SPONSALI
. Diritto babilonese. - Il matrimonio babilonese, quale appare dal codice di Hammurabi, ha base nella compera della donna e, per quanto ormai il prezzo (tiréatu) abbia perduto il carattere reale per assumere un carattere più che altro simbolico, serba tuttavia le caratteristiche dell'antica funzione. In un primo tempo il matrimonio doveva consistere in una compravendita a contanti; successivamente si distinguono in ordine cronologico due momenti: la dazione della tiréatu e la consegna della donna. La consegna della tiréatu da parte dello sposo prima della traditio puellae costituisce un vero e proprio atto preliminare che possiamo chiamare di fidanzamento, e che fa sorgere fra le parti una serie di rapporti giuridici. La donna è considerata come già unita da un vincolo di parentela al futuro marito e rispettivamente essa, lo sposo e i genitori prendono titolo di moglie, marito e suoceri. La violazione della fidanzata è punita, come l'adulterio, con la pena di morte (par. 130). Se una delle parti si ritira dall'obbligo di adempiere le nozze, perde la tiréatu o la deve restituire nel doppio (par. 161). Altri effetti sono dichiarati nei paragrafi 155, 156. Si noti però che non mancano autori (ad es., E. Cuq), i quali ritengono la dazione della tiréatu non essenziale per l'esistenza del matrimonio.
Nelle leggi assire la tiréatu sembra rimessa alla fanciulla e non al padre di lei: secondo Koschaker, il fidanzamento si potrebbe anche compiere con la semplice promessa della tiréatu e non col suo pagamento effettivo. Il fidanzamento è accompagnato da atti simbolici e da regali al padre della sposa.
Diritto ebraico. - Il diritto mosaico presenta uno stretto parallelismo col diritto del codice di Hammurabi. Anche qui il fidanzamento ha la sua base nel pagamento del prezzo della donna (mohar); anche qui gli sponsali fanno sorgere un vincolo di semiparentela e il fidanzato acquista speciali diritti sulla fanciulla. Esempio caratteristico si ha nel celebre racconto del matrimonio di Rebecca. La violazione della donna unita in fidanzamento è considerata come un reato assai simile all'adulterio e gravemente punito (Ex., XXII, 16; Deut., XXII, 28-29). Il fidanzato è esentato dal servizio militare (Deut., XX, 7), la fidanzata acquista la medesima posizione sociale del fidanzato, il fidanzamento fa sorgere i divieti del matrimonio fra i parenti del fidanzato (Talmūd bab., Kethuboth, V, 1, 54 b; 85 b). Gli sponsali non possono essere sciolti se non con cerimonia simile al divorzio e la donna ha il diritto alla somma prescritta per le vedove e le divorziate (Talmūd bab., Nedarim, X, 1, 66 b; 42 d).
La dottrina talmudica distingue l''erūssīn o qiddušin dal nissū'in. Il primo consiste nella redazione del contratto di matrimonio confermato con la consegna alla donna di una moneta d'argento, secondo la scuola di Hillel. Tale fidanzamento fa sorgere fra i contraenti gli effetti giuridici sopra descritti; inoltre, i beni che la donna acquista per eredità dopo il fidanzamento diventano di proprietà del marito (Khethuboth fol. 78, Perek VIII mišnah).
Diritto greco. - Per l'epoca omerica generalmente si ritiene che il fidanzamento consistesse nella consegna degli ἕδνα dal futuro marito al padre della fanciulla. Si discute sul carattere di questi ἕδνα, ma sembra fossero in origine il prezzo della donna, trasformatosi in progresso di tempo in una dazione di carattere simbolico. Non sappiamo, dato il silenzio delle fonti in proposito, quale fosse la condizione dei fidanzati in questo periodo prima che seguisse il matrimonio, né è possibile su questo punto se non formulare delle ipotesi.
Assai discusso è anche l'istituto degli sponsali nel diritto attico in epoca più recente. Una tesi, un tempo assai diffusa, tende a vedere nell'ἐγγύησις un atto di fidanzamento (I. Partsch, P. Koschaker e altri). La tesi è però negata con validi argomenti dal Bauchet e da una più recente dottrina (Bozza, Erdmann); sembra che nel diritto attico di quest'epoca mancasse un istituto giuridico che potesse rassomigliarsi agli sponsali.
