SPINELLO di Luca, detto Spinello Aretino
SPINELLO di Luca, detto Spinello Aretino. – Figlio dell’orafo aretino Luca di Spinello, nacque verso la metà del XIV secolo, verosimilmente ad Arezzo. Il padre si sposò due volte: la prima con Giovanna di Pagnuzzo (ante 1347), la seconda con Niccoluccia di Buongianni, che risulta già vedova in un documento del 1353, da cui si apprende che Luca aveva avuto due figli, ma non da quale matrimonio. Da un registro fiscale del 1384-85 sappiamo che il fratello minore di Spinello, Cola (Nicola), intraprese il mestiere del padre (per i documenti citati qui e di seguito Weppelmann, 2003, trad. it. 2011, pp. 373-393).
Il nome di Spinello compare per la prima volta in un atto del 1373, quando è già definito pittore, mentre risale al 1375 la prima menzione di una commissione, la decorazione (oggi perduta) della cappella Accettanti nella pieve di Arezzo, affidatagli dalla Fraternita dei laici. Dal 1380 al 1385 risulta residente a Lucca: è del 1384 il contratto stipulato con fra Nicola da Pisa, priore del monastero olivetano di S. Maria Nuova a Roma, per un polittico sul modello di un altro appena concluso per la chiesa di S. Ponziano, dello stesso ordine. Nel 1387 s’immatricolò all’Arte dei medici e speziali di Firenze, e ottenne l’incarico – con Agnolo Gaddi e Lorenzo di Bicci – di fornire i disegni per le statue del portale di S. Maria del Fiore. All’inizio del 1390 si trovava di nuovo a Pisa per dipingere le Storie dei ss. Efisio e Potito nel camposanto, saldate nel maggio dell’anno successivo. Nella seconda metà degli anni Novanta è documentato con una certa frequenza ad Arezzo: di questa fase ci restano i pagamenti per la lunetta del portale (1395) e due figure (perdute) nella sala dell’Udienza (1396) della Fraternita dei laici. A cavallo del secolo fu ancora a Firenze, dove nel 1399 fu ingaggiato, insieme a Niccolò di Pietro Gerini e a Lorenzo di Niccolò, per dipingere il polittico dell’altar maggiore di S. Felicita, terminato due anni dopo. Rientrato ad Arezzo, fu ancora attivo per la Fraternita dei laici, che gli affidò la decorazione (oggi perduta) di due cappelle della pieve di S. Maria (1401-02) e di una in S. Francesco (1404). Un’esenzione fiscale che Spinello e suo fratello Cola ottennero dal Comune nel 1403 rende noto che il pittore aveva lavorato anche nel palazzo dei Priori. Nel 1404 – pur continuando a ricevere incarichi di rilievo ad Arezzo, come la realizzazione degli apparati per l’insediamento del nuovo vescovo Pietro de’ Ricci (1405) – Spinello prese accordi con l’Opera del duomo di Siena per affrescare la cappella di S. Ansano e per altri lavori che si protrassero fino al 1407, mentre l’anno successivo lavorò alla sala di Balìa in palazzo pubblico.
Come si deduce da un documento aretino del 1409, Spinello si era sposato una prima volta con Antonia di Giovanni, unione dalla quale era nato il figlio Parri (Guasparri), anch’egli pittore; dalla seconda moglie, Bilia Andreiuoli, sposata nel 1397, aveva avuto altri due figli, tra cui Baldassarre, che divenne orafo. Una serie di documenti fiscali testimonia che per tutta la vita Spinello fu iscritto regolarmente nelle liste dei contribuenti aretini, a riprova del legame ininterrotto con la sua città natale. Le sue condizioni economiche dovevano essere discrete: oltre alla casa ereditata dal padre, ne possedeva una a Firenze, che nel 1407 figura tra i beni affidati in procura al suo ex collaboratore Lorenzo di Niccolò; negli ultimi anni di vita, infine, sono registrati numerosi acquisti di terreni nei dintorni di Arezzo. Resta da chiarire la sua presenza nei registri delle Prestanze fiorentine negli anni 1405-10 (Lenza, 2009): i continui cambi d’indirizzo sembrerebbero infatti indicare che il pittore non risiedesse stabilmente in città, ma che vi mantenesse solo dei contatti (Bresciani, 2016, p. 134).
