corner (che ha seguito la stessa riduzione inglese di una polirematica a un unico elemento, da corner-kick, analogamente a quanto avviene in area [di rigore], [calcio di] rigore, [calcio di] punizione, [giocatore di] riserva); incontro da meeting; primatista da recordman; rete da net; servizio da service; spunto o volata da sprint; tifoso da supporter; traversone da cross. Gli originali termini inglesi, considerati da Bascetta (1985) quasi tutti soppiantati dai calchi italiani, tendono oggi a riemergere.
Tutte queste tecniche di adattamento (unitamente ai meccanismi di formazione delle parole, sotto analizzati) contribuiscono generosamente alla neologia italiana: "il linguaggio sportivo crea neologismi con un'abbondanza sconosciuta persino alla lingua letteraria" (Bascetta 1985, p. 339). Tra i neologismi raccolti da Bascetta ricordiamo almeno: battitore libero (poi semplicemente libero), catenaccio, contrare, contropiede, francobollare, racchettare, regolarista, sistema (tecnificato e contrapposto a metodo almeno a partire dal 1946, secondo la ricchissima analisi di Marri 1983), spintonare, tutti, a eccezione di racchettare e spintonare, già in un precedente lavoro di Bascetta (1962), anche se GraDIt li registra talora con un'attestazione molto posteriore (per es. contrare 1982). Ma procediamo ora con ordine e partizioni, sport per sport.
Tra i primi sport a entrare in Italia, dalla Francia (e dal francese viene anche il nome della disciplina: cyclisme), è il ciclismo: al 1882 risale il primo circolo ciclistico italiano, del 1909 è il primo Giro d'Italia, mentre risale al 1903 il primo Tour de France. Fino alla Prima guerra mondiale, il ciclismo è lo sport più seguito dagli italiani, al secondo posto l, al terzo il calcio, il quale passerà al secondo già prima della Grande guerra. Comunque, il sorpasso definitivo del calcio sul ciclismo non si compirà prima degli anni Cinquanta. "La lingua francese è la lingua ufficiale del ciclismo internazionale, come quella inglese lo è del tennis" (Caretti 1973, p. 52). Francia e Italia hanno avuto, e hanno, rapporti strettissimi nel ciclismo, con migrazioni di atleti da un paese all'altro, ma con migrazione di termini soltanto in un senso. Il fatto che, nonostante la popolarità, la lingua tecnica del ciclismo non sia penetrata nella lingua comune deriva soprattutto da un fattore intrinseco alla disciplina: "il ciclismo non è ‒ come il tennis, il calcio e il pugilato ‒ uno sport rigorosamente codificato, e soprattutto non lo era ai suoi inizi quando bastava il mezzo meccanico, una strada e molta buona volontà, da parte degli appassionati, per dare vita ad una corsa ciclistica" (ibid.). E infatti i tecnicismi del ciclismo si riferiscono non tanto a regole, punti e falli (come le strutturatissime nomenclature del calcio e del tennis) quanto a parti del veicolo, tipi di corsa e categorie dei corridori in base alle loro specialità. Ancora alla metà degli anni Cinquanta ‒ fa osservare Caretti ‒ il pubblico ciclistico è il più numeroso e popolare a interessarsi di manifestazioni sportive. Per quanto riguarda gli atleti, il grado di alfabetizzazione dei ciclisti di un tempo risultava mediamente più basso di quello, per es., dei calciatori, come si ricorderà ripensando alle celebri interviste di Sergio Zavoli nelle cronache del Giro d'Italia. Il grande peso dato al ciclismo dalla stampa e dalla radio è dovuto al fatto che questo sport è itinerante e quindi non può essere agevolmente seguito dal vivo, nell'intero svolgimento della competizione, a differenza di calcio e tennis. Il ciclismo "è per ragioni evidenti uno degli sport meno veduti e senza dubbio, per compenso fatale, uno dei più fantasticati attraverso gli articoli di giornale" (Caretti 1973, p. 54) e poi, soprattutto, attraverso la radio e infine la televisione. Anche per via dello scarso livello culturale degli appassionati, dunque, e dell'esigenza di descrivere cose non viste, nasceva "la necessità, da parte dei cronisti, di adoperare pochissimi termini tecnici (e stranieri, meno che mai) e di ricorrere invece a un linguaggio fortemente rappresentativo, ora lirico e ora drammatico, preso talvolta a prestito dalla letteratura o da altri linguaggi specifici" (ibid.). Rispetto alle pagine di Caretti, oggi il consenso popolare del ciclismo è sceso sicuramente molto, surclassato dall'automobilismo, che condivide però con il ciclismo lo statuto di sport visto in televisione, più che dal vivo.
In effetti, "i termini del ciclismo hanno subito in maniera più evidente un rapido processo di italianizzazione, sia per la facilità dei calchi sul francese, sia per ragioni di rivalità e talvolta di superiorità dei nostri atleti su quelli della 'sorella latina'" (Bascetta 1962, p. 27). Ciononostante, tra il 1910 e il 1930 godono di ottima salute i seguenti forestierismi ciclistici: balançage 'arrivo a zig-zag con urto fra i concorrenti'; coéquipier 'compagno di squadra'; équipe 'squadra'; finish 'volata'; grimpeur 'scalatore'; leader 'chi è in testa alla classifica'; palmer 'tubolare'; panache 'capitombolo al di sopra del manubrio'; pistard 'pistaiolo'; poule (de consolation) 'gara di consolazione, riservata, alla fine di un torneo, ai non classificati'; poulain 'allievo'; repêchage 'recupero'; routier 'stradista' o anche, ma con diversa accezione, 'passista'; rush e sprint 'volata'; sprinter 'velocista'; stayer 'atleta di fondo, mezzofondista'; surplace 'posizione di precario equilibrio'; tourniquet 'tornante' (significato peraltro ignoto al francese). Alcuni di questi (leader, rush, sprint, sprinter), magari in concorrenza con il sinonimo italiano, sono tuttora in uso, anche perché i cronisti optano, o optavano, talora per il termine italiano o per quello straniero secondo la prevalenza dell'una o dell'altra squadra o, anche, secondo il tipo di gara (Giro d'Italia o Tour de France): "sensibilissimo ai gusti del suo pubblico, il cronista sportivo diventa talvolta un pedante seguace del nazionalismo linguistico, quando per esempio le vittorie ciclistiche dei nostri atleti lo inducono a sostituire sistematicamente pistard con 'pistaiolo' e grimpeur con 'scalatore', salvo a ritornare alla dizione straniera appena si manifesti una prevalenza o superiorità atletica dei ciclisti francesi sui nostri" (Bascetta 1962, p. 10). Pavé prevale spesso su lastricato, se riferito a quel particolare fondo stradale della Francia del Nord e del Belgio, gloria dei ciclisti del Tour e della classica in linea Parigi-Roubaix. Anche con uso traslato: "la pedalata di Arbasino, sempre alacre, ha qualche volta delle difficoltà, come quegli svelti corridori che non amano le montagne del giro di Francia e prediligono il 'pavé'" (esempio giornalistico riportato da Dardano 1981, pp. 250-51).
Dato il primato cronologico del ciclismo, non ci si meraviglierà d'incontrare alcuni tecnicismi nati in questo sport e successivamente prestati ad altre discipline e talvolta alla lingua comune; ne sono esempio: bagarre, défaillance, équipe, scalata e scalatore (a loro volta importati dall'alpinismo), seminare gli avversari, sgroppata, sprint, surplace, tabella di marcia, tandem ("sono scesi in tandem verso la rete": esempio giornalistico citato da Bascetta 1985, p. 341), tirare. Comuni anche ad altri sport, ma prevalentemente usati, soprattutto nel passato, in ambito ciclistico sono infine i seguenti forestierismi: allure 'andatura', débâcle 'sconfitta', guigne 'sfortuna', masseur 'massaggiatore', performance 'prestazione', record 'primato', recordman 'primatista', repêchage 'recupero', starter 'mossiere', train 'andatura'. Anche il gergalismo bambola 'torpore' (andare in bambola, avere la bambola ecc.) nasce in ambito ciclistico, per poi passare ad altri sport. Un solo dialettalismo gode tuttora di una certa diffusione: il venetismo manizze 'guanti dei ciclisti e dei motociclisti'.
L'introduzione in Italia del tennis, dall'Inghilterra, avviene nell'ultimo decennio dell'Ottocento, anche se bisognerà attendere gli anni successivi al 1927 (con le prime vittorie dell'Italia nella Coppa Davis) perché lo sport acquisti "popolarità", pur senza mai perdere "uno spiccato carattere aristocratico" (Caretti 1973, p. 32). Il graduale processo di italianizzazione terminologica può dirsi concluso negli anni Cinquanta, con caratteri peraltro speculari a quelli del calcio, dove le aree di maggiore resistenza dei termini inglesi erano quelle periferiche, contadine, a differenza del tennis, le cui aree di resistenza sono invece quelle aristocratiche, per una sorta di opposizione consapevole all'autarchia linguistica fascista e "per ragioni di prestigio, orgoglio di casta, snobismo ecc." (p. 33). Anche qui, tuttavia, l'italianizzazione è stata imposta dall'alto (CONI-Comitato olimpico nazionale italiano e Accademia d'Italia), con la notevole eccezione del nome della disciplina, "dopo gli infelici tentativi di sostituire tennis con 'pallacorda', 'pallarete' e anche 'racchetta'" (p. 34). Tra l'altro il termine inglese tennis non è che un latinismo di ritorno (tenes, attestato nel fiorentino trecentesco, per designare la 'pallacorda'), penetrato, sì, attraverso l'inglese, ma per mediazione del francese (tenez 'tenete', come notò per primo Roberto Longhi, in Caretti 1973, pp. 44-45). Tra i numerosi anglicismi tuttora ben conservati si ricordano almeno: ace 'battuta vincente'; game 'gioco, frazione del set'; match 'partita' (o, più spesso, 'incontro'); match point 'punto incontro'; net 'filorete, nastro'; set 'partita'; smash 'schiacciata' ‒ che ha dato vita anche all'adattamento smecciare e smecciata ‒ e il recente tie-break (di solito non tradotto, oppure, sulla spinta del francese, reso con 'gioco decisivo'). Due francesismi: manche 'partita' e volée 'tiro al volo sotto rete'. Quasi non più usati gli inglesi advantage 'vantaggio', back 'rovescio', drive 'diritto', passing 'passante', runner up 'giocatore che sfida il campione in carica', server o striker 'battitore', single 'singolo'. Un tratto linguistico 'popolare' è la metafora insalatiera, con cui viene spesso designata la coppa Davis. Servire e pallonetto passano dal tennis al calcio.
Il moderno pugilato, anch'esso nato in Inghilterra, approda in Italia nel 1909 attraverso la Francia, come dimostra il termine boxe con cui è tuttora designato, accanto a pugilato. Altro francesismo è boxeur, oggi soppiantato dall'inglese boxer e dall'italiano pugile, anche se fino a qualche anno fa il sostituto italiano più fortunato era pugilatore. Tra i numerosissimi anglicismi ancora in uso si ricordano almeno: break, tuttora insostituito ("l'unico termine straniero ancor oggi usato ufficialmente dalla Federazione pugilistica italiana", nonostante un calco semantico di scarsa fortuna come separatevi [Caretti 1973, p. 85]); clinch, accanto a corpo a corpo e a tenuta; jab 'tipo di colpo'; knock-out (più spesso abbreviato in k.o. o ko), più frequente di fuori combattimento; ring, accanto a quadrato; round, accanto a ripresa; swing, accanto a sventola; uppercut, accanto a montante. Non più usati il francese crochet e l'inglese hook per colpo uncinato, uncino o gancio. Nonostante le proposte di italianizzazione della terminologia pugilistica (nel 1941, a opera di Emidio De Felice), boxe, break, ko, ring e round sopravvivono inalterati fino a oggi, anche al di fuori del lessico specialistico e coinvolti in accezione metaforica in svariati campi semantici. Meno comuni gli altri anglicismi pugilistici: chop e cross 'tipi di colpo'; groggy 'stordito per i colpi ricevuti' (in italiano cotto, che passa al ciclismo, alla lingua comune e ad altri sport); punch-bag (o punching bag) e punch-ball (o punching ball) 'sacco e pallone per l'allenamento dei pugili' (con vari adattamenti fonetici). è interessante il caso di footing 'allenamento a piedi dei pugili' (anglicismo che ci proviene dal francese), successivamente risemantizzato e ceduto alla lingua comune in un significato sconosciuto all'inglese ('insieme di corsa e di marcia praticato come allenamento o come attività salutare'), che in questo caso usa jogging, anch'esso assunto di recente dall'italiano (1978, secondo GraDIt). Scomparsi alcuni francesismi: soigneur 'assistente o secondo nel pugilato'. Incassare e forcing sono prestiti del pugilato ad altri sport.
Del nome della pallacanestro (raramente palla a canestro) si è in parte già detto. Si noti qui, in aggiunta, la preferenza accordata al più ricercato (e d'antica attestazione) canestro rispetto al più comune cesta o al più diffuso e recente cesto (peraltro usato, anche se ormai poco comune, come sinonimo di canestro per designare tiri e punti: "un cesto fatto vale due punti se è segnato su azione di gioco, un punto quando è realizzato mediante un tiro libero" [Medici 1965, p. 38], e anche nel derivato cestista), e la mancata resa grafica del raddoppiamento fonosintattico (nell'italiano centromeridionale si pronuncia, in effetti, pallaccanestro, come del resto anche pallammano, pallannuoto e pallavvolo, scritti senza raddoppiamento), entrambi segnali della scarsa popolarità dello sport, come pure il relativamente recente recupero del nome inglese basket, esclusivo, per es., in un composto come minibasket. Sopravvivono anche altri anglicismi (back door, no look passage, pick and roll, play-maker, post, time out e molti altri: sempre più ormai la televisione trasmette incontri americani di basket, spesso con commento non tradotto o mal tradotto) e un francesismo: pivot. Un unico prestito al calcio: melina (da mela, gergalismo per 'palla'), forse da un antico gioco bolognese; fare melina significa indugiare nel palleggio, ovvero fare gioco passivo (l'espressione entra nel calcio grazie a Gianni Brera e non viene più usata nella pallacanestro).
L'automobilismo è tra gli ultimi nati, nell'elevato gradimento del pubblico italiano, e, come ormai anche il calcio, incide fortemente sull'immaginario degli appassionati soprattutto per motivi extrasportivi, quali l'enorme circolazione di danaro esibita dai media e il conseguente prestigio sociale attribuito agli atleti, sempre fotografati con le donne più belle e usati come testimonial delle pubblicità più lussuose. Per quanto riguarda i tecnicismi e i forestierismi, anche qui, come nel ciclismo, prevalgono i termini riguardanti parti del veicolo più che tecniche della disciplina. Qualche anglicismo rimane incontrastato: pole position, box e il recente stop and go. Non moltissimi i termini usati estensivamente nella lingua comune o in altri ambiti: dirittura d'arrivo (che è, però, in comune con il ciclismo), formula 1, pole position. Più sfumati (perché appartenenti in genere al mondo dei motori, anche in senso non sportivo) sono i vari rodaggio, rodare, scaldare il motore. Notevole il recente tecnicismo muletto 'vettura di riserva' (1981 in GraDIt), ormai assai diffuso anche tra i non esperti e addirittura usato anche metaforicamente in altri ambiti ('sostituto'). La carica gergale del termine (ribadita sia dal diminutivo, sia dall'evidente riferimento traslato alla civiltà rurale) non gli ha impedito una rapida fortuna, a conferma delle enormi possibilità divulgative del mezzo televisivo e a dispetto dello scarso prestigio di cui, apparentemente, un termine così popolare avrebbe dovuto godere, di fronte a più appetibili concorrenti angloamericani.
Qualche parola, infine, su altri sport finora trascurati. "Per quel che riguarda la scherma, alcuni tecnicismi sono vecchi di secoli e desunti dai primi illustri trattatisti italiani dei secoli 15° e 16° [...]: parata di tasto, parata di mezza contro, risposta di cavazione, controcavazione, intrecciata, inquartata, imbroccata" (Bascetta 1985, p. 343). Tra i pochi forestierismi, il francese flèche 'frecciata'. Fendente, puntata, sciabolata e stoccata sono i principali prestiti della scherma alla lingua comune e ad altri sport (per es. nel calcio, con il significato di 'forte e rapido tiro in porta'), oltre ai più occasionali e giornalistici colpo di fioretto, in punta di fioretto e simili. Anche la terminologia italiana della lotta ha origine assai antica, stando al quattrocentesco trattato anonimo trascritto e analizzato da Bascetta (Il primo manuale italiano di lotta. Testo anonimo del sec. XV, in Bascetta 1985, pp. 263-312). Tra i principali tecnicismi: cintura, cravatta e manichetto o manichino (detto anche in francese manchette) 'tipi di colpo o di presa'; ponte 'posizione di parata'. Un notevole contingente di tecnicismi italiani si ritrova anche nell'alpinismo: arroccarsi, canalone, cencia, cornice, cresta, croda, incrodarsi, pioda, scalinare, seracchi, vedretta.
Nel nuoto e nella pallanuoto sono decaduti molti forestierismi rispetto al periodo iniziale delle discipline e anche rispetto al testo del regolamento: handicap 'gare a vantaggi' (passato dall'ippica ad altri sport); handicapper 'chi fissa i vantaggi'; over arm stroke 'sistema di nuoto'; planche 'nuotata sul dorso'; scratches 'gare in linea'; water-polo 'pallanuoto'. È tuttora utilizzato almeno crawl 'stile di nuoto'. Tra i tecnicismi italiani si ricorda colombella 'nella pallanuoto e nella pallacanestro, tiro a parabola', detto anche, nella pallanuoto, palombella. Sforbiciata (o forbiciata), tuffo e tuffarsi sono termini che il nuoto ha prestato ad altri sport (per es. al calcio). Anche il desueto francesismo plongeon 'tuffo' passò dal nuoto al calcio e godette, nei primi decenni del Novecento, di una certa fortuna.
Il termine pallaovale proposto per rugby non ha attecchito, anche se, di contro, molti tecnicismi anglofrancesi del rugby sono ormai del tutto sostituiti da termini italiani: bar 'traversa'; bladder 'camera d'aria del pallone'; croc en jambe 'sgambetto'; goal 'meta'; mêlée 'mischia'; touche 'rimessa laterale'. Comune è drop 'calcio di rimbalzo'. Al calcio, il rugby ha prestato: calcio piazzato, meta, mischia, placcaggio, trequarti.
"Malgrado la scarsa popolarità, o proprio per questo, in alcuni sport come la 'pesistica' c'è stata una surrogazione quasi completa dei forestierismi: impugnatura ha prevalso definitivamente su crochetage, distensione a due braccia su développée à deux, sollevamento pesi su weight lifting, strappo a due braccia su arrachée à deux bras" (Bascetta 1962, p. 43). Tra gli altri tecnicismi italiani si ricordino almeno alzata e slancio.
Nell'ippica, tra alcune coppie di termini straniero e italiano si registra il privilegio accordato oggi al secondo membro: barrage/spareggio; betting/scommessa; bookmaker/allibratore; driver/guidatore; jockey/fantino; trotter/trottatore. In altri casi è evidente l'uso esclusivo del forestierismo: derby (il più importante prestito dell'ippica al calcio e, attraverso quest'ultimo, alla lingua comune; altri prestiti ippici: brocco, caracollare, criterium, handicap, omnium). Complessivamente, come è tipico degli sport seguiti più dalle classi abbienti che da quelle mediobasse, la presenza di forestierismi è comunque ancora molto elevata: photo finish 'arrivo con fotografia', anche parzialmente adattato in fotofinish e prestato ad altri sport; steeple-chase 'galoppo con ostacoli' e molti altri, tra i quali anche alcuni francesismi: dressage 'esecuzione di particolari esercizi'; pesage 'recinto del peso'.
