SPINA
. Antica città situata nella bassura padana accanto alle sponde dell'Adriatico, la cui esistenza è attestata da varie fonti. Tra queste Dionisio di Alicarnasso (Ant. rom., I, 18, e 28, 3) secondo il quale schiere di Pelasgi, o per consiglio dell'oracolo di Dodona o per sottrarsi agli Elleni, passarono per mare in Italia, e presso il fiume Spinete (un ramo del Po) fondarono un accampamento, che si trasformò nella florida città di Spina, che mandava doni votivi a Delfi; ai Pelasgi successero i barbari (cioè i Celti), poi i Romani. Spina, come riferiscono Strabone e Plinio, aveva un edificio per contenere doni votivi, nel santuario apollineo di Delfo. Era perciò considerata come città ellenica, e l'elemento ellenico dovette essere numeroso in Spina, specialmente quando nei primi tempi del secolo IV a. C. Dionisio il Grande, signore di Siracusa, fece sentire il suo potere alle foci del Po. Tale elemento ellenico si dovette distendere sull'elemento etrusco e sull'antico elemento etnico veneto o umbro; poi fu l'assoggettamento di Spina ai Galli (dall'inizio del sec. III a. C.). Ai tempi augustei Spina era ridotta a un semplice villaggio.
Il problema dell'ubicazione esatta di Spina è stato molto dibattuto, ma pare che abbia trovato la sua risoluzione nel rinvenimento di una vasta necropoli venuta alla luce sin dal 1922, a Valle Trebba a NO. dell'odierna cittadina di Comacchio, che è verosimilmente quella della città di Spina, la quale pertanto sarebbe stata fondata sul ramo meridionale del Po (l'ostium Spineticum di Plinio) dagli Etruschi, quando alla fine del sec. VI, attraversato l'Appennino, fondarono l'Etruria circumpadana; Spina sarebbe adunque stata lo scalo di Felsina (oggi Bologna), città principale di questa Etruria. Ai tempi augustei Spina era decaduta assai; forse l'ostium Spineticum aveva cambiato direzione, non più fluiva verso oriente, ma verso sud, collimando con la foce del Po di Primaro, e non era lontana l'ora dell'interramento pieno di questo braccio del Po. Comacchio fu l'erede di Spina.
La necropoli, segnalata primamente dai lavori di bonifica ed esplorata poi metodicamente dal 1922 al 1935, si estende su una superficie di circa 2 km. da mezzogiorno a tramontana e di 750 m. circa da ponente a levante. Le tombe scoperte negli scavi ammontano ad oltre 1200; varie altre furono manomesse clandestinamente. I due riti dell'inumazione e della cremazione appaiono frammisti e contemporanei fra loro, con prevalenza del primo; i corpi erano deposti entro casse di legno, le ceneri entro dolî d'impasto rozzo o talvolta entro vasi greci o sarcofagi: non di rado anche per esse, o per il recipiente che le conteneva, era parimenti usata la cassa lignea. Le tombe erano indicate esteriormente da colonnette di pietra o assai più spesso da semplici ciottoli di fiume. Ricchissima è la suppellettile, soprattutto ceramica, rinvenuta nelle tombe, e oggi raccolta nel R. Museo di Spina, ordinato nel 1935 nel palazzo di Ludovico il Moro a Ferrara. Tra i circa 2000 vasi recuperati, e talvolta ricomposti da gran numero di frammenti, si contano esemplari di primissimo ordine. Da questa suppellettile rileviamo che la necropoli fu in uso dal principio del sec. V al principio del III a. C. (V. tavv. LIX e LX).
Bibl.: P. Ducati, Il sepolcreto di Valle Trebba, in Rendiconto delle sessioni della r. Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna, s. 2ª, VIII (1923-24), pp. 1-30; id., in Dedalo, V (1924), p. 401 segg.; A. Negrioli, in Atti Acc. Lincei. Not. degli scavi di antichità, s. 5ª, XXI (1923), pp. 279-322 e ibid., s. 6ª, III (1927), pp. 143-198; S. Aurigemma, Il R. Museo di Spina, Ferrara 1935.