Diritto romano. - Assai discusso è il sistema degli sponsali nell'antico diritto romano. Un passo di Gellio (Noct. Attic., IV, 20), nel quale si riportano un testo di Servio Sulpicio, e un passo di Varrone (De lingua lat., I, 70), sembrano far pensare che gli sponsali si compiessero nella forma della sponsio e che, se taluno dei contraenti recedeva dall'impegno, l'altra parte avesse il diritto di agire mediante un'actio ex sponsu e di ottenere una somma di denaro quantique interfuerat eam uxorem accipi aut dari. Questo sistema, a detta di Gellio, sarebbe stato ancora vigente nel Lazio nel 90 a. C. Nel diritto classico tale sistema sembra abbandonato. Nel Digesto è menzionata l'etimologia di sponsalia da spondere: nam moris fuit veteribus stipulari et spondere sibi uxores futuras (XXIII, 1, de spons., 2 e 3). In XXIII, 1, de spons., 1, troviamo la definizione sponsalia sunt mentio et repromissio nuptiarum futurarum, e in varî testi (ibid., 7 e 11) si accenna alla mancanza di forme e alla libertà di recesso incolpevole dagli sponsali (ibid., 4; 5; Dig., XLV, 1, de verb. obl., 134). Gli sponsali possono farsi a primordio aetatis con la restrizione (che alcuni autori, contraddetti però da altri, attribuiscono ai giustinianei) si modo id fieri ab utraque persona intellegatur (ibid., 14). È sufficiente il solo consenso a costituire gli sponsali (ibid., 4) e possono compiersi anche fra assenti (ibid., 4; 5). Si richiede anche il consenso delle persone, il cui consenso è richiesto per il matrimonio; per il filiusfamilias è necessario il consenso espresso del paterfamilias (ibid., 13) e quello di lui. Si discute invece circa il consenso della filiafamilias. L'opinione dominante ritiene sulla base delle fonti, che per la validità degli sponsali della filiafamilias si richieda non il consenso espresso di essa, ma l'assentimento passivo alla volontà paterna, manifestato con il semplice non dissentire. S. Solazzi (contraddetto però da varî autori) ritiene invece che fosse sufficiente il consenso del solo paterfamilias. Quanto agli effetti degli sponsali, nel Digesto e nel Codice troviamo varî passi che tenderebbero ad equiparare per una serie di casi i fidanzati ai coniugi.
Una recente teoria (E. Volterra) sostiene che quasi tutti questi passi sono dovuti a innovazioni postclassiche e giustinianee o si riferiscono all'antico diritto non più in vigore e che nel diritto classico non sarebbero stati riconosciuti se non pochi effetti i quali confermerebbero il carattere più sociale che giuridico degli sponsali dell'epoca (nota d'infamia a chi stringeva doppî sponsali; esenzione dei fidanzati, dei futuri generi e suoceri dal testimoniare l'uno contro l'altro).
Nell'epoca postclassica l'istituto subisce una radicale trasformazione. Sorgono nuovi istituti: arra sponsalicia, donazione nuziale, pena convenzionale, i quali tendono sempre più ad avvicinare gli sponsali al tipo di quelli orientali (v. arra: Arrae sponsaliciae; donazione). Lo scioglimento degli sponsali non è più libero; già in due costituzioni di Costantino (C. Th., III, 5, 2; III, 5, 6) si riconoscono diritti degli sposi sulle donazioni fatte, distinguendo inoltre se queste sono o meno compiute osculo interveniente (C. Th., III, 5, 6; Cod. Iust., V, 3, de don. a. nupt., ecc., 16); nel diritto giustinianeo se lo scioglimento avvenga fuori di iustae causae determinate, è sancita la perdita delle arrae o la restituzione di esse nel duplum (secondo il diritto teodosiano nel quadruplum). Gli sponsali debbono compiersi non prima dei 7 anni; nelle tarde fonti bizantine appaiono compiuti con i riti e conformemente alle norme della chiesa orientale (v., ad es., Ecloga, I, 1; Ecloga privata Aucta, I, 1; Nov. Leonis, 18; 74; 109; Concilio Trullanico, can. 98). La Chiesa dichiara indissolubile il fidanzamento compiuto con la ἱερὰ εὐλογία. Leone il Filosofo con la Nov. 74 (v. anche Nov. 109 e Nov. Alessii Comneni 24) vieta di procedere a questa benedizione prima dell'età di 12 e 14 anni.
