SPINOLA COLONNA, (Carlo) Filippo Antonio
SPINOLA COLONNA, (Carlo) Filippo Antonio. – Nacque a Milano tra novembre e dicembre del 1665 da Paolo Spinola Doria, terzo marchese di Los Balbases, e da Anna Colonna. Nulla si sa della sua infanzia e della sua prima giovinezza, vissute all’ombra del padre.
Nel 1682 Filippo Antonio, duca di Sesto, dal 1678 generale degli uomini d’arme in Lombardia, sposò Isabel Maria de la Cerda, figlia di Juan Francisco Tomás de la Cerda, duca di Medinaceli, in quel momento valido del sovrano. A partire da questo momento, Paolo cercò in tutti i modi di promuovere la carriera del figlio. Nel novembre del 1696, per sostituire il governatore di Milano, il Consiglio d’Italia propose come primo nome Fernando de Valdés, castellano di Milano e figlio naturale di Filippo IV, e come secondo quello di Filippo Antonio: la scelta, tuttavia, cadde su Carlo Enrico di Lorena, principe di Vaudemont.
Nello stesso anno 1696 nacque il primogenito Carlo Ambrogio. Il palazzo dei duchi di Sesto a Milano divenne il cuore della vita mondana milanese. Le ambizioni del duca erano ben note: nel 1698, l’agente del duca di Modena scrisse al suo signore che Spinola Colonna aveva offerto 24.000 dobloni per diventare governatore di Milano, ma l’offerta era stata rifiutata.
Alla scomparsa del padre, nel 1699, Filippo Antonio ne ereditò le fortune, i titoli, divenendo il quarto marchese di Los Balbases, e le cariche, fra cui quella di gran protonotario del Consejo de Italia. Pertanto si trasferì a Madrid: si vociferò persino che volesse acquistare il Principato di Piombino o creare un Principato nell’Italia settentrionale. Dopo la morte di Carlo II, giurò fedeltà a Filippo V di Borbone.
Nel 1700 tornò a Milano: in un viaggio a Venezia conobbe il compositore Giacomo Facco, che gli dedicò un’opera. Altre composizioni musicali vennero licenziate in suo onore da Tomaso Albinoni e Giovanni Francesco Urio. Nel 1703 fu nominato ambasciatore a Roma; tuttavia, egli non prese mai possesso della carica.
Lo scoppio della guerra di successione spagnola fra Filippo V di Borbone e Carlo III d’Asburgo ebbe notevoli ripercussioni sulle vicende della famiglia Spinola in generale e su quella di Filippo Antonio in particolare. Nel 1706 lo Stato di Milano cadde in mano imperiale: ciò comportò la perdita di tutti beni e le rendite di cui egli godeva nel Milanese e nel Monferrato e l’accusa di tradimento nei confronti di Carlo III. Nel 1707, quando fu conquistato dalle armate imperiali il Regno di Napoli, Spinola Colonna dovette rinunciare anche ai possedimenti napoletani. In questo critico frangente, egli si mantenne fedele a Filippo V, che ne premiò la lealtà con la nomina a viceré di Sicilia.
Il 13 luglio 1707 fece la sua entrata solenne a Palermo e incontrò il suo predecessore, Isidro Melchor de la Cueva y Benavides marchese di Bedmar, dal quale fu aggiornato sulla situazione dell’isola. Malgrado le truppe imperiali minacciassero di invadere il Regno, il viceré poteva contare solo su 3000 fanti e su sei compagnie a cavallo: una dotazione sufficiente per un territorio defilato, ma totalmente inadeguata dopo la conquista di Napoli da parte degli imperiali. Per assicurare la difesa dell’isola Spinola Colonna chiese inutilmente al sovrano l’invio di rinforzi. Sia il Consejo de Estado sia il Consejo de Italia, con il beneplacito di José de Grimaldo, capo della secretaría del despacho de Guerra y Hacienda, decisero di ampliare le prerogative del viceré per consentirgli di raccogliere il denaro necessario alla difesa. Grazie ai nuovi poteri il viceré poteva assegnare incarichi e vendere magistrature. Si cercò anche di dargli aiuto militare, inviando nel 1709 a Palermo reggimenti spagnoli, francesi e irlandesi: i tumulti scoppiati in questa occasione in città, seppure prontamente sedati dalla nobiltà siciliana desiderosa di dimostrare la propria fedeltà a Filippo V e timorosa di perdere i propri privilegi, e il rischio che la Sicilia orientale cadesse in mano all’esercito imperiale spinsero Spinola Colonna, rimasto vedovo nel 1708, a trasferirsi a Messina, malgrado i reiterati inviti inviatigli da Madrid per tornare nuovamente a Palermo.
Grazie all’ampio margine di manovra che le nuove prerogative gli assegnavano e alla residenza a Messina, dove era giunto senza essere accompagnato dai componenti dei maggiori tribunali del Regno, diede al suo governo un inedito carattere esecutivo.