L'ingresso in Italia di alcune discipline orientali ha portato con sé anche qualche esotismo (soprattutto dal Giappone, dalla Corea e dalla Cina), oscillante nella grafia e nella pronuncia: aikido, judo, jujutsu (o jujitsu), karate, kendo, kungfu, sumo, taekwondo. Tra le altre lingue, ricordiamo il norvegese slalom e qualche (per lo più anglo- o franco-) latinismo: bona fide, bonus, criterium, ex aequo, iuniores e seniores, omnium. A proposito della coppia iuniores/seniores, converrà precisare che nel lessico sportivo non è antonimica, giacché il primo termine individua una categoria di giocatori in base all'età, mentre il secondo in base al punteggio. Ripreso dall'antico greco è pentathlon, dal cui modello derivano i moderni decathlon, eptathlon e triatlhon.
Alcuni forestierismi, benché meno comuni degli equivalenti italiani, sono infine usati in quasi tutti gli sport: coach o trainer 'allenatore' (e, gergalmente e quasi limitatamente al calcio, anche mister, che usato in forma assoluta è pseudoanglicismo); training 'allenamento'; débâcle 'sconfitta'; match 'partita' o 'incontro' (nato nel pugilato); meeting 'raduno, manifestazione'; outsider 'fuoriclasse' (nato nell'ippica); partner 'compagno di gara'; performance 'prestazione'. Per lo più privi di equivalenti italiani sono doping (un tempo reso con bomba o drogaggio, oggi disusati), antidoping e sprint (talora, secondo i casi, reso con scatto, spunto, volata).
Ma, facendo un conteggio degli oltre 760 lemmi raccolti nel glossario di Bascetta (1962, pp. 213-78), soltanto un terzo dei termini non registrati come estinti (e vengono considerati tali un centinaio di forestierismi non adattati) è costituito da parole straniere (nella maggior parte dei casi inglesi): oltre 400 lemmi sono dunque italiani, o quantomeno adattati, come dribblare e dribblaggio, rispetto a dribbling. Dunque, benché ricco, il contingente dei forestierismi sportivi non è certo superiore rispetto a quello di altri lessici settoriali.
La forbice tra italiano e altre lingue si allarga ulteriormente nei circa 1060 termini raccolti da Medici (1965), che non annovera i termini desueti e che elenca soltanto 133 forestierismi. Pur tenendo presente la recente inversione di tendenza, con la rimonta di alcuni anglicismi precedentemente soppiantati dagli equivalenti italiani (oltre al già ricordato basket, cross, doping, sprint, supporter, volley e tanti altri, per es. nel tennis, introdotti per lo più da commenti televisivi stranieri o da giornalisti esteromani quando non snob), l'accresciuta confidenza degli italiani con le lingue straniere (peraltro più di superficie che di sostanza; si vedano comunque gli slogan e le denominazioni delle varie tifoserie, che volentieri ricorrono all'inglese, come componente di prestigio secondo moduli attivi nel linguaggio giovanile: Juve is magic, Genoa for ever, Roma go; Fighters, Warriors; Boys; Eagles, Vikings ecc.), associata al crescente prestigio sociale dell'angloamericano, e l'internazionalità e mediaticità di vecchi e nuovi sport (che comporta anche tecnicismi di nuovo conio, naturalmente mantenuti nella forma inglese: pressing, Champions League, Golden Gala ecc.), sembra dunque che si debba ridimensionare la catastrofica previsione della deriva dell'italiano anche per colpa dei lessici sportivi.
Il calcio domina incontrastato, ormai da decenni, non soltanto nelle pagine sportive dei quotidiani, nelle rubriche sportive televisive e negli interessi e nei discorsi dei tifosi, ma anche negli studi sulla lingua dello sport, che potrebbero tranquillamente essere definiti come "studi sulla lingua del giornalismo calcistico, con minimi riferimenti ad altri sport". Etichetta che si attaglia, inevitabilmente, anche al presente capitolo.
L'interesse per la lingua del calcio è antico: già nel 1939 Giacomo Devoto le dedicava un breve ma densissimo articolo in Lingua nostra (poi confluito in Devoto 1972) e, fin da allora, lo studioso sgombrava il campo da purismi e moralismi che mal s'addicono al linguista. La lingua calcistica, nella sua plurima natura di sottocodice, lingua giornalistica e specchio delle tendenze della lingua comune e della cultura di massa, viene brillantemente definita da Devoto (1972, p. 169) come "lingua tecnica popolare epica".
Il termine stesso calcio stentò a prendere piede. Lo sport, entrato in Italia dall'Inghilterra alla fine dell'Ottocento (ma non si dimentichi l'antichissimo calcio fiorentino, con tutt'altre regole, ben documentato con trattati e illustrazioni cinque-secenteschi), si chiamò dapprima foot-ball (con vari adattamenti grafico-fonetici), poi palla al calcio (attestato nel 1910, secondo Devoto) e infine calcio e, più familiarmente, pallone (da non confondere tuttavia con l'antico gioco italiano del pallone). "Anche il nome non italiano di alcune squadre di calcio (Genoa, Milan) deriva dalla denominazione inglese delle prime squadre sorte in Italia: Genoa Cricket and Football Club 1893, Milan Cricket and Football Club 1899" (Bascetta 1962, p. 12), il che sembra spiegare, con qualche eccezione e molte estensioni analogiche, anche il genere maschile di alcuni club, come il Torino, rispetto al più tardo genere femminile di associazioni o unioni sportive italiane, come la Juventus. L'originario foot-ball (successivamente per lo più univerbizzato senza trattino) restò tuttavia in vita, anche a livello popolare, fino a qualche decennio fa, anche se ormai il suo uso è limitato a una disciplina diversa dal calcio nostrano (in inglese preferibilmente detto soccer): il football americano (simile al rugby). E diede vita anche a qualche derivato: foot-ballistico, footballer e futballista (con e senza trattino, più o meno adattati graficamente), solo successivamente soppiantati da calcistico, calciatore e giocatore, mentre "non attecchirono mai calciatorio e calcista (quantunque segnalato, quest'ultimo, da Panzini, nel 1935, accanto a futballista)" (Marri 1985, p. 190).
Il numero di anglicismi nel calcio italiano delle origini era decisamente superiore a quello attuale: back 'terzino'; bye 'uscita del pallone dalla linea di fondo; forward 'attaccante'; foul 'fallo'; free-kick 'calcio di punizione'; goal-area 'area della porta'; goal-keeper 'portiere'; goal-kick 'calcio di rinvio'; hacking 'tipo di fallo'; half-back (o half) 'mediano', ma originariamente tradotto con mezzo-dietro o centro-secondo; handling 'fallo di mano'; hands 'mani', per indicare il 'fallo di mano'; heading 'gioco di testa'; holding 'tenere l'avversario'; off-side (poi offside) 'fuori gioco'; shot 'tiro violento, cannonata'; team 'squadra'; trainer 'allenatore'. Successivamente molti forestierismi cadono o rimangono come possibili sinonimi dei tecnicismi italiani: corner/(calcio d') angolo, cross/traversone, dribbling/palleggio/destreggio (più comune il primo; dal significato più specifico, oggi disusato il terzo), penalty/(calcio di) rigore/tiro dagli (o degli) undici metri. Tra le prime traduzioni stabili si ricordano area di rigore (penalty-area), calcio di rigore e rigore (da penalty-kick), calcio d'angolo (corner-kick). A proposito di drib(b)lare, Marri (1985, p. 197) ricorda che passò l'esame di Panzini ("voce barbara, ma si usa anche a Firenze, e tanto basta"). I sostituti proposti dall'Accademia d'Italia (scartare, scavalcare, schivare) non attecchirono se non episodicamente. Se Caretti (1973) annoverava soltanto goal e stop tra gli anglicismi sopravvissuti alla radicale italianizzazione del calcio, oltre a quelli appena elencati come sinonimi e agli altri comuni a tutti gli sport, negli ultimi decenni si dovrà registrare qualche recupero e qualche nuova entrata: almeno assist (ceduto dal baseball ad altri sport della palla), Champions League, cross, forcing (dal pugilato), pressing (1980 in GraDIt), stopper, tackle, tunnel, turnover. Le lingue straniere hanno comunque, nel calcio, un peso inferiore rispetto ad altre discipline. Di goal (retrodatato al 1900 da Marri, mentre GraDIt, pur aggiornato rispetto al Grande dizionario della lingua italiana, non risale oltre il 1903), ben presto adattato in gol (oggi maggioritario), si fornì dapprima la traduzione di porta (anche nell'accezione di 'punto') e poi quella di rete, tuttora comune, ancorché minoritaria rispetto a gol, in tutti gli usi. Insostituito stop.
Lo statuto del calcio quale sport di massa e, soprattutto, mediatico ne rende la lingua ad altissima circolazione presso ampie fasce di utenza e ne favorisce il continuo scambio tra canali (scritto, parlato e trasmesso), tra codici (lingue diverse, in qualche caso anche dialetti e gerghi), sottocodici (osmosi tra varie lingue settoriali: uso di tecnicismi calcistici nell'economia e viceversa, per es.) e registri (uso di fraseologia burocratica o letteraria nelle cronache calcistiche e, di contro, uso di tecnicismi calcistici per impreziosire o rendere più brillante l'eloquio), consentendo anche una ricca penetrazione di fraseologia settoriale, di forestierismi e di neologismi nella lingua comune. Interessante l'attestazione, talora precoce, di qualche iberismo (caso raro, nel panorama settoriale italiano dominato dall'inglese), quale filtrador, goleada, goleador, matador, ola, picador, anche in seguito alla grande presenza di giocatori latinoamericani nelle squadre italiane.
Molto robusta è la penetrazione di metafore calcistiche nella lingua giornalistica (soprattutto politica) e nella lingua comune: autogol; di serie A o B; dribblare; in zona Cesarini; palleggiarsi le responsabilità; prendere in contropiede; rilanciare la palla; salvarsi in angolo o in corner; uno a zero, palla al centro. A conferma della folta trasmigrazione di 'calcismi' nella lingua della politica è sufficiente il nome Forza Italia del partito di Silvio Berlusconi e lo slogan del suo fondatore: scendere in campo.
Il fenomeno delle metafore sportive nella lingua di tutti i giorni riguarda non solo il calcio, ma, in misura minore, anche altri sport, quali soprattutto il ciclismo (essere il fanalino di coda o la maglia nera; fare il gregario; scatenare la bagarre; seguire a ruota; seminare gli avversari; tirare la volata) e il pugilato (abbassare la guardia; colpire o lavorare d'anticipo; colpo basso; gettare la spugna; mettere alle corde; mettere fuori combattimento o al tappeto o ko). Più avanti ci occuperemo invece dell'uso metaforico di termini che da altri ambiti semantici passano a quello sportivo.
Sempre per via della popolarità del calcio, sopravvivono tuttora alcuni regionalismi, talora ironicamente esibiti dalla stampa, designanti tipi di tiro e modi di tirare: callalessa, caracca, caraccare, lesca, saraga, sgarganella, sleppa, suatta, susta, svirgola (che è anche del pugilato) e svirgolare. E ancora: bidone 'pessimo atleta', bidonare, bidonata, catenacciaro 'chi esegue la tecnica difensiva calcistica detta catenaccio'. Senza contare le coloritissime espressioni più o meno dialettali e gergali, di solito occasionali, delle varie tifoserie e altre, più recenti, creazioni giornalistiche.
A contrassegno ulteriore della sua estesa circolazione, la lingua del calcio è tra le più strutturate anche in base ai registri, e tra le più ricche di sinonimi. Oltre ai numerosi tecnicismi specifici, il lessico calcistico dispone infatti anche di alcuni che potremmo definire, rifacendoci alla classificazione di Luca Serianni (1989, p. 103), "tecnicismi collaterali, cioè di particolari espressioni stereotipiche, non necessarie, a rigore, alle esigenze della denotatività scientifica, ma preferite per la loro connotazione tecnica", pseudotecnica o burocratica: concludere, conclusione, concretizzare, convertire, costruire (il gioco, un'azione), firmare, siglare, realizzare, trasformare (tutti con valore prossimo a quello di 'fare un'azione, tirare in porta, segnare'); e ancora effettuare, piazzamento, piazzare e tanti altri, impiegati anche in altri sport.
Ma non si sottovaluti il versante opposto a quello della popolarità e della frequenza d'uso: la cripticità di alcune risorse espressive, quali le sigle e i numeri, per es. per indicare determinati schemi di gioco: 4-4-2; 5-4-1; WW e WM. L'uso di acronimi accomuna, sebbene in misura minore, la lingua sportiva agli altri sottocodici specialistici: CT = commissario tecnico; GP = gran premio; KO = knock out. Anche il nome di alcune squadre è in realtà un acronimo, benché ormai poco trasparente (SPAL, Società polisportiva ars et labor).
Non si può parlare di lingua del calcio senza accennare al citatissimo (talora esageratamente incensato) Gianni Brera ‒ giornalista scrittore dalla feconda vena autoironica, espressionistica e onomaturgica ‒ e alle sue principali creazioni, dal già menzionato melina, alla serie abatino, abatinesco, abatinico. "Demiurgo del mondo calcistico, dimidiato tra sapienza tecnica e passione [...] a un pasticcio di contenuti (autorità federali, arbitrali, societarie; giocatori; pubblico protagonista e spettatore; interessi di pecunia; caso)" Brera fa corrispondere "un pasticcio espressivo" (Stella 1973, p. 149). Ed ecco che il gergo e il dialetto entrano pesantemente nella lingua settoriale: bamba, barbino, becero, brocchetto, ciccate, ciolla, ciuco, frillo, gnagnera, gnocco, lavativo, locco, margniffone, micco, nanerottolo, omarino, pestoni (ma vi si trovano anche dialettalismi puri: Goeuba, paìs); il tutto commisto con riferimenti letterari e poetici. Le più trite metafore belliche vengono talora disinnescate in senso ironico: "bunker di vecchio sornione", "patria pedatoria" (ibid., pp. 150-51). "Brera è in realtà uno dei pochissimi irradiatori di lingua, ovviamente anche oltre i confini della stampa" (Lonardi 1986, p. 217), come mostrano alcuni termini rimasti a lungo in uso: assetto geometrico, automatismo degli scambi, filtrador, forcing, libero, palla-gol, pretattica, mezzapunta, punta, rifinitore, venezianeggiare, verticalizzare. Tra gli ultimi neologismi coniati da Brera spiccano prestipedatore ('prestigiatore dei piedi, giocatore abile nel dribbling') e zonagro ('sostenitore del gioco a zona').
Ma non si dimentichino, nell'uso di metafore e similitudini ardite, i precursori di Brera, primo tra tutti Bruno Roghi, cui si debbono, tra l'altro: "il crescendo rossiniano di una squadra che va all'attacco [...]; il terzino si aggirava nell'area di rigore come un leone in cerca della preda; l'ala destra superava l'avversario con la stessa naturalezza con cui uno sposo infila l'anello nuziale nel dito della sposa; il centravanti saltava in alto per colpire di testa come se fosse una guglia protesa verso il cielo. [...] La folla ammutolì come se l'avesse colpita la punta d'un fioretto" (Nascimbeni 1992, p. 108). Roghi fu anche il primo a designare i giocatori in base al colore della maglia. A Carlo Bergoglio (sotto lo pseudonimo di Carlin) spetta invece la paternità delle metafore zoomorfiche, sempre per designare le squadre: la zebra (Juventus), il grifone (Genoa), il toro (Torino), il galletto (Bari), la lupa (Roma), il ciuccio (Napoli) ecc.
Dopo Brera, il giornalismo sportivo ha oscillato tra due poli: quello vicino all'esempio breriano, sebbene "più sensibile alle implicazioni sociopolitiche e alle ambiguità dello sport di massa", perseguito da Oliviero Beha, e quello di una lingua scarna, antiepica e antitecnica, vicina a una prosa di grado zero, perseguito da Sergio Valentini. Recentemente, come si vedrà più avanti, la linea breriana ha avuto una sorta di (deteriorato) rifiorimento.
Come tutte le lingue speciali, quella sportiva mostra, fin dall'inizio del secolo 20°, una certa disinvoltura nella formazione di composti e derivati. Per i derivati, molto produttivi sono i suffissi in -ismo e in -ista, a designare, rispettivamente, discipline e atleti: alpinismo/ista, attrezzista, bobbista, canoismo/ista, cestismo/ista, giavellottista, grecoromanista, pallanuotista, pesista, velocista. Anche per le singole specialità di una disciplina: centrocampista, discesista, dorsista, fiorettista, mezzofondista, ostacolista, passista, ranista, rigorista, singolista, stradista. Non mancano nomi di discipline in -istica: attrezzistica, pesistica, tuffistica.
Tra i numerosi composti, alcuni di precoce attestazione, si ricordino almeno: autodromo, autosciatoria, autoslitta, ciclopalla, ciclopattino, cronotappa, mezzofondo, motocross, motosciatoria, motoslitta, motodromo, motovelodromo, pallovale, oltre ai comunissimi centravanti (un tempo detto preferibilmente centrattacco), centrocampo, fuoriclasse, fuorigioco, mezzala, pallanuoto, pallacanestro, pallavolo e agli altrettanto comuni composti con prefissoidi: autogol, interbase, microtappa. Notevole la serie dei composti aggettivali che si riferiscono ai colori sociali: biancoazzurri, biancocelesti, bianconeri, biancoscudati, blucerchiati, giallorossi, neroazzurri, rossoneri ecc., con qualche polisemia: rossoblù può indicare tanto i bolognesi quanto i genoani. "Alcuni composti rievocano mediante il trattino l'accostamento occasionale" (Bascetta 1962, p. 105). Taluni combinano termini italiani a forestierismi (per es. palla-gol, nel calcio, e alcuni tecnicismi del baseball: palla-foul, sprizzata-foul, terreno-foul); altri giustappongono due sostantivi italiani, il secondo dei quali funge da determinante del primo: squadra-guida, uomo-chiave, uomo-cronometro, uomo-gol, uomo-cardine. L'ordine inverso, più raro (calciomercato), risente di solito dell'influenza di composti inglesi.
La tendenza all'iperbole e all'abuso di elativi caratterizza tutti gli sport, arricchendo la serie di neologismi composti con il primo elemento super: supercampione, supercoppa, superportiere. Numerosi anche gli altri superlativi: classicissima, finalissima, (s)marcatissimo. Anche di sostantivi: campionissimo, partitissima, portierissimo, sorpresissima, salitissima, volatissima. E in genere, indipendentemente dalla morfologia, l'iperbole è ricercata dalla lingua sportiva, soprattutto mediante l'aggettivazione enfatica (acrobatico, clamoroso, coriaceo, edificante, elettrizzante, estremo, favoloso, fenomenale, folgorante, formidabile, guizzante, implacabile, incalzante, ineluttabile, inesorabile, irresistibile, micidiale, pazzesco, prodigioso, rocambolesco, sensazionale, sfolgorante, sovrumano, spettacolare, superlativo, spumeggiante, trascendentale), coinvolta spesso in collocazioni e in formule care ai giornalisti: un incidente in una gara di Formula 1 sarà quasi sempre detto spettacolare, parallelamente ad analoghe cristallizzazioni della cronaca nera e politica (efferato delitto, tragedia della follia, pesante bilancio...).
Particolarmente produttiva risulta la serie dei participi passati femminili sostantivati (centrata, girata, rovesciata, che si salda con il gruppo di traslati denominali in -ata: staffilata, legnata, cannonata) e la serie dei deverbali a suffisso zero (allungo, classifica, squalifica).
"Più rare a priori le innovazioni morfo-sintattiche": si segnala, "nel terreno cedevole delle preposizioni l'uso estensivo e generico, mero indicatore, di per, specie in connessione con sintassi nominale: in 'fallo per il giocatore x', x l'ha commesso" (Mengaldo 1994, p. 47). Un'analoga estensione dell'area funzionale delle preposizioni (tendenza generale delle lingue contemporanee, né esclusiva dell'italiano né tantomeno dello sport) colpisce in: andare in gol, azione in linea, costringere in corner, salvarsi in angolo; e su: allenarsi sulla palla, aprire su qualcuno, giocare su qualcuno, parare sui piedi di, la partita viaggia sullo 0 a 0, uscire su qualcuno. Segno dell'avvicinamento del giornalismo sportivo all'agile modello parlato della telecronaca è l'uso frequente di verbi assoluti e la soppressione del complemento oggetto: allarga, allunga, colpisce di piatto, crossa, manda alto, rilancia, rovescia fuori, smista, sottintendendo sempre la palla, e ancora batte, controlla, realizza, segna, sfonda, trasforma. E anche segno della disinvolta condivisione delle conoscenze tra cronisti e lettori, che permette di sorvolare su eccessive precisazioni: "la presenza di un contesto situazionale comune, oltre che di ampie conoscenze enciclopediche comuni, permette una grande economia verbale" (Cortelazzo 1988, p. 252). Polifunzionale è il verbo calcistico bloccare, che ha due costruzioni, transitiva (un giocatore blocca un altro) e assoluta (riferito al portiere, come sinonimo di parare).