A tali notizie si aggiunge una notevole quantità di opere firmate e datate (o databili con un buon grado di sicurezza), che facilita la comprensione del suo percorso e ne rafforza il ruolo di assoluto rilievo nel panorama della pittura toscana del tempo, per altro verso da sempre riconosciuto dalla critica. Dopo le più antiche segnalazioni nel Libro di Antonio Billi (entro il 1530, 1892) e nel Codice Magliabechiano (1537-1542 circa, 1892), fu Vasari (1550; 1568) a fornirne un primo profilo biografico e un catalogo, per molti numeri ancora attuale, che condizionò la percezione della sua arte nei secoli a seguire (Weppelmann, 2003, trad. it. 2011, pp. 11-29; una sintesi in Fornasari, 2016). Tra Otto e Novecento le ricerche archivistiche da un lato (tra cui Milanesi, 1854; Id., 1878; Poggi, 1905; Del Vita, 1916; Pasqui 1917-1918; Procacci 1928-1929; Degli Azzi, 1930) e storico-artistiche dall’altro (Crowe - Cavalcaselle, 1864; Vitzthum, 1906; Sirén, 1908; Khvoshinsky - Salmi, 1912) gettarono le basi per una conoscenza più approfondita e storicamente documentata, sfociate nella monografia di György Gombosi (1926) e nelle precisazioni di Ugo Procacci (1929), ma anche nelle liste di Bernard Berenson (1932) e nelle considerazioni di Pietro Toesca (1951). Tuttavia si dovette attendere il dibattito aperto sulle pagine di Paragone e Antichità viva da Roberto Longhi e dai suoi allievi per vedere riconosciuta l’alterità culturale di Spinello rispetto alla tradizione fiorentina (orcagnesca in particolare) e a quella senese, in cui era stato imbrigliato da Giovan Battista Cavalcaselle in avanti, nonché la sua intelligenza nel rielaborare stimoli provenienti dai diversi centri toscani toccati dalla sua infaticabile attività. Più di recente, importanti momenti di elaborazione critica sono stati il catalogo di Miklós Boskovits (1975); la sezione dedicata a Spinello della mostra lucchese Sumptuosa tabula picta (Tartuferi, 1998); il restauro dell’oratorio di S. Caterina all’Antella (Boskovits, 1998; L’oratorio, 2009); l’ampia monografia di Stefan Weppelmann (2003; trad. it. 2011) e le riflessioni che ne sono seguite (“In nome di buon pittore”, 2016). Fondamentali sono stati altresì gli studi sull’arte ad Arezzo prima della comparsa del pittore, e la riscoperta di Andrea di Nerio, principale artista cittadino del secondo e terzo quarto del Trecento, che ha fornito le premesse per la comprensione delle origini del linguaggio spinelliano (A.M. Maetzke, in Arte nell’Aretino. Recuperi e restauri dal 1968 al 1974 (catal., Arezzo), a cura di L.G. Boccia et al., Firenze 1974, pp. 52-69; da ultimo Droandi, 2016).
L’alta qualità delle opere di Andrea e la forte influenza sul giovane Spinello rendono complessa la definizione critica di un gruppo di affreschi nelle chiese di Arezzo, alternativamente assegnati al maestro o all’allievo: tra questi la Madonna col Bambino ai Ss. Michele e Adriano, un frammentario Sposalizio mistico di s. Caterina e il Battesimo di Cristo in S. Francesco, l’Annunciazione della SS. Annunziata (un riepilogo in Bellosi, 2005).