Diritto intermedio. - L'influenza della legislazione costantiniana si riscontra nel Breviarium Alaricianum, dove è riportata la norma di Costantino (C. Th., III, 5, 5) intorno al diritto dei fidanzati sulle donazioni nel caso di scioglimento degli sponsali contratti osculo interveniente. In Italia ben presto, però, la cerimonia degli sponsali tende a identificarsi con la cerimonia del matrimonio vero e proprio.
Nelle legislazioni germaniche l'atto del fidanzamento sembra fosse distinto dal matrimonio (compiuto per compravendita) sin dall'epoca di Tacito. Nell'editto di Rotari è ricordato il dies sponsaliorum (178; 190; 192), cioè il giorno in cui le parti si accordavano sul futuro matrimonio e sul prezzo (v. mefio) della sposa. Il mefio può pagarsi in quel giorno (179; 180; 182; 183; 215) e può anche essere promesso sotto la garanzia della wadia e dei fideiussori (Liutpr., 117). I documenti e le formule presentano varî esempî di consegna della donna da parte del mundualdo allo sposo con le armi, il mantello, il guanto: lo sposo poi la riconsegnava con le medesime formalità, accomendandola sino al matrimonio: in altri documenti vi è anche la menzione della wadiazione reciproca e quella dei fideiussori. Si discute fra gli storici se, e quando, il consenso della donna all'atto abbia avuto valore giuridico. Nell'Editto di Liutprando (cap. 30), per evidente influenza romano-cristiana, compare la menzione dell'anulus pretii, mediante il quale la sposa è subarrata al marito. In Paolo Diacono vi è inoltre la menzione dell'osculum (III, 30).
Nei diritti germanici gli sponsali non possono sciogliersi se non per determinate cause elencate negli editti: 1. adulterio della donna (Roth., 179); 2. grave malattia (Roth., 180); inimicizia fra le famiglie degli sposi (Liutpr., 119). Gli sponsali sono limitati a due anni (Roth., 178: influenza romana?). Norme press'a poco analoghe si riscontrano presso i Visigoti e i Bavari. Sotto certi aspetti la fidanzata è equiparata alla moglie: così, se ha commercio con altro uomo, è punita di adulterio. Nel caso di non conclusione del matrimonio, lo sposo perdeva il prezzo e il mundualdo pagava il doppio del mefio.
Nel diritto canonico in un primo tempo troviamo applicati i medesimi principî che vigono nel diritto romano dell'ultima epoca: probabilmente, la rassomiglianza è dovuta al fatto che le tarde costituzioni imperiali si riferiscono all'istituto cristiano degli sponsali (E. Volterra). Così si fissano gravi pene per la rottura degli sponsali: la parte incolpevole lucra le donazioni nuziali e le arrae, mentre continua a esser vietata ogni altra stipulazione di pena (C. J. C., X, 4, 1, 29, de spons.). I canonisti medievali svolgono una nuova teoria, distinguendo fra sponsalia de praesenti e sponsalia de futuro. La distinzione, molto discussa, viene accettata in questi termini dalla dottrina dominante: i primi sarebbero identici alla desponsatio germanica: cioè, il contratto di matrimonio sarebbe con essi perfetto; la traditio puellae non costituirebbe un nuovo contratto, ma sarebbe la conseguenza dell'unico essenziale rapporto conchiuso mediante la desponsatio (A. Solmi e M. Roberti). I secondi si presenterebbero, invece, assai simili agli sponsali romani, cioè rappresenterebbero un preliminare del contratto di matrimonio e obbligherebbero giuridicamente a contrarre le nozze. Le due forme, però, dopo il sec. XI sembrano avvicinarsi fra loro.
Il diritto canonico, secondo la dottrina di Bernardo di Pavia, ammette quattro forme distinte per gli sponsali: la promessa, lo scambio delle arrae, la consegna dell'anello, il giuramento. Dopo il sec. XIII l'istituto degli sponsali fu oggetto di profondo esame da parte dei canonisti, non sempre concordi fra loro. Alcuni li consideravano matrimonium initiatum (Clemente IV), mentre altri erano di diversa opinione (Alberto Magno, Scoto). Varie questioni sorsero in merito alle forme degli sponsali, alla loro conclusione per mezzo di terzi, alla capacità dei contraenti, allo scioglimento. Il concilio di Trento stabilì l'obbligo dei fidanzati di non sciogliere gli sponsali se non per cause determinate e riconobbe nel fidanzamento un impedimento proibente di pubblica onestà per contrarre il matrimonio. Il matrimonio compiuto dopo avere sciolto gli sponsali è valido, ma illecito.
