Vedi SPOLETO dell'anno: 1966 - 1997
SPOLETO (v. vol. VII, p. 456)
L'ultimo trentennio ha ampliato le conoscenze storico-archeologiche sulla vallata umbra e su Spoleto. I rinvenimenti più antichi sono relativi all'Età del Bronzo Antico, Medio e Recente. Durante l'Età del Bronzo Finale sembrano essere distribuiti lungo il versante NO del colle (Colle S. Elia, S. Simone e Giuda, S. Nicolò, Ss. Giovanni e Paolo, duomo), più adatto verosimilmente alle necessità degli insediamenti. Colle S. Elia è il punto privilegiato dei rinvenimenti sia dell'Età del Bronzo (XVIII-XVI fino al X sec. a.C.) sia dell'Età del Ferro.
Lo studio dei corredi delle necropoli dell'Età del Ferro (Campello: loc. S. Cipriano; S.: loc. Fosso Cinquaglia e S. Pietro), sondate all'inizio del secolo da G. Sordini, risulta allo stato attuale quanto mai incerto e utile solamente come base topografica di ricerca. Si distinguono tra i rinvenimenti grandi vasi d'impasto, a corpo sferico, breve collo cilindrico, orlo espanso e scanalature orizzontali parallele, o larghe scanalature circolari concentriche attorno a un disco centrale concavo. Più recentemente una tomba a fossa rinvenuta in località Piazza d'Armi (VII sec. a.C.) ha permesso il recupero di un sontuoso corredo bronzeo e fittile, i cui materiali mostrano collegamenti con l'area falisca e vetuloniese. Il ritrovamento è anche una conferma della precocità del tracciato stradale sul quale più tardi si insedierà la Via Flaminia. Un altro percorso di grande interesse doveva essere quello che da S. raggiungeva Colfiorito (sede dell'antica tribù dei Plestini) e Camerino, l'antica Camers, attraverso la c.d. Via della Spina. Anche i legami con Terni, Narni e la stessa Roma dovevano essere assicurati non solo via terra, ma anche attraverso il Tevere.
Gli insediamenti investono, durante l'Età del Ferro, tutto il colle su cui più tardi sorgerà la città e in particolare il versante nord-occidentale; Colle S. Elia sembra esserne il fulcro.
In alcuni saggi effettuati durante il restauro della Rocca Albornoziana, sono emersi frammenti d'impasto, di impasto buccheroide di tipo c.d. sabino e con decorazione a cordicella (VI-V sec. a.C.). Resti di capanne della fine dell'Età del Ferro (buche per i pali) sono stati individuati lungo il lato O della collina sotto il complesso di S. Nicolò. Su Colle S. Elia è riferibile al V sec. a.C. un santuario, non monumentalizzato, ed è identificabile dal ritrovamento di bronzetti schematici rappresentanti offerenti, guerrieri e una lancia.
Solo verso la fine del IV o all'inizio del III sec. a.C. appare avviato il processo di aggregazione urbana a S. come in altri centri dell'Umbria. Di quest'epoca è l'elmo da una tomba bolognese, che reca la formula con la quale un guerriero si qualifica, in piceno, come erimìnù spolitìù (= proveniente da Spoleto).
Testimonianza della penetrazione romana nel territorio amministrato con sistema paganico vicano è il ritrovamento in località La Bruna di Castel Ritaldi di un tesoretto di bronzi, databile al periodo della colonizzazione romana, composto da lingotti di aes rude e aes signatum, e da monete fuse (aes grave). L'interesse di Roma è comprovato essenzialmente dalla fondazione della colonia latina nel 241 a.C., data che segna il passaggio a una diversa organizzazione del territorio e affretta il processo di urbanizzazione del centro principale, poi imitato dagli altri piccoli centri della vallata (in particolare Spello, Assisi, Bevagna, Urvinum Hortense).
L'ampia vallata, come ricordano i Gromatici Veteres, viene centuriata e suddivisa tra i coloni romani che la sottopongono a un intenso sfruttamento. Come testimoniano le dediche dei boschi a Giove (Lex spoletina, CIL, XI, 4766) e alla Bona Dea (CIL, XI, 4767), esso implicava anche il disboscamento di zone un tempo coperte da foreste, di cui si sottintende salvaguardia e difesa e che vengono conseguentemente sacralizzate. La lex spoletina offre dati su una vasta zona della vallata, coperta di fitti boschi, attraversata ancora nel I sec. a.C. da fiumi navigabili (Tevere e Clitunno).