L'uso ‒ oggi abituale nel giornalismo non soltanto sportivo ‒ del presente storico e dell'imperfetto, adatti a rendere l'immediatezza della descrizione, non trova riscontro nelle cronache sportive dei primi decenni del Novecento, in cui prevaleva il passato remoto. Bisognerà attendere gli anni Trenta per lo sviluppo di questi stilemi, così pure della sintassi nominale e della tematizzazione.
Le principali caratteristiche sintattiche della lingua sportiva sembrano coincidere con quelle della lingua giornalistica e sono state indagate soprattutto da W. Schweickard (1986 e 1987): grande peso della sintassi nominale (nella titolazione giornalistica: "Codice Milan 'Rivoluzione'" [La Gazzetta dello Sport, 23 ottobre 2002, p. 11]; "Da Sinisa la prima freccia / meglio Bati di Montella" [la Repubblica, 24 ottobre 2002, Roma, p. XV]; "Milan qualificato, Juve sconfitta in Inghilterra" [Corriere della Sera, 24 ottobre 2002, p. 1]); tendenza alla tematizzazione (sempre nei titoli: "Coppa America / Luna Rossa vola e trionfa nel derby con Mascalzone" e "Inter, che grinta" [La Gazzetta dello Sport, 23 ottobre 2002, p. 1); tendenza alla paratassi a scapito dell'ipotassi, uso dello stile telegrafico e abbondanza di strutture presentative (tipiche della descrizione di un evento).
Gli ultimi tre fenomeni sono i più interessanti, poiché sembrano determinati dalle esigenze pragmatiche e testuali delle radio- e telecronache, con quel procedere per aggiunzioni (che tendono talora a mimare la velocità e la consequenzialità dell'evento descritto) e con la tipica commistione di parlato in progress e di formularità settoriale, dove tuttavia l'aggettivazione rigogliosa "riequilibra il telegrafismo" della cronaca (Beccaria 1992, p. 207): "magnifica azione di Franco Baresi, smistamento sulla sinistra, Evani in profondità, cross lungo, assist di Jordan per Battistini, sinistro secco, diagonale, gol incomparabile" (esempio di telecronaca riportato da Schweickard 1987, p. 42). è evidente, dunque, la differenza stilistica tra commento giornalistico e cronaca sportiva, confermata tra l'altro anche dall'influenza della seconda sul primo in brani come il seguente: "Totti alto, Montella a giostrare, Cassano eroe di Coppa, largo sulla sinistra, ma alto anche lui, senza la capacità di ripiegare di un Delvecchio. Dopo il primo assaggio di manovra giallorossa, scambio Totti-Candela al 3′, Cassano libero sulla sinistra tiene basso ma il suo passaggio viene intercettato [...]" (la Repubblica, 6 ottobre 2002, p. 38). La ritualizzazione di molte formule e l'esagerazione colpiscono sia la cronaca orale sia il commento scritto.
Altre caratteristiche che accomunano la lingua specifica dello sport a quella composita dei giornali sono l'enorme peso del discorso diretto nei titoli ("Ma Batistuta ci crede / Sfortunato anche ieri sera, reagisce: "Mi sbloccherò. E abbiamo tutto per battere l'Aek"" [La Gazzetta dello Sport, 23 ottobre 2002, p. 5]; "Il capitano e l'escluso / Zanetti: "Secondo gol, che distrazione" / Cannavaro: "Sarò fresco per il Bologna"" [La Gazzetta dello Sport, 23 ottobre 2002, p. 3]), non sempre contrassegnato dalle virgolette ("Milan, assalto al Bayern / Galliani: ecco i nostri segreti" [La Gazzetta dello Sport, 23 ottobre 2002, p. 1]), talora sconfinante nell'indiretto libero ("Vialli, non solo soldi e gloria / che stress anche in Inghilterra" [la Repubblica, 23 ottobre 2002, p. 53]) e complicato da ricostruire e da attribuire.
Anche sotto il rispetto della tipologia testuale, la lingua degli articoli sportivi e delle radio- e telecronache sembra condividere gran parte dei fenomeni osservati nella lingua dei giornali: spiccata tendenza all'intertestualità e alla contaminazione tra ambiti semantici e registri diversi. Dal prevalente monolinguismo di carattere letterario, che contraddistingueva il giornalismo sportivo di alcuni decenni fa, si è giunti al sempre più frequente travaso tra scritto e parlato, tra livelli diafasici alti e bassi e talora anche tra lingua e dialetto: non sono infrequenti, oggi (da Brera in poi), dialettalismi quali panchinaro, zuccata e altri citati più avanti. Anche la mescolanza tra lingua dello sport e altri ambiti lessicali e fraseologici settoriali è sempre più comune, tanto da rendere normale, per es., un riferimento ai "bassi livelli di produttività di una squadra di calcio" (Dardano 1994, p. 363). Non pare dunque impropria la classificazione degli articoli sportivi come "testi misti": "la mescidanza di diversi campi di conoscenze e dei loro modelli di azione consegue al progresso sociale e tecnico-scientifico: in una cronaca sportiva s'inseriscono nozioni di medicina; nella descrizione di un incidente stradale ricorrono riferimenti alla meccanica e alla legislazione vigente; nella relazione di un esperimento scientifico appaiono note d'intrattenimento. Al tempo stesso i confini tra narrazione e saggistica diventano sempre più labili. Accade inevitabilmente che i vocabolari propri di questi domini si mescolino tra loro nello stesso testo e che si sviluppino facilmente traslati e metafore. Tutto ciò facilita quell'escursione tra i diversi livelli linguistici, che appare correlata alla rivalutazione del contesto. Ma accade anche che i vocabolari si mescolino tra loro indipendentemente dal comporsi di diversi campi semantici: nella cronaca economica entra la chimica e l'elettronica, nella cronaca sportiva l'economia; infine la politica si allea con lo sport [...]. Il linguaggio sportivo è un settore in cui la mescolanza di forme linguistiche è costantemente attuata; si riprendono immagini, usi linguistici, spunti dall'attualità rifondendoli in nuovi contesti e adattandoli al clima particolare della cronaca agonistica". è quello che succede in esempi come il seguente, tratto dal Corriere dello Sport durante il periodo elettorale del 1993: "la Samp, che si propone al ballottaggio per il titolo d'inverno, si è sfaldata cadendo nella trappola del derby [...]. Hanno avuto ragione quelli dell'exit poll che hanno puntato sul pareggio" (pp. 363-64). Tuttavia "la mescolanza di tipi testuali diversi non cancella, ovviamente, l'identità dei singoli testi: una cronaca sportiva rimane tale anche se in essa si parla a lungo di dietologia e di neurofisiologia" (Dardano-Giovanardi-Pelo-Trifone 1992, p. 324).
Se usuale è la migrazione di termini dallo sport ad altre discipline, e viceversa, massima è quella da sport a sport, come s'è già esemplificato con i casi di melina, tuffo ecc. Frequentissima, come in ogni altro testo prodotto dai media, la citazione, letterale o deformata, di titoli di canzoni, di film (soprattutto), di libri, di melodrammi, di slogan, di frasi celebri o di qualsiasi altra formula più o meno cristallizzata. Carla Bazzanella (1993) ha proposto per questo fenomeno, usuale per lo più nella titolazione giornalistica e negli spot pubblicitari, la felice etichetta di "ripetizione polifonica", sottolineandone così l'amplissimo spettro tipologico e testuale. Qualche recente esempio sportivo: "Il piccolo Buddha gentile del pallone" (la Repubblica, 9 maggio 2002, p. 49, che richiama il film di Bertolucci, Piccolo Buddha); "Per il nuovo Milan Paradiso è già ora di passare il turno" (Corriere della Sera, 23 ottobre 2002, p. 44, che riecheggia il film di Tornatore, Nuovo cinema Paradiso); "Vullo, l'addio può attendere" (La Gazzetta dello Sport, 23 ottobre 2002, p. 22, che ricorda il film di Beatty e Henry, Il paradiso può attendere); "Materazzi, la classe operaia va in gol" (la Repubblica, 28 ottobre 2002, p. 25, che parafrasa il film di Petri, La classe operaia va in paradiso). Nel caso di riuso parafrasato, o alterato parafonicamente o semanticamente, di un'espressione più o meno celebre (e spesso nata nelle pagine dei giornali o in televisione), si potrebbe parlare anche di "irradiazione deformata", secondo la definizione di Serianni (1995, p. 9).
Tutti quelli che si sono occupati di lingua sportiva hanno osservato l'elevato (spesso eccessivo, con toni involontariamente grotteschi) grado di letterarietà, di "edonismo espressivo", quando non di trita retorica, delle cronache giornalistiche: "lo sportivo è linguaggio che, proprio per non avere alle spalle una lunga tradizione, si rivela tra quelli settoriali il più disinvolto, anche nello sfruttare al massimo le tendenze e le possibilità della lingua" (Beccaria 1992, p. 206). L'alto tasso di tecnicismi è contraddetto da quei "barocchismi scomparsi da tempo dalla lingua letteraria" (Bascetta 1962, p. 114), un po' per l'inevitabile "visione mitica" e "ipertrofica [...] della competizione" (Dardano 1981, p. 246), che determina spesso la passiva assunzione di formule e tendenze elative del "genere oratorio di stampo epico-guerresco" (Beccaria 1992, p. 208), un po' per quelle "attese d'autore frustrate" proprie di tanta paraletteratura e quindi di tanto giornalismo (Alfieri 1994, p. 217). Quasi nessuno riesce a sottrarsi all'esagerazione, anche tra quanti presumono di parlare in tono "sommesso": "Altobelli illuminato da un grande Rummenigge replica a Giordano [...]. A questo punto ‒ a nostro sommesso parere ‒ l'Inter avrebbe dovuto insistere e non lo ha fatto ma è anche giusto riconoscere che la Lazio serrando i ranghi, sacrificando non soltanto Manfredonia in un oscuro ma prezioso lavoro di centrocampo ma perfino Laudrup sinceramente da vivo elogio per il suo prodigarsi in aiuto alla retroguardia, la Lazio dicevamo rimetteva in linea di equilibrio l'andamento del gioco e nella ripresa si permetteva persino un pressing di un buon quarto d'ora allo scopo di mettere l'avversario in costante allarme" (La Gazzetta dello Sport, 1° ottobre 1984, p. 9). Quasi tutti i giornalisti sportivi, insomma, "tendono pericolosamente ad un abuso di voce, a innalzare il tono, e dimostrano tutto sommato la incapacità della espressione di partecipare di una individuata realtà" (Bascetta 1962, p. 116).
Nella stampa sportiva dell'ultimo ventennio del 19° secolo (tra le prime testate: La Ginnastica, 1866; L'Eco dello Sport, 1881; Il Ginnasta, 1888; Lo Sport illustrato, 1883; Bollettino della Federazione Ginnastica Nazionale, 1889; La Cronaca sportiva, 1891; Gazzetta dello Sport, 1894), "si prediligevano i discorsi, le cerimonie solenni, le sfilate; vi si esaltava l'umanitarismo e la solidarietà internazionale", in altre parole, prevaleva sull'uso del tecnicismo e della cronaca referenziale dell'evento sportivo un tono di retorica moralistico-paternalistica e populistico-patriottica (Bascetta 1962, p. 22). Già compaiono quegli stereotipi stilistico-retorici che accompagneranno la lingua del giornalismo sportivo fino a oggi, come mostrano alcuni brani: "la nervosa e pronta complessione del meridionale, quelle asciutte membra rinvigorite da un sole quasi africano sembrano più acconciamente prestarsi alla nobile fatica del maneggiare la spada. La velocità diventa un baleno e l'occhio indovina, la mano corre, vola, e l'insieme di quei movimenti forma un tutto terribile ed artistico" (L'Eco dello Sport, 11 giugno 1881, citato da Bascetta 1962, p. 23). "Nel corso degli anni comincia [...] a subentrare al patriottismo deamicisiano l'estetismo dannunziano, poi lo sforzo epicizzante, infine l'inneggiamento alla folla, agli atleti, al dittatore [...] sino a giungere alla creazione di un nuovo stile" (p. 24). è dunque a partire dalla stampa sportiva fascista che, non nasceranno, bensì acquisteranno volume tutte quelle metafore belliche che continuano a caratterizzare gran parte della lingua dello sport, anche se l'abuso dell'iperbole, la ricercata eroicizzazione epica degli atleti e l'esibito binomio supremazia militare=supremazia nello sport non sono certo innovazioni fasciste : "il clamore della folla è come il fragore d'un uragano sull'oceano in tempesta. L'enorme massa scura è scattata in piedi, fremente, frenetica, marezzante come una distesa di grano sotto l'impeto del vento... un'ovazione scoppia come la bordata di una corazzata" (Il Littoriale, 11 giugno 1934, citato da Bascetta 1962, p. 24).
Tra le principali metafore belliche ancora in uso, ascrivibili anch'esse al generale fenomeno dell'iperbole, si ricordano: assediare, attacco/difesa, cannonata, cannoniere, capitano, carica, caricare, combattimento, contrattacco, copertura, espugnare, gregario, imboscata, invasione di campo, offensiva, plotone, prevalenza territoriale, retroguardia, retrovie, scontro, serrare i ranghi, tattica, trincea. Nessuno meglio di Mengaldo (1994, p. 50) ha sintetizzato l'innocuità di tali metafore, per lo più catacresi: "non sottovaluto né i pericoli del razzismo strisciante negli articoli del defunto Brera, e meno ancora quelli derivanti dal cortocircuito fra certo linguaggio sportivo e le tendenze delinquenziali di una parte della gioventù che frequenta gli stadi. Ma tutto sommato penso che il pericolo non venga dalle equiparazioni giornalistiche incontro sportivo=battaglia, guerra, che si sgonfiano da sé, ma dall'eccessivo consumo passivo di sport degli italiani, graditissimo al Potere, dall'ampia quota di disoccupati presenti fra i pubblici sportivi, dal carattere obiettivamente eccitante di quasi tutti gli sport ecc.".
Numerosi altri ambiti semantici sono battuti per la formazione di metafore in tutti gli sport, dalla geometria (area, diagonale, quadrato, quadrilatero, rettangolo [di gioco], sfera, triangolazione, verticalizzare) allo spettacolo (bis e bissare, comparsa, coreografia, entrare in scena e scomparire dalla scena, esordiente, interprete, mattatore, rentrée, regista, stella, stagione), dalla musica (duettare, mordente, orchestrazione) alla tecnica e alla meccanica (a tutto gas, cambio di marcia, carburare, collaudo e collaudare, ingranare, premere l'acceleratore, rodare e rodaggio, rullo compressore). Come si vede, quasi soltanto quelle belliche e quelle geometriche si sono lessicalizzate, mentre le altre fanno parte del vademecum retorico giornalistico.
A differenza delle metafore, le metonimie contribuiscono invece ad abbassare il tono della lingua sportiva e ne indicano solitamente un disinvolto rapporto con gli utenti: ecco dunque che presto da goal e rete intesi come luogo ('porta') si passa al significato di 'punto' e anche all'uso come esclamazione; gli arbitri diventano i fischietti e i colori delle maglie designano la squadra. Vale lo stesso per le ellissi: la [prova] eliminatoria, la [gara] finale, la [gara] amichevole, i [campionati] mondiali, la seconda [giornata] del campionato, gli ottavi (o i quarti o i sedicesimi) [di finale], lo [stadio] Olimpico, maschile o femminile (sottinteso incontro) ecc.
Altre tecniche retoriche, oltre alla metafora, avvicinano i toni del giornalismo e del tifo sportivi a quelli dell'epica, come l'abuso di epiteti. L'aspetto 'empatico' del ciclismo, cui si è alluso precedentemente, fa sì che molte espressioni caratteristiche della stampa sportiva su due ruote consistano in epiteti elativi e iperbolici: campionissimo (originariamente coniato per Girardengo), eterno secondo (Bruneri), ciclone (Piemontesi), supercampione (Coppi), intramontabile (Bartali). Caratteristiche queste, comunque, tipiche di tutto il giornalismo sportivo (per il calcio si ricordino almeno l'ottavo re di Roma Falcão e il fenomeno Ronaldo) e in comune con altri ambiti espressivi, quali per es. la lingua della pubblicità.
A volte, negli sport più popolari, all'epiteto è preferito il soprannome (e non sempre è possibile creare un confine tra i due: si ricordino gli storici farfallino, gatto magico, testina d'oro, motorino, il diavolo rosso, oltre ai recentissimi aeroplanino, Pinturicchio e er pupone ‒ o il gladiatore ‒, rispettivamente i calciatori Montella, Del Piero e Totti) o l'ipocoristico: il calciatore della Nazionale italiana Salvatore Schillaci veniva affettuosamente chiamato da tutti Totò. Abbastanza insolita, rispetto alla tradizione, è la possibilità di ricavare l'ipocoristico non soltanto dal nome ma anche dal cognome: il corridore di formula uno Michael Schumacher è familiarmente Schumi; Bati o Batigol è il calciatore Batistuta; Trap l'allenatore Trapattoni. Il nomignolo, o il semplice nome o cognome, talora si estende addirittura agli altri membri della famiglia del giocatore (come accadeva per la fidanzata del calciatore brasiliano Ronaldo, chiamata dai giornalisti Ronaldinha), a conferma del costante esorbitare, tipicamente mediatico, dal piano sportivo a quello extrasportivo. Nel caso dell'automobilismo, l'epiteto può riguardare anche il marchio: la rossa o il cavallino rampante (la Ferrari). Nel calcio, viene abbreviato il nome di alcune squadre: Juve, Samp.
L'onomastica viene talora sfruttata anche a scopo puramente referenziale, senza intento enfatico o empatico: è il caso dell'espressione antonomastica zona Cesarini, nel calcio, databile tra la fine del 1931 e il 1932. Altre antonomasie, passate anche nella lingua comune, sono invece chiaramente enfatiche, come Girardengo ('ciclista dalla notevole resistenza'); Nuvolari ('chi ha una guida spericolata'); Pelè ('atleta fenomenale ed elegante'); Ribot ('fuoriclasse') e simili.
Concludiamo il nostro campionario retorico con la sinonimia, evidente soprattutto nei nomi di squadra, sia per evitare ripetizioni sia per innalzare, ancora una volta, il registro. Si prediligono talora gli etnici più letterari, per designare i giocatori; per es., in ordine sparso: labronici (giocatori del Livorno); felsinei o petroniani (Bologna); partenopei (Napoli); geminiani (Modena); patavini, antenorei, euganei o liviani (Padova); scaligeri (Verona); estensi (Spal di Ferrara); orobici (Atalanta di Bergamo); dorici (Ancona, ex Anconitana); matuziani (Sanremese); virgiliani (Mantova); aretusei (Siracusa); capitolini o lupi (Roma); lagunari (Venezia); etnei (Catania); lariani (Como e Lecco); berici (Vicenza).
Dei composti designanti i colori della maglia s'è già detto. Si aggiungano qui alcuni aggettivi che rimandano sempre ai colori o ai fregi sociali: alabardati (Triestina); canarini (Modena), gigliati o viola (Fiorentina); zebre o zebrati (Juventus); blucerchiati (Sampdoria). Come si vede, alcuni aggettivi sostantivati rimandano al mitico fondatore della città o alla sua storia antica, e alla mitologia, all'epica e alla storia si rifanno anche altri sostantivi sportivi, quali per es. alfiere 'capolista', centauro 'motociclista', fromboliere 'cannoniere'; e ancora si possono citare podio, spalto, stadio, tribuna, tedoforo, oltre che i riferimenti all'epica cavalleresca di scudetto, scuderia, scudiero.