Nel Codex iuris canonici (1917) furono riprodotte con scarse modificazioni le disposizioni del decreto Ne temere, 19 aprile 1908. Il can. 1017 stabilisce l'obbligo di compiere gli sponsali mediante atto scritto firmato dalle parti e dal parroco. Nega ogni azione per ottenere l'adempimento del matrimonio, concedendo solo il risarcimento dei danni effettivi, in caso di scioglimento senza giusta causa. Non è invece ripetuta la dottrina canonica che considera gli sponsali come un impedimento al matrimonio.
Nel regolamento degli sponsali secondo i varî diritti statutarî è evidente l'influenza talvolta del diritto romano, talvolta del diritto canonico, talvolta dei diritti germanici. Così, nel diritto consuetudinario milanese e negli statuti modenesi l'elemento romano giustinianeo si rivela nell'importanza data al consenso della donna nell'età minima di sette anni fissata per i contraenti, nell'equiparazione, per varî effetti, della fidanzata alla moglie. Invece, nel diritto toscano, l'elemento che sembra dominare è senza dubbio quello germanico.
Legislazioni moderne. - Il codice civile francese non statuisce nessuna norma relativa agli sponsali, ma la giurisprudenza sin dal principio del secolo XIX ha sempre ritenuto che la promesse de mariage, pur non facendo sorgere nessuna azione per pretendere l'adempimento del matrimonio, possa dar luogo, in base all'art. 1382, al risarcimento dei danni, specie nel caso di seduzione. Il codice austriaco (par. 45 e 46) non riconosce azione per ottenere l'adempimento del matrimonio, ma ammette il risarcimento del danno prodotto. Il codice germanico (par. 1298-1302) ammette anch'esso il risarcimento dei danni. Il diritto anglosassone riconosce assai più largamente il risarcimento dei danni anche morali. Il codice svizzero (articoli 90-95) ammette un risarcimento per le spese e, in casi gravissimi, anche per i danni morali. I codici italiani anteriori a quello del 1865, a differenza di quello francese, statuiscono espressamente in alcuni articoli in merito alla promessa di matrimonio. Il codice napoletano del 1819, all'art. 148, stabiliva che "la promessa, fatta davanti all'ufficiale civile, desse luogo in caso di inadempimento al risarcimento del danno in vantaggio della persona che non avesse dato ragionevole motivo a recederne". Il codice sardo agli articoli 106 e 107 concedeva invece azione civile per gli sponsali fatti "per pubblico strumento ovvero per scrittura privata", dando diritto alla parte incolpevole di chiedere il risarcimento del danno effettivamente sofferto e negando in pari tempo ogni valore alla clausola penale. Il legislatore italiano seguì diversa via in questa materia, accentuando ancora più il principio dell'assoluta spontaneità e libertà del volere e cancellando ogni traccia di quell'attenuato costringimento che anche secondo qualcuno dei codici preesistenti poteva derivare dagli sponsali. L'art. 53 cod. civ. dispone: "la promessa scambievole di futuro matrimonio non produce obbligazione legale di contrarlo né di eseguire ciò che fosse convenuto per il caso di non adempimento della medesima". L'art. 54 stabilisce che "se la promessa fu fatta per atto pubblico o per scrittura privata da chi sia maggiore d'età, o dal minore autorizzato dalle persone, il concorso delle quali è necessario per la celebrazione del matrimonio, oppure consta dalle pubblicazioni ordinate dall'ufficiale dello stato civile, il promittente che ricusi di eseguirla senza giusto motivo è obbligato a risarcire l'altra parte delle spese fatte per causa del promesso matrimonio".
Si è lungamente disputato in dottrina su questi articoli, specialmente per determinare la natura giuridica della promessa di matrimonio nel diritto italiano vigente. Nell'obbligazione posta a carico del fidanzato alcuni ravvisano un'obbligazione nascente da colpa contrattuale (P. Chironi, C. Fadda, N. Coviello, F. Degni, P. Cogliolo, G. Tedeschi), altri da colpa extracontrattuale (A. Cicu, R. De Ruggiero), altri ancora pensano a una responsabilità precontrattuale, nascente da colpa in contrahendo (F. Degni). L'azione è inammissibile decorso un anno dal giorno in cui la promessa doveva essere eseguita o, mancando un termine prestabilito, decorso l'anno dall'accertato rifiuto. Non mancano discussioni circa la capacità e il consenso dei contraenti, circa la forma della promessa, circa le giuste cause di recesso, ecc.