L'impianto coloniale della città, oltre alle deboli tracce degli assi viarî, alle porte urbiche, al foro e ai tratti principali della rete idrica, comprende la cinta muraria, in opera poligonale con un percorso di circa 2,3 km. Il processo di urbanizzazione si puntualizza nel corso del tempo: la monumentalizzazione e la costruzione dei principali edifici pubblici viene operata con la diffusione dell'opera cementizia e dell'opera incerta nel corso del II sec. a.C. Il percorso delle mura - recentemente datate da P. Fontaine, nella loro fase iniziale, al principio del III sec. a.C. - segue in modo rigoroso la conformazione delle linee di pendenza del colle. La disposizione della città sul colle ha influenzato la conformazione urbana, realizzata, contemporaneamente alle strade, su terrazze naturali a quote progressivamente digradanti poi rivestite e sostruite per migliorarne la naturale solidità geologica, tuttavia compromessa dai frequentisismi. Mentre nell'Età del Ferro era stato scelto per l'insediamento il versante Ν della collina, la colonia si distribuisce sui due versanti, S e O. Di particolare rilievo appare la posizione del foro, lungo circa 135 m (così come a Todi e a Spello) disposto in senso N-S, lungo il cardo maximus, mentre una via preromana, che segue la linea naturale del colle, in senso NO-Ε, si innesta direttamente verso l'acropoli. Tratti di basolato antico sono emersi in Via di Porta Fuga, lungo il percorso d'uscita della Via Flaminia verso Ν in direzione di Perugia. Contemporaneamente alle mura vengono costruite le principali infrastrutture, in particolare l'acquedotto, un tratto del quale, con andamento N-S, è stato rinvenuto già all'inizio del secolo sotto Piazza Fontana. Sotto il complesso di S. Nicolò, oltre la documentazione delle capanne dell'Età del Ferro, sono emersi una strada che permetteva, con un passaggio all'interno delle mura, di superare il dislivello tra Via Cecili e Via Gregorio Eliadio e un collettore per l'acqua.
L'acropoli della città è situata su Colle S. Elia: con la colonia viene monumentalizzata l'area sacra. Non rimane tuttavia allo stato delle ricerche traccia degli edifici, certamente rasi al suolo in occasione della costruzione della Rocca Albornoziana. Sono emersi tuttavia frustuli, rappresentati dalle decorazioni architettoniche fittili provenienti da templi di tipo etrusco-italico, resti di stipi sfuggite alle demolizioni, ceramica comune e a vernice nera, di produzione anche locale. I residui della stipe votiva databile tra il III e il II sec. a.C. (bovini, una piccola arula circolare, un frammento di testa votiva, vasetti miniaturistici a vernice nera) indicano un adeguamento del santuario al potere romano. Le decorazioni architettoniche fittili provengono da uno o più edifici sacri: si tratta di frammenti di antefisse, di lastre architettoniche, di statue in altorilievo provenienti dalla decorazione frontonale (III-II sec. a.C.) che testimoniano, forse, più fasi di uno stesso edificio sacro probabilmente costruito in occasione della deduzione della colonia; un blocco modanato di pietra calcarea, attribuibile al podio di un tempio è databile anch'esso al III sec. a.C. Nel corso del II e I sec. a.C. la città assume il suo aspetto più completo con la costruzione di templi urbani ed extraurbani (S. Ansano, S. Salvatore), opere pubbliche (teatro e anfiteatro), ed edifici privati (domus romana sotto il municipio).
In epoca augustea tra i personaggi localmente emergenti è da menzionare G. Oppio, amico di Cesare, al quale viene eretta sull'acropoli una base con relativa statua (CIL, XI, 4812). La gens Oppia è nota anche dalla produzione di materiali fittili, tra i quali numerosi bolli su ceramica a vernice nera rinvenuti in Via Cecili.
Tutt'attorno alla città e per un territorio che oltre S. si estende negli attuali comuni di Castel Ritaldi, Giano dell'Umbria, Campello sul Clitunno, è noto dalle fonti l’ager spoletinus (Feldmesser 225 Lachmann) compreso tra le colline su cui sorgeva il centro urbano e il corso del fiume Clitunno. I confini di questa vasta area giungono sino al fiume Nera verso E, verso S fino a Interamna Nahars, verso O fino a Carsulae e Tuder, verso Ν fino ai municipi di Trebiae e Mevania. Una buona viabilità collegava S. con Carsulae, con la statio o vicus ad Martis e con Todi, con Forum Flaminii, con Plestia-Colfiorito, con Norcia, con Terni.
Il tratto più antico della Via Flaminia, la principale arteria di collegamento verso S e N, probabilmente per il pericolo di impaludamenti, aveva nel territorio di S. un percorso pedemontano. La diffusione di villae e vici permette la precoce diffusione dell'agricoltura; l'unico prodotto noto dalle fonti è il vino, ricordato da Ateneo (1,27 b) e da Marziale (6, 89, 3; 13, 20; 14, 16).