Sempre per designare (nel modo meno referenziale possibile) i giocatori di una squadra, si usano anche i numerali: il sette di... seguito dalla città, dal nome della squadra, dall'allenatore ecc. (pallanuoto); l'otto (canottaggio); l'undici (calcio); il quindici (rugby). Altre volte i numerali hanno valori diversi, come nel descrittivo tiro dagli (o degli) undici metri 'rigore' o nel metaforico sette 'angolo tra palo e traversa': "spedire la sfera nel sette della porta" (Beccaria 1992, p. 205). Oppure nell'indicazione ellittica del minuto di gioco: "gli azzurri [...] al 33′ sono stati costretti a capitolare" (La Gazzetta dello Sport, 1° ottobre 1984, p. 9).
Tra i fenomeni sociali e di costume che più hanno influenzato la lingua dello sport degli ultimi due decenni del 20° secolo vanno ricordati almeno la sempre più numerosa presenza delle donne, quali utenti del lessico soprattutto calcistico, e la nascita di alcune trasmissioni televisive.
Nati alla radio negli anni Ottanta, approdati in televisione negli anni Novanta (Mai dire gol), il gruppo di tre comici (Carlo Taranto, Marco Santin e Giorgio Gherarducci) noto col nome di Gialappa's band ha contribuito notevolmente al rinnovamento (o all'impoverimento, secondo i punti di vista) del linguaggio delle cronache calcistiche, ora banalizzando, ora esasperando la linea parodico-espressionistica inaugurata da Brera. Turpiloquio, dialettalismi, popolarismi, gergalismi, giochi di parole, rumori, ogni materiale, linguistico e no, trova spazio nei funambolici pastiches del gruppo. Dal debutto della Gialappa's (e di altre trasmissioni televisive, come Quelli che il calcio…, tra le più seguite dal pubblico) si è sviluppato, dunque, un nuovo modo di parlare pubblicamente di sport, parallelo a quello tradizionale, mantenuto vivo, per es., in trasmissioni come La domenica sportiva.
Un ruolo fondamentale in questa nuova corrente spetta alle donne, sempre più volentieri esibite, in televisione, quali conduttrici o coadiutrici di rubriche sportive. Il parlare di sport diventa dunque, in questo filone, talora un mero pretesto di intrattenimento, e anche la lingua usata si fa meno tecnica, benché spesso più espressiva. Al posto dei giornalisti sportivi e degli esperti la partita di calcio è commentata da intellettuali o, preferibilmente, da uomini e donne di spettacolo. Questa non è un'assoluta novità, per lo sport italiano, se ricordiamo che già Il processo alla tappa, condotto da Zavoli a partire dal 1963, vedeva come protagonisti, accanto ai ciclisti, personaggi quali Pasolini, Bevilacqua, Berto, Campanile, Buzzati. è cambiato però lo stile, ormai preferibilmente basato sull'umorismo, sulla parodia, spesso sul nonsense.
Ma se i lazzi da trivio della scuola Gialappa's contribuirono, all'inizio, allo svecchiamento di una lingua paludata, stereotipata e spesso ingenuamente autocompiaciuta, la ripetizione incontrollata delle stesse formule tende fatalmente a ricristallizzare la cronaca calcistica in una nuova immobilità stilistica, come mostra, tra le tante, la seguente serie di esempi tratta dal commento alla partita Italia-Iugoslavia, trasmessa su Rai Radio Due il 12 ottobre 2002: "ha tirato al cesso il corner"; "hanno ciccato la palla in due"; "è il primo gol che cucchiamo"; "buttano la palla nel cesso"; "veramente è un fallo da bastardo"; "mi sa che c'è una punizia"; "un gol di culo per l'Italia"; "Del Piero è così: smarogna fino a che non segna e poi si galvanizza"; "attenzione: c'è scazzo duro"; "è un ciulone"; "vaffanculeggia l'arbitro"; "cornerillo per l'Italia"; "l'arbitro fischia boh una roba che non so cosa sia"; "sbanana il lancio"; "c'è scazzo tra Cannavaro e Miloševic". Il gusto della battuta prende il sopravvento sull'informazione e sulla descrizione dell'evento, indispensabili in una radiocronaca, messe a repentaglio anche da una dizione approssimativa, spesso regionale, a tratti quasi inintelligibile, altro segno distintivo rispetto ai fini dicitori radiofonici delle passate generazioni.
E il fenomeno, benché in misura ridotta, sembra essere condiviso anche dalla stampa e da altri sport, come mostrano i seguenti esempi (che prelevo da Lauta 2002): Il Corriere della Sera: "Paura? Ma vaaaa" (2 settembre 1995, p. 22); "Inutile rischiare la ghirba in pista se poi nel garage si combinano papocchi" (17 luglio 1995, p. 96); "Aaaaaaaaargh... La telecamera affonda Berger e gli squarcia la sospensione nel più incredibile e assurdo degli autogol" (11 settembre 1995, p. 10); "Per un pelo non finisce a ombrellate sulla capoccia" (17 luglio 1995, p. 26); "Tremat, le rosse son turnat" (27 agosto 1995, p. 27).
Anche qui l'espressionismo, la commistione di generi, di stili e di codici di stampo breriano ‒ con le sue continue aperture al grottesco e spesso anche con la fine deenfatizzazione nelle stesse metafore belliche studiatamente esasperate fino ad ottenere l'effetto contrario ("Brutto risveglio. Improvvisamente sepolti sotto distacchi monstre, gli eroi della Ferrari si presentano in catene sotto la tenda rossa di Bagdad, martellata senza sosta dal fuoco dei caccia nemici": 2 luglio 1995, p. 26) ‒ spalancano le porte ai popolarismi, ai dialettalismi, al linguaggio dei fumetti, spesso a detrimento della referenzialità attesa da una cronaca.
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di Antonio Ghirelli
Il fenomeno della stampa sportiva così come si è venuto sviluppando in Italia intorno alle metà del 20° secolo non ha l'eguale in tutto il mondo industrializzato, neppure nei paesi di più antica cultura e tradizione agonistica. Non sono mai esistiti altrove, com'è accaduto da noi tra il 1945 e il 1977, quattro quotidiani dedicati completamente ad argomenti sportivi: due fogli maggiori, Gazzetta dello Sport a Milano e Corriere dello Sport a Roma, distribuiti in tutta la penisola, e altre due testate, Tuttosport a Torino e Stadio a Bologna, con distribuzione limitata a particolari zone di diffusione. In un paese come il nostro, che non va famoso per il consumo dei giornali, la stampa sportiva ha finito per vantare mediamente un sesto sul totale di lettori, che da trent'anni oscilla tra i 6 e i 5,5 milioni di acquirenti giornalieri.
Questo particolare settore ha toccato il tetto della diffusione negli anni Ottanta, anche in virtù della spinta ricevuta nell'estate del 1982 dal terzo successo riportato dalla Nazionale di calcio, dopo le vittorie del 1934 e del 1938, nel Campionato del Mondo. Il 12 luglio, all'indomani della partita decisiva di Madrid vinta per 3-1 sulla Germania Ovest, il Corriere dello Sport, di cui è direttore Giorgio Tosatti, stabilisce il record assoluto di vendite con 1.695.966 copie, quasi 300.000 in più del suo concorrente diretto, la Gazzetta dello Sport, che normalmente vanta una diffusione maggiore e che in effetti, negli anni immediatamente successivi, con direttore Gino Palumbo, supererà addirittura il Corriere della Sera e la Repubblica. Il primato storico della Gazzetta si attesta su 1.486.110 di copie vendute il 28 maggio 1989, in occasione della conquista della Coppa dei Campioni da parte del Milan, nella finalissima con lo Steaua di Bucarest.
Il successo incontrato dai giornali sportivi e dalle rubriche specialistiche all'interno dei grandi quotidiani di informazione nel giro di poco più di un cinquantennio ha certamente dell'incredibile, tanto più che all'inizio del Novecento le premesse ambientali sembravano tutt'altro che incoraggianti per una serie di ragioni storiche: una sorta di antica diffidenza cattolica per la dimensione della fisicità e per il nudo; i profondi squilibri di reddito tra le classi sociali e tra le aree geografiche della penisola; il soffocante grigiore degli arredi, dell'abbigliamento, degli ambienti e della stessa moralità del mondo borghese nella società di fine Ottocento. Era circoscritta, allora, a pochi gruppi privilegiati per nascita o per censo una ridotta pratica di talune discipline tradizionali: scherma o equitazione, tiro a segno o vela, pallacorda o caccia, cui peraltro gran parte del ceto colto guardava con diffidenza o disprezzo, prigioniero di un anacronistico complesso di superiorità rispetto a ogni esibizione muscolare.
Se qualcosa è andato lentamente cambiando, alle soglie del 20° secolo, è accaduto in parte in conseguenza dell'unificazione nazionale, in parte in rapporto al pur faticoso sviluppo del capitalismo italiano: due fattori che, naturalmente, hanno intensificato i contatti con gli altri paesi e la circolazione delle idee. Viaggiatori, marinai e commercianti stranieri, specialmente inglesi e svizzeri, hanno contribuito così a divulgare il gusto dello svago in palestra o all'aria aperta, il piacere del gioco e della competizione. Alla fine è accaduto che perfino tra gli intellettuali, in particolare pedagoghi o politici di formazione classica, abbia preso piede la passione per gli esercizi ginnici, ispirando scrittori famosi come Edmondo De Amicis e consigliando a Francesco De Sanctis di introdurne, nel 1878 come ministro della Pubblica Istruzione, l'insegnamento obbligatorio nella scuola.
Del resto, proprio dalla proliferazione delle società di ginnastica, in genere fregiate di severi nomi latini, ha origine la prima struttura delle nostre federazioni sportive, in un'atmosfera assai simile a quella che in Francia, nello stesso periodo e per le stesse suggestioni umanistiche, suggerisce al barone Pierre de Coubertin la riesumazione dei Giochi Olimpici (1894), una trovata destinata a straordinaria fortuna nel secolo successivo. Un altro impulso all'affermazione dello sport, a un livello però più popolare, arriva dal favore di massa che arride al prototipo della bicicletta, il velocipede, particolarmente nei paesi pianeggianti del Centro-Nord. Il nuovo veicolo suscita l'entusiasmo di uno scrittore romagnolo, Alfredo Oriani, e conquista i primi lettori con una rivista specializzata che esce a Torino già nel 1883, in anticipo di qualche anno sulla fondazione di una federazione sportiva, l'Unione velocipedistica italiana, che manterrà per decenni, fino ai giorni nostri, il suo nome vetusto e romantico. Sette anni dopo, i milanesi trovano in edicola un settimanale tutto riservato alle due ruote, il Corriere dello Sport, fondato da un cronista del Corriere della Sera, Antonio Giulio Bianchi, che poco dopo organizzerà addirittura un Giro d'Italia, ma questa volta in automobile, su un percorso lungo 1800 km.
Il periodico in questione, naturalmente, non ha nulla a che vedere con il quotidiano dello stesso nome che sarà tenuto a battesimo a Bologna nel primo dopoguerra per essere trasferito successivamente a Roma. Ha il merito, invece, di spingere il Secolo, giornale allora in concorrenza con il Corriere della Sera, a prendere una risoluta iniziativa in campo sportivo, fondando d'accordo con l'editore Sonzogno prima Il Ciclista, poi un giornale a diffusione nazionale: la Gazzetta dello Sport. I due giornalisti che lavorano al progetto sono Eliseo Rivera, un avvocato alessandrino da tempo residente a Milano, e un altro giovane piemontese Eugenio Emilio Costamagna, che lo raggiunge senza essersi ancora laureato ma con grandi e non infondate ambizioni. Il primo numero della Gazzetta esce il 3 aprile 1896: si tratta inizialmente di un bisettimanale, stampato su carta verde-chiaro che, due anni dopo, si arricchisce di un terzo numero e adotta quella carta rosa che nel tempo diventa un simbolo, una definizione per antonomasia: la 'rosea'. Si trasforma in quotidiano nel 1913, quando si è già affermata come il foglio sportivo più autorevole e al tempo stesso più popolare: un traguardo cui è arrivata anche grazie a una formidabile trovata pubblicitaria, l'organizzazione del Giro d'Italia ciclistico, ideato sul modello del Tour de France e avviato a conquistare il consenso di immense folle in ogni angolo della penisola, mosse dalla suggestione leggendaria che circonda le fatiche strenue dei corridori costretti a misurarsi sulle strade polverose e sulle impervie salite dell'epoca. Sono leggende alimentate da redattori e inviati di accesa fantasia e robusto mestiere come Tullio Morgagni, Luigi Barzini jr. e Antonio Scarfoglio, uno dei figli del fondatore del Mattino di Napoli.
Nel quindicennio che precede lo scoppio della Prima guerra mondiale, il fenomeno della stampa sportiva dilaga a macchia d'olio dal Nord al Centro, in particolare a Roma e più a Sud, soprattutto a Napoli e Palermo. Quanto a Torino, città ricca di ingegni e di iniziative editoriali, alla fioritura di riviste e periodici si aggiunge l'invenzione del Guerin Sportivo, settimanale "di critica e di umorismo" che conoscerà in seguito una serie di trasferimenti da una città all'altra ma avrà, in cambio, una lunghissima vita. Dopo la guerra del Piave, la scuola torinese confermerà la sua vocazione rivelando al grande pubblico critici e cronisti di qualità come il piemontese Carlo Bergoglio, detto Carlin (caricaturista e pittore di vaglia, oltre che scrittore di manzoniana chiarezza), il romagnolo Giuseppe Ambrosini e il salernitano Renato Casalbore.
Un tentativo originale, anche se estemporaneo e di breve respiro, è varato a Milano nel 1905 ancora dall'editore Sonzogno che affida ad Edgardo Longoni la direzione del quotidiano sportivo Gli sport, il primo in senso cronologico pubblicato in Italia. Pur realizzando un'autentica rivoluzione grafica nella struttura del giornale, Longoni non riesce a prolungarne l'esistenza oltre il 1907, per orientarsi poi verso un tipo di giornalismo più impegnato e colto. Hanno invece fortuna, nello stesso periodo, tutta una serie di pubblicazioni, alcune di puro intrattenimento, altre di stretto contrappunto tecnico, e una nuova, più vivace versione dello Sport Illustrato che Tullio Morgagni arricchisce di un'elegante veste grafica, avvalendosi di uno stuolo di brillanti collaboratori. Tra questi spicca Emilio Colombo, che farà una straordinaria carriera come commosso, torrenziale cantore delle gesta di ciclisti e di calciatori.
La guerra, dopo aver imposto un silenzio quasi totale alla stampa come alla stessa attività sportiva, introduce nel grande discorso della società moderna un nuovo protagonista: le masse dei lavoratori, di operai e contadini, uomini e donne, con i loro nuovi bisogni e ideali maturati nell'inferno delle trincee o nella mobilitazione sul fronte interno. È una pressione irresistibile che coinvolge abitudini, convenzioni, regole di una cultura ormai consunta, anche se l'incomprensione delle sinistre per gli entusiasmi e i sacrifici degli ex combattenti faciliterà le resistenze del vecchio mondo, propiziando l'avvento di un regime autoritario come il fascismo.
Benito Mussolini, inventore e astuto pilota del regime, è anche un grande comunicatore e, dopo l'esperienza di militante socialista, appare particolarmente sensibile alle esigenze della società di massa, sia pure in un'ottica rovesciata rispetto alle premesse del passato. Il suo interesse primario è diretto ad assicurarsi il controllo totale sulla stampa, e poi sulla radio e sul cinema, i 'mass media' più importanti dell'era pretelevisiva, per servirsene come veicolo di propaganda e strumento di censura contro gli oppositori. Nella sua concezione della civiltà di massa comprende anche lo sport, che considera scuola di coraggio e di disciplina, palestra di preparazione al combattimento, mezzo di esaltazione dei colori nazionali e della (presunta) razza italica.
Liquidata già nello stesso 1925 l'autonomia del Comitato olimpico nazionale e delle federazioni con l'insediamento dei gerarchi in posizione dominante, il Duce addomestica anche il giornalismo sportivo costringendolo a conformarsi all'enfasi retorica tipica di una cultura che discende in linea diretta dal futurismo e dal dannunzianesimo: un'operazione meditata che, del resto, trova l'ambiente più che disponibile perché l'allegria del ritrovato appuntamento sportivo rappresenta un'ideale reazione alle angosciose esperienze della guerra appena conclusa, senza considerare che già per suo conto la stampa specializzata si è schierata in prima linea a sostegno dello sforzo bellico del paese. Nel dopoguerra questa trova numerose occasioni per manifestare il proprio entusiasmo: si è appena asciugato l'inchiostro delle firme in calce al molto contestato Trattato di Versailles (28 giugno 1919) che campionato di calcio e Giro d'Italia ricominciano a ritmi intensi e poco dopo, nel 1920, il ritorno dell'Olimpiade di Anversa rivela il livello tutt'altro che disprezzabile dello sport italiano, con l'inattesa conquista di dieci medaglie d'oro. Dal Belgio arriva infatti l'annuncio di una strepitosa stagione che, nel periodo tra le due guerre, registrerà nel calcio la conquista di due Coppe del Mondo e di un alloro olimpico, coglierà successi in serie nelle Olimpiadi di Amsterdam, Los Angeles e Berlino, celebrerà le 'imprese' di insuperabili corridori come Costante Girardengo e Ottavio Bottecchia, Alfredo Binda e Leardo Guerra o di piloti come Tazio Nuvolari e Achille Varzi. Le stesse crociere transatlantiche di Italo Balbo si svolgono in un clima di esaltazione che riempie di gelosia Mussolini ma che suscita l'ammirazione di tutto il mondo.
Nell'immediato dopoguerra, dunque, la stampa sportiva registra una rapida ripresa, cominciando dalla Gazzetta dello Sport e dal Guerin Sportivo, mentre una significativa novità giunge da Firenze dove ben due quotidiani varano un inserto tutto sportivo che esce una volta alla settimana. Il regime non tarda a mettere le mani sul giornale più importante, includendo nel consiglio di amministrazione della 'rosea' un certo numero di gerarchi scelti da Arnaldo Mussolini, il fratello del Duce, e sostituendo al vertice Emilio Colombo e Cesare Fanti con Lando Ferretti, già capo ufficio stampa del PNF (Partito nazionale fascista) che sarà designato anche presidente del CONI (Comitato olimpico nazionale italiano). La creazione nel 1929 di un girone unico nazionale per il campionato di calcio completa il disegno di Mussolini, che due anni prima ha affidato a Leandro Arpinati, vulcanico 'ras' del fascismo bolognese, il compito di ribattezzare il Corriere dello Sport come Littoriale, un nome-simbolo della fascistizzazione dello sport. Proprio in quell'anno, in coincidenza con la nomina di Arpinati a sottosegretario all'Interno, il Littoriale viene trasferito a Roma, dove però il gerarca emiliano non rimane a lungo per una clamorosa rottura con Achille Starace, uomo di fiducia del Duce nella segreteria del Partito. Il giornale invece resterà la voce degli sportivi centro-meridionali anche quando, dopo il crollo del regime, riprenderà prudentemente il vecchio nome.
Salvo una breve pausa tra il 1931 e il 1934, in coincidenza con la riforma totalitaria dell'organizzazione sportiva, la fioritura di protagonisti o di compagini in tutte le discipline olimpiche o professionistiche favorisce una vera e propria esplosione di quotidiani e periodici che ne cantano le gesta rinunciando, in ossequio alle direttive del Minculpop, a quel festival di termini esotici (specialmente inglesi) di cui abbondavano i resoconti nel periodo eroico dei pionieri. Si affermano in particolare due settimanali: uno milanese, Il Calcio Illustrato, diretto da Leone Boccali e votato a un'analisi critica delle competizioni calcistiche, con l'arricchimento di una 'disegnata' di Silva, che coglie i dettagli del momento decisivo della gara; l'altro romano, Il Tifone, diretto da Ennio Viero e scatenato in esilarante concorrenza con il Guerin. Del resto, la rivalità sportiva tra le due grandi città impronterà di sé anche la seconda metà del secolo, perché corrisponde a un sentimento popolare, che è anche il 'sale' del tifo calcistico, pur se versato talora in dosi eccessive.