Per quanto riguarda le donazioni fra fidanzati, il cod. civ. agli art. 1062 e 1068 ha regolato le donazioni vere e proprie (cioè compiute con le formalità richieste dall'art. 1056), sottoposte alla condizione che segua il matrimonio. Vi è invece controversia circa la restituzione, in caso di rottura del fidanzamento, dei doni manuali scambiati fra i promittenti. La giurisprudenza prevalente distingue fra le donazioni di oggetti di valore destinati al futuro matrimonio e altri donativi, applicando ai primi le regole dell'art. 1068.
La legge matrimoniale del 1929 non contiene alcuna regola speciale per gli sponsali. Come avverte A. Ravà, dopo il concordato del 1929 fra lo Stato italiano e la S. Sede, la promessa di matrimonio nel diritto italiano deve intendersi non più solo promessa di matrimonio civile ma in genere promessa di matrimonio valido agli effetti civili.
Bibl.: Per i diritti antichi: E. Cuq, Études sur le droit babylonien, Parigi 1929 (con bibl.); J. Selden, Uxor ebraica, Witt 1712; J. Buxtorff, Dissertatio de sponsalibus et divortiis, Basilea 1652; J. Benzinger, Hebräische Archäologie, Tubinga 1907; J. Neubauer, Zur Geschichte des Bibl. Talmud. Eheschliessungsrecht, in Mitteil. d. vorderasiatischen Gesellschaft, Lipsia 1920; L. Beauchet, Histoire du droit privé de la République athénienne, I, Parigi 1897; L. Bozza, Il matrimonio nel diritto attico, in Annali Sem. Giur. R. Università Catania, I (1934); W. Erdmann, Die Ehe im alten Griechenland, Monaco 1934 (con bibl.); P. Bonfante, Corso di diritto romano, I, Roma 1925, p. 225 segg.; E. Volterra, Ricerche intorno agli sponsali in diritto romano, in Bull. ist. dir. romano, XL (1932); id., Sul consenso della filiafamilias agli sponsali, Roma 1929; id., Studio sull'arrha sponsalicia, in Riv. it. per le scienze giuridiche, s. 2ª, I, III, IV (1927, 1929, 1930); V. Arangio-Ruiz, Istituzioni di diritto romano, 3ª ed., Napoli 1934, p. 429 segg.
Per il diritto intermedio: E. Friedberg, Verlobung und Trauung, Lipsia 1876; N. Tamassia, Osculum interveniens, Torino 1885; A. Esmein, Le mariage en droit canonique, voll. 2, Parigi 1891 (2ª ed. del vol. I, ivi 1929); F. Brandileone, Saggi sulla storia della celebrazione del matrimonio in Italia, Milano 1906; F. Schupfer, Il diritto privato dei popoli germanici, I, Roma 1907, p. 258 segg.; F. Schupfer, Il diritto privato dei popoli germanici, I, Roma 1907, p. 258 segg.; M. Roberti, Svolgimento storico del dir. privato in Italia, III, Padova 1935, p. 55 segg.; E. Friedberg-F. Ruffini, Diritto eccles., Torino 1893, p. 615.
A. Colin, Des fiançailles, Parigi 1887; J. Jacomet, Des fiançailles, Montpellier 1902; J. Desvouges, Des fiançailles, Parigi 1914; R. Sohm, Trauung und Verlobung, Weimar 1876; U. Stutz, Die Rechtsnatur des Verlöbnisses, Tubinga 1900; H. Dittenberger, Das Verlöbnisrecht, ecc., Halle 1901; L. Nathan, Die jur. Konstruktion des Verlöbnisses, ecc., Berlino 1902; S. Glaser, Die rechtliche Natur des Verlöbnisses, ecc., Halle 1904; A. Tortori, La promessa di matrimonio nel diritto e nella giurisprudenza, Torino 1898; A. Cicu, Diritto di famiglia, Roma 1915; N. Stolfi, Diritto di famiglia, in Diritto civile, V, Torino 1919 segg.; G. Tedeschi, La promessa di matrimonio nel diritto civile italiano, in Arch. giur., CIV (1930); A. Ravà, Lezioni di diritto civile sul matrimonio, Padova 1935, p. 188 segg. V. inoltre i numerosi trattatisti del matrimonio nel diritto civile italiano.