Lo sviluppo del sistema di divisione centuriale è attestato dalla vastissima diffusione di iscrizioni, resti di monumenti funerarî, rilievi, rinvenuti sporadicamente o riadoperati in complessi soprattutto ecclesiastici d'epoca tardo- antica, altomedievale o medioevale. Essi permettono di ricostruire i rapporti economici e di dipendenza con centri vicini e lontani: interessanti appaiono alcuni toponimi e prediali (Eggi da Aegius, Protte da Protius, Pompagnano da Pomponius) ben ricollegabili con l'onomastica delle iscrizioni.
Normalmente gli insediamenti rustici e le principali ville suburbane sono individuabili da tombe o monumenti funerarî: lungo la Via Romana o delle Pecore doveva sorgere il nucleo principale delle proprietà della gens Codonia, di cui è rimasta una tomba a camera con iscrizione (CIL, XI, 4861), in laterizio con volta a botte in opera cementizia. Lungo la Via Tuderte, l'impianto di maggior rilievo è quello che si sviluppa, in tarda età repubblicana, presso Trignano, da dove proviene un'ara dedicata alla pietas di un famoso personaggio (CIL, XI, 4722), quel senatore Calvisio Sabino console nel 39 a.C., che insieme a L. Marcio Censorino, devoto a Cesare, tentò di proteggerlo quando fu assassinato. Lungo il versante settentrionale della Via Flaminia, all'uscita della città, la fascia accanto alla chiesa di S. Sabino appare come il punto nodale delle proprietà della gens Caesia (CIL, XI, 4856), assai nota nell'agro seminate e in tutta l'Italia centrale per i suoi vasti possedimenti. Altro luogo di grande interesse agricolo dovette essere la località Campo Salese dove, lungo un diverticolo della Via Flaminia, si sono recuperati numerosi blocchi di un grandioso monumento funerario, immersi in un terreno ghiaioso, probabilmente già impaludato dalle piene del vicino Marroggia. Il fiume Clitunno era molto più ampio rispetto al corso d'acqua attuale, ed era navigabile esattamente come il Tevere, almeno nel suo versante settentrionale, finché un terremoto, nel 446 d.C., lo prosciugò sino a ridurlo all'attuale ruscello. Numerosi piccoli sacelli erano distribuiti nelle vicinanze del fiume, alla cui divinità erano dedicati: il più importante era quello dedicato al dio Clitunno (Plin., Nat. hist., VIII, 8), con un particolare aspetto di divinità oracolare.
Lungo la via pedemontana che congiungeva S. con Foligno e Forum Flaminii, un'ampia area presso Villa Redenta/Campo del Vescovo è stata oggetto sin dal Settecento di rinvenimenti, che hanno circoscritto un insediamento (dal I alla fine del III sec. d.C.) di grande ampiezza e rilevanza economica proprio accanto all'ingresso Ν della città. Lungo lo stesso percorso sono state rinvenute due grandiose tombe, una ipogea in opera cementizia, in località Madonna di Lugo, e un'altra costituita da un imponente monumento funerario a cielo aperto in località Cortaccione. Il recinto di quest'ultimo è costituito da un muro in opus reticulatum coperto con grandi blocchi di calcare a sezione semicircolare, con una tipologia che trova confronti e corrispondenze in Italia settentrionale, ad Aquileia. All'interno del recinto è stata messa in luce una tomba costruita che dal I sec. d.C. continua a essere utilizzata sino almeno al III sec. d.C. Ancora in località Madonna di Lugo, vocabolo Pozzaccheri, è documentata una bonifica dei terreni paludosi, realizzata in epoca tardoantica da Teoderico (507-511 d.C.: Cassiod., Var., 11, 21). Essa è testimoniata da un condotto sotterraneo costruito per bonificare una superficie di circa 5 ha.
Museo Archeologico Nazionale di S. Agata. - Materiali provenienti dal Museo Civico e dai più recenti rinvenimenti sono organizzati in tre sale e disposti cronologicamente: dell'Età del Bronzo sono visibili i nuovi rinvenimenti effettuati presso la grotta di Campello (XVIII-XIV sec. a.C.) e presso la Rocca di Spoleto; grandi vasi d'impasto dalle necropoli di Campello e di S. Pietro documentano, insieme ai materiali provenienti dall'insediamento abitativo, l'Età del Ferro. L'epoca romana è illustrata da una serie di documenti epigrafici, di carattere sacro o pubblico, che vanno dall'età repubblicana all'epoca imperiale. Per quest'ultima epoca sono esposti una serie di ritratti dal I al III sec. d.C. Un'altra sala raccoglie i rinvenimenti relativi agli scavi effettuati su Colle S. Elia, in occasione dei recenti restauri della Rocca Albornoziana.
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