A questo punto, la stampa specializzata e le rubriche sportive dei grandi quotidiani di informazione sono arrivate a un rilevante grado di maturità, nonostante gli eccessi di nazionalismo e l'enfasi verbale imposta dal fascismo. Accanto al semplice cronista, competente ma disadorno e spesso sprovveduto, si impone una schiera di eccellenti giornalisti come Emilio De Martino, Felice Scandone, i già citati Colombo, Viero e Boccali, ma anche finissimi scrittori come Orio Vergani, geniale critico del Corriere della Sera spesso prestato al ciclismo, e Bruno Roghi, un veronese laureato in giurisprudenza e diplomato al conservatorio, ricco di fantasia e di una sottile vena ironica: due maestri. Lo stesso commissario tecnico della Nazionale di calcio, Vittorio Pozzo, scrive per la Stampa cronache asciutte e acute, con uno schietto patriottismo da vecchio alpino.
La guerra fascista e la conseguente, duplice occupazione straniera non producono gli stessi effetti della Prima guerra mondiale sulle attività e le cronache dello sport almeno fino alla lacerante divisione del nostro territorio. Lo stesso campionato di calcio viene regolarmente disputato fino alla primavera inoltrata del 1943, anche se poi si frantuma e si dissolve fino alla stagione 1945-46, quando la grande squadra del Torino, già vittorioso due anni prima, torna a dominare un torneo inizialmente diviso per la drammatica carenza di trasporti tra Alta Italia e Centro-Sud. Il Torino afferma la sua superiorità fino alla tragedia di Superga, l'incidente aereo in cui perdono la vita tutti i giocatori, nel maggio del 1949. In tutto questo periodo i giornali escono in modo discontinuo e sono distribuiti soltanto nelle aree più vicine. Ma la differenza fondamentale con la guerra del Piave riguarda il coinvolgimento diretto del territorio e della popolazione civile nelle operazioni belliche e nei bombardamenti aerei, un complesso di dolorose esperienze che determina nella grande maggioranza degli italiani, soprattutto tra i più giovani, l'attesa spasmodica di una vita normale, intessuta di allegria e di speranze, dalla quale scaturirà non solo il famoso baby boom, un'impetuosa ondata di nascite, ma anche un grande entusiasmo per la ripresa delle competizioni agonistiche, dalle più popolari come il calcio e il ciclismo, a quelle che torneranno a diventarlo: pugilato, automobilismo, tennis, pallacanestro, sport invernali e acquatici.
A parte la travolgente conferma del Torino, il rientro in campo internazionale dell'Italia avviene tra il 1945 e il 1948. L'11 novembre 1945, appena sette mesi dopo la liberazione del Nord, la federazione svizzera di calcio invita gli azzurri a giocare a Zurigo una partita amichevole che si conclude festosamente con un diluvio di gol: 4-4, due dei quali segnati da Silvio Piola, grande protagonista nei primi anni Quaranta, suggellano simbolicamente il perpetuarsi di una tradizione. Tre anni dopo, gli organizzatori dell'Olimpiade di Londra rifiutano l'iscrizione di tedeschi e giapponesi ma ammettono la nostra delegazione consentendo agli atleti italiani di cogliere una discreta affermazione con nove medaglie d'oro, tra cui brillano quelle del discobolo Adolfo Consolini e del 'Settebello' di pallanuoto. Ma ciò che più conta è il riconoscimento che in entrambi i casi viene tributato alla Resistenza. L'esemplare realizzazione dei Giochi di Roma, nel 1960, confermerà il definitivo e qualificato ritorno degli italiani nella grande famiglia dello sport mondiale.
La stampa specializzata beneficia naturalmente dell'impetuosa ripresa registrata tra la fine della guerra e l'inizio delle manifestazioni per il centenario dell'Unità italiana, ma nei primi dieci anni di democrazia repubblicana le novità non sono molte e, semmai, riguardano lo spazio e l'attenzione sempre maggiori che i quotidiani di informazione dedicano ormai alle competizioni agonistiche interne e internazionali. Lo stile è più sobrio ma l'impaginazione, la titolazione, la stessa impostazione dei servizi sportivi rimangono legati a vecchi modelli e alla sola cronaca tecnica degli avvenimenti con una monotonia che del resto è comune anche alla stampa politica. Il solo settore che, subito dopo la Liberazione, offre novità salienti è quello dei quotidiani del pomeriggio: l'iniziativa parte prima da Milano, dove la lotta partigiana e la battaglia politica contro il fascismo hanno mobilitato grandi energie anche tra i giornalisti e gli intellettuali; e subito dopo da Roma, dove il referendum per la scelta della forma istituzionale, monarchia o repubblica (2 giugno 1946), e la successiva esclusione delle sinistre dall'area di governo hanno infiammato il dibattito, mobilitando la piazza. I giornali del pomeriggio se ne fanno interpreti anche in altre città, utilizzando schemi, strutture e linguaggio molto più agili e incisivi degli stereotipi cari ai colleghi del mattino.
Per la stampa sportiva, oltre alla necessità di adottare moduli moderni e spigliati, più adatti al pubblico giovane su cui essa può contare in prevalenza, si impone anche l'esigenza di giustificare la sua presenza tutti i giorni della settimana, ma l'innovazione più rilevante chiama in causa la sostanza stessa della critica sportiva, sulla quale non può non riflettersi la spinta culturale che proviene dal ritorno della democrazia e quindi dal rilancio di un vivace scambio di informazioni e idee. Si sviluppano, in tal modo, due filoni di ricerca: uno formale, relativo cioè all'immagine esteriore del quotidiano sportivo o della rubrica specializzata in seno al giornale di informazione; l'altro contenutistico, in rapporto agli argomenti da affrontare, specialmente nei giorni della settimana diversi dal lunedì, nonché all'intervento del giornalista.
Comincia Tuttosport, il giornale fondato a Torino inizialmente come trisettimanale subito dopo la Liberazione da Casalbore e 'Carlin' Bergoglio, che destina il numero del mercoledì a un'edizione speciale, tutta dedicata a una pagina di commenti e di caricature dello stesso Carlin; quando nel 1959, morti Casalbore e Carlin, nella direzione subentra Antonio Ghirelli, è lui a trasferire nel giornale la lezione appresa a Milano sera, alla Repubblica d'Italia e a Paese sera, anche per offrire al lettore una formula alternativa all'insostituibile contributo dei due direttori defunti. A Roma, una pagina analoga a quella che Carlin ha scritto per quindici anni viene curata invece, caricature escluse, sulle colonne del Giornale d'Italia da Maurizio Barendson, scrittore di grande eleganza ed equilibrio critico. Più a Sud, a Napoli, sostiene le sue prime prove come responsabile della rubrica sportiva del Mattino e direttore del settimanale Sport Sud, Gino Palumbo, che passerà nei primi anni Sessanta al Corriere della Sera e nel 1976 alla direzione della Gazzetta dello Sport, imponendosi come uno straordinario gestore di risorse tecniche e di talenti, forse il più grande organizzatore che la stampa sportiva (e non solo) abbia annoverato nel secondo dopoguerra. Allo stesso filone appartiene il responsabile della rubrica sportiva della Nazione di Firenze, Giordano Goggioli, che il lunedì cura un numero inverosimile di pagine locali, moltiplicando la diffusione del quotidiano nella regione con cronache accurate e grandi titoli riservati anche ai campionati minori.
I due scrittori napoletani, Barendson e Palumbo, si studiano di allargare l'indagine del quotidiano al di là del mero fatto tecnico e della pura cronaca, per far rivivere l'evento sportivo nel suo rapporto con l'ambiente, nell'umanità dei suoi protagonisti, nei retroscena dello spettacolo. L'operazione è perfezionata per un verso sotto l'aspetto stilistico e censurata per altro riguardo da Gianni Brera, scrittore robusto e sanguigno dell'Oltrepò pavese, spesso e non a torto accostato a Carlo Emilio Gadda per l'ardita operazione tentata nel trasferire modi e verbi dialettali in un impasto linguistico di singolare efficacia. Brera, che vanta anche una profonda conoscenza di altre specialità come l'atletica leggera e il pugilato, respinge la proposta della cosiddetta scuola napoletana vedendo in essa come un ripiegamento sentimentale inteso a celare una radicale ignoranza del dato tecnico e tattico. Sull'orientamento polemico di Brera pesa un pregiudizio antimeridionale al quale corrisponde, del resto, la teorizzazione di un'inferiorità genetica dell'atleta italiano che, applicata al calcio, gli suggerisce l'esaltazione del 'catenaccio', cioè di una tattica difensiva basata sul contropiede, che lascia all'avversario l'iniziativa e il relativo rischio di scoprire la propria difesa.
Già direttore nel 1950 della Gazzetta, poi responsabile della rubrica calcio nel Giorno e più tardi in Repubblica, Brera conduce la sua battaglia anche dalle colonne del Guerin Sportivo, conquistando grandi consensi tanto tra i lettori delle più lontane province quanto tra gli addetti ai lavori. La polemica tattica si prolunga per qualche decennio anche se, naturalmente, vi si mescolano altri argomenti di fondo, come la graduale metamorfosi del calcio, di altri sport e poi addirittura dell'Olimpiade in una grande impresa di spettacolo, in conseguenza della fortuna e crescente diffusione della televisione, ma anche del rilancio dell'utilizzazione ai fini politici e propagandistici dello sport da parte di regimi totalitari o dei paesi di nuova indipendenza.
Almeno in Italia un passaggio essenziale è quello che cade pressappoco negli ultimi anni Cinquanta, tra le prime trasmissioni su scala nazionale della Rai-TV e la celebrazione in Roma nel 1960 dei Giochi, che saranno considerati come l'ultima edizione 'a misura d'uomo' delle Olimpiadi, secondo uno slogan di moda ma comunque giustificato dalla sobrietà e amabilità con cui il Comitato italiano le organizza, ambientandole nella suggestiva cornice naturale della città e distribuendole tra i nuovi, elegantissimi impianti realizzati dall'ingegnere Pier Luigi Nervi.
Nasce la televisione pubblica, ma la radio continua a svolgere una funzione preziosa per popolarizzare competizioni e campioni, grazie alle cronache calcistiche di Niccolò Carosio, pioniere in questo campo con Giuseppe Sabelli Fioretti, a quelle ciclistiche di Mario Ferretti e al celebre 'processo alla tappa' di Sergio Zavoli. Memorabile sarà più tardi il contributo professionale e culturale di Beppe Viola. Quando cominciano le trasmissioni in TV, spetta a un arguto giornalista romano, Sergio Valentini, lanciare la prima rubrica di commento al campionato, le cui trasmissioni (ascoltatissimo, via radio, Tutto il calcio minuto per minuto) rivelano altri eccellenti cronisti come Nando Martellini e poi Bruno Pizzul, Enrico Ameri e Sandro Ciotti, mentre Barendson adatta al piccolo schermo il gusto e la competenza che hanno reso insuperabile la pagina del lunedì sul Giornale d'Italia.
Sempre alla fine degli anni Cinquanta, un'iniziativa a sorpresa arriva dal presidente del CONI, avvocato Giulio Onesti, che coglie i segnali di una pesante crisi finanziaria tra i club di calcio e, denunciando le responsabilità dei 'ricchi scemi' e cioè dei presidenti di società, insedia in federazione come commissario straordinario uno dei suoi più autorevoli collaboratori, Bruno Zauli, intorno al quale si raccolgono i 'giovani Turchi', un gruppo di dirigenti riformisti come Umberto Agnelli, Giuseppe Pasquale, Artemio Franchi e Alberto Rognoni che prima degli altri hanno avvertito la necessità di una radicale revisione anche giuridica dello status da conferire ai club come società anonime, sia pure (al momento) senza fini di lucro. Uno sviluppo analogo vive ovviamente la stampa specializzata che va assumendo ormai dimensioni rispettabili anche nelle rubriche sportive dei quotidiani d'informazione, con uno spazio non trascurabile dedicato pure ai cosiddetti sport minori, anche se per diversi anni ancora incontrerà serie difficoltà finanziarie per la scarsa considerazione in cui viene tenuto dalle agenzie distributrici della pubblicità. Il quotidiano romano, il Corriere dello Sport, a ridosso degli anni Settanta cerca di superare questo ostacolo varando una pagina settimanale, Forza ragazzi, dedicata ai problemi di studio, di lavoro e di relazione dei giovani nel Centro-Sud che è la sua maggiore area di diffusione. Il tentativo riscuote successo ma, per consolidarsi e attirare l'interesse dei pubblicitari, la pagina avrebbe bisogno di un'uscita quotidiana, mentre l'editore non intende rischiare a occhi chiusi un forte investimento di capitali.
Proprio la carenza di risorse finanziarie in parallelo con la lievitazione delle spese di gestione e distribuzione, finisce per determinare anche in questo settore un processo di concentrazione che tra il 1977 e il 1998 porta prima lo Stadio, il quotidiano bolognese, e poi Tuttosport a confluire nel gruppo editoriale Amodei. Lo stesso gruppo nel 1965 aveva acquistato da Edilio Rusconi l'intero pacchetto azionario del Corriere dello Sport, più la nuova tipografia e la nuova sede in piazza Indipendenza, dopo il fallimento dell'operazione tentata dall'imprenditore milanese abbinando il giornale sportivo a Telesera in appoggio al governo Tambroni. La Gazzetta dello Sport non procede ad alcuna fusione ma, dopo varie peripezie, a partire dal 16 giugno 1976 entra a far parte dell'azienda del Corriere della Sera, al tempo di proprietà Rizzoli e più tardi incorporata nella RCS editori settore quotidiani, di cui è magna pars un ex braccio destro degli Agnelli alla FIAT, Cesare Romiti. Questa sistemazione dei due gruppi ne favorisce un sensibile potenziamento, confortati come sono ora da un orientamento assai meno diffidente delle fonti pubblicitarie.
La terza generazione di giornalisti del dopoguerra deve misurarsi insomma con una società che sta passando dalla fase neocapitalista a quella postindustriale, ha più fretta di informarsi secondo i tempi dettati dalla televisione e punta sullo scoop e sul gossip, due termini non a caso americani che caratterizzano gran parte della stampa nella società affluente. Di conseguenza, tende ad attenuarsi il risalto riservato alla 'grande firma' con il suo stile, il suo carisma, il filo diretto con i lettori, mentre cresce il ruolo della squadra di redattori e di chi ne organizza i servizi, ne impagina e titola gli articoli. L'intervento personale naturalmente rimane, presentato però in sordina. S'impongono così alla testa di tre quotidiani sportivi superstiti direttori avveduti come Candido Cannavò, Giorgio Tosatti (che poi diventerà autorevole commentatore televisivo), Italo Cucci e più tardi Xavier Jacobelli, che passerà da Tuttosport al Corriere dello Sport proprio in virtù dell'incremento complessivo di vendite, circa il 52%, conseguito nella cabina di regia del giornale torinese.
Sul finire del Novecento, la vita della stampa sportiva diventa più difficile in ragione di una serie di fattori negativi: la Guerra del Golfo che apre un ciclo depressivo nell'economia occidentale; il conseguente aumento del prezzo dei giornali, che colpisce in modo particolare quelli meno legati all'informazione politica e alla cronaca; lo sconvolgimento che la fine della guerra fredda e l'avvento della globalizzazione provocano anche nel mondo dello sport. Come accade in settori ben più importanti della società postindustriale, i gruppi dirigenti del calcio e di altri sport spettacolari sono colti di sorpresa dalle novità che scaturiscono dal trionfo mondiale del mercato. L'enorme flusso di risorse finanziarie, derivanti dai contratti che i circuiti digitali offrono per assicurarsi in esclusiva la trasmissione delle partite, viene profuso dai club professionistici in spese folli per gli ingaggi, gli stipendi, i premi ai giocatori, nonché per una miriade di personaggi del contorno, procuratori e mediatori dei trasferimenti, tecnici e medici, preparatori atletici e massaggiatori, direttori sportivi e osservatori, per non parlare delle costosissime trasferte in capo al mondo e dei ritiri in alberghi di gran lusso.
In Europa si aggiunge un altro fattore dirompente. Una sentenza della Corte dell'Aia estende ai calciatori la norma comunitaria sulla libera circolazione della manodopera, di modo che cadono automaticamente tutti i divieti o le limitazioni per il tesseramento di giocatori provenienti dai paesi dell'Unione, per contendersi i quali si scatena la concorrenza tra le società calcistiche, mentre cresce ovviamente anche il numero degli elementi ingaggiati in paesi extracomunitari, non solo sudamericani ma africani e asiatici. Sono cospicui costi ai quali si aggiungono quelli necessari per rinforzare le 'rose' dei titolari da impiegare non solo nelle gare di campionato ma anche negli appuntamenti sempre più frequenti con le coppe continentali e le selezioni per il Campionato del Mondo: calendari sempre più fitti di impegni che, in omaggio alle esigenze dei network della televisione a pagamento, costringono i giocatori a prestazioni sempre più frequenti e sempre più spesso serali, con grandi difficoltà per mantenersi in allenamento e scongiurare infortuni, talora gravi e che si protraggono per mesi.
La crescente mercificazione dello spettacolo calcistico nuoce alla qualità del gioco, alle fortune della Nazionale e alla tutela del vivaio, cioè dell'allevamento dei giovani, ma non si può dire che danneggi la stampa sportiva, come del resto non la danneggia la frequenza delle trasmissioni televisive in diretta dell'evento sportivo, che anzi accresce l'interesse del pubblico estendendolo agli anziani, alle donne e ai bambini. Ma giornali e rubriche specializzate non possono non risentire della frenetica tensione, dello stress logorante sempre più diffusi nell'ambiente, nonché delle enormi difficoltà finanziarie che l'euforia telematica crea tra i club professionistici di ogni categoria e, in Italia, tra i gruppi della televisione del mercato italiano. Telepiù e Stream confluiscono in SkyItalia con una fusione, avallata dall'Autorità competente in materia di concorrenza, che lascia a una sola emittente digitale il controllo del mercato pay per view. Nel frattempo Rai e Mediaset, spaventate dalle richieste esorbitanti dei club, vanno riducendo drasticamente le loro trasmissioni, salvo rubriche di cronaca come Novantesimo minuto, satiriche come Quelli che il calcio, o il discusso ma popolarissimo Processo di Biscardi che vaga da una emittente all'altra ma è il più longevo di tutti.
In altre parole, il vento impetuoso della new economy globalizzata investe come un ciclone il mondo dello sport-spettacolo. Non conviene ignorare queste ripercussioni immediate, e probabilmente provvisorie, del processo di trasformazione dell'economia mondiale. Ma non si deve neppure esagerarne la portata, anche perché l'enorme espansione del tempo libero, conseguente alla riduzione dell'orario di lavoro, assicura in prospettiva a ogni sorta di spettacolo, compreso quello sportivo, un prospero avvenire a condizione, naturalmente, che si rispettino le regole del mercato e si sappia contemperarle con le esigenze della giustizia sociale. Al giornalismo sportivo spetterà sempre più il compito di esercitare la propria funzione critica circa l'adempimento di questa condizione.
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di Aldo Grasso
Il rapporto esistente tra sport e mezzi di comunicazione di massa è stato oggetto di un'ormai ampia gamma di studi. Per quanto riguarda la televisione, emerge da questa composita letteratura una tesi unitaria che individua due fasi distinte all'interno della storia dei legami tra sport e TV. La prima fase va dalla nascita del mezzo fino a metà degli anni Settanta. In questo periodo lo sport viene trattato dal medium televisivo come un'entità autonoma, dotata di proprie regole e linguaggi. L'atteggiamento nei confronti dell'evento sportivo, della gara agonistica è di netta sudditanza di fronte alla sua grandiosità: la TV delle origini partecipa in modo discreto allo spettacolo sportivo riconoscendo ai suoi attori e al pubblico presente fisicamente un ruolo di preminenza, di protagonismo rispetto al quale si deve garantire una presenza dignitosa, poco invasiva. Con la seconda metà degli anni Settanta e l'avvento della 'neotelevisione' ‒ termine introdotto da Umberto Eco in un articolo del 1983 per indicare il modello di TV impostosi negli anni Ottanta con il regime di concorrenza tra le varie emittenti ‒ si registra, oltre all'aumento vertiginoso delle ore di trasmissione di eventi sportivi, un ribaltamento dei rapporti. Il dato fondamentale è l'omologazione dello sport alle logiche mediatiche e televisive, la subordinazione degli eventi agonistici, tornei calcistici, Olimpiadi, gare automobilistiche, match di pugilato ecc. alla riproduzione televisiva e all'inserimento nei palinsesti delle diverse reti.