In primo luogo, venne istituita, senza assenso parlamentare, una tassa generale. Le università demaniali e baronali avrebbero contribuito con una somma pari al 5% del loro patrimonio, mentre era fissata una somma specifica per ciascuna categoria di persone (signori, vassalli, titolati, baroni con feudo, ministri regi, commercianti, cavalieri e così via, fino ai barbieri, ai parrucchieri, ai maestri). La riscossione venne affidata alla segreteria di Stato e guerra, che non esitava di fronte alle inadempienze a far uso di metodi coercitivi. In seconda battuta, il viceré obbligò i baroni a prestare il servizio militare, facendo la leva di 1800 soldati armati a cavallo o versando somme pattuite. In terzo luogo, ordinò il sequestro dei beni e delle rendite di quanti erano sostenitori degli Asburgo. Inoltre cambiò il sistema del sindacato degli uffici annuali del Regno, in modo da controllare direttamente i sindacatori e ricevere nel più breve tempo possibile le somme dovute dagli ufficiali colti in malversazione. Massiccia fu infine la vendita di titoli, cariche e uffici: furono oggetto di transazione il grandato e il trattamento da grande di Spagna, i titoli di principe, duca e marchese, gli uffici che implicavano l’esercizio della iurisdictio (mai annoverati fra i posti venali prima di allora), da quello di maestro razionale del Real Patrimonio alle giudicature biennali nei grandi tribunali o nelle corti urbane, e diversi gradi militari. La decisione della vendita e il prezzo, mascherato sotto la formula di ‘donativo volontario’, venivano stabiliti direttamente dal viceré che riceveva da Grimaldo i relativi documenti, firmati dal re, e che non comunicava nessuna delle sue mosse al Consejo de Italia, fino a quel momento organo responsabile delle nomine e della concessione di titoli in Sicilia.
Grazie a tutti questi espedienti e rifiutandosi persino di inviare truppe a difesa della Sardegna invasa dalle forze imperiali nel 1708 e di Porto Ercole nel 1713, riuscì a pagare le truppe di stanza in Sicilia e a mantenere l’isola nell’orbita borbonica. Tuttavia, quando le sorti di Filippo V sembrarono risollevarsi, i poteri eccezionali furono ridotti.
Nel 1712, Spinola Colonna chiese al sovrano la licenza di abbandonare l’incarico, che però gli venne negata. Inoltre non ricevette neppure nuove disposizioni. Nella primavera del 1713, infatti, si era diffusa la voce della cessione della Sicilia, ma il viceré non possedeva al riguardo informazioni ufficiali. Egli ebbe la notizia direttamente dall’emissario del duca Vittorio Amedeo II di Savoia, che gli consegnò copia dei trattati firmati a Utrecht. Nel settembre del 1713 tornò a Palermo, dove il mese successivo sbarcò il duca di Savoia, che sarebbe stato incoronato re. Il 4 gennaio 1714, Spinola Colonna lasciò Palermo per Genova.
Non rimase però a lungo nel suo palazzo genovese, in quanto fu nominato mayordomo mayor di Elisabetta Farnese, la nuova sposa di Filippo V, che fu da lui scortata da Genova fino a Roncisvalle. Successivamente si trasferì alla corte di Madrid, nella speranza di ricevere un degno compenso per i servigi resi; tuttavia, non essendo entrato nelle grazie della nuova sovrana, dovette rassegnarsi a chiedere licenza per tornare a Genova. Il re, nel concedergliela, lo nominò membro del Consejo de Estado: un titolo che, come quello di gran protonotario del Consejo de Italia, ormai risultava privo di contenuti.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita fra Genova e Madrid, dedicandosi alla politica matrimoniale della famiglia e morì a Madrid il 30 luglio 1721. Nel rispetto delle sue ultime volontà, fu seppellito con l’abito dell’Ordine di Santiago, nel collegio di Nuestra Señora de la Presentación.
Fonti e Bibl.: G.E. Di Blasi e Gambacorta, Storia cronologica dei viceré, luogotenenti e presidenti di Sicilia, Palermo 1842, pp. 455-475; F. Arese, Le supreme cariche del Ducato di Milano. Da Francesco II Sforza a Filippo V, in Archivio storico lombardo, XCVII (1970), p. 149; F. Barrios, El Consejo de Estado de la Monarquía española, 1521-1812, Madrid 1984, p. 412; J.L. Barrio Moya - R. López Torrijos, Las colecciones artísticas del IV marqués de los Balbases en Madrid y Génova, in Patronos, promotores, mecenas y clientes. VII Congreso español de historia del arte, Murcia 1992, pp. 437-442; A. Álvarez-Ossorio Alvariño, La república de las parentelas. El Estado de Milán en la monarquía de Carlos II, Mantova 2002, pp. 344 s.; Id., De la plenitud territorial a una prolongada agonía: el Consejo de Italia durante el reinado de Felipe V, in Cheiron, XX (2003), 39-40, monografico: Famiglie, nazioni e Monarchia. Il sistema europeo durante la guerra di successione spagnola, a cura di A. Álvarez-Osso Alvariño, pp. 338 s.; Id., De la conservación a la desmembración. Las provincias italianas y la Monarquía de España (1665-1713), in Studia histórica. Historia moderna, 2004, vol. 26, pp. 204, 219; La pérdida de Europa. La guerra de Sucesión por la Monarquía de España, a cura di A. Álvarez-Ossorio Alvariño - B. García García - M. Virginia León, Madrid 2007 (in partic. D. Ligresti, Élites, guerra e finanze in Sicilia durante la guerra di Successione spagnola, pp. 799-830; A. Álvarez-Ossorio Alvariño, ¿El final de la Sicilia española? Fidelidad, familia y venalidad bajo el virrey marqués de los Balbases (1707-1713), pp. 831-915); M. Herrero Sánchez, La red genovesa Spínola y el entramado transnacional de los marqueses de los Balbases al servicio de la Monarquía Hispánica, in Las redes del Imperio. Élites sociales en la articulación de la Monarquía Hispánica, 1492-1714, a cura di B. Yun Casalilla, Madrid 2009, pp. 132 s.