La prima prova attribuita concordemente a Spinello è l’affresco datato 1377 con la Madonna col Bambino tra i ss. Giacomo maggiore e Antonio abate proveniente dal chiostro di S. Agostino ad Arezzo (oggi al Museo diocesano), in cui l’allungamento delle proporzioni, un più denso chiaroscuro e la cadenza ritmica delle pieghe segnano uno scarto rispetto ai modi di Andrea. A questa prima fase vanno ascritti quanto resta delle Storie di s. Tommaso in S. Bartolomeo (Weppelmann, 1999, pp. 9 s.) e due pannelli, rispettivamente la Natività (Londra, Courtauld Institute; Bellosi, 1965, p. 23) e l’Adorazione dei Magi (collezione Feudarent; Laclotte, 2007, pp. 73 s.), in origine sul lato frontale di un polittico opistografo in S. Francesco a Città di Castello, completato nel lato tergale – di cui resta solo la Conferma della regola (Chicago, Art Institute; Cooper, 2001) – poco dopo il 1400 (Cooper, 2016; l’ancona più tardi venne indicata come modello al Sassetta per l’altare di Sansepolcro).
Le travagliate vicende politiche aretine che portarono la città nell’orbita di Firenze (1384) furono forse alla base del trasferimento del pittore a Lucca già nel 1380. I cinque anni trascorsi tra qui e Pisa videro la rapida evoluzione del suo linguaggio. Ancora segnata dalla geometrica volumetria di Andrea di Nerio è la Madonna col Bambino (Stoccarda, Staatsgalerie), richiesta per il duomo pisano dal capomastro Puccio di Landuccio (come recita l’iscrizione), alla quale è stato collegato un S. Bartolomeo di collezione privata (Tartuferi, 1992). La ricerca di una maggiore monumentalità, e al contempo di una tavolozza più chiara e delicata, proseguì di lì a poco nel polittico per la chiesa lucchese dei Ss. Simone e Giuda, con la Madonna col Bambino (Città del Messico, Museo Nacional de San Carlos; Bellosi, 1965, pp. 23-25) tra i ss. Filippo e Grisante e Daria e Giacomo minore (Parma, Galleria nazionale). Di grande interesse è la preziosa decorazione a rilievo delle aureole con i nomi dei santi, una caratteristica che accomuna le opere lucchesi di Spinello (Gonzáles-Palacios, 1965, p. 47) e che sarà forse da attribuire alla collaborazione del doratore senese Gabriello di Saracino (Tartuferi, 1998, p. 135). La si ritrova nei due polittici realizzati per gli olivetani, in cui Spinello mostra di reagire soprattutto all’arte di Francesco Neri da Volterra, ma inserendo anche citazioni da Buffalmacco. Della prima ancona, già sull’altare di S. Ponziano, restano la Madonna col Bambino e angeli, firmata «Spinello de Areti(o) pi(n)sit» (Cambridge, MA, Fogg Art Museum), due dei quattro laterali, con S. Benedetto e S. Ponziano (San Pietroburgo, Ermitage), e tre tavolette della predella (Parma, Galleria nazionale; per una riproposizione grafica: ibid., p. 139). La seconda, commissionata per S. Maria Nuova a Roma, dovette essere subito dirottata verso la casa madre di Monte Oliveto Maggiore: perduto il pannello centrale, dove si trovavano la firma e la data 1385 (Vasari, 1568, 1967, p. 285), se ne conservano la cuspide con l’Incoronazione di Maria e la predella con la Dormitio Virginis (Siena, Pinacoteca nazionale); i laterali – a sinistra i Ss. Nemesio e Giovanni Battista, con i rispettivi martirî nella predella (Budapest, Szépmüvészeti Museum); a destra i Ss. Benedetto e Lucia, nella predella la Morte di s. Benedetto e il Martirio di s. Lucia (Cambridge, MA, Fogg Art Museum) – riportano i nomi del legnaiolo Simone di Cino da Firenze e di Gabriello di Saracino da Siena, citati nel contratto di allogagione del 1384 (sulla ricostruzione critica del complesso: Weppelmann, 2003, trad. it. 2011, pp. 143-153).
Alla stessa temperie sono da ricondurre altri due polittici: il primo, con la Madonna col Bambino tra i ss. Pietro, Domenico, Brigida e Chiara (Saltwood Castle), opportunamente collegato al monastero femminile di S. Domenico di Pisa; il secondo, di cui si conservano i laterali con i Ss. Gherardo da Valenza, Maddalena, Ludovico e Francesco (Nottingham, Castle Museum and Art Gallery), alla sede della Compagnia della Maddalena a Lucca (Pisani, 2016).