La storia del medium televisivo è strettamente intrecciata, sin dalle sue origini, con lo spettacolo sportivo. Si tratta infatti di due fenomeni di massa che condividono la stessa matrice storico-culturale: la società industriale che si afferma alla fine dell'Ottocento come sistema compatto e integrato che investe molteplici campi, dall'economia alla politica, alla cultura, alla ricreazione e al divertimento.
Lo sport, sia esso in forma individuale o a squadre, è in grado di creare un'identità collettiva all'interno di un gruppo che partecipa delle stesse aspirazioni ed emozioni; inoltre può svolgere una funzione educativa fra i giovani, sportivi o tifosi, che si confrontano in un contesto competitivo in cui si afferma non chi è più forte o aggressivo, bensì chi sa rispettare delle regole precedentemente accettate e condivise. Anche la televisione, soprattutto ai suoi esordi, assolve a una funzione pedagogica all'interno dell'industria culturale. I primi dirigenti RAI lanciano un progetto di alfabetizzazione per l'Italia, paese di ancora recente unificazione nazionale, offrendo programmi di dichiarato intento divulgativo come Una risposta per voi (programma di divulgazione iniziato nel 1954 e condotto da Alessandro Cutolo che risponde alle domande di cultura generale del pubblico) e Telescuola (programma scolastico mandato in onda a partire dal 1958, che consiste in un corso di istruzione per l'avviamento professionale), riduzioni teatrali, sceneggiati di argomento letterario. Il progetto prevede anche quiz, gare spettacolari che coinvolgono paesi fisicamente lontani tra loro che per la prima volta si cimentano e si conoscono sul terreno del gioco e della gara culturale, come Campanile sera (gioco proposto dal canale nazionale a partire dal 1959, in cui si confrontano due località, una del Nord e una del Sud, su quesiti di vario argomento).
In Italia all'epoca degli esordi del nuovo mezzo, quella che è comunemente indicata come fase della 'paleotelevisione', la pratica sportiva, sebbene non sia ancora assurta a fenomeno di ampie dimensioni sociali, ha già suscitato l'interesse degli altri media presenti sul campo: stampa e radio. Dunque, per un pubblico la cui fantasia e il cui interesse sono stati già accesi nei riguardi dello spettacolo sportivo risulta naturale il passaggio alla fruizione televisiva.
La prima diretta televisiva di una partita di calcio viene trasmessa già nel 1954, anno di inaugurazione ufficiale delle trasmissioni della RAI-Radiotelevisione Italiana. Si tratta di Italia-Egitto, incontro che va in onda il 24 gennaio alle ore 14.30 e termina 5-1. Il pubblico italiano è però già da tempo abituato a seguire attraverso la radio gli sport più popolari: ciclismo, pugilato, automobilismo e calcio. La primissima radiocronaca di una partita di calcio è da attribuire a Giuseppe Sabelli Fioretti che, il 25 marzo 1928, rende partecipi gli ascoltatori dello svolgersi di Italia-Ungheria, mentre nel 1933, il 1° gennaio, abbiamo la prima delle 850 radiocronache calcistiche proposte da Niccolò Carosio: Italia-Germania. Per alcuni anni il calcio radiotrasmesso è limitato agli incontri della Nazionale a causa del timore della Federcalcio che gli appassionati del gioco del pallone siano indotti a disertare gli stadi, ma dal 1933 si instaura l'abitudine di trasmettere ogni domenica il secondo tempo di un incontro di serie A. è un'epoca di boom per la radiofonia italiana: le ore di trasmissione passano dalle 17.776 del 1931 alle 29.875 del 1933 (Minerva 1990); la radio crea un sodalizio vincente con gli sport più popolari e si preoccupa di trasmettere il Giro d'Italia, il Tour de France, la Mille Miglia, le corse ippiche e certamente gli incontri di calcio, lo sport che dall'Europa al Sudamerica appassiona maggiormente il pubblico. Con le radiocronache di Carosio, poi di Nando Martellini ed Enrico Ameri, vengono attivati l'attenzione e l'udito di migliaia di ascoltatori; proprio l'udito si fa senso totale e non più parziale grazie ai toni modulati della voce di chi vede la partita e la descrive, ai giochi teatrali, ai ritmi ora sostenuti, ora più quieti della narrazione (Minerva 1990). Se la radio, come insegna il teorico delle comunicazioni sociali Marshall H. McLuhan (trad. it. 1967, pp. 312-23), "ritribalizza l'umanità", ricrea, anche attraverso la condivisione della passione sportiva, un'unità di sensazioni, pensiero, profondo coinvolgimento che restringe il mondo alle dimensioni di un 'villaggio' e coinvolge l'ascoltatore fino al punto di ridurre a zero la distanza tra lo stadio e le case di chi ascolta, sarà solo la televisione a esercitare per gli altri il dono dell'ubiquità, dono che per secoli è rimasto arenato nella fantasia dell'uomo da sempre vagheggiante questo attributo di matrice divina.
La strutturazione del palinsesto all'epoca della paleotelevisione è rigida e preordinata e si basa sulla logica dell'appuntamento. Come il quiz è fissato per il giovedì sera e la prosa per il venerdì, allo sport è tradizionalmente attribuita una collocazione festiva, all'interno di un momento di svago e di riposo. Questo non significa che esso risulti secondario all'interno della programmazione, anzi rientra appieno e fin dagli esordi del medium nei due grandi macrosettori dell'informazione e dell'intrattenimento, che, insieme alla divulgazione culturale, riassumono i tre obiettivi che si pongono i primi responsabili della televisione italiana. Peraltro gli spazi delimitati in cui si svolgono gli eventi ludici e agonistici e il largo anticipo con cui sono annunciati rendono, a una TV ancora ai primordi, abbastanza semplice il compito di seguire le gare e mettere in mostra le sue nuove, stupefacenti potenzialità.
Fin dal 1953 il CONI invita tutte le federazioni sportive a stringere accordi con la RAI per la messa in onda di avvenimenti sportivi; in questo modo si assicura una promozione dell'intero settore, nonché la divulgazione degli sport minori ancora troppo in ombra. La TV, dal canto suo, acquisisce programmi con riprese in diretta vivaci e interessanti che arricchiscono l'offerta di informazione e di svago. Il 3 gennaio 1954 parte la Domenica sport, antenata della più celebre Domenica sportiva, e da quello stesso anno la RAI predispone il collegamento in diretta con tutte le tappe del Giro d'Italia, mentre due anni dopo il servizio pubblico compie lo sforzo di creare un circuito internazionale con 50 ore di trasmissione da Cortina d'Ampezzo in occasione delle Olimpiadi invernali, impiegando 11 telecamere. L'impegno a seguire gli avvenimenti sportivi di maggior interesse si rivela per la TV ancora alle prime armi un ottimo terreno di sperimentazione: la difficoltà maggiore è quella di fornire al telespettatore immagini efficaci, in grado di rendere conto dell'evento nella sua interezza senza che si perda l'emozione di una gara avvincente. Per alcuni sport particolarmente 'telegenici' bastano le telecamere fisse, nel caso del ciclismo, dell'automobilismo o dello sci, invece, la maggiore dinamicità delle azioni spinge gli operatori del settore televisivo a inventare nuove tecniche di ripresa da adattarsi alle singole discipline sportive. Fin dal Campionato Mondiale di ciclismo di Reims del 1958 si registra l'introduzione della telecamera mobile e per la trasmissione degli incontri di pugilato si adotta la suddivisione dello schermo in due parti per inquadrare contemporaneamente i due sfidanti agli angoli del ring.
Il 1960 è un anno cruciale per la televisione italiana: per la prima volta il pubblico può seguire in diretta le Olimpiadi di Roma. La RAI, nonostante le difficoltà iniziali e le lunghe trattative con il Comitato olimpico, per l'occasione fa le cose in grande: mette in campo quattro studi, 100 postazioni televisive, una centrale video, 450 tecnici, 17 telecronisti incaricati del commento alle gare e garantisce così il servizio televisivo a 21 paesi di tre continenti con 106 ore di trasmissione, di cui 96 in Europa. Uno sforzo di tali proporzioni spinge l'azienda televisiva a un ammodernamento della sua dotazione tecnica che ne accresce le potenzialità produttive. Con questa XII edizione delle Olimpiadi si registra inoltre un fortissimo incremento nella vendita di televisori e un precedente storico: da allora l'industria elettronica ha sempre fatto coincidere il lancio di innovazioni tecnologiche con l'inizio di eventi sportivi di rilievo internazionale.
Nel 1962 la RAI, con lo scopo di accompagnare allo sviluppo di nuovi mezzi tecnici la proposta di contenuti, realizza accanto alle telecronache del Giro d'Italia il Processo alla tappa, rubrica sportiva condotta da Sergio Zavoli a partire dal 20 maggio 1962. Il programma propone per la prima volta una miscela di immagini riprese in diretta e di contributi raccolti nel corso della gara su altre fasi della corsa, o sui retroscena di cui fino a quel momento solo gli addetti ai lavori potevano avere notizia, o sui commenti del dopogara registrati da inviati sul posto. Il ciclismo, dunque, già negli anni Sessanta fuoriesce dal suo status di oggetto di pura e distaccata informazione e diviene mezzo per fare anche spettacolo e intrattenimento rivolto ai non appassionati. Con l'abile regia di Zavoli il programma si fa sede di polemiche infuocate, offre scoop clamorosi ed emozionanti (come dimenticare il servizio dedicato al corridore Eddy Merckx che tra le lacrime, incredulo, affronta la notizia della sua esclusione dalla competizione per essere risultato positivo a un controllo antidoping?), delinea ritratti di atleti elaborati dallo stesso Zavoli, scopre talenti istrionici imprevedibili: il 'perfettino' Motta, il passionale Taccone, il cattolico Gimondi, il viveur Adorni (Grasso 2002). Il successo di questa formula è tale che i giornalisti fanno a gara per parteciparvi e molti operai interrompono il lavoro per seguire 'il processo alla tappa'; in questo modo il ciclismo guadagna una popolarità enorme, pari a quella del calcio.
I primi anni Sessanta segnano per l'industria della comunicazione una fase di grandi progressi tecnologici e ampie sperimentazioni. Nel 1962 il satellite Telstar 1 permette un contatto di pochi minuti tra America ed Europa, ma bisognerà aspettare il 1965 per un collegamento più lungo attraverso un satellite sincrono, che gira cioè a una velocità sincronizzata con quella della Terra. Grazie a questa nuova tecnologia il 31 agosto 1965 viene trasmesso dalla stazione di Telespazio di Fucino il confronto di atletica USA-URSS svoltosi a Kiev, mentre nel 1967 vanno in onda in differita le immagini dell'incontro di pugilato tra Emil Griffith e Nino Benvenuti, valido per il titolo mondiale dei pesi medi e svoltosi al Madison Square Garden di New York. In quell'occasione, nonostante l'alto grado di interesse rivestito dall'appuntamento, la TV preferisce ancora affidare la diretta alla radiocronaca per non sconvolgere le abitudini del pubblico e privarlo del sonno in un orario che si ritiene impensabile per un evento sportivo. Eppure, andata in onda a tarda ora notturna, la radiocronaca registra un record di ascolti.
Nel 1968 viene fondata una rete satellitare quasi globale resa attiva dal sistema Intelsat (International telecommunications satellite organization), un organismo internazionale composto da 11 paesi, tra cui l'Italia, che nel 1969 riesce a trasmettere su scala mondiale lo storico sbarco sulla Luna. Il passo successivo è l'introduzione del colore; in Italia, dopo ampi dibattiti, viene adottato regolarmente nel 1972 in concomitanza con le Olimpiadi di Monaco a conferma della tendenza instauratasi nel settore a legare il lancio di nuove tecnologie a eventi sportivi di ampio richiamo. In effetti la televisione italiana cresce anche grazie allo sport: nei periodi in cui si celebrano i grandi eventi sportivi, aumentano le vendite di apparecchi televisivi e gli abbonamenti alla televisione pubblica. In realtà l'uso del colore, che in altri paesi si era reso possibile già durante i Mondiali in Messico del 1970, arriverà definitivamente in Italia solo alcuni anni più tardi. I Mondiali messicani introducono però anche altre innovazioni: l'uso del ralenti, delle informazioni grafiche durante le partite e le riprese da dietro la porta, che offrono un punto di vista nuovo e inusuale al pubblico. Per i telespettatori che si trovano dall'altra parte del mondo, rispetto al luogo in cui si svolgono i Campionati Mondiali, gli orari delle partite sono ancora sfasati eppure, per l'ormai storica semifinale Italia-Germania conclusasi 4-3, in Italia si sintonizzano sui teleschermi 17.700.000 spettatori, mentre per la finale con la squadra brasiliana si raggiunge la quota di 28.200.000 (Iozzia-Minerva 1986).
Negli anni successivi le telecronache via satellite diventano sempre più usuali e anche i collegamenti su scala mondiale si fanno più frequenti con un conseguente ampliamento del numero di paesi coinvolti nella trasmissione di eventi sportivi (nel 1974, per es., l'incontro di boxe tra Cassius Clay-Muhammad Alì e George Foreman si svolge a Kinshasa, Zaire). Ma sono certamente le Olimpiadi di Montreal del 1976 l'evento più significativo di questi anni e comportano un profondo e duraturo mutamento all'interno del costume sportivo internazionale. Questa prima Olimpiade americana del dopoguerra trasmessa a colori, con l'ausilio della computer graphics e della moviola, nonché di inquadrature da varie angolazioni (si pensi alla finale dei 100 m replicata per ben tre volte da tre distinte posizioni), dà il via a una nuova era in cui il mezzo elettronico impara a sfruttare gli eventi sportivi di respiro internazionale in modo spregiudicato, innovativo e ampiamente redditizio. Le prove di agonismo svoltesi durante le Olimpiadi canadesi iniziano a essere pensate dalla televisione come esercizi di virtuosismo tecnico e si ha l'impressione che il nuovo medium voglia attrarre l'attenzione del pubblico più su di sé che sulle gesta atletiche dei veri protagonisti di quelle giornate. Le novità introdotte nel panorama sportivo nel 1976 aprono la strada a eventi cruciali; è in atto il ribaltamento del rapporto tra mondo sportivo e televisione.
Dall'avvento della trasmissione via satellite e della mondovisione, i grandi eventi sportivi diventano quelli che interessano il pubblico di ogni parte del globo. Lo sport che aspira a essere linguaggio universale o mezzo di comunicazione di massa è tale in quanto riprodotto, veicolato dalla televisione. Questo dato di fatto porta a una prima conseguenza: gli sport radicati in un'unica area geografica o in singoli paesi sono destinati a diventare minori e a cadere in declino (in Italia e in alcuni paesi europei tale è stata la sorte del ciclismo), mentre gli altri ‒ calcio, automobilismo, atletica leggera, tennis ‒ dopo l'impatto con il sistema radiotelevisivo subiscono una chiara trasformazione. Questo fenomeno, che è stato analizzato e definito 'riregolamentazione' da Gianfranco Bettetini (1984), consiste in un adeguamento del referente sportivo alla rielaborazione in segni audiovisivi. La TV da telescopio, che osserva eventi sportivi e li ripropone con fedeltà, assume in seguito un ruolo direttivo nei confronti dello sport e ne altera alcune dinamiche, forme organizzative, sistemi di competizione in base alle esigenze del pubblico da casa. Gli esempi sono numerosi: nel calcio si è adottato il pallone di colore chiaro perché fosse immediatamente visibile al telespettatore; tra il 1977 e il 1978 è stato introdotto nel tennis il tie-break, utilizzato poi anche nella pallavolo, per abbreviare la durata dell'ultimo set. Un simile cambiamento è apportato alle manifestazioni calcistiche più importanti in cui si stabilisce di ricorrere ai calci di rigore in quelle partite che si chiudono in parità. Lo scopo di questi interventi innovativi è di ridurre la durata degli incontri più equilibrati e alla lunga poco avvincenti, in modo da poterli inserire nei palinsesti e nelle logiche comunicative della televisione.
Da ricordare anche come con gli anni Settanta si registra l'inizio della pratica della sponsorizzazione. Le grandi aziende cominciano a cogliere la possibilità di propagandare i propri prodotti alle platee universali richiamate dalla televisione durante gli appuntamenti sportivi di massimo interesse. Il primo sport a servirsi della sponsorizzazione è l'automobilismo, ma dagli anni Ottanta in poi lo sport diventa il contenitore naturale della pubblicità.
L'adeguamento dello sport alla dimensione televisiva coinvolge anche gli atleti e il loro comportamento nel corso delle prove agonistiche. Torna ancora in primo piano a questo punto l'Olimpiade di Montreal, già indicata come evento cardine nel percorso dello sport internazionale verso la sua 'riregolamentazione' televisiva. Citiamo un episodio particolarmente significativo: al termine dei 10.000 metri piani, gara in cui ha appena conquistato la medaglia d'oro, Lasse Viren si esibisce in un lento e trionfante giro d'onore a piedi nudi facendosi seguire da vicino dalle telecamere che non mancano di concedere primi piani al marchio Adidas delle scarpette che Viren porta con sé in trionfo. Questo aneddoto è stato giustamente posto a confronto con la più contenuta manifestazione di gioia del vincitore della maratona olimpica di Tokyo del 1964, Abele Bikila, che si inchinò a terra quattro volte in direzione dei quattro punti cardinali con un gesto semplice, istintivo, certamente non pensato ad hoc per la diretta televisiva. Un fatto successivo nel tempo ma molto simile riguarda la sensazione di gioia, orgoglio e rabbia insieme che Diego Armando Maradona durante i Mondiali di calcio USA 1994 decise di condividere non con i compagni di squadra o con la sua panchina, bensì con i milioni di spettatori, guardando direttamente nella telecamera più vicina.
In questo percorso di trasformazione dello sport un'altra tappa fondamentale si compie grazie al perfezionamento delle tecnologie. Le tecniche della computer graphics, della moviola, le moderne telecamere aeree, le microapparecchiature arricchiscono progressivamente le possibilità di visione del telespettatore, che può non solo compartecipare emotivamente all'esperienza del pubblico presente nelle arene o sugli spalti o ai bordi delle piste automobilistiche, ma può rivedere le azioni salienti da più angolazioni o godere di replay esemplificativi per episodi dubbi e persino accedere a zone del campo di calcio tradizionalmente oscurate alla vista e escluse dal sonoro perché lontane dallo svolgersi del gioco (la panchina, la porta, la tribuna). Con tali strumenti a sua disposizione la TV abbandona la riproduzione oggettiva dell'evento agonistico per rielaborare il fatto sportivo secondo nuove vesti, con ritmi e spazi del tutto televisivi. L'evento sportivo diviene ormai preda del mezzo televisivo che lo ingloba per proporre al pubblico un discorso fortemente autoreferenziale. Questa 'vampirizzazione' di cui si rende protagonista il mezzo elettronico è particolarmente evidente durante la trasmissione di appuntamenti internazionali globalizzati come i vari tornei calcistici o i Giochi Olimpici. Ai Mondiali di calcio del 1986 svoltisi in Messico, per es., durante i quali gli orari delle partite sono stabiliti in base alle esigenze delle televisioni europee e ai momenti di massima audience, anche se ciò comporta per i giocatori sfidarsi con i 40 °C del solleone, il ricorso a strumenti digitali è per la prima volta veramente ampio. Grazie a un replay in successione computerizzata in cui l'azione è inquadrata da una prospettiva del campo opposta rispetto all'inquadratura della macchina da presa, il pubblico in mondovisione può constatare l'errore arbitrale che porta a convalidare il gol di mano segnato da Maradona all'Inghilterra. Se in questo caso l'errore è ormai irreparabile, in altri frangenti la possibilità di rivedere le azioni sportive porta a modificare decisioni già prese e quindi a intervenire a posteriori su gare il cui esito è già stato determinato dalle prove degli atleti e dall'abilità dimostrata: dopo i Mondiali di atletica del 1987, per es., Giovanni Evangelisti viene squalificato e perde così la medaglia di bronzo a seguito di un'irregolarità riscontrata con le riprese televisive.
L'attenzione del medium televisivo per l'evento sportivo che, come abbiamo visto, si trasforma in un graduale inglobamento, non si limita certamente alla trasmissione dei grandi eventi sportivi e dei tornei agonistici; la TV inserisce lo sport all'interno delle sue logiche comunicative e lo coinvolge in quel fenomeno pienamente neotelevisivo della dissoluzione del sistema dei generi, della fruizione come 'flusso' ‒ concetto introdotto nel 1974 da Raymond Williams per definire l'assenza di cesura tra i testi veicolati dal medium televisivo e il conseguente sincretismo dell'esperienza televisiva ‒, della caccia serrata all'audience.
L'informazione sportiva dagli anni Settanta all'inizio dell'epoca della neotelevisione conosce una moltiplicazione degli spazi, del numero delle testate e una maggiore frequenza di appuntamenti con il pubblico. La strategia della RAI è quella di occupare uno spazio ideale che va dal pomeriggio di Novantesimo minuto (Raiuno, 1970) alla prima serata di Domenica sprint (Raidue, 1975), fino alla più tradizionale seconda serata della Domenica sportiva.
Con l'avvento delle televisioni private, la concorrenza assume forme necessariamente diverse. L'impossibilità, infatti, per Canale 5, Italia 1 e poi Retequattro di trasmettere in diretta spinge i responsabili dei palinsesti ad ampliare gli spazi riservati all'informazione sportiva dedicando il lunedì ai commenti del dopopartita, il venerdì ai pronostici e i giorni infrasettimanali agli sport minori. Siamo ormai lontani dalla logica paleotelevisiva della strutturazione del palinsesto secondo appuntamenti: lo sport abbandona la sua collocazione esclusivamente festiva e si inserisce appieno nel flusso televisivo. Il Tg2 negli anni Ottanta sancisce la piena contestualizzazione dell'oggetto sportivo all'interno del campo dell'informazione inserendo un'appendice fissa alle sue notizie dedicata allo sport nell'edizione delle ore 19.45.
Intorno ai grandi avvenimenti di richiamo internazionale, le reti concorrenti, dopo aver ingaggiato una dura lotta per accaparrarsene i diritti ‒ è impressa nella memoria la vicenda del Mundialito uruguayano (1981) per nazioni in cui la Fininvest ottenne per la prima volta e in modo insperato la spartizione dei diritti alla trasmissione dell'evento ‒, costruiscono operazioni di enfatizzazione della suspense intorno alla gara per promuovere quest'ultima ma soprattutto l'immagine della rete che la ospiterà. È ciò che accade per es. nelle settimane precedenti l'inizio dei Mondiali di calcio quando le diverse emittenti propongono vari collage dei momenti più emozionanti nella storia della nazionale italiana nonché degli episodi più clamorosi delle edizioni passate.
Pertanto i grandi eventi, tornei di calcio, incontri di tennis, match di boxe non sono solo motivo di forti investimenti di denaro e di energia per le reti, bensì diventano il centro della programmazione, il perno attorno a cui vengono ristrutturati i palinsesti. Persino il varietà del sabato sera può essere modificato in concomitanza con la messa in onda di media events sportivi, com'è accaduto durante i Mondiali di calcio del 1986 quando si scelse come conduttore un giornalista sportivo. I media events costituiscono un'interruzione della vita quotidiana e dei palinsesti dei programmi: ne sono esempio lo sbarco dell'uomo sulla Luna, i funerali di Lady Diana o l'atto di pace tra Rabin e Arafat, ma anche le Olimpiadi e i Mondiali di calcio. Spesso, dunque, accade che l'evento sportivo diventi cornice di un programma televisivo.
Nella storia della neotelevisione grande fortuna ha avuto il dibattito, il talk-show costruito intorno al tema sportivo. Antesignano di questo genere televisivo è Zavoli che, all'epoca dei primordi della storia della TV, ha proposto con il suo già menzionato Processo alla tappa un approccio nuovo della televisione allo sport che si allarga alla gente comune, ai giornalisti e ai dirigenti. Ma il modello per eccellenza è rappresentato dal Processo del lunedì di Aldo Biscardi. Nel suo secondo anno di vita la terza rete Rai lancia grazie a Biscardi una grande novità: 'il calcio parlato'. Siamo nel 1980: i tifosi e telespettatori sono abituati a lenire la propria febbre calcistica soltanto con la telecronaca della domenica e i filmati trasmessi dalla Domenica sportiva, mentre l'unico momento di dibattito vero nel calcio è costituito dalla visione degli episodi scelti dalla moviola. In questo contesto il Processo appare come la consacrazione in uno spazio istituzionale delle discussioni e polemiche da bar. Nell'arringa creata dal conduttore, giudice super partes, i protagonisti del dibattito, giornalisti sportivi, allenatori, giocatori, esponenti del mondo dello spettacolo e poi un'umanità varia, con la gradita presenza di una rappresentante avvenente del gentil sesso, danno vita a una discussione che immancabilmente approda alla lite. La trasmissione di Biscardi ha certamente costituito l'antenata del cosiddetto talk-show della rissa (Grasso 2000), cui afferisce per es. il successivo Appello del martedì, rubrica sportiva di Italia 1, condotta da Maurizio Mosca dal 1990 al 1992 e poi da Massimo De Luca, quale risposta della Fininvest al grande successo ottenuto da Biscardi con il suo 'processo'. Ma la trasmissione di Biscardi dà anche il via a una serie di 'cloni' che infarciscono il palinsesto feriale e festivo di molte reti televisive.
Il passo successivo è compiuto da Fabio Fazio: in Quelli che il…calcio, programma partito nel 1993, si apre il salotto calcistico alla casalinga, all'intellettuale, al religioso, cioè all'individuo qualunque in un'operazione di parodia dello sport parlato più serio che si ammanta di discorsi specialistici e toni magniloquenti. Con le sue maschere televisive e macchiette (l'inviata Suor Paola, il giornalista sportivo Idris Sanneh, l'ex ministro delle Finanze Barucci e tanti altri) Fazio coinvolge i 'non calciofili' in un talk-show che si ibrida con il varietà. L'andamento delle partite è tenuto costantemente sotto controllo, ma diventa diversivo, momento di interruzione delle gag e delle rubriche settimanali.
In una simile direzione, ma in senso più spiccatamente comico, si pone un altro programma di grande successo, questa volta delle reti private. Mai dire gol, iniziato nel 1990, ha l'obiettivo dichiarato di irridere non solo le imprese dei calciatori e gli errori arbitrali ma anche i comportamenti di chi vi sta intorno e parla di calcio: cadute di stile di presidenti e allenatori a fine partita, gaffe, strafalcioni, discorsi approssimativi, estemporanei di chi parla nel tubo catodico. La TV quindi viene fatta oggetto di satira, l'obiettivo della Gialappa's Band è chiaramente il calcio televisivo.
Il modello della 'riregolamentazione', che era già stato adottato per spiegare l'epoca cruciale degli anni Settanta quando si verifica l'assorbimento mediologico dello sport, giunge a questo punto alle sue estreme conseguenze. Con il trionfo della neotelevisione e delle logiche commerciali negli anni Ottanta e Novanta, "lo sport perde una parte ancora maggiore della sua autonomia esistenziale, riducendosi al ruolo di materiale per citazioni, per esemplificazioni sociologiche e antropologiche, addirittura per parodie. In certi casi il riferimento è ancora più sfumato. La struttura della pratica sportiva, e soprattutto, il suo dimensionamento agonistico vengono assunti come modelli di manifestazioni discorsive del tutto irrelate con le originali traduzioni di eventi e di senso (dibattiti, tavole rotonde, tribune politiche, spettacoli leggeri). Lo sport si trasforma dunque in una riserva di casi esemplari e di dati o in un modello di comportamento, in un rapporto tra forme astratte disponibili a più funzioni comunicative" (Bettetini 1984, p. 189).
Nella seconda metà degli anni Novanta si apre una terza era nella storia della TV italiana. Si introduce la tecnologia digitale, ossia l'uso di segnali discreti per rappresentare dati sotto forma di numeri o di lettere alfabetiche; il codice impiegato è quello binario che permette di tradurre tutti i dati in un linguaggio omogeneo. Con la tecnologia digitale si verifica un mutamento nelle infrastrutture sia di trasmissione (satellite, fibra ottica ecc.) sia di ricezione (decodificatore e antenna parabolica ecc.), nelle modalità di fruizione e programmazione, nella strutturazione dell'offerta, nello statuto della televisione. La televisione digitale sfrutta la possibilità di trasmettere il suo segnale attraverso lo stesso cavo, che rende possibili le comunicazioni telefoniche e via Internet prospettando una convergenza nel campo della comunicazione sulla base di una piattaforma multimediale.
Un'altra peculiarità del linguaggio digitale è la facilità con cui possono essere modificati e manipolati i dati rendendo possibile una comunicazione bidirezionale. La televisione digitale pertanto è interattiva in quanto offre al telespettatore la possibilità di costruirsi un palinsesto personale (attraverso la programmazione on demand), di scegliere il punto di vista dal quale guardare un evento (attraverso la multiregia), di vedere quali programmi sono in onda (attraverso l'EPG, Electronic program guide). Grazie all'interattività e alla programmazione on demand il telespettatore può diventare il regista di un evento e non è più vincolato dagli orari fissi del palinsesto, ma può decidere di vedere il programma che gli interessa quando vuole.
In Italia le due emittenti che trasmettono in digitale, Stream e Tele+, contemplano un ampio spazio dedicato allo sport nei loro bouquets palinsestuali. Forma di programmazione adottata quasi esclusivamente dalle pay-tv, il bouquet è un pacchetto di canali costituito da un'offerta basic (i canali che ricevono tutte le persone abbonate a prescindere dal tipo di contratto stipulato), da alcuni canali opzionali (i canali tematici e di nicchia per ricevere i quali bisogna pagare un costo aggiuntivo) e da canali-bonus (canali free to air che si ricevono senza pagare costi aggiuntivi); ognuno di essi può essere calibrato a seconda delle esigenze di ciascun utente. Il pubblico cui i bouquets si rivolgono è un pubblico nuovo, costituito da tifosi ed esperti di sport di una generazione che si è appassionata al calcio, al tennis, all'automobilismo ecc. guardando questi spettacoli in televisione. Questa nuova utenza nasce già con la televisione e gode dunque di una competenza preacquisita. Pertanto le giovani pay-tv sono obbligate a proporre trasmissioni e telecronache di eventi sportivi che si differenzino e superino i limiti dell'offerta generalista. In questa direzione va certamente l'enfatizzazione della dimensione spettacolare ottenuta grazie alle notevoli risorse tecniche a disposizione dei registi, al sapiente uso di totali, campi medi, stacchi, primi piani, dettagli e all'uso degli strumenti elettronici (replay, ralenti, scritte in sovrimpressione ecc.), ma anche grazie a uno stile innovativo delle telecronache, nelle quali invece i professionisti della TV generalista si mostrano ancora inadeguati. Il modello offerto dalle televisioni a pagamento, infatti, può essere indicato come quello moderno da cui prendere esempio in quanto il telecronista dimostra un buon grado di precisione nell'informazione e inoltre sa tenere alta l'attenzione del telespettatore conferendo ritmo e vivacità al suo racconto, mentre la seconda voce è garanzia di competenza per un pubblico di esperti.
Resta da fare un'ultima e conclusiva considerazione. A pochi anni dall'inizio di questa 'rivoluzione multimediale' è certo che le novità apportate dalle pay-tv stanno modificando il consumo televisivo di sport, e più in generale stanno aprendo ampie prospettive future dirette a una flessibilizzazione degli orari di fruizione televisiva e alla progressiva personalizzazione dell'utilizzo del mezzo elettronico in direzione dell'interattività, del dialogo alla pari. Ma si tratta ancora essenzialmente di una scommessa e alcune domande fondamentali restano aperte: esiste un numero di spettatori sufficiente per rispondere a un'offerta così massiccia? E i palinsesti delle televisioni digitali, che dovrebbero scardinare la logica di quelli generalisti e rinnovarne completamente i contenuti, avranno abbastanza programmi e idee per colmarsi e diventare appetibili? La nostra modesta opinione è che i cosiddetti new-media, al di là dello sfarzoso, modernissimo involucro esterno, dei moltissimi canali a disposizione, della molteplicità di offerte fruibili attraverso decoder e smart-card, trovino la loro forza nei 'vecchi' contenuti.
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di Fabio Ciotti
La presenza dello sport sulla rete Internet è una conferma dell'importanza che esso assume nel sistema dei media tradizionali. I siti e le risorse on-line dedicate a temi sportivi, sia in italiano sia in tutte le altre lingue, sono ormai innumerevoli e molti di essi sono ripagati da un grande successo di pubblico. Tale successo assume proporzioni di notevole rilevanza in occasione delle grandi manifestazioni internazionali (come è avvenuto nel corso dei Mondiali di calcio 2002, anche in virtù del fatto che in Europa le partite venivano trasmesse in orario lavorativo), ma anche al di fuori di queste i siti dedicati allo sport godono di un pubblico numeroso e affezionato. Lo sport insomma è uno dei pochi temi che siano riusciti a trovare su Internet una loro stabile fascia di utenti. Per comprendere le ragioni di questo successo non si può fare appello esclusivamente all'interesse intrinseco dell'argomento. Bisogna piuttosto considerare la natura interattiva della comunicazione on-line che sembra rispondere in modo ottimale alle esigenze comunicative dell'appassionato di sport e che fornisce un valore aggiunto rispetto agli altri mezzi di comunicazione di massa.
Il quotidiano o la trasmissione televisiva si rivolgono agli utenti in modo impersonale e senza che essi abbiano a loro volta la possibilità di fornire il loro contributo, esprimere un parere, rivolgersi in prima persona ad altre persone che, come loro, stanno leggendo quel giornale o seguendo quella trasmissione. Ciò impedisce l'interazione sia fra chi propone i contenuti (i giornalisti) e chi ne fruisce, sia fra i lettori/spettatori stessi. Un'eccezione sono ovviamente le 'lettere al giornale' o gli interventi telefonici in diretta durante le trasmissioni televisive e radiofoniche (peraltro limitati per ragioni di tempo). Ma anche se si considerano queste ultime due possibilità, siamo ancora nell'ambito di una relazione uno a uno: giornalista-spettatore/ lettore. Si possono certo innescare lunghissimi dibattiti, anche epistolari (è un classico il caso della lettera che suscita una serie di altre lettere da parte di altri lettori), ma rimane sempre il filtro del giornalista che decide quali interventi passare, quali lettere pubblicare.
La differenza sostanziale della comunicazione sportiva via Internet consiste proprio in questo: oltre che fruire dell'evento, infatti, rende possibile parlarne con un insieme potenzialmente molto vasto di altri appassionati, e non solo il giorno stesso o il giorno dopo, ma in qualsiasi momento della settimana. L'aspetto più originale del connubio fra Internet e sport sta nel fatto che si costruiscono vere e proprie 'comunità virtuali', il cui comune denominatore è la passione per lo sport, ma soprattutto per ciò che lo rende così divertente, il commento del dopo partita. I portali sportivi, i forum, le chat, i gruppi di discussione, consentono la realizzazione virtuale di quello che prima era possibile fare soltanto de visu: è il trasferimento del 'bar sport' nel ciberspazio.
Naturalmente Internet ha introdotto anche altre innovazioni, sia dal punto di vista della comunicazione pubblica delle società e delle istituzioni sportive, sia da quello dell'organizzazione della pratica sportiva a livello amatoriale, senza dimenticare là di visibilità che la rete ha fornito ai cosiddetti sport minori. Sono questi gli aspetti sui quali ci soffermeremo.
L'architettura di questi siti (sia autonomi sia legati a qualche testata giornalistica) presenta una certa uniformità strutturale: sono presenti sezioni (o canali) per ciascuno degli sport maggiori (generalmente calcio, automobilismo, ciclismo, pallacanestro), a loro volta con un'articolazione in sottosezioni, a seconda dello spazio concesso a ciascuno sport particolare; non mancano mai uno o più forum, spesso affiancati da chat, talvolta animate da atleti o giornalisti sportivi di grande notorietà; ricorrente è anche lo spazio riservato ai vari giochi e 'fantasport' (su cui torneremo più avanti). Ovviamente le sezioni più sviluppate sono quelle dedicate agli sport con maggior seguito di pubblico, primi fra tutti il calcio e l'automobilismo (soprattutto la Formula 1).
Particolarmente importante, anche perché rappresenta uno dei valori aggiunti della fruizione dello sport su Internet rispetto alla carta stampata, è la sezione dedicata all'aggiornamento delle notizie. Alcuni portali ‒ come per es. Sportal (http://www.sportal.com) ‒ funzionano alla stregua di una vera e propria agenzia stampa sportiva, fornendo sui vari eventi della giornata una nutrita serie di notizie, di solito rivendute ad altri portali che non dispongono della struttura necessaria per agire in proprio.
In alcuni casi agli utenti viene offerta in diretta la cronaca delle partite di calcio (o di altri eventi sportivi), in maniera però meramente testuale: non essendo possibile mostrare le immagini ‒ coperte, come è noto, da onerosi diritti televisivi ‒ quanto avviene in campo viene descritto in tempo quasi reale, quello che basta a scrivere e a pubblicare. Si tratta di un'ulteriore modalità di fruizione dell'evento sportivo che va ad affiancarsi a quelle preesistenti (dal vivo, radiocronaca, telecronaca) e che permette di seguirlo anche in situazioni in cui non sarebbe possibile farlo nei modi tradizionali (per es. in ufficio). Si è già accennato al successo che le 'dirette su Internet' hanno avuto in occasione degli ultimi Mondiali di calcio, le cui partite si svolgevano in orari lavorativi per l'Italia. In prospettiva il fenomeno diverrà ancora più rilevante quando si estenderà la pratica dell'accesso ai servizi on-line mediante telefono cellulare, attualmente ancora limitata a una ristretta fascia di utenti: con tale mezzo, Internet rende possibile seguire l'evento sportivo veramente in ogni luogo e in ogni situazione, usufruendo dello stesso livello di diffusione capillare della radio (con l'unica differenza che è possibile dare un'occhiata al cellulare anche dove la radio non si può ascoltare).
Altro punto di forza dei grandi portali sullo sport è quello di raccogliere in un unico sito una selezione abbastanza rappresentativa di quanto in rete si può trovare in fatto di sport, compresa l'indicazione dei siti più interessanti e dei vari gruppi di discussione.
Un discorso a parte meritano i siti delle varie federazioni e associazioni, che rendono disponibili al grande pubblico e agli appassionati informazioni che prima dell'avvento di Internet erano difficilmente accessibili. Mentre in passato si contattava la federazione del caso solo per richieste specifiche o magari per iscriversi, ora i siti delle principali federazioni, oltre ad avvicinare il non professionista al mondo prima sconosciuto delle organizzazioni sportive e a fornire informazioni ufficiali su eventi e regolamenti, spesso costituiscono una delle fonti più ricche sul singolo sport che rappresentano: durante i Mondiali di calcio, per es., il sito ufficiale della FIFA (Fédération internationale de football association; http://www.fifa.com), è risultato una fonte impareggiabile di fotografie e di notizie sulle squadre e sui giocatori. Per navigare attraverso il Web delle federazioni e delle associazioni, un buon punto di partenza è la directory del portale Libero, in particolare la sezione dedicata a federazioni e club (http://arianna.libero.it/catalogoAutomatico/Raai/FederazionieClub_1.html).
Per quanto riguarda le federazioni maggiori, il sito della FIGC (Federazione italiana giuoco calcio; http://www.figc.it) è emblematico: al suo interno trovano posto uno spazio dedicato alla struttura, alla storia e alle norme dell'associazione, le ultime notizie sulle attività svolte, informazioni sulle serie maggiori, ma anche ‒ cosa particolarmente interessante ‒ sui tornei per dilettanti e sul calcio femminile, ai quali nel resto della rete e negli altri media è riservata un'attenzione pressoché nulla.