La documentata presenza di Spinello ad Arezzo nel 1386 ha spinto ad assegnare a questo momento alcuni affreschi stilisticamente vicini alle opere lucchesi e pisane, tra cui l’Annunciazione di S. Domenico (Bellosi, 1965, p. 26) e la Pentecoste staccata dall’ospedale di S. Spirito e oggi in S. Francesco (Weppelmann, 2003, trad. it. 2011, pp. 163-165). Trasferitosi a Firenze, dopo l’impiego per l’Opera del duomo (1387) il pittore fu scelto – verosimilmente grazie ai buoni rapporti istituiti al tempo dei lavori lucchesi – dagli olivetani di S. Miniato al Monte per il grande ciclo della sagrestia voluto da Benedetto di Nerozzo degli Alberti nel 1387. Realizzate nel corso dell’anno successivo (ibid., pp. 54-56, 181-189) e ricordate come opera di Spinello fin dal Cinquecento, le Storie di s. Benedetto costituiscono il capolavoro della maturità, in cui alle esperienze precedenti si somma la riflessione diretta sulla pittura fiorentina di primo Trecento, di Giotto, e soprattutto di Taddeo Gaddi.
Controversa è la datazione dell’altro ciclo realizzato per gli Alberti, nell’oratorio di S. Caterina all’Antella (Bagno a Ripoli), da situare per alcuni subito dopo i murali olivetani, per altri più tardi, nel cuore dell’ultimo decennio del secolo (un riepilogo in Bresciani, 2009). Il discrimen per la critica è il rapporto con le rovinatissime Storie dei ss. Efisio e Potito del Camposanto di Pisa (1390-91), che segnano un’ulteriore evoluzione nel modo di concepire il racconto, non più suddiviso in riquadri bensì dispiegato in un continuum dall’alto senso drammatico, in risposta ai precedenti in situ di Buffalmacco, Taddeo Gaddi e Antonio Veneziano.
A questo nuovo soggiorno nella Toscana occidentale sono da collegare il trittico firmato e datato 1391 (Firenze, Galleria dell’Accademia) dipinto per l’oratorio di S. Andrea a Lucca (Tartuferi, 1998); la Crocifissione e santi (Lucca, Museo nazionale di Villa Guinigi; ibid.); il polittico – probabilmente di poco più tardo – per l’altare di S. Michele nel duomo di Pisa, oggi diviso tra il Museo dell’Opera, il Museo nazionale di S. Matteo e l’Harvard University Museum di Cambridge (non pare pertinente, o al limite da considerare un episodio di compartecipazione, l’Annunciazione del Fitzwilliam Museum di Cambridge, di Niccolò di Pietro Gerini: Tartuferi, 2016, pp. 170 s.).
Spinello si trovava di nuovo a Firenze nel 1393, data posta in calce al trittico di S. Maria a Quinto (Sirén, 1908, p. 95). Alla stessa altezza cronologica si collocano il Calvario della sagrestia di Santa Croce (Giura, 2016) e le Storie del Battista della cappella Manetti in S. Maria del Carmine (Longhi, 1960), i cui pochi frammenti scampati all’incendio del 1768 si trovano oggi divisi in vari musei (Weppelmann, 2003, trad. it. 2011, pp. 214-221). A questo punto del percorso il linguaggio spinelliano si presenta come la più perspicace e profonda sintesi di tutto il Trecento toscano, in cui un forte senso della monumentalità e una sottile ricercatezza cromatica si associano al ritmo tagliente dei panneggi, già messo in rapporto con l’arte di Lorenzo Monaco (Toesca, 1951; Bellosi, 1965).
Dopo una nuova parentesi aretina – cui risalgono l’Imago pietatis sul portale della Fraternita dei laici (1395, oggi al Museo diocesano) e altri affreschi, come gli Apostoli Giacomo minore e Filippo, quattro storie della loro vita, e il martirio di s. Caterina in S. Domenico (Vasari, 1550, 1967, p. 283) –, Spinello fu ancora protagonista di importanti commissioni a Firenze: l’Incoronazione della Vergine e santi per S. Felicita (ne faceva parte anche un’Annunciazione di collezione privata: ricostruzione in Boskovits - Parenti, 2010); il S. Stefano per l’arte della lana (Firenze, Galleria dell’Accademia; ibid.); le Storie di s. Zanobi e di s. Bartolomeo nella cappella Cortigiani in S. Michele Visdomini, oggi ridotte a pochi frammenti (Tartuferi, 1983; De Vries, 2006). Estremamente deteriorati si presentano anche altri affreschi fiorentini: ai Ss. Apostoli (Boskovits, 1975, p. 435), in S. Trinita (Procacci, 1968) e in Orsanmichele (Boskovits, 1975, p. 435); i murali e la tavola della cappella Machiavelli in Santa Croce, che Vasari dice completata nel 1400, erano probabilmente opera di Lorenzo di Niccolò (Giura, 2011).
Resta problematica una frammentaria Annunziata in S. Domenico ad Arezzo, la cui iscrizione parziale con la data 1400 (Weppelmann, 2003, trad. it. 2011, p. 295) farebbe pensare a un precoce rientro in patria già in quell’anno, nel pieno dei lavori fiorentini, a riprova della mobilità di Spinello durante tutto l’arco della sua carriera. In ogni caso con l’inizio del nuovo secolo sembra che egli risiedesse stabilmente in città. Nello stesso 1400 Nicola Guasconi lasciava i fondi per decorare la cappella di famiglia in S. Francesco: le Storie di s. Egidio e s. Michele arcangelo dovettero esservi dipinte negli anni immediatamente successivi, come riconosciuto dalla critica anche per via stilistica (Procacci, 1929). Numerosi sono gli altri affreschi che – anche in questa fase – possono essere ricondotti alla mano di Spinello, tra cui nella stessa S. Francesco l’Annunciazione della cappella Gozzari; in S. Domenico la Madonna col Bambino tra s. Gregorio e un santo diacono (Berenson, 1932), e i Ss. Lorenzo, Caterina e un altro santo (frammentario) datati 1408 (Donati, 1966).
Tuttavia anche durante quest’ultima fase non mancarono commissioni di rilievo al di fuori dei confini di Arezzo. Sono di sua mano in S. Francesco a Cortona gli Apostoli del sottarco della cappella maggiore (Berenson, 1963) e le frammentarie Storie di s. Giacomo all’angolo tra la controfacciata e la parete destra (per l’iconografia Corti, 2006); a Città di Castello, oltre al completamento del polittico di S. Francesco, ne realizzò un secondo per S. Domenico (De Marchi, 1998; De Luca, 2011); lo stendardo su tela con la Maddalena in trono e la Flagellazione di Cristo (New York, Metropolitan Museum of Art) fu dipinto per la Confraternita dei flagellanti di Sansepolcro (Weppelmann, 2003, trad. it. 2011, pp. 259 s.). A Siena, perduti i lavori in duomo (1404-07), rimangono le Storie di papa Alessandro III nella sala di Balìa di palazzo pubblico (1408), per le quali è documentata la collaborazione del figlio Parri, sebbene non sia agevole sceverarne la mano (diversamente L. Borri Cristelli, Parri Spinelli, un protagonista del tardo gotico aretino, in Arte in terra d’Arezzo. Il Quattrocento, a cura di L. Fornasari - G. Gentilini - A. Giannotti, pp. 33-48, in partic. p. 36, con rimandi).
La questione del passaggio del testimone tra Spinello e Parri emerge con maggiore evidenza nella Caduta degli angeli ribelli un tempo nella chiesa aretina della Compagnia di S. Angelo, celebrata già da Vasari (1550, 1967, pp. 287 s.), che attorno vi costruì l’aneddoto della morte del pittore. Ridotto a pochi frammenti divisi tra il Museo di Arezzo e la National Gallery di Londra ma riprodotto ancora integro in un’incisione di Carlo Lasinio (da ultimo Bresciani, 2016, pp. 132 s.), l’affresco presentava una sapiente orchestrazione da ricondurre direttamente a Spinello; l’esecuzione, al contrario, mostra l’emergere della mano di una generazione diversa, più minuta e affilata, incline al senso tardogotico della linea di contorno, quale appunto quella di Parri (ibid., con bibliografia).
Spinello fu seppellito ad Arezzo nella chiesa di S. Marco di Murello il 14 marzo del 1410.
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