Utilissimi sono anche alcuni siti di federazioni minori. Per es. quello della FISE (Federazione italiana sport equestri; http://www.fise.it) fornisce, oltre alle ultime notizie sul mondo degli sport equestri, informazioni su tutte le principali discipline (olimpiche e non), una banca dati di tutti i concorsi equestri all'interno della quale si possono effettuare ricerche sia per cavallo sia per cavaliere, e molti altri utili servizi. Un altro bel sito è quello della FIT (Federazione italiana tennis; http://www.federtennis.it), che oltre a foto e notizie sull'attività della federazione, dispone di un motore di ricerca dei circoli in tutta Italia e di un archivio dei più grandi campioni italiani, entrambi di ottima qualità.
Per contro, singolarmente scarno (data soprattutto l'enorme quantità di denaro che gira attorno al mondo della Formula 1) è il sito della FIA (Fédération internationale de l'automobile; http://www.fia.com), in cui si trovano soltanto dei comunicati stampa (peraltro non sempre accessibili on-line), mentre mancano quasi del tutto informazioni sulle singole discipline rappresentate dalla federazione.
Strettamente collegato al tema delle associazioni sportive è il mondo delle discipline cosiddette minori, vale a dire quelle che, per una ragione o per l'altra, rimangono escluse dal centro dell'attenzione del pubblico e dei media. In Internet ci sono siti dedicati a sport antichi e ormai quasi dimenticati, come la pallapugno (http://www.palloneelastico.it), o poco praticati e poco conosciuti, come il badminton, o ancora praticati da migliaia di appassionati ma trascurati dai circuiti televisivi e di stampa, come l'hockey, il pattinaggio, l'orienteering.
Elemento fondamentale della passione sportiva è il suo carattere per eccellenza collettivo. Anche se i moderni mezzi di comunicazione di massa rendono possibile seguire un evento dalla propria abitazione, è fondamentale poterne parlare con altri. Basti pensare ai format delle tradizionali trasmissioni televisive sportive come La domenica sportiva o Quelli che il calcio, che non fanno altro che riprodurre, in modo più o meno formale, quello che da sempre avviene nel classico 'bar sport': il commento, lo scontro verbale fra opposte tifoserie, il litigio fra il serio e il faceto. Lo spettatore televisivo, però, nella stragrande maggioranza dei casi è privo della possibilità di intervenire in prima persona e si deve limitare ad assistere alle discussioni di altri. Con l'avvento di Internet la situazione è cambiata radicalmente: chi guarda l'evento sportivo ha la possibilità di interagire in tempo reale con altre persone che stanno facendo la stessa cosa o di commentarlo più tardi, dopo che si è concluso. Come si è notato in precedenza, è questo uno degli aspetti più originali della presenza dello sport nella rete: non si tratta di una semplice rappresentazione, ma di una costruzione interattiva, che in quanto tale sfrutta a pieno le potenzialità e le caratteristiche del mezzo telematico.
La possibilità di 'fare quattro chiacchiere' sul proprio sport preferito non è necessariamente in relazione a un evento preciso. Ciò consente di condividere in modo nuovo la propria passione sportiva con relativi dubbi, esperienze, pareri. Nei gruppi di discussione sullo sport quindi si trovano consigli su come allenarsi, sulla dieta da seguire o semplici resoconti di esperienze legate allo sport.
Per avere un'idea di quali e quanti siano i forum in italiano disponibili sui temi sportivi basta 'navigare' nella sezione della gerarchia .it* dedicata allo sport (it.sport.*), che comprende al suo interno 17 sottogruppi. Il più frequentato è, naturalmente, il forum sul calcio, ma anche altri, come per es. it.sport.montagna o it.sport.artimarziali, vantano un nutrito numero di affezionati frequentatori. Oltre ai newsgroups ufficiali della gerarchia it., praticamente quasi tutti i portali e i siti dedicati allo sport attivano per i propri utenti forum, che spesso raggiungono gli stessi livelli di assiduità e vivacità di frequentazione di quelli ufficiali.
A parte questa forma inedita di interscambio fra appassionati, la rete offre un'altra opportunità che prima non esisteva o era comunque limitatissima: interagire direttamente con i protagonisti dello sport. Con la crescente diffusione di Internet, infatti, molti dei principali campioni sportivi (soprattutto degli sport più seguiti) hanno avvertito l'esigenza di dotarsi di un proprio sito, dove di norma è presente uno spazio dedicato all'interazione con i tifosi. Inoltre alcuni grandi portali periodicamente offrono la possibilità di incontrare in chat alcuni eminenti personaggi legati al mondo dello sport, in una sorta di chiacchierata virtuale.
Avere un sito Web è ormai diventato un elemento essenziale nelle strategie di marketing e cura dell'immagine di personaggi dello sport e anche dello spettacolo. I contenuti di questi siti sono generalmente piuttosto standardizzati: una galleria fotografica, una biografia, le imprese sportive degne di nota, uno spazio per comunicati e riflessioni, e a volte un forum in cui il campione, in giorni e ore predefinite, dialoga con i suoi tifosi. Anche se, per ovvi motivi, quest'ultimo aspetto non è molto sviluppato ‒ la sua gestione ottimale richiederebbe troppo tempo e troppo impegno da parte del campione stesso ‒ esso costituisce comunque un importante canale di contatto diretto tra i tifosi e il loro idolo.
Può essere illustrato come esempio il sito del calciatore Francesco Totti (http://www.francesco-totti.com), che contiene una chat, un forum, i video dei gol, una galleria fotografica, oltre a notizie sempre aggiornate sull'attività del giocatore e della sua squadra. Chiunque ha la possibilità di iscriversi a una newsletter, che fornisce notizie sugli appuntamenti, gli incontri, le iniziative di Totti. Interessante la sezione di e-commerce, con una parte dedicata al merchandising dei prodotti (maglie personalizzabili con il proprio nome, gadget, abbigliamento tecnico sia della nazionale italiana sia della Roma) e un'altra a un mercatino virtuale dove gli utenti registrati possono inserire offerte di compravendita degli oggetti più disparati. Un'impostazione simile caratterizza il sito di Alessandro del Piero (http://www.alessandrodelpiero.com), realizzato interamente in tecnologia Macromedia Flash, che oltre a una serie di screensavers, wallpapers e cartoline elettroniche, è formato da varie sezioni: quella 'community' contiene una rubrica di risposte alle mail dei tifosi e una chat; un'altra parte è riservata alle ultime notizie sul calciatore e sulla sua squadra; nella sezione 'My life' Del Piero si racconta. Analogamente al sito di Totti, è presente un 'Del Piero e-shop', in cui si possono acquistare maglie e palloni ‒ anche autografati ‒ e un libro fotografico, su richiesta anche numerato e autenticato dal calciatore.
Speculari a quelli dei campioni sono i siti dei tifosi, vere e proprie comunità virtuali spesso ricchissime di contenuti. La loro caratteristica più notevole è il costante aggiornamento, pari a quello che si può avere nei grandi portali dedicati allo sport. Per quanto riguarda il panorama italiano, anche in questo settore un ruolo dominante è svolto dal calcio, con alcuni siti più generali affiancati da una miriade di siti dedicati alle singole squadre.
Uno dei maggiori fra quelli generali è Tifo-Net (http://www.tifonet.it). I contenuti comprendono foto, audio e video, cartoline virtuali, notizie, una sezione su rivalità e gemellaggi fra squadre nel calcio italiano ‒ con possibilità per l'utente di lasciare un proprio commento nel forum dedicato ‒, i testi dei cori delle varie squadre, e una sezione 'Vita da ultrà' riservata ai racconti in prima persona dei protagonisti del tifo. Rilevante anche il ricco catalogo di siti delle squadre, sul tifo, dei e sui calciatori, e l'elenco delle webzines, giornali e fonti informative dedicati al mondo del calcio su Internet.
Da segnalare anche Progetto Ultrà (http://www.progettoultra.it), nato per difendere la cultura popolare del tifo e per cercare di ridurre quanto più possibile gli episodi di violenza, attraverso un lavoro svolto in collaborazione con i gruppi di tifosi e le istituzioni. Il progetto alla base del sito è finanziato in parte con i fondi della Regione Emilia-Romagna e della Commissione Europea ed estende la sua azione sia on-line sia off-line. Interessante, per es., l'iniziativa di costituire un vero e proprio archivio sul tifo, consultabile a richiesta, che raccoglie una notevole documentazione proveniente da tutta Europa: si va dalle fanzines ai libri, dagli articoli di giornale alle tesi di laurea, dalle foto a materiali di varia natura su violenza, razzismo e culture giovanili. Coerentemente con la sua impostazione Progetto Ultrà contiene anche un forum e una sezione dedicata a recensioni di libri sull'argomento.
Riguardo agli altri sport, un vasto seguito di appassionati che hanno dedicato al loro sport preferito siti particolarmente ben fatti si riscontra per la Formula1. Per es. Mito Ferrari (http://www.mitoferrari.it) contiene tutto quanto il fan della Ferrari possa desiderare, oltre a notizie sempre aggiornate sul mondo della Formula 1 in generale.
Come abbiamo già rilevato, Internet rappresenta per gli sport minori un'importante opportunità di comunicazione di contro alla scarsa attenzione a essi rivolta dai media tradizionali.
Un esempio tipico è il trekking, disciplina che gode di un gran numero di appassionati ma sulla quale, al di fuori delle riviste specializzate, è in genere difficile reperire informazioni. Su Internet, invece, le sono dedicati numerosi, siti, come per es. Planet Mountain (http://www.planetmountain.com/trekking) e Trekking Italia (http://www.trekkingitalia.com), ambedue notevoli per accuratezza grafica e mole di informazioni offerte. Il primo rende disponibili anche mappe dettagliate dei percorsi, mentre il secondo organizza escursioni in tutta Italia.
Un discorso analogo può essere fatto per il parapendio: prima di Internet, chi avesse voluto praticarlo doveva raccogliere in libreria qualche notizia e iniziare una faticosa ricerca di una scuola o di un centro nelle vicinanze. Adesso invece il sito Parapendio.it (http://www.parapendio.it) offre un dettagliato elenco di scuole nelle varie regioni d'Italia, una rubrica FAQ (Frequently asked questions), consigli su 'dove volare', nonché una nutrita serie di collegamenti ad altre risorse on-line.
Moltissimi siti sono dedicati al windsurf, vero e proprio sport di culto, diffusissimo negli Stati Uniti e molto popolare anche in Europa e in Italia. Fra i tanti si segnala Freestyler (http://www.freestyler.it), che si occupa di tutti gli sport che su neve, su acqua, su strada, fanno uso di una tavola: quindi snowboard, skateboard, surf. Sulla home page sono evidenziate soprattutto la sezione di comunità virtuale e le notizie, mentre nelle pagine interne dedicate ai vari sport ci sono consigli per i principianti, indicazione di locations (cioè i posti più belli in cui praticare lo sport), persino consigli su come costruirsi da soli le attrezzature.
Tutti questi siti, grazie all'interattività del mezzo Internet, funzionano non solo come diffusori di notizie e di informazioni ma anche come punto di ritrovo virtuale per appassionati; attorno a essi si aggrega spesso una vera e propria comunità, i cui membri si scambiano trucchi, consigli, esperienze, foto e a volte si incontrano anche nella vita reale.
Se per sport si intendono non solo le varie discipline sportive ma anche il fitness nel senso più ampio del termine, vale a dire tutto quel complesso di attività volte a raggiungere una buona forma fisica e un benessere psicofisico globale, questo è senz'altro uno dei settori in cui più fertile si è rivelato il rapporto fra sport e Internet. Anche sull'onda della popolarità di cui gode il fenomeno fitness e della conseguente sempre maggiore attenzione che un numero crescente di persone dedica al proprio corpo, sono nati moltissimi siti dedicati alla forma fisica che spaziano dallo sport propriamente detto alla dieta e alle pratiche antistress.
Infatti, in base al principio secondo il quale non si può ottenere una buona forma fisica senza curare contemporaneamente il benessere mentale, cercando di combattere o di controbilanciare le cause di stress, nei principali siti sul fitness si trovano sezioni dedicate all'alimentazione e alla dieta (ivi compresi gli integratori alimentari, spesso pubblicizzati o venduti direttamente in siti di questo genere), alle tecniche di rilassamento, allo stretching, a come scegliere lo sport più adatto. Vengono inoltre fornite istruzioni, a volte particolarmente ben fatte e dettagliate, su come intraprendere un'attività fisica piuttosto che un'altra, come impostare l'allenamento, come evitare di farsi male praticando sport nel modo sbagliato e a quali cure ricorrere nel caso di infortuni.
Fra i portali di fitness più visitati si può menzionare Canale Fitness (http://fitness.canalesport.com), parte del network di Canale Sport che, oltre alle sezioni su benessere, alimentazione, fitness, offre la possibilità di cercare un personal trainer per regione e disciplina sportiva: basta impostare la maschera di ricerca e si ottiene un elenco di professionisti con curriculum e contatti. Un'altra caratteristica è il virtual trainer: in un'apposita sezione, viene indicata tutta una serie di esercizi sia di stretching sia di potenziamento per la parte del corpo che si desidera allenare (la si evidenzia cliccando sulla figura di un corpo umano, visto di fronte e di schiena). Ogni singolo esercizio è descritto anche con l'ausilio di un grafico animato.
Un target più femminile che maschile ha invece Wayfitness (http://www.wayfitness.net) con tre sezioni molto ampie rispettivamente su bellezza, salute, corpo e mente. Accanto agli esercizi e alla dieta si trovano consigli su antiche discipline orientali (ikebana, yoga, tecniche di respirazione ecc.), sui luoghi del benessere (beautyfarm, bagni turchi, centri benessere) e sulla salute non necessariamente legata all'attività sportiva.
Dedicato specificamente a una disciplina è Body Building Italia (http://www.abodybuilding.com), in cui si affronta ogni aspetto, teorico e pratico, del body building. Anche qui è presente un corpo umano cliccabile con tutti gli esercizi più adatti per allenare i vari muscoli, ma anche una ricchissima sezione di dietologia, una di medicina dello sport e una sui vari aspetti del doping. Particolarmente curata è la parte sull'allenamento, divisa in sottosezioni e ricca di informazioni utili per ogni livello di praticanti.
Un'attenzione particolare meritano i siti che si occupano di sport e handicap. In rete sono rappresentate infatti numerose associazioni ‒ attivissime ma semisconosciute al grande pubblico ‒ che hanno il fine di permettere anche a chi è nato con un handicap (mentale o motorio) o ne è stato colpito nel corso della vita di praticare uno sport, anche a livello agonistico. Attraverso Internet da una parte è facilitato l'accesso alle informazioni per i soggetti interessati, dall'altra si diffonde la conoscenza del fenomeno e si raccolgono donazioni o contributi volontari di altro genere.
Per es. Special Olympics ‒ un'organizzazione internazionale la cui missione è aiutare persone mentalmente ritardate ad acquisire una piena forma fisica e, tramite lo sport e l'allenamento, a sviluppare fiducia in sé stessi ‒ è molto attiva su Internet. Attraverso il suo sito (http://www.specialolympics.it), oltre a diffondere notizie sulle attività dell'associazione, dà la possibilità di contribuire tramite donazioni o partecipando al programma volontari, al quale ci si può iscrivere direttamente on-line.
Un altro importante sito del settore è quello della Federazione italiana sport disabili (http://www.fisd.it) che raggruppa al suo interno informazioni su tutte le discipline sportive che possono essere praticate dai portatori di handicap. Tramite il sito è possibile trovare, regione per regione, gli indirizzi a cui rivolgersi per avere informazioni.
Un aspetto non irrilevante nel rapporto tra sport e Internet è quello ludico, che non si riferisce ai numerosi giochi a scommesse legati allo sport (totocalcio, totogol, totip ecc.) né alle scommesse vere e proprie, bensì ai cosiddetti 'fantasport' che hanno in rete una enorme diffusione.
Emblematico è il caso del calcio: nella versione virtuale di questo sport, il Fantacalcio, ognuno può provare l'emozione di essere allenatore, curando tutti gli aspetti della gestione di una squadra: dagli acquisti dei calciatori (che sono quelli realmente esistenti) all'indicazione della formazione che di volta in volta andrà in campo. A inizio campionato ciascun partecipante ha a sua disposizione un determinato budget da investire (da notare che la gestione del budget non comporta solo l'acquisto iniziale dei giocatori, ma anche il pagamento degli stipendi, eventuali prestiti da rimborsare alle banche ecc.). Prima di ogni partita di campionato, il giocatore deve decidere la composizione della squadra. A fine giornata, vince la squadra i cui giocatori hanno ottenuto i migliori risultati nelle partite 'reali'. Nato al di fuori di Internet, il Fantacalcio ha conosciuto grazie alla rete un'enorme diffusione, in virtù della facilità di accesso, della possibilità di controllare in tempo reale i risultati e di potersi scambiare opinioni con altri appassionati. Quasi tutti i principali portali, sportivi e non, offrono ai propri utenti un campionato di calcio virtuale. Kataweb (http://www.fantacalcio.kataweb.it), oltre alla gestione dei tornei, consente l'iscrizione a pagamento a un club, 'Fantacalcio Gold', che permette di ricevere premi reali per le performance virtuali della propria squadra. Caltanet ha creato il servizio Fantatornei (http://www.fantatornei.com), tramite il quale vi è la disponibilità di giocare on-line numerosi tornei anche con la possibilità di sfidare virtualmente uno contro uno un altro appartenente alla community. In entrambi i casi oltre alla gestione gratuita dei vari giochi c'è una sezione di e-commerce, con vendita di vari gadget legati al mondo dei fantasport.
Oltre al Fantacalcio grande seguito hanno anche il FantaFormula1 (http://www.fantaformula.com), il Fantaciclismo (http://www.fantaciclismo.net) e il Fantabasket (http://www.fantabasket.com). Proprio come avviene per gli sport reali, anche per i fantasport esiste una lega: la Lega italiana fantasport con un suo sito Internet (http://liif.gioco.net).
Portali, chat, gruppi di discussione, siti personali dei campioni delle varie discipline, siti dedicati ai fantasport costituiscono i poli ideali di un'immensa comunità virtuale che su Internet si riunisce in nome della comune passione per lo sport in tutti i suoi aspetti. In essa i navigatori interagiscono fra loro e con i protagonisti dei loro sport preferiti, ricostruendo nel ciberspazio quelle forme di legame sociale legate allo sport che i ritmi di vita delle società post-moderne e la progressiva trasformazione dello sport in un vero e proprio settore economico avevano in qualche modo fatto perdere.
Messa a confronto con questo aspetto interazionale e comunitario, la semplice fruizione dell'informazione sportiva sulla rete perde di originalità. I grandi siti dedicati allo sport, le sezioni sportive dei grandi portali, le versioni on-line dei grandi quotidiani sportivi ‒ uno dei siti sportivi di maggiore successo in Italia è quello della Gazzetta dello sport (http://www.gazzetta.it) ‒ non sono che la riproduzione su Internet dei comuni giornali di settore.
Naturalmente Internet è uno specchio fedele dei rapporti di forza vigenti nel mondo reale. Gli sport più seguiti e che godono quindi del giro di affari più considerevole sono anche quelli più rappresentati in rete. D'altra parte la maggiore facilità nell'accedere alla comunicazione su Internet ‒ intendendo per accesso non solo la fruizione in qualità di utenti ma anche in qualità di produttori di contenuti ‒ ha reso possibile utilizzare la rete per dare visibilità a discipline e iniziative altrimenti assai poco rappresentate sui media tradizionali. E non si deve dimenticare che la rete permette all'utente di interagire con chi ha messo on-line il contenuto e con altri utenti che come lui navigano su un determinato sito.
Infine c'è da considerare l'aspetto legato alla pratica sportiva diffusa. Sulla spinta delle mode culturali che impongono sempre più cura e attenzione per il proprio corpo, Internet si sta trasformando in un punto di riferimento per milioni di dilettanti che, tramite la rete, possono impostare un programma di allenamento e una relativa dieta, chiedere consigli a esperti, commentare i propri progressi e le proprie difficoltà. Una possibilità che prima era limitata e circoscritta a pochi.
Da questo punto di vista, grazie alle passioni che suscita, lo sport è uno dei settori in cui le potenzialità innovative della comunicazione on-line si esplicano pienamente: analizzare il mondo dello sport sulla rete, quindi, è interessante non solo per chi si occupa di sport, ma anche per chi cerchi di capire e interpretare gli effetti sociali e culturali dei nuovi media.
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